7 Lo stabilimento di Torino e i controlli.
A) la mancanza del "certificato di prevenzione incendi".
B) rientrante negli stabilimenti a rischio di "incidente rilevante".
C) i controlli da parte degli Enti Pubblici.
D) il ruolo dei lavoratori e dei loro rappresentanti.


A) La mancanza del "certificato di prevenzione incendi".
La mancanza del certificato di prevenzione incendi è dato pacifico; lo stabilimento di Torino, secondo la puntigliosa ricostruzione anche riassunta durante l'arringa finale dai difensori degli imputati, operava sin dal 8/3/1985 con un "nullaosta" provvisorio, sulla base di una dichiarazione da parte dell'azienda; il primo incarico di "valutazione del rischio incendi" era stato conferito all'ing. AGO. nel 1997; la relativa relazione era del 3/12/1997; il Comando dei Vigili del Fuoco aveva approvato la relazione in data 24/6/ 1998 con la consueta formula: realizzate gli interventi previsti e, previo sopralluogo, verrà rilasciato il certificato. Trascorre un lungo periodo di silenzio (non risultano, salvo errori, comunicazioni da parte dell'azienda dell'avvenuta esecuzione degli interventi ovvero solleciti da parte dei Vigili del Fuoco); il primo sollecito da parte dei Vigili del Fuoco si riscontra in data 24/6/2002: ricordiamo come in data 24/3/2002 si fosse verificato l'incendio sul sendzimir di cui alla sopra citata sentenza (v.); l'azienda risponde al sollecito con la relazione ing. QU. in data 12/12/2003; i Vigili del Fuoco approvano, con la formula già sopra riportata, gli interventi programmati, oltre a quelli invece effettuati e relativi al solo sendzimir 62, in data 23/12/2003; dopo questa data, la Corte ha rinvenuto, da parte dell'azienda, richieste di proroga per completare gli interventi, l'ultima delle quali è costituita da una missiva, datata 10/1/2006, redatta dall'imputato CAF., indirizzata al Comando Provinciale Vigili del Fuoco, con riferimento alla relazione ing. QU. citata, del 12/12/2003, in cui si dice che "il programma degli interventi...è stato parzialmente realizzato" e si chiede una proroga per il completamento sino al dicembre 2007.
Non vi sono dubbi quindi che, al dicembre 2007, lo stabilimento si trovasse con "richiesta di proroga" rispetto agli interventi individuati nel - lontano -dicembre 2003.
Prima del gennaio 2006 vi erano state altre comunicazioni interne; la prima, per quanto consta a questa Corte esaminando i documenti sequestrati - inviata dall'imputato SA. all'imputato dr. ES. in data 23/1/2004, che comunicava la missiva del Comando Vigili del Fuoco, citata, del 23/12/2003, con la raccomandazione - espressa da SA. e rivolta ad ES. - di "collaborare" per rispettare quanto programmato; un'altra inviata da CAF. - in data 28/9/2004 - all'imputato ing. MO. e per conoscenza all'imputato SA. ed al teste DON. M. (v. infra, udienza 2/3/2010), in cui si indicavano le spese previste per l'adeguamento degli impianti antincendio e si chiedeva l'intervento - "è indispensabile" - precisando che, secondo i tempi "concordati" con i Vigili del Fuoco, la realizzazione doveva essere completata entro il 31/12/2005; un'altra - in data 11/10/2005 - inviata da CAF. al dirigente ternano PE. M. e, p.c, agli imputati SA. e MO., con richiesta al primo di una sua visita allo stabilimento di Torino per "completare la valutazione tecnica delle offerte dei vari fornitori"; altre ancora successivamente (in data 3 e 18 ottobre 2007), che vedremo infra per il loro stretto legame con gli investimenti ed. di fire prevention successivi all'incendio di Krefeld (v. infra).
Presupposto di tali comunicazioni è, naturalmente, che la situazione antincendio dello stabilimento non fosse "a norma" e che gli interventi individuati nel dicembre 2003 non fossero ancora terminati; secondo la difesa degli imputati, quasi tutti tali interventi - nel dicembre 2007 - erano stati effettivamente completati, tra i quali il nuovo anello antincendio per tutto lo stabilimento; la Corte non ha motivo di dubitarne: deve però ricordare che i Vigili del Fuoco, intervenuti nella notte del 6/12/2007, nella loro relazione (v. sopra, nel capitolo dedicato alla descrizione dell'incendio, riportata integralmente) danno atto che "...la pressione degli idranti all'interno dello stabilimento non era sufficiente alla formazione della schiuma", tanto che avevano deciso di "attaccare" l'incendio in corso con tubazioni alimentate dalle loro macchine.

B) Rientrante negli stabilimenti a rischio di "incidente rilevante".
Nel frattempo, nel dicembre 2004, durante un sopralluogo nello stabilimento effettuato ai sensi dell'art. 6 del D.Lgs n. 334/99, l'ing. M. OR.G., funzionario della Regione Piemonte addetto al settore "grandi rischi ambientali" (v. testimonianza udienza 24/3/2010), si accorgeva che lo stabilimento di Torino, in forza della quantità di acido fluoridrico presente, rientrava invece nell'art. 8 stessa legge.
È necessario qui ricordare che l'inserimento tra gli stabilimenti soggetti alle prescrizioni dell'art. 8 del D.Lgs 334/99 (e successive modifiche) comportava che, per il rilascio del certificato di prevenzione incendi da parte del Comandante Provinciale dei VVFF, quest'ultimo dovesse attendere anche le determinazioni del Comitato Tecnico Regionale (v. articolo 3 D.M. 19/3/2001, integralmente letto dai difensori degli imputati all'udienza del 16/3/2010, durante la testimonianza di PULITO C., pag. 77 trascrizioni); ma non era di ostacolo a che, nel frattempo, l'azienda completasse gli interventi proposti, come già sopra esposto e come infatti si ricava dai solleciti e dalle richieste di proroga: si tratta di due diversi iter che "viaggiano" in parallelo, così come del resto l'attività dei due diversi "comitati" previsti dal D.Lgs 334/99: quello di controllo regionale e quello di nomina ministeriale per verificare il "sistema di gestione sicurezza".
Si deve anche chiarire che l'obbligo - per l'azienda - di rispettare le norme di cui al D.M. 10 marzo 1998 ("criteri generali di sicurezza antincendio e per l'emergenza nei luoghi di lavoro", v. dettagliatamente infra, nel relativo capitolo) derivava direttamente dal D.Lgs n. 626/94, art. 13: infatti il citato D.M. è stato emanato in attuazione; non si può quindi sostenere che, rientrando lo "stabilimento" nei casi indicati nel D.Lgs 334/99, l'azienda non fosse più soggetta alla 626/94 e/o ad un suo decreto attuativo; è evidente come i diversi decreti legislativi normino diverse realtà economico-produttive: per tutte, il primo; per quelle con particolari "rischi" - v. subito infra - anche il secondo. Forse è utile sottolineare che proprio un'azienda soggetta a "rischio di incidente rilevante" - nel caso di specie, come si è indicato, non specificamente per il rischio incendio bensì per le quantità di acido fluoridrico - debba inevitabilmente prestare la massima attenzione (esigibile e possibile: v. infra, nei capitoli relativi) a tutte le misure di prevenzione - ivi comprese quelle relative, in particolare, alla prevenzione incendi - per evitare che eventi di altro tipo, come quello appena indicato, interferiscano con il rischio "specifico". Infatti l'appena sopra citato D.M. 10/3/1998 al punto 9.2 indica, tra le attività "a rischio di incendio elevato", alla lettera a): "industrie e depositi di cui agli articoli 4 e 6 del D.P.R. n. 175/88 e successive modifiche e integrazioni"; a sua volta il DPR 175/88 è stato emesso in attuazione della Direttiva CEE n. 82/501, relativa ai "rischi di incidenti rilevanti": è la ed. legge "Seveso", nella quale gli articoli 4 e 6 indicano le aziende a rischio di incidente rilevante; legge poi modificata ed integrata proprio dal D.Lgs 334/99, a sua volta chiamato "Seveso bis". Indicazione che comporta la necessità - nel caso di specie per lo stabilimento di Torino - che "i corsi di formazione per gli addetti (alla prevenzione incendi, n.d.e.) nelle sopra riportate attività devono essere basati sui contenuti e durate riportate nel corso C" (così l'ultimo paragrafo del citato punto 9.2); per le specifiche del corso C, la cui durata minima è di 16 ore, v. punto 9.5). E' utile qui ricordare la completa mancanza di formazione dell'addetto alla squadra di emergenza in servizio nella notte del 6/12/2007, il teste PO. (v. sopra).
In estrema sintesi, solo per quanto qui rileva, si deve ricordare che finalità della legge succitata è quella "di prevenire gli incidenti rilevanti connessi a determinate sostanze pericolose e a limitarne le conseguenze per l'uomo e per l'ambiente" (art. 1); la sua applicazione comprende "tutti gli stabilimenti in cui sono presenti sostanze pericolose in quantità uguali o superiori a quelle indicate nell'allegato I" (art. 2); al "gestore" dello stabilimento in questione sono prescritti gli obblighi di cui all'art. 4 (v.) e seguenti: in particolare, secondo l'art. 6, ha l'obbligo di effettuare la "notifica", ai vari Enti indicati e con la forma dell'autocertificazione, di tutte le notizie utili, tra cui - lettera d) - "le notizie che consentano di individuare le sostanze pericolose o la categoria di sostanze pericolose, la loro quantità e la loro forma fisica"; l'art. 8 impone inoltre al gestore di redigere un "rapporto di sicurezza" qualora nello stabilimento le sostanze pericolose siano "in quantità uguali o superiori a quelle indicate nell'allegato I, parti 1 e 2, colonna 3".
Quindi durante il sopralluogo l'ing. OR.G. aveva riscontrato l'erroneità della quantità di acido fluoridrico riportata in notifica rispetto a quella presente nello stabilimento: in particolare era stato dall'azienda "...interpretato male come si facesse la somma pesata sulla quantità della sostanza...era indicata correttamente la quantità di sostanza anidra, non correttamente la parte di sostanza in soluzione acquosa" (v. pag. 109-110 trascrizioni); quantità il cui procedimento di calcolo era esposto nelle tabelle allegate a D.Lgs n. 334/99. Ora, l'errore in cui era incorsa l'azienda rappresenta certamente una circostanza qui del tutto marginale: si deve però osservare che appare meno "scusabile" in quanto commesso in uno stabilimento facente parte di un grande gruppo multinazionale, con la concreta possibilità di avvalersi di consulenti e professionisti esperti; ciò che risulta poi alquanto singolare è che nel giorno successivo al sopralluogo ed al riscontro dell'errore - e del relativo illecito penale - l'azienda già potesse trasmettere all'Autorità un primo "rapporto di sicurezza" previsto dal citato articolo 8 (v.: il sopralluogo è avvenuto il 2/12/2004, il "rapporto di sicurezza" è stato trasmesso il 3/12/2004).
Sulle procedure attivatesi per ottemperare al D.Lgs n. 334/99 è stata esperita, nel corso del dibattimento, un'ampia istruttoria, con l'escussione di numerosi testi, incaricati dagli Enti pubblici quali componenti dei diversi "comitati" previsti e costituitisi (v. in dettaglio secondo il citato decreto legislativo); non appare rilevante ai fini della decisione ripercorrere dettagliatamente tali testimonianze (su cui v. udienze 16/3/2010, 24/3/2010 e 12/5/2010) ma solo riportare, a grandi linee, quali siano i "collegamenti", imposti dalla legge, tra il procedimento per l'ottenimento del certificato antincendio ed il procedimento derivante dal D.Lgs n. 334/99 e quale sia stata, in concreto, la procedura esperita dai componenti i comitati per elaborare il documento finale, previsto sempre dal D.Lgs n. 334/99, sottoscritto dai membri subito prima e subito dopo il 6 dicembre 2007 ed il "verbale" del Comitato Tecnico Regionale, formato il 21/6/2007 (v. in atti).
L'ampiezza dell'istruttoria ben si comprende quale attività richiesta ed espletata a favore degli imputati: i documenti citati consistevano anche in "descrizioni" dello stabilimento, con date coincidenti o di pochi mesi anteriori al 6 dicembre 2007, in cui non si dava atto di particolari "criticità" dello stabilimento di Torino (ma v. più in dettaglio infra); apparivano pertanto di particolare interesse per un'ampia difesa sulle "condizioni" dello stesso stabilimento (su cui v. sopra; v. invece infra, nell'apposito capitolo, per i "controlli" in generale da parte degli Enti pubblici).
Le risultanze testimoniali assunte hanno ridimensionato la rilevanza di tali documenti (anche sotto il complessivo e complesso profilo, che vedremo dettagliatamente infra, della "prevedibilità" dell'evento accaduto), non solo per i "tempi" cui risalgono: la relazione finale del Comitato nominato dal Ministero dell'Ambiente (terminata nel dicembre 2007) si riferisce ad una descrizione dello stabilimento risalente al giugno 2006 (il 27/6/2006 è terminato il sopralluogo; il "ritardo" nella redazione è dovuto a "trasferimenti" che qui non interessano); il verbale del Comitato Tecnico Regionale (anche questo in "ritardo" rispetto all'insediamento, per altri trasferimenti) deriva da un sopralluogo eseguito nel gennaio 2007 (v. il capitolo dedicato alle "condizioni di lavoro").
Ma, soprattutto, perché è stato accertato in dibattimento che tali "descrizioni" sono state effettuate, secondo lo spirito di collaborazione tra azienda ed Enti pubblici di controllo che informa la legge relativa, principalmente - ma si potrebbe affermare quasi "esclusivamente", esaminate le modalità dei sopralluoghi subito infra riportate - sulla base dei documenti aziendali, riguardanti la valutazione dei rischi come effettuata dall'azienda, senza alcuna diretta conoscenza della reale "situazione" dello stabilimento e neppure - lo si deve qui accennare: così risulta dalle testimonianze - nessun approfondimento relativo anche all'organizzazione (v., rimandando qui ai testi, per l'accertamento sul "gestore" dello stabilimento: era SA. perché si era presentato così; sulla "formazione" dei lavoratori - la teste TT. (v., citata) non aveva a loro riferito che i corsi erano tenuti fuori dall'orario di lavoro; sul "piano di emergenza", appariva "completo" perché riportava i punti di evacuazione).
Sul sopralluogo del giugno 2006 riferisce il teste DE.M. L. (v. udienza 16/3/2010; Vigile del Fuoco, membro sia del Comitato Tecnico Regionale, sia del Comitato nominato dal Ministero dell'Ambiente per verificare il sistema di gestione della sicurezza): "...non potevamo girare liberamente per l'azienda per i rischi presenti...il primo giorno è stato il 5 giugno 2006...loro (intendendo gli interlocutori aziendali: SA. e CAF., n.d.e.) dicevano che visto i rischi che potevano esserci era preferibile che la visita venisse fatta in percorso guidato, visita collegiale." Visita in cui non era stata compresa la Linea 5, la cui "valutazione del rischio" era stata tratta esclusivamente dai documenti aziendali (v. testimonianza anche di BLB. ., udienza 16/3/2010). La teste DI BIT. C. (in allora funzionario della Regione Piemonte, nominata, insieme a BLB. P. e DE.M. L., nello stesso Comitato del Ministero dell'Ambiente e redattrice della relazione finale, v. udienza 12/5/2010) poco ricorda "in fatto" e molto, durante la sua testimonianza, riprende rileggendo la sua relazione; conferma in ogni caso che la relazione del dicembre 2007 si riferiva alla situazione precedente il giugno 2006.
Un altro sopralluogo nello stabilimento era stato effettuato il 15 gennaio 2007, da parte di RCB. U. (Comandante Vigili del Fuoco, membro del Comitato Tecnico Regionale, v. udienza 24/3/2010) e di GNN. M. (funzionario regionale, segretario del C.T.R. ed anche nel gruppo di lavoro S.G.S. - sistema gestione sicurezza; v. udienza 24/3/2010); il teste RCB. (anche lui trasferito nel 2005-2006) dopo avere ricordato come, al momento dell'incendio del sendzimir nel 2002 (v. sopra, più volte), nello stabilimento di Torino: "...le condizioni erano veramente carenti, anche dal punto di vista degli idranti...quando si è sviluppato l'incendio invece dell'acqua usciva il vapore perché le tubazioni erano in cantina" (e si comprende così la prescrizione relativa al rifacimento dell'anello antincendio: completato, peraltro, con i risultati che abbiamo già ricordato sopra, riportati nella relazione dell'intervento dei Vigili del Fuoco nella notte del 6/12/2007, v.), aggiunge che, pur avendo "visto" - per 5-10 minuti; ricordiamo qui le dimensioni - la Linea 5 durante la visita, quella Linea non aveva attirato la sua attenzione; anche perché sulla base delle informazioni fornite dall'azienda "non si appalesava come una zona a rischio incendi" mentre il fatto che: "...lì passassero i tubi contenenti olio idraulico in pressione non era visibile, bisognava conoscere l'impianto"; il teste GNN. M., che accompagnava quel giorno RCB.: "...non ricordo le linee, abbiamo fatto un giro in generale dello stabilimento".
Il 21 giugno 2007 si tiene una seduta collegiale del COMITATO TECNICO REGIONALE alla quale (terminata la discussione tra i membri) partecipano anche i rappresentanti dell'azienda, nel caso gli imputati SA. e CAF.; lo riferisce con precisione la teste ZO. C. (funzionario ARPA, v. udienza 24/3/2010): "alla riunione CTR del 21/6/2007 i rappresentanti dell'azienda, presenti, hanno dichiarato che probabilmente entro l'anno l'azienda avrebbe chiuso e che quindi probabilmente questi lavori (intendendo quelli prescritti nel verbale, n.d.e.) non sarebbero mai stati fatti...mi ricordo perché di solito i rappresentanti dell'azienda discutono sempre sulle prescrizioni, sui tempi ecc....in quel caso, non fecero rimostranza alcuna comunicando in particolare CAF. che l'azienda sarebbe stata chiusa". Durante tale seduta è stato illustrato ed approvato il rapporto del gruppo di lavoro e sono state indicate alcune prescrizioni.
Come si è già sopra indicato, dai documenti finali non emergono particolari "criticità" (v. anche infra) per lo stabilimento di Torino; tali documenti, oltre ad analizzare lo stabilimento sotto diversa prospettiva rispetto a quella del rischio incendio - come ben chiarito dal teste RMN. A. (ingegnere consulente dell'azienda per questa materia - rischio di incidente rilevante - , v. udienza 2/3/2010): "...non ci siamo occupati di prevenzione incendi...la valutazione rischi di incidenti rilevanti contiene SOLO i rischi di incendi riferiti alle sostanze pericolose...finisce lì", sono anche il risultato di "accertamenti" effettuati con le modalità sopra esposte - sulla base dei documenti elaborati dall'azienda e con un rapido e superficiale "giro" nello stabilimento - cosicché non rispecchiano - non possono rispecchiare - le sue "reali" condizioni, neppure alle date precedenti (v. giugno 2006 e gennaio 2007); tanto meno, a fronte di siffatte modalità, i membri delle commissioni potevano rendersi conto di rischi non espressamente indicati dall'azienda. Il citato ing. RMN., richiesto sul perché non fosse stato indicato, per la Linea 5, il rischio rappresentato dall'olio idraulico in pressione, così dichiara: "...a scanso di equivoci...il fatto di non averlo considerato...non voleva dire che poteva o non poteva essere pericoloso, semplicemente ai fini grandi rischi non è stato portato...come rischio associato a rischi di incidenti rilevanti...l'analisi ha escluso il fatto che ci potesse essere un'interconnessione tra questi due tipi di rischio".
La Corte non intende qui esprimere alcuna critica al concreto modus operandi delle commissioni, gruppi di lavoro ecc.; tanto meno porre in discussione il sistema adottato dal legislatore anche con il D.L.gs 334/99, fondato sulla "autodichiarazione" ed "autovalutazione" da parte del datore di lavoro (principio, peraltro, che si ritrova già, come vedremo infra in dettaglio, nel D.Lgs 626/94); deve solo prendere atto che la tipologia di accertamento seguita, per i presupposti, le modalità operative e le finalità, non può essere utile nel nostro caso.
Si deve però aggiungere che, nonostante il controllo quasi meramente "cartaceo", qualche "scorcio" di realtà riesce ciò nonostante ad emergere: lo stesso teste RCB. precisa che, secondo la sua valutazione, nonostante l'azienda rientrasse nelle prescrizioni dell'art. 8 citato D.Lgs "...per il rischio tossico...in realtà le problematiche più serie erano relative all'aspetto antincendio...indubbiamente in azienda c'erano grossi quantitativi di olio...le condizioni di esercizio...le temperature e soprattutto le energie di tipo meccanico...che si potevano sviluppare, avrebbero consentito l'innesco di questi oli...''; aggiunge che, a marzo 2005, avevano rilevato l'incompletezza del primo "rapporto di sicurezza" (la Corte ritiene quello già citato, inviato dall'azienda il 3/12/2004), in particolare perché mancava tutta la parte relativa al rischio incendio.
Nel verbale del 21/6/2007 si trovano così una prescrizione particolare sulla necessità di "togliere" le perdite di olio, su cui il teste FRO. M. (in allora Direttore Generale dei Vigili del Fuoco del Piemonte e Presidente del C.T.R., v. udienza 16/3/2010) ha dichiarato: "...è una prescrizione molto importante...in quel caso l'ispezione rilevò la presenza di olio o cartacce o stracci, comunque nota dello sporco si arrabbia sempre dal punto di vista della sicurezza, perché è un indice molto grave di bassa attenzione nei riguardi della sicurezza"; poi un'altra "prescrizione" di carattere generale (immediatamente precettiva, perché non necessitante di interventi operativi) del seguente tenore:
"Il CTR raccomanda una attenta attuazione del Sistema di Gestione della Sicurezza, con particolare riguardo alle operazioni finalizzate alla sicurezza in caso di eventi anomali, previsti in regime manuale nell'attuale assetto organizzativo dello stabilimento, come si evince dall'analisi dei rischi prodotta." Prescrizione, almeno per la Corte, di non facile comprensione; ma dalle testimonianze abbiamo appreso (lo dice proprio RCB., v. pag. 93 trascrizioni) che è stata inserita per iniziativa dell'appena citato teste FRO. M.: "...si parlava a quel tempo di una possibile dismissione e questo ovviamente, in materia di sicurezza, è una circostanza che va tenuta con molta attenzione; tant'è che nel leggere le prescrizioni..." avevano deciso di aggiungere la clausola appena riportata; precisa FRO.: "...queste difficoltà, dovute alla provvisorietà, emergevano anche da un attento esame dell'analisi dei rischi e il C.T.R. ha ritenuto di precisarlo...evidentemente vi erano delle condizioni di provvisorietà, probabilmente dovute al fatto che si prevedeva la dismissione dell'attività... ed in questa fase provvisoria alcune azioni erano affidate alla mano umana, anziché ai dispositivi automatici"; in breve, a prescindere dal linguaggio involuto, il C.T.R. - in particolare il Direttore FRO.: perché altri membri, come emerge dalle loro testimonianze (v.), pensavano si trattasse di una mera "clausola di stile", ma il suo autore lo smentisce - era preoccupato del fatto che le "operazioni" da compiere in presenza di qualsiasi incidente, emergenza ecc. che si potesse presentare, dovevano essere svolte interamente dal personale, senza impianti automatici e ciò con il maggior fattore di "rischio" rappresentato dalla dismissione dello stabilimento.

C) I controlli da parte degli Enti Pubblici.
Come già abbiamo avuto modo di comprendere nell'esposizione dei precedenti paragrafi A) e B), la questione dei controlli, nello stabilimento di Torino, da parte degli Enti pubblici preposti - Vigili del Fuoco, comitati ex D.Lgs 334/99, ma anche, v. infra, ASL e SPRESAL - è stata oggetto di istruttoria testimoniale, di corposa documentazione sequestrata ed acquisita, di ampio dibattito tra le parti.
Per quanto qui rileva, si deve ricordare che l'attività di controllo sullo stabilimento di Torino (escludendo quella di cui agli appena citati paragrafi), in materia di sicurezza sul lavoro e precedente al tragico evento del 6/12/2007 (per quella successiva v. il paragrafo dedicato alle 116 prescrizioni comminate dallo SPRESAL) non ha potuto essere compiutamente accertata nel presente dibattimento, non oltre alcuni scarni dati documentali; infatti i funzionari e dipendenti A.S.L. addetti, chiamati a testimoniare dai difensori degli imputati, si sono tutti avvalsi della facoltà di non rispondere (v. in particolare udienza 2/3/2010), quali indagati in reati connessi (art. 323 c.p. - abuso di ufficio e 479 c.p. - falsità ideologica commessa dal p.u. in atti pubblici).
Anche qui (come già per le contestate false testimonianze) si tratta di separato procedimento penale, che seguirà il suo corso.
La Corte deve però osservare che alcuni testi - la cui attendibilità, su altre circostanze, è stata positivamente vagliata, come già sopra indicato - hanno, nel corso del dibattimento e su richiesta del Pubblico Ministero, riferito come in azienda fosse "conosciuta" in anticipo di qualche giorno la data in cui si sarebbero svolti i "controlli" da parte dell'A.S.L., cosicché ai lavoratori addetti agli impianti veniva ordinato di "pulire", di "mettere a posto" ecc.; senza qui riportare in dettaglio tutti i testi che hanno confermato tale "notizia", si deve ricordare che tra i documenti sequestrati sono state rinvenute alcune email (v. in particolare e-mail 12/9/2006 inviata da CAF. a SA., ai dirigenti, ai capireparto ed ai capiturno dello stabilimento di Torino) che parrebbero confermare proprio tale circostanza. La cui gravità, se accertata, non necessita di commenti.
Per quanto qui rileva, si deve osservare la complessiva scarsità e la carente incisività dei rilievi e delle prescrizioni da parte dell'A.S.L., come emerge dai relativi dati documentali e considerate le condizioni di lavoro nello stabilimento di Torino, già sopra esposte e che qui si devono solo richiamare. Sul tema generale della "rilevanza" dei controlli da parte degli Enti preposti -sotto il profilo delle responsabilità dell'azienda in generale in tema di sicurezza - si deve qui ricordare - ma l'argomento sarà trattato ampiamente infra - che non solo dai D.L.gs già citati (334/99 e 626/94), ma anche dalla Carta Costituzionale e dalle norme generali contenute anche nel codice civile (v. infra) emerge la assoluta centralità del datore di lavoro, cui è demandato sia il compito di individuare i "rischi" per l'incolumità dei lavoratori (v. infra, nell'apposito capitolo) che la sua attività economico-produttiva comporta, sia nell'indicare ed apprestare le necessarie cautele per eliminare ovvero ridurre tali rischi; sicché la sua responsabilità non è - non può essere - attenuata dalla incompletezza ovvero dalla omissione dei controlli; salvo aggravarsi - ma non è il nostro caso - qualora, al contrario, non abbia rispettato precise "prescrizioni" comminategli. Centralità del datore di lavoro che viene costantemente ribadita dalle decisioni della Corte di Cassazione: "Secondo un principio consolidato della giurisprudenza di questa Suprema Corte fondato proprio sulla considerazione che l'imprenditore è destinatario delle norme antinfortunistiche che lo riguardano, norme che non può non conoscere, prescindendo dai suggerimenti o dalle prescrizioni delle Autorità cui spetta la vigilanza ai fini del rispetto di quelle norme, la circostanza che, in occasione di visite ispettive, non siano stati mossi rilievi in ordine alla sicurezza della macchina, non può essere invocata per escludere la responsabilità dell'imprenditore" (sentenza n. 41985/2003); "...la normativa antinfortunistica è direttamente rivolta ad assicurare che i datori di lavoro assumano tutti i provvedimenti atti ad evitare infortuni indipendentemente dai controlli e dalle prescrizioni degli organi ispettivi...il dovere così imposto al datore di lavoro trae diretta origine nella legge, dalla cui osservanza il destinatario non può essere sollevato in virtù dell'intervento della autorità amministrativa" (sentenza n. 10767/2000).
Quanto appena esposto non è oggetto di contestazione da parte delle difese degli imputati, che ben conoscono le norme e la loro interpretazione da parte della Suprema Corte; affermano però, gli stessi difensori, in relazione al certificato di prevenzione incendi, l'insussistenza del nesso di causalità tra gli interventi programmati (v. sopra, si tratta di quelli individuati nella relazione ing. QU. del 12/12/2003) per il suo ottenimento ed il tragico evento del 6/ 12/2007; tanto che, secondo questa prospettazione, non solo l'azienda aveva completato quasi tutti gli interventi (secondo gli 11 punti già citati), ma anche la già, per ipotesi, avvenuta approvazione ed il rilascio del certificato non avrebbero avuto influenza alcuna su quanto accaduto. Così, da un lato rivendicano l'ottemperanza, da parte dell'azienda, a quanto richiesto dai Vigili del Fuoco, dall'altro affermano la valenza comunque "neutra" della mancanza dello stesso certificato.
La Corte, esaminando gli interventi in via di completamento (gli 11 punti), osserva che effettivamente non si ravvisa il nesso di causalità; ma ritiene semplicistica e non esaustiva tale prospettiva: perché gli interventi erano quelli proposti dall'azienda e derivavano proprio dalla valutazione del rischio effettuata dall'azienda; se incompleta e carente era quest'ultima (v. infra) e i "controllori" non l'avevano rilevato (v. qui sopra), logicamente gli stessi interventi non potevano "eliminare" e/o "ridurre" rischi mai evidenziati e considerati.
Quanto alla "neutralità", la Corte non può non sottolineare che la prolungata inerzia nell'effettuare anche tali interventi - comprovata dalle richieste di proroghe indicate nel paragrafo B), sopra - costituisce altro importante elemento che porta a ritenere la scarsa considerazione, la poca attenzione, la ripetuta sottovalutazione che l'azienda, non solo nell'ultimo periodo, aveva prestato e prestava verso la "sicurezza" dei suoi dipendenti in generale e, in particolare, verso la prevenzione in materia di incendi.

D) Il ruolo dei lavoratori e dei loro rappresentanti.
Collegato all'argomento dei "controlli" è il tema, emerso durante l'istruttoria dibattimentale in forza delle domande poste a numerosi testi da parte dei difensori degli imputati, riguardante il ruolo dei sindacati, dei rappresentanti per la sicurezza (R.L.S.), dei lavoratori in generale sulla questione "sicurezza" e, in particolare, "sicurezza antincendio" nello stabilimento di Torino.
I difensori degli imputati insistono su questo tema, non solo ricordando i compiti che la normativa assegna agli R.L.S. (v. articoli 18 e 19 D.Lgs n. 626/94), ma anche ricordando che i vertici aziendali erano aperti al recepimento di queste voci, come testimoniato dall'esistenza di un progetto - c.d. "Archimede" - volto a raccogliere "nuove idee" provenienti da tutti i dipendenti.
In breve (la Corte ritiene che non sia necessario riportare dettagliatamente su questo argomento le numerose testimonianze, v. anche infra) si deve dare conto che, dall'istruttoria dibattimentale, non è emersa un'attività sistematica e pregnante di "stimolo" dell'azienda, da parte dei lavoratori e dei loro rappresentanti, sul tema della "sicurezza", neppure nell'ultimo periodo, come si è sopra ampiamente esposto, di vero e proprio "degrado" (v. capitolo relativo alle condizioni di lavoro nello stabilimento); sono emerse alcune voci ed alcune richieste (v. capitolo testé citato), non idonee a smentire in pieno quanto affermato.
Eppure, abbiamo sentito - e riportato, con le relative necessarie verifiche - le numerosissime dichiarazioni dei lavoratori su questo tema: i frequenti incendi, le pozze di olio, gli accumuli di carta oleata, la manutenzione che appare eufemistico chiamare "carente", la mancanza di formazione unita al continuo spostamento sui vari impianti ecc.; non vi è dubbio poi sul fatto che gli stessi lavoratori fossero - tutti - ben consapevoli di lavorare in condizioni di continuo e reale pericolo per la loro incolumità (su questo v. anche infra); ma la loro consapevolezza non si è tradotta in una conseguente attività. Possiamo affermare - con certezza - che la relativa inazione da parte loro e dei loro rappresentanti non è dipesa né da condizioni di lavoro diverse da quelle accertate nel corso del presente dibattimento, né da una sottovalutazione, da parte loro, della pericolosità che le stesse condizioni rappresentavano. I motivi si possono agevolmente individuare in una "concentrazione", da parte dei lavoratori e dei loro rappresentanti, sulla questione della loro futura occupazione, considerata la annunciata, prossima "dismissione" dello stabilimento di Torino.
Non è certo compito di questa Corte, oltre a quello di riportare, per doverosa completezza (e non è compito facile in nessun processo; particolarmente difficile in questo), gli argomenti che sono stati dibattuti dalle parti, esprimere ulteriori valutazioni; la Corte, per quanto qui rileva, deve esclusivamente sottolineare che il mancato, concreto e pressante "stimolo" nei confronti dell'azienda sul tema della "sicurezza", da parte dei lavoratori e dei loro rappresentanti, in particolare nel periodo qui considerato, non è comunque, sotto alcun profilo, idoneo ad attenuare la responsabilità dei vertici aziendali, cui è legislativamente imposto (come già indicato sopra e v. anche infra) il preciso dovere di valutare i rischi dei complessi economico-produttivi che dirigono e gestiscono e di apprestare le relative cautele e prevenzioni; preciso dovere del tutto indipendente (nel senso che deve comunque essere assolto) dalle più o meno puntuali o pressanti "sollecitazioni" da parte dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti.