Cassazione Penale, Sez. 3, 24 ottobre 2011, n. 38209 - Assoluzione di un datore di lavoro per omicidio colposo occorso ad un terzo e comportamento imprevedibile di un lavoratore



 

Responsabilità di un datore di lavoro per omicidio colposo occorso ad un terzo.

Mentre erano in corso lavori di pulizia di una vasca di accumulo di reflui idrici presso l'impianto del Consorzio AC. di Busto Arsizio, lavori affidati alla D. s.a.s., di cui l'imputato era socio accomandatario, G.G., dipendente della D. s.a.s., si era calato nella vasca per verificare lo svuotamento in corso, ma, a causa delle esalazioni nocive sviluppate dai fanghi di risulta ed essendo sprovvisto di mezzi di protezione individuale, aveva perso i sensi.
Per prestargli soccorso erano scese nella vasca varie persone presenti sul posto, anch'esse non munite di mezzi di protezione, che avevano a loro volta subito gli effetti delle esalazioni a seguito delle quali M..N. (che si trovava nell'impianto occasionalmente per salutare il padre G., dipendente dell'impresa Costruzioni Edili 3N) era deceduto per broncopolmonite chimica tale da causare una gravissima insufficienza respiratoria e un irreversibile danno encefalico.


Assolto in primo grado, viene condannato in appello. Su ricorso dell'imputato la Corte di Cassazione, con sentenza in data 1.06.2009, annullava con rinvio la suddetta sentenza per vizio di motivazione. Con sentenza 12.07.2010 la Corte d'Appello di Milano, giudicando in sede di rinvio, confermava la sentenza di primo grado modificando la formula assolutoria in quella "perché il fatto non sussiste".


Ricorso in Cassazione - Rigetto.

 

Il giudice di rinvio, che ha fatto proprie le esaustive motivazioni della sentenza di primo grado, ha ritenuto, con motivazione irreprensibile, accertato che il datore di lavoro aveva fornito ai dipendenti idonei dispositivi di protezione; aveva cooperato col Consorzio all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi del lavoro; aveva impartito prescrizioni operative eseguendo personalmente per la prima volta gli interventi commissionatigli, donde l'inconfigurabilità di qualsiasi addebito a suo carico.

Il ricorso, invece, ripropone le argomentazioni della sentenza annullata ritenute da questa Corte immotivate e manifestamente illogiche aggiungendo rilievi del tutto inconcludenti e contesta che G., sceso di sua iniziativa nella vasca senza avvisare, come prescrittogli, il datore di lavoro e senza munirsi di maschera di protezione e di cintura di sicurezza, abbia commesso una violazione talmente enorme e imprevedibile delle disposizioni di sicurezza impartitegli da integrare una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento.


Nel caso in esame i giudici di primo grado e di rinvio hanno ricondotto la serie d'infortuni occorsi al G. e ai soccorritori, anzitutto, al fatto colposo dello stesso G. , che aveva agito in palese violazione delle specifiche prescrizioni impostegli dal D. , ed hanno ragionevolmente ritenuto che su tale condotta si erano innestati fattori eccezionali e imprevedibili [quali la condotta colposa dei soccorritori, tra cui M..N. , che imprudentemente si erano calati nella vasca per prestare aiuto] non rientranti nell'ambito dell'iniziale violazione da parte del G. delle predette norme, donde l'insussistenza del nesso di causalità tra la condotta dell'imputato e l'evento letale.










FattoDiritto







Con sentenza 4.06.2004 il Tribunale di Busto Arsizio assolveva per non avere commesso il fatto D.R. dal reato di omicidio colposo in pregiudizio di N.M. .

Mentre erano in corso lavori di pulizia di una vasca di accumulo di reflui idrici presso l'impianto del Consorzio Ac. di Busto Arsizio, lavori affidati alla D. s.a.s., di cui l'imputato era socio accomandatario, G.G. , dipendente della D. s.a.s., si era calato nella vasca per verificare lo svuotamento in corso, ma, a causa delle esalazioni nocive sviluppate dai fanghi di risulta ed essendo sprovvisto di mezzi di protezione individuale, aveva perso i sensi.

Per prestargli soccorso erano scese nella vasca varie persone presenti sul posto, anch'esse non munite di mezzi di protezione, che avevano a loro volta subito gli effetti delle esalazioni a seguito delle quali M..N. era deceduto per broncopolmonite chimica tale da causare una gravissima insufficienza respiratoria e un irreversibile danno encefalico.

Al D. veniva imputata, oltre che una condotta genericamente connotata da negligenza, imperizia e imprudenza, la violazione dell'art. 4, comma 5 lettera 1) del d. lgs. n. 624/1994 per non avere fornito ai propri dipendenti idonei dispositivi di protezione (maschere con autorespiratore) e quella dell'art. 7, comma 2, dello stesso decreto per non avere cooperato in concreto col Consorzio Ac. per l'adozione di misure di prevenzione e di protezione dai rischi sul lavoro.

Secondo il Tribunale non poteva rimproverarsi al D. né l'omessa formazione in materia infortunistica dei propri dipendenti, né la mancata predisposizione dei presidi antinfortunistici, né la mancata vigilanza sui cantieri presso i quali i dipendenti prestavano la loro opera.

Gli infortuni si erano verificati per colpa del G. che era entrato nella vasca di propria iniziativa senza munirsi di maschera con filtro o di autorespiratore, che erano a sua disposizione.

Sull'appello del PG e delle parti civili, la Corte d'appello di Milano, con sentenza 9.01.2007, dichiarava D.R. colpevole del delitto di omicidio colposo e lo condannava al risarcimento dei danni in favore delle costituite parte civili.

Ravvisava a carico di D. specifici profili di colpa di natura omissiva rappresentati dal non avere informato il dipendente dei rischi che comportava l'esecuzione dei lavori affidatigli; dal non avere tassativamente vietato allo stesso di entrare nella vasca e nel non avere messo a sua disposizione un autorespiratore.

Ravvisava il nesso causale (pur essendosi l'evento letale verificato in danno di persona non dipendente della s.a.s.) sul rilievo che se G. , male istruito, non fosse sceso nella vasca ovvero se fosse stato posto nelle condizioni di utilizzare un idoneo mezzo di protezione, nulla sarebbe successo.

Su ricorso dell'imputato, questa Corte, con sentenza in data 1.06.2009, annullava con rinvio la suddetta sentenza per vizio di motivazione rilevando che sui temi dell'informazione e della formazione del personale, nonché delle congruità delle direttive impartite dall'imputato al personale dipendente la sentenza d'appello non era supportata da un'analisi completa e organica delle emergenze processuali, né da una critica adeguata ai diversi giudizi espressi nella sentenza di primo grado.

A conclusioni non diverse doveva pervenirsi sulla fornitura ai lavoratori, da parte dell'imputato, di adeguati strumenti di protezione e sulla presenza sull'automezzo della D. di maschere munite di filtro universale, capaci, cioè, di proteggere da ogni tipo di sostanza chimica.

Sul nesso causale la corte distrettuale si era espressa in termini apodittici e incoerenti e aveva omesso di considerare la possibilità che nel complessivo sviluppo della vicenda potessero essere intervenuti fattori determinanti, ulteriori ed eccezionali e imprevedibili, rispetto alla condotta iniziale del G. , pure attribuita alle ritenute condotte colpose dell'imputato, quali potevano essere teoricamente gli interventi di chi aveva inteso prestare soccorso.

Con sentenza 12.07.2010 la Corte d'Appello di Milano, giudicando in sede di rinvio, confermava la sentenza di primo grado [modificando la formula assolutoria in quella "perché il fatto non sussiste"] rilevando che nessun addebito di colpa generica né di violazione di norme antinfortunistiche poteva essere attribuito al D. alla luce della documentazione acquisita e delle deposizione dei testi F. , B. , G. e Gr. i quali avevano dichiarato che D. "eseguiva personalmente per la prima volta gli interventi commissionati alla propria impresa, incaricandone i dipendenti solo in successive occasioni; compiva quotidianamente il giro dei cantieri aperti e riprendeva aspramente gli addetti sorpresi a trasgredire le prescrizioni antinfortunistiche".

Versava in colpa, anzitutto, G. , che, contrariamente alle categoriche disposizioni impartite dal D. , di propria iniziativa era entrato incautamente nella vasca senza avvertire il datore di lavoro, senza alcuna protezione e senza la cintura di sicurezza che avrebbe consentito la sua tempestiva estrazione.

Avevano agito imprudentemente anche i soccorritori, tra cui N.M. , che si trovava nell'impianto occasionalmente per salutare il padre G. , dipendente dell'impresa Costruzioni Edili 3N, i quali, pur se spinti da un nobile intento, si erano calati nella vasca senza alcun presidio.

Conseguentemente tali comportamenti, eccezionali e imprevedibili, non potevano essere addebitati al D. , quale datore di lavoro del G. essendo gli stessi idonei a interrompere il nesso di causalità.


Proponevano ricorso per cassazione, agli effetti civili, N.G. , G.A. , N.A. , N.E. denunciando mancanza e manifesta illogicità della motivazione.

La succinta motivazione non aveva tenuto conto delle dichiarazioni di S.S.B.A.[autista del mezzo che aveva accompagnato G. presso il Consorzio Ac. e che non aveva prestato soccorso agli infortunati] secondo cui "nessuna informazione, neppure sul tipo di lavorazione da svolgere presso il Consorzio Ac., era mai stata data a colui che ebbe ad accompagnare G. nell'occasione di cui ci si occupa".

Non era stato preso in considerazione che nella vasca non erano stati installati dispositivi di rilevazione del contenuto che produceva gas o vapori, donde l'evidente mancanza di coordinamento tra Ac. e D. sugli specifici rischi dell'intervento commissionato.

Non era sicuro che "sul mezzo d'opera erano presenti maschere con filtro".

Aggiungevano i ricorrenti che il comportamento del G. non presentava i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo si da essere imprevedibile e inopinabile e che D. versava in colpa perché, in occasione del primo e unico intervento presso l'Ac., aveva rimproverato G. perché era disceso nella vasca senza avere indossato la maschera con filtro, dispositivo inidoneo a neutralizzare gli effetti dei gas tossici.

Chiedevano l'annullamento della sentenza.

L'imputato ha depositato memoria difensiva a confutazione dei rilievi mossi, col ricorso, dalle parti civili all'impugnata sentenza.


Il ricorso è infondato e deve essere rigettato con le conseguenze di legge.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte "l'obbligo del giudice del rinvio di attenersi alle direttive impartite dalla Corte di cassazione riguarda esclusivamente il principio di diritto specificamente enunciato, con la conseguenza che quando la Corte, in caso di annullamento per vizio di motivazione, non enunci alcun principio, gli è vietato semplicemente di ripetere i vizi già censurati e di non fondare la decisione sulle argomentazioni già ritenute incomplete o illogiche" [Sezione IV n. 48352/2009 RV. 245775].

Pertanto, in caso di giudizio di rinvio susseguente ad annullamento per vizio di motivazione, il giudice di rinvio è vincolato soltanto dal divieto di basare la nuova decisione sulle medesime argomentazioni ritenute non logiche o insufficienti dalla Suprema Corte, ma entro questo limite rimane perfettamente libero di giungere - in base ad analisi valutative diverse da quelle cassate ovvero integrando e perfezionando quelle già svolte (segnatamente se valutate insufficienti dalla Cassazione) - allo stesso esito decisorio della pronuncia annullata [cfr. Sezione IV n. 43720/2003, RV. 226418; Sezione ni n. 26380/2004 RV. 228929; Sezione IV n. 30422/2005 RV. 232019].

Nella specie, la sentenza di condanna è stata annullata:

- per difetto di motivazione sulla ritenuta mancanza d'istruzione e di formazione del personale della D. in occasione d'interventi di pulizia di vasche al cui interno esistevano gas o vapori nocivi, nonché sulla presenza sul mezzo d'opera di maschere con filtro e di maschere con autorespiratore presso la sede della ditta da prelevare in caso necessità all'esito dei prescritti accertamenti preventivi;

- per vizio di motivazione circa la ritenuta inefficacia delle maschere con filtro presenti sul mezzo d'opera al momento dell'incidente senza tenere conto della deposizione del teste F. che aveva precisato che le maschere erano munite di filtro universale capace di proteggere da ogni tipo di sostanza chimica.

Il giudice di rinvio, che ha fatto proprie le esaustive motivazioni della sentenza di primo grado basate, ha ritenuto, con motivazione irreprensibile, accertato che il datore di lavoro aveva fornito ai dipendenti idonei dispositivi di protezione; aveva cooperato col Consorzio all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi del lavoro; aveva impartito prescrizioni operative eseguendo personalmente per la prima volta gli interventi commissionatigli, donde l'inconfigurabilità di qualsiasi addebito a suo carico.

Il ricorso, invece, ripropone le argomentazioni della sentenza annullata ritenute da questa Corte immotivate e manifestamente illogiche aggiungendo rilievi del tutto inconcludenti (quale quello della mancata istruzione dell'autista dell'automezzo operativo, tra i cui compiti non rientrava quello di calarsi nelle vasche o quello della mancanza di un dispositivo atto a segnalare la presenza di gas nocivi, accorgimento del tutto superfluo alla stregua delle imposte procedure da osservare comunque prima di accedere alle vasche) e contesta che G. , sceso di sua iniziativa nella vasca senza avvisare, come prescrittogli, il datore di lavoro e senza munirsi di maschera di protezione e di cintura di sicurezza, abbia commesso una violazione talmente enorme e imprevedibile delle disposizioni di sicurezza impartitegli da integrare una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento.

Va osservato che la giurisprudenza di questa Corte, in tema di incidenza causale della negligenza del lavoratore in occasione d'infortunio sul lavoro, ritiene che, in linea di principio, la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento (art. 41 c.p., comma 2) quando sia comunque riconducibile all'area di rischio proprio della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute [ex plurimis, Cassazione Sezione IV n. 21587/2007, RV. 236721].

Inoltre si è affermato che può essere considerato imprudente e abnorme ai fini causali, non solo il comportamento stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidate, ma anche quello che "rientri nelle mansioni che sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro" [Cassazione Sezione IV n.40164/04, Giustiniani; n.952/97, Maestrini].

In sostanza, partendo dal presupposto che ciò che viene rimproverato al datore di lavoro è la mancata adozione di condotte atte a prevenire il rischio di infortuni, tale rimproverabilità viene meno se la condotta pretesa non era esigibile in quanto del tutto imprevedibile era la situazione di pericolo da evitare.

Nel caso in esame i giudici di primo grado e di rinvio hanno ricondotto la serie d'infortuni occorsi al G. e ai soccorritori, anzitutto, al fatto colposo dello stesso G. , che aveva agito in palese violazione delle specifiche prescrizioni impostegli dal D. , ed hanno ragionevolmente ritenuto che su tale condotta si erano innestati fattori eccezionali e imprevedibili [quali la condotta colposa dei soccorritori, tra cui M..N. , che imprudentemente si erano calati nella vasca per prestare aiuto] non rientranti nell'ambito dell'iniziale violazione da parte del G. delle predette norme, donde l'insussistenza del nesso di causalità tra la condotta dell'imputato e l'evento letale.

Ne consegue l'infondatezza delle doglianze delle parti civili in relazione all'assoluzione dell'imputato e la loro condanna al pagamento delle spese processuali.






P.Q.M.




La Corte rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.