T.A.R. Lombardia, Sez. 2, 18 novembre 2005, n. 4686 - Aggressione ad un'assistente sociale e risarcimento del danno per infortunio sul lavoro



 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
Sezione 2^
ha pronunciato la seguente
SENTENZA

 


sul ricorso n. 3118 del 2000 proposto da
B. Simona Rosalia
rappresentata e difesa dagli avv.ti Michele Toniatti e Roberto Lassini, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Milano, piazza San Babila 4/A
contro
- Azienda Sanitaria Locale (ASL) della Provincia di Milano 1, in proprio e/o quale successore universale della soppressa Unità Socio Sanitaria Locale (USSL) n. 34 di Legnano, in persona del direttore generale dott. Pacifico P., rappresentata e difesa dagli avv.ti Alfredo Letizia e Marino Bottini, con domicilio eletto presso il primo in Milano, via Visconti Venosta 5;
- Gestione liquidatoria della disciolta USSL n. 34 di Legnano - bilancio sanitario, in persona del commissario liquidatore dott. Giuseppe S., presso l’A.O. “Ospedale civile di Legnano”, rappresentata e difesa dall’avv. Alfredo Letizia di Milano, nonché dal legale interno dell’Amministrazione avv. Massimo Meraviglia (prima) e avv. Giacomo Rossi (poi), elettivamente domiciliata presso l’avv. Letizia in Milano, via Visconti Venosta 5;
- Gestione liquidatoria della disciolta USSL n. 34 di Legnano - bilancio socio-assistenziale, in persona del commissario liquidatore, dott. Pacifico P. rappresentata e difesa dagli avv.ti Alfredo Letizia e Marino Bottini, con domicilio eletto presso il primo in Milano, via Visconti Venosta 5;
- REGIONE LOMBARDIA, in proprio e/o quale successore ex lege nei rapporti giuridici facenti capo alla soppressa USSL n. 34 di Legnano, non costituita in giudizio
per il risarcimento dei danni derivati da infortunio sul lavoro.
Visto il ricorso, notificato il 5-6 luglio, depositato il 20 luglio 2000;
Viste le memorie di costituzione e difesa dell’ASL Milano 1 e delle Gestioni liquidatorie dell’USSL n. 34 di Legnano;
Vista la memoria della ricorrente;
Visti atti e documenti di causa;
Uditi, alla pubblica udienza del 12 luglio 2005, relatore il dott. Carmine Spadavecchia, gli avv.ti Lassini, Letizia e Rossi;
Considerato quanto segue in

 


FattoDiritto
 

 

 

1. La ricorrente, assistente sociale presso l’Azienda sanitaria locale della Provincia di Milano 1, già addetta - presso l’Unità Socio-Sanitaria Locale n. 34 di Legnano - all’equipe psico-sociale del Distretto di Turbigo, espone:
- di avere subito il 4 giugno 1996, alle ore 14.10, nei locali dell’ambulatorio del distretto, in via XXV aprile 1, ad opera della sig.ra Maria Rosa Giustina C., utente del servizio, che si era introdotta nei locali dell’ambulatorio, una aggressione che le procurava plurime lesioni psico-fisiche (trauma cranico, ecchimosi varie, lesioni all’apparato visivo causate dal lancio di una bottiglia, disturbi post-traumatici da stress, attacchi di panico, somatizzazioni);
- di avere chiesto il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle lesioni derivanti dall’infortunio e la concessione dell’equo indennizzo;
- di avere ripreso servizio il 7 gennaio 1997 presso una diversa sede (sede centrale dell’USSL n. 34 di Legnano, unità operativa di tutela dei minori di Rescaldina);
- di essersi sottoposta, il 18 maggio 1997, a visita medico-legale, che rilevava una invalidità temporanea assoluta di oltre sette mesi, un danno all’integrità psico-fisica del 35% e una riduzione della capacità lavorativa generica e specifica nella misura del 30%;
- di essersi vista riconoscere dall’Ente di appartenenza la dipendenza dell’infermità da causa di servizio (provvedimento 16 ottobre 1997 n. 1911/97 dell’USSL di Legnano) in conformità al giudizio formulato il 7 luglio 1997 dalla Commissione medico-ospedaliera del Policlinico militare di Milano, che ascriveva la menomazione dell’integrità psico-fisica subita dalla ricorrente alla “tabella A - categoria 7 - misura massima”;
- di avere ricevuto la somma di £. 3.641.040 a titolo di equo indennizzo in esito al giudizio formulato dal Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie;
- di avere ricevuto dall’Inail un “prospetto di liquidazione indennità” in data 8 luglio 1998, che liquidava in £. 5.499.070 l’indennità per 64 giorni di inabilità assoluta al lavoro, nulla attribuendo a titolo di rendita da inabilità permanente, essendo la diminuzione dell’attitudine al lavoro riconosciuta dall’Istituto inferiore alla soglia minima indennizzabile ai sensi di legge;
- di essersi opposta a tale provvedimento senza però riuscire a comporre la vertenza in sede amministrativa stante il divario tra valutazione medico-legale di parte e valutazione dell’Inail in ordine all’entità del danno subito;
- di avere promosso, coinvolgendo gli enti convenuti in questa sede, dapprima un tentativo di conciliazione rimasto senza esito, quindi un giudizio civile sfociato nella declaratoria del difetto di giurisdizione del giudice ordinario (sentenza 16.3-15.5.2000 n. 1305 Tribunale di Milano, Sez. lavoro).


Ciò premesso in fatto, e chiariti i motivi dell’aggressione (dovuta alla reazione vendicativa della madre di un minore, separata dal figlio su ordine del Tribunale minorile), l’interessata deduce in diritto:
- che il danno alla salute patito in conseguenza dell’infortunio sul lavoro è integralmente risarcibile, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale (sent. 15.2.1991 n. 87), ancorché non coperto dall’indennizzo versato dall’Istituto assicuratore (circoscritto agli infortuni c.d. tabellati e alle loro conseguenze sull’attitudine al lavoro);
- che l’obbligazione risarcitoria grava sul datore di lavoro secondo le regole che governano la responsabilità civile di quest’ultimo;
- che nel caso in esame l’infortunio, subito a causa e durante lo svolgimento della prestazione lavorativa, richiamerebbe la responsabilità tanto contrattuale quanto extra contrattuale del datore di lavoro, sul quale grava sia l’obbligo specifico di assicurare ai propri dipendenti la tutela dell’integrità psico-fisica (art. 2087 c.c.; d.lgs. 19.9.1994 n. 626), sia il dovere generale del neminem laedere;
- che il datore di lavoro avrebbe omesso di predisporre le misure necessarie a scongiurare episodi di violenza quale quello di cui la ricorrente è stata vittima, allocando il servizio in uno stabile strutturalmente autonomo e qui “isolando” la ricorrente senza affiancarle altri lavoratori, senza predisporre un adeguato servizio di vigilanza con funzione di filtro, senza installare quanto meno una porta apribile dall’interno previo controllo a mezzo monitor delle persone in accesso;
- che misure di protezione siffatte sarebbero state suggerite dalla particolarità del servizio socio-assistenziale, statisticamente caratterizzato dalla frequenza di aggressioni fisiche e verbali a danno degli assistenti sociali, nonché dalla circostanza che già l’aggressore aveva manifestato segni di pericolosità.
Su tali premesse la ricorrente chiede - previo interrogatorio formale e assunzione di prove testimoniali sui fatti esposti in narrativa, previo accesso sul posto di lavoro e consulenza tecnica d’ufficio volta a valutare il danno all’integrità fisica e psichica - la condanna degli enti convenuti (l’ASL Milano 1 e, in subordine, la Regione Lombardia, nonché, in ulteriore subordine, le gestioni liquidatorie della disciolta USSL n. 34), al pagamento, a titolo di risarcimento dei danni subiti, della complessiva somma di £. 682.000.000 (di cui £. 200.000.000 per danno biologico da menomazione dell’integrità fisica, £. 200.000.000 per danno biologico da menomazione dell’integrità psichica, £. 100.000.000 per danno morale, £. 22.000.000 per invalidità temporanea totale, £. 10.000.000 per invalidità temporanea parziale, £. 150.000.000 per riduzione della capacità lavorativa generica e specifica), o della diversa somma che risulti dovuta in corso di causa, anche per liquidazione in via equitativa, il tutto con interessi e rivalutazione monetaria a decorrere dalla data dell’infortunio (4.6.1996).
 

2. Si è costituita in giudizio l’ASL della Provincia di Milano 1, deducendo:
- che fino al 31.12.1997, prima di passare alle dipendenze di essa ASL (costituita dal 1.1.1998), la ricorrente aveva prestato servizio presso l’USSL n. 34 di Legnano, con onere a carico del bilancio sanitario;
- che le funzioni della soppressa USSL n. 34 di Legnano erano state poi trasferite in capo all’A.O. “Ospedale Civile di Legnano” (servizi ospedalieri e prestazioni specialistiche) e all’ASL della provincia di Milano 1 (servizi territoriali e socio-assistenziali);
- che nel disciplinare il passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento la Regione Lombardia aveva istituito separate gestioni liquidatorie (del bilancio sanitario e del bilancio socio-assistenziale), assegnando la prima al Direttore generale dell’A.O. di Legnano (in veste di commissario liquidatore) e la seconda al direttore generale dell’ASL;
- che, avendo il bilancio sanitario sopportato gli oneri relativi al rapporto di lavoro della ricorrente, la liquidazione delle pendenze spetterebbe alla gestione facente capo all’A.O. di Legnano, che del resto ha provveduto (con atto 7.4.1998 del Direttore generale in veste di commissario liquidatore) al riconoscimento dell’equo indennizzo;
- che l’ASL Milano 1 sarebbe pertanto priva di legittimazione passiva nella presente vertenza;
- che la ricorrente è decaduta dall’azione proposta per omessa riassunzione del giudizio nel termine di 30 giorni fissato dalla sentenza del giudice ordinario dichiarativa del difetto di giurisdizione;
- che il ricorso è irricevibile per omessa chiamata in causa dell’Inail e dell’autrice dell’aggressione, responsabile del danno derivatone;
- che il contraddittorio dovrebbe essere comunque esteso a quest’ultima, nonché all’Inail (che l’infortunato può convenire davanti all’A.G., ex art. 104 d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, una volta esaurito il procedimento amministrativo), mentre le amministrazioni intimate sarebbero prive di legittimazione passiva, inerendo la pretesa della ricorrente a danni coperti dall’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro;
- che il giudizio dovrebbe essere sospeso in pendenza del procedimento penale, di carattere pregiudiziale, a carico dell’aggressore;
- che la richiesta di risarcimento del danno biologico è improponibile in quanto proposta per la prima volta in sede giudiziale senza previa attivazione della fase conciliativa;
- che la pretesa azionata è comunque infondata nel merito per difetto del nesso di causalità tra ambiente di lavoro e lesioni subite, unicamente dovute alla condotta criminosa di terzi e non imputabili all’Amministrazione datrice di lavoro, alla quale non sarebbe addebitabile alcuna violazione specifica degli obblighi connessi al luogo di svolgimento della prestazione, messo a disposizione dal Comune di Turbigo e predisposto, come tutte le strutture consimili, con gli accorgimenti connaturali al tipo di attività esercitata;
- che, nella denegata ipotesi di condanna al risarcimento, essa ASL ha titolo ad essere manlevata dall’Inail (nei limiti dell’indennità dovuta ex lege) e dalla autrice dell’aggressione (in toto).
Identiche o analoghe argomentazioni sono state svolte dalla Gestione liquidatoria - bilancio socio-assistenziale, nonché dalla Gestione liquidatoria - bilancio sanitario della disciolta USSL n. 34 di Legnano, le quali hanno eccepito entrambe il proprio difetto di legittimazione passiva: la prima, perché investita, assume, della sola gestione dei crediti e debiti della disciolta USSL riferibili alle voci di bilancio per la parte socio-assistenziale (donde la sua estraneità alla conduzione della vicenda nelle fasi pregresse); la seconda, perché estranea, quale gestore liquidatorio del conto sanitario, a quanto riferibile alle funzioni svolte dalla ricorrente, pertinenti al servizio sociale.
3. In ordine alle istanze ed eccezioni preliminari delle parti resistenti, il Collegio non ritiene necessaria né la sospensione del presente giudizio, né l’instaurazione o l’estensione del contraddittorio nei confronti dell’Inail e dell’autrice dell’aggressione.
La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo copre unicamente le controversie inerenti il rapporto di impiego tra dipendente ed ente pubblico presso il quale presta servizio. Essa è pertanto circoscritta all’accertamento della responsabilità del datore di lavoro per azioni od omissioni inerenti allo svolgimento del rapporto predetto; e, non potendo eccedere tale ambito, non si estende né al rapporto (previdenziale) tra lavoratore e Inail, né al rapporto tra Inail e datore di lavoro, né al rapporto (di rivalsa) tra datore di lavoro e terzo autore o corresponsabile del danno: rapporti tutti devoluti alla cognizione del giudice ordinario.


Ciò senza considerare che è quanto meno dubbia la ravvisabilità di un infortunio sul lavoro indennizzabile ai sensi dell’art. 2 del d.p.r. n. 1124 del 1965, dal momento che, pur sussistendo la causa violenta e l’occasione di lavoro, il fatto non è stato originato da una delle attività imprenditoriali protette elencate nell’art. 1 del d.p.r. medesimo.
La presente vertenza ha una causa petendi (violazione di obblighi inerenti il rapporto di impiego) e un petitum (risarcimento del danno differenziale fra quello subito in occasione dell’infortunio e quello indennizzato dall’Inail) che definiscono i limiti soggettivi ed oggettivi dell’azione proposta senza involgere la responsabilità di soggetti estranei al rapporto di impiego; il che esclude anche la necessità di attendere l’esito del processo penale, in quanto, circoscritta la vertenza de qua nei limiti precisati, la definizione della responsabilità penale dell’autrice dell’aggressione non presenta quel carattere pregiudiziale che potrebbe giustificare la sospensione del giudizio.
 

4. Quanto alla legittimazione passiva, è pacifico (cfr. Corte cost. 31.3.00 n. 89) che nel sistema disegnato dall’art. 6 comma 1 della legge 23 dicembre 1994 n. 724, integrato dall’art. 2 comma 14 legge 28 dicembre 1995 n. 549, i debiti facenti capo alle preesistenti unità sanitarie locali (USL) non possono gravare, direttamente o indirettamente, sulle neocostituite aziende sanitarie locali (ASL); le quali subentrano, come successori universali, in tutti i rapporti giuridici in atto, salvo che nei debiti e crediti sorti in capo alle USL, nei quali succedono a titolo particolare le c.d. gestioni liquidatorie (Cons. Stato V, 25.1.05 n. 139, 25.6.02 n. 3446; Cass. lav., 27.11.01 n. 14974).
Queste ultime, in quanto dotate - ancorché configurabili come organi delle Regioni - di soggettività giuridica, sono provviste di legittimazione processuale ad agire e contraddire nelle relative controversie (Cass. 3^, 11.1.05 n. 360).
Ora, il rapporto di impiego della ricorrente faceva capo alla gestione sanitaria della USSL di Legnano; pertanto, il responsabile delle obbligazioni sorte nel periodo in cui la ricorrente prestava servizio presso detta unità sanitaria deve individuarsi nella corrispondente gestione liquidatoria, la quale del resto risulta avere provveduto in ordine ad un profilo della vicenda (equo indennizzo) già definito inter partes.
Ne consegue che sono prive di legittimazione passiva l’ASL della Provincia di Milano 1, la Gestione liquidatoria (bilancio socio-assistenziale) della disciolta USSL di Legnano e la Regione Lombardia.
 

5. Dall’esame di ogni altra eccezione pregiudiziale si può prescindere in quanto il ricorso è infondato nel merito.
L’art. 2087 c.c. - che è norma di chiusura del sistema antinfortunistico estensibile a situazioni e ipotesi non espressamente considerate dal legislatore - impone al datore di lavoro di tutelare l’integrità fisiopsichica dei dipendenti con l’adozione e il mantenimento, non solo di misure del tipo igienico sanitario o antinfortunistico, ma anche di misure atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla lesione alla loro integrità, nell’ambiente di lavoro e in costanza di esso; e ciò anche in relazione ad eventi non coperti dalla tutela antinfortunistica di cui al d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, quali le aggressioni di terzi che, pur se non collegati direttamente all’attività lavorativa, ne costituiscano, però, il rischio frequente (Cass. lav. 6.2.98 n. 1241).
Per radicare la responsabilità del datore di lavoro, non è sufficiente, in altri termini, un rischio generico, ma occorre un rischio ambientale specifico (cfr. TAR Lombardia 31.10.98 n. 2457), tale che l’omissione di particolari cautele possa assumere connotati di colpevolezza.
In questo ordine di idee, la giurisprudenza lavoristica ha affermato la responsabilità del datore di lavoro con riferimento a quelle attività criminose di terzi (in specie, rapine) che presentandosi con frequenza periodica in alcuni settori (banche, uffici postali, ecc.) configurino un rischio suscettibile di verificarsi con apprezzabile grado di probabilità (Cass. lav. 3.9.97 n. 8422).
Al contrario, non si è ravvisata responsabilità del datore di lavoro in relazioni ad aggressioni di terzi che, per la loro occasionalità, non impongono l’adozione di particolari misure atte a preservare l’integrità fisica dei dipendenti (Cass. lav. 6.2.98 n. 1241, relativa a lesioni causate dall’aggressione di un assistito dell’Inail in danno di un medico dipendente dell’Istituto stesso).
A quest’ultima ipotesi può ricondursi la vicenda in esame. Nella quale l’aggressione - dovuta alla reazione rancorosa e vendicativa della madre di un minore che la ricorrente, previa indagine sullo stato dei rapporti familiari, su cui aveva in precedenza relazionato, era stata incaricata di prelevare e accompagnare all’aeroporto per disposizione del Tribunale minorile di Catania, che ne aveva ordinato l’allontanamento dalla madre e l’affidamento definitivo alla USSL di Palagonia - presenta proprio quei caratteri di occasionalità e imprevedibilità che non consentono di ravvisare né l’elemento della colpevolezza (per non avere la USSL di Legnano adottato misure atte a scongiurare l’evento), né l’indispensabile nesso di causalità tra le condizioni di lavoro (come descritte dalla ricorrente) e l’evento stesso.


6. L’attività di assistente sociale presuppone per definizione un contatto con gli utenti diretti (soggetti da assistere) ed i loro familiari.
L’autrice dell’aggressione era madre di un minore assistito dalla USL ed essa stessa - a quanto esposto in ricorso (punto 9 della narrativa) - aveva fruito di interventi di tipo psico-sociale attuati dall’equipe. Non era dunque un’estranea che non avesse titolo alcuno per accedere alla struttura; e, mentre non è allegato né provato (la circostanza non è stata chiarita neppure nel corso dell’udienza di discussione) che l’aggressione sia stata perpetrata in un momento in cui la struttura non era (o non doveva essere) aperta al pubblico, è verosimile che il controllo degli accessi, ancorché stringente, non avrebbe impedito all’aggressore di avvicinare per altra via l’assistente sociale che di lei e del figlio si era occupata nelle ore e nei giorni antecedenti.
D’altro canto, la presenza, al momento dell’aggressione, di un collega, prontamente intervenuto in sua difesa, ed il soccorso immediato parimenti prestato dal titolare del bar “sito nello stesso cortile del distretto socio sanitario” (cfr. verbale di querela 14 giugno 1996 redatto presso la Stazione Carabinieri di Busto Garolfo) escludono quelle condizioni di “colpevole isolamento” in cui la ricorrente lamenta di essere stata lasciata dall’ente di appartenenza.
Neppure lo stato di incuria e degrado in cui versava - secondo l’assunto della ricorrente - l’ambiente di lavoro, e la sua separatezza fisica rispetto agli altri uffici dell’unità sanitaria possono assurgere ad elementi di colpa ai fini della responsabilità risarcitoria dell’ente di appartenenza, trattandosi di elementi non riconducibili, sotto il profilo causale, al fatto generatore del danno.
 

7. Per le considerazioni esposte, il ricorso va respinto. Si ravvisano peraltro ragioni sufficienti per disporre la compensazione integrale tra le parti delle spese di causa.
 

 

P.Q.M.
 

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia respinge il ricorso.
Spese compensate.
Così deciso in Milano, nella camera di consiglio del 12 luglio 2005, con l'intervento dei magistrati:
Angela Radesi presidente
Carmine Spadavecchia consigliere, estensore
Cecilia Altavista referendario