Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 22 settembre 2011, n. 34430 - Crollo delle opere provvisionali predisposte nel corso dei lavori di costruzione di una scuola elementare


 

 

Responsabilità dell'amministratore unico della M.S.S. per la morte di un operaio dipendente e la lesione personale di altri operai a seguito del crollo delle opere provvisionali predisposte per la realizzazione del solaio a quota mt. 6,60, nel corso dei lavori di costruzione di una scuola elementare.

Condannata in primo e secondo grado, ricorre in Cassazione - La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo B (art. 449 c.p.: delitti colposi di danno) per essere il reato estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso nel resto.

"Una volta assodato e ritenuto che la ricorrente era, per la qualità rivestita, titolare della relativa posizione di garanzia, deve rilevarsi che, in tema di infortuni sul lavoro, l'obbligo del datore di lavoro, è articolato e comprende l'istruzione dei lavoratori sui rischi connessi alle attività lavorative svolte, la necessità di adottare tutte le opportune misure di sicurezza, la effettiva predisposizione di queste, il controllo, continuo ed effettivo, circa la concreta osservanza delle misure predisposte per evitare che esse vengano trascurate o disapplicate, il controllo sul corretto utilizzo, in termini di sicurezza, degli strumenti di lavoro e sul processo stesso di lavorazione".

"Ai sensi della L. n. 547 del 1955, art. 4, il datore di lavoro è il primo e principale destinatario degli obblighi di assicurazione, osservanza e sorveglianza delle misure e dei presidi di prevenzione antinfortunistica contemplate in quel disposto normativo e negli altri che a quello fanno riferimento. Tale precipuo obbligo del datore di lavoro può essere ad altri delegato, ossia trasferito, con conseguente sostituzione e subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa originariamente capo al datore di lavoro ma  il relativo atto di delega deve essere espresso, inequivoco e certo, dovendo inoltre investire persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento, che abbia accettato lo specifico incarico, fermo restando l'obbligo per il datore di lavoro di vigilare e controllare che il delegato usi, poi, concretamente la delega, secondo quanto la legge prescrive."


 




REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere
Dott. IZZO Fausto - Consigliere
Dott. MASSAFRA Umberto - rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:

sentenza



sul ricorso proposto da:

1) C.M., N. IL ***;

avverso la sentenza n. 921/2009 CORTE APPELLO di CATANIA, del 29/03/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/06/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO MASSAFRA;
Udito il Procuratore Generale in perdona del Dott. Gialanella Antonio, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio limitatamente al capo B, rigetto per il capo A. udito il difensore avv. Randazzo Ettore, del foro di Siracusa, che insiste per l'accoglimento del ricorso, in subordine per l'annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione, come da note d'udienza che deposita.
 

 


Fatto

 


Con sentenza in data 29.3.2010 la Corte di Appello di Catania confermava quella emessa in data 4.6.2007 dal Tribunale di Siracusa che, contestualmente assolvendo altri tre coimputati, aveva condannato C.M., con circostanze attenuanti generiche equivalenti all'aggravante contestata, alla pena di anni uno di reclusione per i reati di cui all'art. 589 c.p., commi 1 e 3 (capo A) e di cui all'art. 449 in relazione all'art. 424 c.p. (rectius: art. 434 c.p.), comma 2 (capo B) unificati con il vincolo della continuazione (commessi il ***).

Alla C. era stato contestato di aver colposamente causato, quale amministratore unico della M.S.S., a seguito del crollo delle opere provvisionali predisposte per la realizzazione del solaio a quota mt. 6,60, nel corso dei lavori di costruzione di una scuola elementare in ***, la morte di A.G. e la lesione personale di altri operai dipendenti. Secondo l'imputazione, la colpa addebitata alla C. consisteva nell'aver realizzato una struttura provvisionale con puntelli inidonei a sostenere il solaio in allestimento in luogo di ponteggi metallici con nodi realizzati con snodi e collegamenti metallici e nella mancanza di controventature (cioè l'insieme di travi inclinate e trasversali che avrebbero dovuto avvincere e collegare staticamente lo sviluppo verticale della struttura, impedendo oscillazioni dinamiche dei c.d. piedritti verticali) relative alla struttura provvisionale e da predisporre nelle due direzioni longitudinale e trasversale al fine di realizzare eventuali azioni orizzontali, nella mancata predisposizione di un progetto, a firma di un tecnico esperto ed abilitato, delle opere provvisionali e nella insufficiente sorveglianza delle iniziative e delle attività di impresa che venivano lasciate frequentemente senza controllo e senza direttive.
Con l'ulteriore imputazione, era contestato alla predetta C. d'aver causato, con colpa consistente nelle omissioni suddette, il crollo dell'edificio destinato ad ospitare una scuola elementare e, in particolare, delle opere provvisionali predisposte per la realizzazione del solaio ad altezza di mt. 6,60. I fatti venivano ricostruiti dal giudice di primo grado sulla scorta della relazione di consulenza redatta dal collegio di esperti nominati dal pubblico ministero nel corso delle indagini in una alle deposizioni testimoniali rese dagli operai superstiti. Quella mattina gli operai presenti sul cantiere cercavano di completare l'allestimento delle travature e dei banchinaggi, ovvero per stabilizzare ulteriormente la stabilità verticale delle opere provvisionali, attraverso il montaggio di altri "piedritti" (aste metalliche sovrapposte). Quattro operai si trovavano sopra un banchinaggio in quota, e ricevevano il materiale necessario da altri due operai. È durante tali frangenti che si verificava improvvisamente il tragico crollo. Le strutture provvisionali subivano un repentino cedimento, collassando in basso e trascinando nel crollo l'intera impalcatura del solaio: in particolare, tutto il materiale edilizio e le opere provvisionali di sostegno precipitavano al suolo dall'altezza di sei metri, coinvolgendo nella caduta anche quegli operai che si trovavano sulla struttura; le armature di ferro subivano invece un vistoso piegamento verso il basso. Ne conseguiva la morte di A.G. a seguito del politrauma subito per la caduta e le lesioni personali guaribili dai 10 ai 30 giorni per gli altri quattro operai.


Avverso tale sentenza ricorre per cassazione il difensore di fiducia di C.M. deducendo i seguenti motivi, così sintetizzati.
1. L'inosservanza o erronea applicazione dell'art. 449 c.p. in relazione all'art. 434 c.p., comma 2 e comunque erroneità e mancanza di motivazione, avendo la Corte omesso di verificare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del reato di disastro innominato colposo.
2. La violazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione all'art. 589 c.p., commi 1 e 3, e art. 449 c.p., in relazione all'art. 434 c.p., comma 2, deducendo che la ricorrente era divenuta amministratrice della M., società di grandi dimensioni, dopo l'approvazione del progetto e che difettava qualsiasi incarico o delega da parte della Committente a lei riferibile in ordine al detto progetto essendo stato addebitato l'evento alla cattiva progettazione, contestando, altresì, le argomentazioni opposte dalla sentenza impugnata alle medesime rappresentazioni difensive mosse con l'atto d'appello. Evidenziava che la predisposizione della progettazione delle opere provvisionali era posta a carico della stazione appaltante, cioè del Comune di Siracusa, in base alla L.R. n. 21 del 1985, art. 5 bis.
3. La violazione di legge in relazione all'art. 546 c.p.p., lett. e) e 178 c.p.p., lett. c) e il vizio motivazionale sul punto relativo all'insussistenza dei reati di cui all'art. 589 c.p., commi 1 e 3, e art. 449 c.p. in relazione all'art. 434 c.p., comma 2.
Ribadisce l'omesso esame di tutti i motivi di appello proposti ed in particolare la circostanza che all'epoca dell'aggiudicazione dell'appalto la prevenuta non rivestisse alcuna carica all'interno della M.. Né era pensabile che la predetta garantisse costantemente la sua presenza in cantiere, onere incombente sul personale tecnico responsabile dell'esecuzione e direzione dei lavori in ciascun cantiere.
4. La violazione di legge ed il vizio motivazionale in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche con criterio di prevalenza sulla contestata aggravante.
5. La violazione di legge ed il vizio motivazionale sul punto relativo all'intervenuta prescrizione del reato contestato (con particolare riferimento a quello di cui all'art. 589 c.p.), ben prima della pronuncia impugnata.
È stata depositata nel corso dell'odierna udienza, nell'interesse della ricorrente, una memoria difensiva, con la quale si insiste per l'intervenuta prescrizione dei reati.

 

Diritto

 


È opportuno, in via preliminare, esaminare il quinto ed ultimo motivo di ricorso relativo all'intervenuta prescrizione. Tale censura è parzialmente fondata.
Nel caso in esame occorre distinguere (attesa la modifica apportata all'art. 158 c.p. dalla L. n. 251 del 2005, circa l'irrilevanza della ritenuta continuazione) tra i due reati contestati al capo A) e al capo B).
Quanto al primo (art. 589 c.p., comma 3, oggi comma 4, fattispecie autonoma di reato, inquadrata nel concorso formale di reati: cfr. Cass. pen. Sez. 4, n. 47380 del 29.10.2008, Rv. 2428, la pena massima prevista è quella di anni cinque di reclusione e, in conseguenza delle circostanze attenuanti generiche riconosciute con criterio di mera equivalenza rispetto all'aggravante della violazione delle norme a tutela degli infortuni sul lavoro palesemente in fatto contestata nell'imputazione, secondo la disciplina della prescrizione prevista dal testo previgente degli artt. 157 e 160 c.p., il termine prescrizionale complessivo si compie in (10 anni + 5 di interruzione) 15 anni.
Ma altrettanto vale secondo il testo attuale delle citate disposizioni: infatti, ai sensi del novellato art. 157 c.p., comma 6, il termine massimo di cui al comma 1 predetto (di sei anni), per effetto della citata aggravante, va raddoppiato (elevandosi, in tal modo, a 12 anni) onde, con l'aggiunta del periodo di interruzione di cui al novellato art. 160 c.p., u.c., pari a Vi di tale massimo edittale, perviene all'identico tetto di 15 anni.
Ne consegue che in ogni caso, trattandosi di sentenza di primo grado intervenuta il 4 giugno 2007 e quindi, assieme all'atto d'appello, in data successiva all'entrata in vigore della L. n. 251 del 2005, pur dovendosi optare per la disposizione più favorevole ai sensi della citata Legge, art. 10, la scelta sarebbe superflua attesa la perfetta identità del termine prescrizionale calcolato secondo l'uno e l'altro testo normativo, sicché deve concludersi che detto termine prescrizionale del reato di cui al capo A), commesso il ***, verrà a scadere il 20.9.2014, oltre il periodo di sospensione di 230 giorni e, quindi, l'11.4.2015.


Quanto, invece, al reato di cui al capo B), dei cui all'art. 449 c.p., in relazione all'art. 434 c.p. punito, ora come allora, con la pena edittale massima di 5 anni, valendo per esso le medesime considerazioni in ordine al calcolo del termine prescrizionale, in questo caso pari, attesa la concessione delle circostanze delle attenuanti generiche (con conseguente abbassamento della pena massima edittale al di sotto dei cinque anni), secondo la normativa previgente e secondo quella attuale, ad anni sette e mesi sei, la prescrizione si sarebbe compiuta il 20.3.2007 aumentata di 230 giorni per i plurimi periodi di sospensione, e, quindi, il 9.11.2007, cioè già prima della sentenza di appello oggi impugnata.
 

Nel resto il ricorso è infondato.
 

La prima censura, relativa alla valutazione degli elementi costitutivi del reato di disastro colposo, come riconosce lo stesso ricorso (p. 2) che invoca al riguardo l'omessa applicazione dell'art. 129 c.p.p., non risulta essere rappresentata con l'atto di appello, sicché è inammissibile ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 3, in relazione alla dedotta violazione di legge.
La ricorrenza del vizio motivazionale è poi da escludersi attesa la limitazione della cognizione del giudice di appello nei limiti del devolutum.


Quanto alla seconda e terza censura, concernenti l'ascrivibilità dei reati alla ricorrente e la sua posizione di garanzia, ne è palese l'aspecificità, avendo riproposto in questa sede le medesime doglianze rappresentate sul punto dinanzi alla Corte territoriale e da quel giudice disattese con motivazione congrua, immune da vizi logici ed assolutamente plausibile.


Invero, la Corte ha precisato che "in assenza di provate ed accertate deleghe", titolare della posizione di garanzia doveva ritenersi la C., quale legale rappresentante ed amministratore unico della ditta appaltatrice. Tanto è in linea con l'orientamento di questa Corte secondo cui "in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la posizione di garanzia dell'amministratore delegato di una società, in quanto datore di lavoro, è inderogabile quanto ai doveri di vigilanza e controllo per la tutela della sicurezza, in conseguenza del principio di effettività, il quale rende riferibile l'inosservanza alle norme precauzionali a chi è munito dei poteri di gestione e di spesa" (Cass. pen. Sez. 3, n. 29229 del 19.4.2005, Rv. 232307).
 

D'altra parte, una volta assodato e ritenuto che la ricorrente era, per la qualità rivestita, titolare della relativa posizione di garanzia, deve rilevarsi che, in tema di infortuni sul lavoro, l'obbligo del datore di lavoro, è articolato e comprende l'istruzione dei lavoratori sui rischi connessi alle attività lavorative svolte, la necessità di adottare tutte le opportune misure di sicurezza, la effettiva predisposizione di queste, il controllo, continuo ed effettivo, circa la concreta osservanza delle misure predisposte per evitare che esse vengano trascurate o disapplicate, il controllo sul corretto utilizzo, in termini di sicurezza, degli strumenti di lavoro e sul processo stesso di lavorazione (Cass. pen. Sez. 4, 10.2.2005, n. 13251, Rv.231156; id., Sez. 4, 3.3.1995, n. 6486, Rv. 201706; id., Sez. 4, 12.12.1983, n. 3824, Rv. 163868). Ai sensi della L. n. 547 del 1955, art. 4, il datore di lavoro è il primo e principale destinatario degli obblighi di assicurazione, osservanza e sorveglianza delle misure e dei presidi di prevenzione antinfortunistica contemplate in quel disposto normativo e negli altri che a quello fanno riferimento. Tale precipuo obbligo del datore di lavoro può essere ad altri delegato, ossia trasferito, con conseguente sostituzione e subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa originariamente capo al datore di lavoro. Ma, tanto comportando una dismissione da parte del datore di lavoro - specifico e principale, ancorché non esclusivo, destinatario della norma, di tali obblighi assegnatigli dalla legge ed un loro contestuale trasferimento ad altri, il relativo atto di delega deve essere espresso, inequivoco e certo, dovendo inoltre investire persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento, che abbia accettato lo specifico incarico, fermo restando l'obbligo per il datore di lavoro di vigilare e controllare che il delegato usi, poi, concretamente la delega, secondo quanto la legge prescrive. Deve, perciò, escludersi che una siffatta delega possa essere inespressa o implicita, presumendola solo dalla ripartizione interna all'azienda dei compiti assegnati ad altri dipendenti o dalle dimensioni dell'impresa stessa (Cass. pen. Sez. 4, del 29.1.2008, n. 8604, Rv. 238970).
Inoltre la sentenza di primo grado (la cui motivazione sì fonde con quella confermativa di appello in un unicum inscindibile) ha congruamente escluso che, in forza della normativa applicabile ratione temporis, i poteri di incidenza tecnica del Committente (Comune) potessero ritenersi estesi alla possibilità di gestire e condizionare l'organizzazione del cantiere, essendo questa "prerogativa propria e connaturale alla libertà imprenditoriale del soggetto appaltatore", sicché gli oneri a carico del Comune committente imposti dalla Legge regionale richiamata in ricorso non potevano valere ad esonerare la ricorrente da ogni responsabilità in ordine alle prescrizioni antinfortunistiche su di lei incombenti al momento dell'esecuzione delle opere, a nulla rilevando, come esattamente osservato dalla Corte territoriale, che la sua nomina fosse intervenuta successivamente all'aggiudicazione del progetto appaltato.


Del resto, premesso, quanto alla peculiare doglianza della mancata risposta a tutti i motivi d'appello di cui al terzo motivo di ricorso, che (cfr. Sez. 4, 24 ottobre 2005, n. 1149, Rv. 233187) nella motivazione della sentenza il giudice di merito non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, giova rimarcare che, anche alla luce del nuovo testo dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, non è tuttora consentito alla Corte di cassazione, diversamente da quanto il ricorrente vorrebbe, ripetere l'esperienza conoscitiva del giudice di merito o di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito e spettando a questa Corte solo l'onere di verificare l'eventuale incompiutezza strutturale della motivazione della Corte di merito (Cass. pen. sez. 4, 12.2.2008, n. 15556 Rv. 239533).
Occorrerebbe, al riguardo, che non siano stati apprezzati fatti decisivi il cui rilievo dirompente dell'equilibrio della decisione impugnata venga indicato in modo inconfutabile a questa Corte di legittimità. Sarebbe stato, cioè, necessario, in forza del principio di "autosufficienza del ricorso" costantemente affermato, in relazione al disposto di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5, dalla giurisprudenza civile, ma che trova applicazione anche nell'ambito penale (cfr. Cass. pen. Sez. 4, 26.6.2008 n. 37982 Rv. 241023; Sez. 1, 22.1.2009, n. 6112 Rv. 24322), che in ricorso siano state puntualmente individuate le risultanze processuali ritenute rilevanti e che il contenuto delle stesse sia stato compiutamente illustrato, riproducendolo completamente o allegandone copia integrale.
Ciò comunque varrebbe nell'ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell'ipotesi di doppia pronunzia conforme, che appunto deve riscontrarsi nel caso in esame in relazione alla ritenuta responsabilità dell'imputata, il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità.
 

Per quel che concerne la lamentata omessa applicazione del criterio comparativo di prevalenza delle concesse attenuanti generiche di cui al quarto motivo di ricorso, giova rammentare che in tema di giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che le statuizioni relative a detto giudizio di comparazione, effettuato in riferimento ai alteri di cui all'art. 133 c.p., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (cfr. Cass. pen. sez. 3, 16.6.2004 n. 26908, Rv. 229298). Evenienza, questa, non riscontrabile nel caso di specie in cui la motivazione addotta sul punto è del tutto esaustiva e corretta con il richiamo alla gravità del fatto e all'elevato grado della colpa: invero è stato persino affermato che (Cass. pen. Sez. 3, 10.1.1986, n. 1580, Rv. 171951) "in tema di rigetto dell'istanza di riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle ritenute aggravanti, è sufficientemente motivata la decisione del giudice di merito che faccia riferimento ad uno solo degli elementi indicati dall'art. 133 c.p.".
Conclusivamente, non ravvisandosi elementi che consentano all'evidenza di giungere ad una pronuncia assolutoria piena ai sensi dell'art. 129 c.p.p., comma 2, dovrà annullarsi senza rinvio l'impugnata sentenza limitatamente al reato di cui al capo B) perché estinto per intervenuta prescrizione con eliminazione del relativo aumento di pena, pari a mesi quattro di reclusione. Quanto al residuo reato di cui al capo A), il ricorso dev'essere rigettato.

 

P.Q.M.


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo B (art. 449 c.p.) per essere il reato estinto per prescrizione ed elimina l'aumento di pena di mesi quattro di reclusione.

Rigetta il ricorso nel resto.