14 Le responsabilità per i reati di omicidio ed incendio colposi, di cui ai capi sub D e sub E.
Si devono qui riprendere, per sommi capi e necessariamente rinviando alla precedente esposizione, le contestazioni di cui ai capi di imputazione sub D) e sub E), ascritti a CAF., SA., MO., PU. e PR.. La Corte, richiamando qui l'intera motivazione fin qui esposta, deve sottolineare che:
ha esaminato, esposto e ritenuto provate le posizioni di garanzia in capo a tutti gli imputati appena indicati (v. capitolo 13), in particolare CAF. dirigente di fatto, SA. e MO. dirigenti, PU. e PR. datori di lavoro;
ha esposto l'evento-incendio accaduto nello stabilimento di Torino nella notte del 6/12/2007 (v. capitoli 1 e 6), accertando sia il nesso di causalità materiale tra l'incendio e la morte di S. Antonio, S. Roberto, S. Bruno, L. Angelo, M. Rocco, R. Rosario, DE M. Giuseppe (v. capitolo 2), sia il nesso di causalità materiale tra le violazioni delle norme sulla prevenzione infortuni e sulla prevenzione incendi (come contestate nei capi di imputazione ed accertate, v. capitoli 5, 6, 8, 9, 10 e 11), l'incendio e la conseguente morte dei sette lavoratori sopra indicati (v. capitolo 6);
ha esaminato, esposto e ritenuto che la linea 5, di ricottura e decapaggio, costituisse un luogo "ad elevato rischio incendio" (v. capitoli 5, 9, 11);
ha esaminato, esposto e ritenuto che lo stabilimento di Torino rientrasse nell'ambito delle industrie "a rischio di incidente rilevante" e fosse sprovvisto del certificato di prevenzione incendi (v. capitolo 7).
La Corte ha esaminato, esposto e ritenuto che le misure di prevenzione antincendi, imposte dalla legislazione antinfortunistica, fossero "rese ancor più necessarie" a causa dell'assenza, sulla Linea 5, di "altre misure idonee a ridurre il rischio incendio o almeno l'esposizione dei lavoratori a tale rischio" (v. capitolo 11, secondo paragrafo).
La Corte ha esaminato, esposto e ritenuto che tali misure fossero "rese ancor più necessarie" a causa della situazione in cui versava lo stabilimento di Torino (secondo i profili indicati nei capi di imputazione e tutti riscontrati in dibattimento, v. capitolo 5).

La Corte ha inoltre accertato l'applicabilità al caso di specie dell'articolo 449 in relazione all'art. 423 c.p. (v. capitolo 3).
I profili fin qui elencati - ipotizzati dalla Pubblica Accusa e, come si è esposto finora, ritenuti dalla Corte provati nel presente dibattimento - costituiscono l'addebito, di cui al capo D), a carico degli imputati sopra indicati, di colpa anche specifica (v. art. 589 1° e 2° comma c.p.); ma la contestazione risulta aggravata secondo l'art. 61 n. 3 c.p.: "l'avere, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell'evento"; secondo la seguente ipotesi in fatto: "di avere agito nonostante la previsione dell'evento, essendosi rappresentati la concreta possibilità del verificarsi di infortuni anche mortali sulla Linea APL 5 dello stabilimento di Torino, in considerazione di fatti e documenti tra quelli di cui ai punti da 1 a 8 del capo A)".
Analogamente, nella contestazione di cui al capo E), relativa all'incendio colposo, dopo avere individuato gli stessi elementi sopra indicati per contestare agli imputati l'elemento soggettivo della colpa, la Pubblica Accusa ascrive loro anche la colpa c.d. cosciente secondo la seguente ipotesi in fatto: "di avere agito nonostante la previsione dell'evento, essendosi rappresentati la concreta possibilità del verificarsi di incendi sulla Linea APL 5 dello stabilimento di Torino, in considerazione di fatti e documenti tra quelli di cui ai punti da 1 a 8 del capo A".
I punti "da 1 a 8" sono stati esposti, esaminati e ritenuti accertati da questa Corte nel capitolo 12 (v.), anche sottolineando la loro valenza: costituente un vero e proprio "allarme" di "rischio incendi", oltre che di "stimolo" e "pressione" ad agire, soprattutto sulle linee di ricottura e decapaggio quale la Linea 5 dello stabilimento di Torino.

Così riassunte (solo richiamando, perché ciascuno dei punti sopra elencati costituisce un capitolo o un paragrafo) le risultanze dibattimentali riguardanti l'elemento oggettivo, si deve, dopo avere esaminato, per ciascun imputato, il rimprovero a lui addebitato, accertare se risulti provato nel presente processo che egli, oltre ad avere omesso la condotta doverosa, come prescritta dalle norme antinfortunistiche, possedesse un patrimonio di "conoscenza" (ovviamente relativa agli "elementi" analizzati ed accertati in dibattimento, come esposti finora nella presente motivazione), tale da potersi "rappresentare" la concreta possibilità di un infortunio anche mortale (capo D) e la concreta possibilità di un incendio (capo E) sulla Linea 5 di Torino.
Per rispondere dell'aggravante della colpa c.d. "cosciente" l'evento che il soggetto si deve rappresentare, sulla base della sua conoscenza, come concretamente possibile e causalmente collegato alla sua condotta - nel caso di specie, condotta omissiva, secondo quanto stabilito dal 2° comma dell'art. 40 c.p. - non deve essere "identico" a quello che si è poi, di fatto, verificato. Lo detta la logica (ma anche, vorremmo dire, il semplice buon senso): l'evento oggetto di rappresentazione deve essere simile, analogo a quello successivamente accaduto, non esattamente coincidente perché, banalmente, la rappresentazione corrisponde alla prevedibilità umana e non alla preveggenza.
Corretta appare pertanto l'individuazione, da parte della Pubblica Accusa, degli eventi oggetto di rappresentazione da parte degli imputati, nella contestazione dell'aggravante, come di un "infortunio anche mortale" e di un "incendio"; osservando qui, in linea generale, che la rappresentazione di un "incendio" su di un impianto lungo il quale i lavoratori si trovano ad effettuare varie operazioni indispensabili per il suo funzionamento e, quindi, per la produzione, ben difficilmente, già a livello di "rappresentazione", si può disgiungere dalla pari rappresentazione - "previsione" - che esso possa coinvolgerli, ledendo la loro incolumità e la loro vita. Se poi il soggetto è - anche - a conoscenza del fatto che, su quell'impianto, si trovano centinaia di condotti, flessibili e non, portanti olio ad altissima pressione, la "rappresentazione" di un incendio in quella situazione non può che far pensare proprio a delle conseguenze ancor più disastrose e drammatiche.

La difesa degli imputati, sul punto, oltre ad affermare l'imprevedibilità dell'evento accaduto, affermazione che la Corte ha già ritenuto infondata (v. sopra, i capitoli citati), esaminando e riportando dettagliatamente tutti gli elementi - di fatto - che impongono invece di ritenere la prevedibilità sia di un incendio, soprattutto sulla Linea 5, sia di un incendio che, sviluppandosi, comportava lesioni alla vita ed all'incolumità dei lavoratori, aggiunge che la "prevedibilità" di un simile evento, comunque, non poteva riguardare la zona di entrata della Linea 5; caso mai altre "zone", secondo la difesa più "pericolose" di quella di entrata, come la saldatrice, nei pressi della quale si verificava il maggior numero di "focolai", ovvero la zona delle vasche di decapaggio, individuata come tale anche dalle assicurazioni.
La Corte potrebbe osservare che i difensori così riconoscono l'elevato rischio incendio presente sulla Linea 5, sia pure limitatamente alle zone da loro indicate; potrebbe sottolineare, come si è peraltro già esposto, che "l'esperienza" che porta a ritenere "rischioso" - in questo caso sotto il profilo del rischio incendio - un certo impianto produttivo, ovvero una o più zone dello stesso, non deriva (non deriva solo) da quanto, in concreto, accaduto fino ad allora su quello specifico impianto (così attrezzato e così montato e in quello stabilimento): tale esperienza, limitata ed individuale, deve essere implementata - in tutti i campi e così anche in quello della prevenzione degli infortuni, della sicurezza sul lavoro, della prevenzione incendi - dalle norme, giuridiche e poi tecniche, applicabili ai singoli casi ma derivanti da esperienze generali, osservate e tecnicamente studiate. Se così non fosse ogni imprenditore dovrebbe ricominciare "da zero" nella sua azienda, nella materia antinfortunistica così come, in generale, nel processo produttivo.
Questi ed altri argomenti non sono, nel caso di specie, neppure necessari; perché varrebbero ad eliminare ovvero ad attenuare l'ipotesi di colpa cosciente solo se nella zona di entrata della Linea 5 non vi fossero stati combustibili (e sappiamo che c'erano), non vi fossero state sorgenti di innesco (e sappiamo che c'erano), non vi fossero stati flessibili con olio idraulico ad altissima pressione (140 bar; e sappiamo che c'erano); inoltre, solo se gli imputati avessero adottato, per ipotesi, nelle zone e negli impianti che loro stessi definiscono "a rischio incendio", le indispensabili misure, o, almeno, qualche misura; sappiamo invece che, purtroppo, nessuna misura antincendio è stata adottata: nulla, assolutamente nulla è stato "fatto" per lo stabilimento di Torino anche dopo l'incendio di Krefeld, anche dopo lo stanziamento straordinario da parte della TK STAINLESS, anche dopo gli allarmati solleciti di quest'ultima; la Corte deve qui richiamare, non potendo riassumere in poche righe l'intera precedente esposizione, i capitoli relativi, come già indicati.

Passiamo ora ad esaminare le singole posizioni.

A) SA. e CAF..
Il rimprovero loro rivolto è identico: "omettevano di segnalare l'esigenza di adottare le necessarie misure tecniche, organizzative, procedurali, informative, formative, di prevenzione e di protezione dagli incendi presso lo stabilimento di Torino non appena avuta conoscenza della loro necessità, malgrado la piena e diretta conoscenza della situazione di gravi e crescenti abbandono e insicurezza nel predetto stabilimento".
Non c'è dubbio alcuno che SA. e CAF., che prestavano la loro attività dirigenziale (v. sopra) nello stabilimento di Torino, avessero conoscenza "piena e diretta" della situazione di insicurezza, di abbandono e quindi di continuo "rischio" dello e nello stabilimento, come sopra esposta.
Quindi, per SA. e per CAF. in primo luogo si deve constatare la diretta "visione" quotidiana dello stabilimento, del suo degrado progressivo ed inesorabile, del complessivo deficit di sicurezza come sopra esposto. La Corte non intende - perché non lo ritiene necessario e perché costituirebbe, considerata la vastità degli argomenti, una inutile ripetizione necessariamente schematica ed inevitabilmente incompleta - riportare qui, nuovamente, tutti gli argomenti trattati, che devono essere richiamati; ma deve sottolineare ancora una volta il ruolo di "gestione" di quella situazione, nel corso del suo progressivo deterioramento, da parte di entrambi gli imputati (v. anche i "provvedimenti" sul personale da loro emanati nell'ottobre e dicembre 2007, già citati), senza che - pur nella loro piena consapevolezza - segnalassero ("gridassero") l'assoluta impossibilità di continuare la produzione e l'attività lavorativa in quelle condizioni.
Ma gli imputati erano anche, come se non fosse già sufficiente la diretta conoscenza e la gestione da parte loro dello stabilimento in quelle condizioni, pienamente consapevoli: che lo stabilimento di Torino fosse a "rischio di incidente rilevante": avevano essi stessi, SA. presentatosi come "gestore" dello stabilimento, CAF. come "responsabile" della materia, intrattenuto i rapporti con gli incaricati dei controlli (v. così, tra l'altro anche partecipando alla riunione conclusiva del CTR, in tutta la parte relativa a tale argomento); che lo stabilimento di Torino fosse privo del certificato antincendio: sempre da loro era "curato" il lento, lentissimo (v. nel relativo capitolo) progredire dei lavori necessari: relazionando ai dirigenti ed ai vertici di Terni (v.) ed ogni volta "segnalando" a questi ultimi non la reale pericolosità e, quindi, il concreto "rischio" incendio dello stabilimento di Torino, bensì i "termini" di completamento - dei lavori "programmati" nel dicembre 2003! - che di volta in volta i Vigili del Fuoco imponevano, peraltro mai in via definitiva (v. sopra, nel capitolo relativo).
SA. e CAF. sapevano anche che era stato, dopo l'incendio di Krefeld, istituito il Working Group Stainless (v. sopra), con il sottogruppo proprio sul rischio incendi per le linee di ricottura e decapaggio, a cui partecipava, per lo stabilimento di Torino, DE. (v. citato), che dipendeva da SA. (v. le e-mail di FIS., già indicate); ben sapevano che la TK STAINLESS aveva deciso uno stanziamento straordinario proprio sulla materia di "fire prevention".
SA. e CAF. conoscevano anche tutta la "questione" assicurativa, delle franchigie ecc.; LU. (v. citato), sottoposto di CAF., aveva preparato la "presentazione" per l’AXA delle linee di ricottura e decapaggio di Torino (v. citata, aprile 2007), in cui erano stati individuati specificamente anche i rischi rappresentati dall'olio idraulico in pressione; sul punto, proprio con riguardo alla formazione di tale documento, LU. ha dichiarato (v. udienza del 29/4/2009), rispondendo ad una domanda sulla zona di entrata della Linea 5 di Torino: " ... visto che sicuramente tutto il coil, in quanto acciaio, è movimentato da apparecchiature oleodinamiche e quindi abbiamo sempre pistoni, cilindri, attrezzatura che senza un circuito oleodinamico interno non poteva andare avanti ... avevamo fatto questo computo ... 300 litri di olio totale, sulle centraline di media misura, piccola misura a bordo dell'impianto"; così descrive la dinamica: "quale era il pericolo ovviamente che l'incendio si propaghi per combustione o rottura delle tubazioni dei manicotti, estremamente rapido a salire per la pressione dell'olio" e continua: " ... identica dinamica ... perché ripeto, organi in movimento, il coil che viene srotolato, non a grandissima velocità però viene srotolato, eventuale rottura di un pistone, di un manicotto e quindi per quanto fossero sostanza del tipo gomma dura, resine ecc. potevano rompersi e quindi via via poi ad innescare un incendio". Si deve considerare che tale "presentazione", per AXA Assicurazioni, era stata certamente quantomeno discussa con CAF. - diretto "capo" di LU. - e visionata da SA.; entrambi gli imputati erano poi personalmente presenti alla visita dei tecnici AXA (v. sopra) durante la quale la presentazione - in power point - era stata proiettata. Abbiamo già sopra esposto (v. nel relativo capitolo) come la "conclusione" della presentazione ritenesse "sufficiente", per la zona di entrata, il "presidio" dei lavoratori: conclusione già più volte criticata, tanto che la Corte non vuole qui ancora una volta soffermarvisi, solo richiamandola; d'altronde, sotto il profilo della "rappresentazione" da parte degli imputati SA. e CAF., ciò che rileva è principalmente la loro -concreta ed effettiva "conoscenza" - anche del devastante scenario determinato dal c.d. "flash fire".
Ma gli imputati, anziché trarre dalla realtà dei fatti l'unica conseguenza responsabile e possibile - di segnalare l'insostenibilità della situazione - si sono prestati a "gestirla", cercando ancora, nei confronti dell'esterno - CTR, Assicurazione, Vigili del Fuoco, controlli in genere - di minimizzare, di sottovalutare, di cercare di occultare i reali rischi, perseguendo anche loro l'obiettivo aziendale di non dover spendere nulla a Torino, perché tanto lo stabilimento veniva "dismesso"; nei confronti dei lavoratori SA. "rimproverandoli" per aver lasciato bruciare una parte della linea 5 (v. sopra) e recandosi personalmente sulle Linee per "tamponare" con spostamenti nei vari impianti di lavoratori privi di addestramento per quella lavorazione, CAF. raccomandando loro di "non fare gli eroi".
La Corte ritiene che non vi sia necessità ulteriore di sottolineare come tale quadro di "conoscenza", di cui entrambi gli imputati disponevano, permettesse loro di prefigurare - di "rappresentarsi" - la concreta possibilità del verificarsi di un incendio e di un infortunio anche mortale sulla Linea 5 di Torino, analogo, simile a quello accaduto; inoltre, sussiste il nesso di causalità tra la loro condotta omissiva - consistita, appunto, nel non avere "segnalato" l'esigenza di adottare le indispensabili misure - e l'evento in concreto verificatosi: perché il loro comportamento ha causalmente contribuito al fatto che nulla - nessuna misura antincendio - fosse stata apprestata; ed abbiamo esaminato in dettaglio, nei relativi capitoli già sopra citati e che qui si richiamano, il nesso di causalità materiale esistente tra la violazione delle norme antinfortunistiche, la mancanza di misure e di apparecchiature antincendio e l'evento occorso il 6/12/2007. Sul punto, appare sufficiente ricordare quanto afferma la Corte di Cassazione: " ... la considerazione che l'evento lesivo si verificò proprio perché quelle misure precauzionali, che se concretamente attuate avrebbero scongiurato, evidentemente, l'evento medesimo, non vennero poste in essere, per colpevole condotta omissiva dell'imputato ... rende anche priva di fondamento la censura relativa alla dedotta insussistenza del nesso di causalità" (così sentenza n. 19183/2006).
La Corte ritiene quindi che gli imputati SA. e CAF. abbiano mantenuto la loro colpevole condotta omissiva, come contestata - colpevole in forza della posizione di garanzia da ciascuno di loro ricoperta, v. sopra -nonostante la previsione dell'evento.
La Corte non pone in dubbio - e naturalmente nessuno, durante il dibattimento, ha mai posto ciò in dubbio - che gli imputati sperassero, nonostante la prevedibilità, la previsione e la rappresentazione, anche da parte loro, dell'evento, che non "capitasse" nulla.
L'elemento soggettivo della "colpa cosciente", così come contestato a SA. ed a CAF. dalla Pubblica Accusa, comporta una indispensabile connotazione di "ragionevolezza" nella speranza che essi nutrivano; lo insegna la Corte Suprema: "Si versa ... nella colpa definita 'cosciente', aggravata dall'avere agito nonostante la previsione dell'evento (art. 61 n. 3 c.p.) qualora l'agente, nel porre in essere la condotta nonostante la rappresentazione dell'evento, ne abbia escluso la possibilità di realizzazione, non volendo né accettando il rischio che quel risultato si verifichi, nella convinzione, o nella ragionevole speranza, di poterlo evitare per abilità personale o per intervento di altri fattori" (sentenza n. 10411/2011, con motivazione dep. in data 15/3/2011).
Ad avviso della Corte, la "ragionevolezza" della speranza in capo a SA. ed a CAF. si può ravvisare nella loro posizione aziendale, completamente dipendente da Terni (come si è sopra, in più parti, esposto e qui solo richiamandolo) sotto il profilo gerarchico così come sotto il profilo tecnico (v. anche subito infra, trattando la posizione di MO.); dipendenza che, se ovviamente non costituisce scriminante alcuna rispetto ai loro obblighi derivanti dalla posizione di garanzia, nondimeno può considerarsi quale elemento psicologico sufficiente a ritenere che entrambi confidassero sul fatto che le scelte e le decisioni dei dirigenti tecnici di Terni e dei vertici di TK AST in qualche modo evitassero il verificarsi dell'evento previsto.

La Corte deve concludere ritenendo la responsabilità penale degli imputati SA. e CAF. per i reati loro ascritti sub D) ed E), con le aggravanti contestate.

B) MO..
Il rimprovero a lui rivolto: "ometteva, in sede di pianificazione degli investimenti per la sicurezza e la prevenzione incendi, di sottolineare l'esigenza di adottare le necessarie misure tecniche, organizzative, procedurali, di prevenzione e protezione dagli incendi presso lo stabilimento di Torino non appena avuta conoscenza della loro necessità e malgrado le ripetute sollecitazioni ricevute dal gruppo della THYSSENKRUPP STAINLESS".

Si deve qui ricordare che l'imputato ing. MO. ricopriva, in THYSSEN KRUPP AST, il ruolo di dirigente "con funzioni di Direttore dell'area tecnica e servizi"; sotto di lui operavano, a Terni, i tecnici tra cui PE., DON., LI., ME. (v. citati); a lui direttamente - ovvero ai tecnici che da lui dipendevano - si rivolgevano SA., CAF. ed i loro sottoposti di Torino per qualsiasi misura tecnica riguardante quello stabilimento, come si è già indicato nel corso della trattazione, in vari punti e come sarà ulteriormente indicato infra; quale dirigente e direttore di quell'area, a lui spettava l'individuazione - sotto il profilo "tecnico" - delle misure da adottare, in entrambi gli stabilimenti, utilizzando il budget straordinario stanziato dalla TK STAINLESS - pari per TK AST, ricordiamolo, a 16,7 milioni di euro, di cui 8 milioni di euro per l'esercizio 2006-2007, 5 milioni di euro per l'esercizio 2007¬2008, 3,7 milioni di euro per l'esercizio 2008-2009 - in materia di prevenzione incendi, soprattutto - dopo l'incendio di Krefeld - di prevenzione incendi sulle linee di ricottura e decapaggio; indicazioni tecniche che, come si è visto e si vedrà infra, dovevano poi sottostare alla decisione del "board" di THYSSEN KRUPP AST.
Di grado elevato si presenta quindi la responsabilità dell'imputato MO.; non solo sotto il profilo della colpa specifica, quale dirigente tecnicamente qualificato ricoprente la posizione di garanzia come già esposto e, solo per il profilo soggettivo (v. precedente capitolo) anche "incaricato" da ES. specificamente della materia della sicurezza sul lavoro; ma, ritiene la Corte, in punto colpa "cosciente": già solo in forza della sua competenza tecnica egli era certamente in grado di "rappresentarsi" la concreta possibilità del verificarsi, sulla linea 5, degli eventi indicati - incendio ed infortunio anche mortale. Sul punto, appare qui sufficiente richiamare - senza nuovamente riportarle - le regole "tecniche" (esposte nel capitolo 11), contenenti uno "scenario" esattamente sovrapponibile a quello che si è verificato nello stabilimento di Torino la notte del 6/ 12/2007.
I suoi difensori sostengono che il ruolo di MO. fosse meramente "burocratico", consistente nel redigere i "capitolati ... dei progetti di massima ... sulle proposte che vengono dalle attività produttive" e nel controllare il contenuto economico e tecnico "delle offerte" (v. udienza 15/2/2011); la Corte osserva che da tutti i documenti (molti già citati, v. in particolare le e-mail), così come dalle testimonianze, così come da quanto dichiarato, durante i loro esami, dallo stesso MO. e dall'imputato ES., vi è invece la prova, come si è appena accennato, che proprio a MO. competeva - anche, certamente, considerate le richieste provenienti dai vari reparti - la decisione "tecnica" (coadiuvato dai suoi sottoposti) dell'individuazione delle varie "misure", in particolare antincendio, da adottare in entrambi gli stabilimenti.
In fatto, sulla conoscenza da parte di MO. dello stabilimento di Torino, dei suoi impianti e delle sue condizioni, si deve ricordare qui che MO. (che ricopriva quell'incarico sin dagli anni '90, v. il suo esame, in data 21/ 10/2009), con i suoi collaboratori tecnici, ha "seguito" tecnicamente lo stabilimento di Torino, secondo quanto emerso in dibattimento, almeno fin dall'epoca successiva all'incendio del 2002; lo testimoniano le e-mail citate nel capitolo 7, relative ai lavori per l'ottenimento del certificato prevenzione incendi (v. sopra, in particolare le e-mail inviate da CAF., in data 28/9/2004, a MO. ed a DON. e in data 11/10/2005 a MO. e PE.); anche le misure dopo il primo incendio (tra cui l'anello antincendio, più volte citato, v. sopra) erano state tecnicamente individuate dai tecnici di Terni; Torino "gestiva" solo, necessariamente, i lavori via via che si svolgevano.

L'assoluta "dipendenza", nella materia anche "tecnica", dello stabilimento di Torino da Terni, con la conseguente, ovvia considerazione che, proprio in forza di tale dipendenza, i tecnici di Terni - ivi compreso il dirigente e direttore MO. - fossero e continuassero ad essere necessariamente informati delle condizioni in cui vi si svolgeva l'attività produttiva, viene confermata anche dal teste PE. (citato, v. udienza 9/6/2009, pag. 109 trascrizioni) che, alla domanda - in materia di "fire prevention" - se a Torino esistesse un'area tecnica analoga a quella di Terni o se si dovesse passare da TERNI risponde: "Sostanzialmente sugli interventi importanti come questi si passava da Terni" e alla domanda "sempre da Terni?" PE. risponde: "sì". D'altronde, il difetto di autonomia complessiva di Torino, a partire dal "budget" a disposizione, attraverso la gestione del personale e il controllo sulla produzione, non può che indurre a ritenere che anche per tutte le decisioni "tecniche", ivi comprese quelle di sicurezza sul lavoro e di prevenzione incendi, la decisione spettasse a Terni; ricordiamo qui come anche i contratti con ditte esterne (come quello per le pulizie, v. sopra) "dipendessero" direttamente da Terni. Tale dipendenza, del resto, viene riferita anche dall'imputato MO. durante il suo esame (v. udienza 21/10/2009): "Torino era considerato un reparto anche se atipico ... considerata la distanza da Terni ... (venivamo) chiamati da Torino ... senza formalità ... ogni qualvolta c'era da affrontare dei problemi tecnici".
Sappiamo quindi che all'imputato MO., nel suo ruolo, competeva l'individuazione delle misure da adottare in materia di "fire prevention" anche per lo stabilimento di Torino; o meglio, come vedremo infra, anche per gli impianti che in allora si trovavano a Torino; sappiamo quindi che MO., in tale ruolo, era informato delle condizioni di quegli impianti; sappiamo che egli era tecnicamente qualificato; sappiamo che egli era compiutamente informato dei lavori del WORKING GROUP STAINLESS, ai quali aveva egli stesso, in precedenza, partecipato; sappiamo che, per il sottogruppo dedicato alle linee di ricottura e decapaggio, di cui al primo incontro nel gennaio 2007, partecipava, per le Linee di Terni, ME. D., per Torino DE. (v. sopra).
Sappiamo quindi che MO. era informato sui lavori e sugli obiettivi del WGS e sulla posizione della capogruppo STAINLESS in materia di "fire prevention": sulla valenza, sotto il profilo della conoscenza dei rischi e della rappresentazione dell'evento, di tali lavori ed obiettivi, come risultanti dalla documentazione, la Corte deve qui limitarsi a richiamare interamente quanto esposto nel paragrafo relativo del capitolo 12 (v. sopra).
Sappiamo in particolare, come ci ha riferito il teste LI. L. (citato, udienza 28/5/2009) che le indicazioni per gli interventi antincendio gli pervenivano da DON., suo diretto superiore e da MO. (v. pag. 89 trascrizioni); che erano stati DON. e MO. a comunicargli lo spostamento degli investimenti sulla Linea 5 a dopo il suo trasferimento da Torino a Terni (v. infra, su tutto l'argomento "investimento straordinario" di "fire prevention", in dettaglio, nel paragrafo dedicato all'imputato ES.). Abbiamo già indicato, nel paragrafo relativo al "board" (v. sopra), lo scambio di e-mail tra MO. e RE. proprio aventi ad oggetto gli interventi di "fire prevention" e la loro sottoposizione al "board" per l'approvazione, oltre che i problemi di "ritardo" nella presentazione rispetto ai tempi indicati dal WGS.
MO. era certamente informato, oltre che del WGS, delle collegate problematiche relative alla nuova assicurazione dopo l'incendio di Krefeld, delle franchigie "altissime" e, quindi, da "abbattere"; egli stesso ha riferito di avere partecipato alla "riunione preliminare" durante la visita a Terni dell'ing. BR. (v. esame, udienza 21/10/2009); sulla valenza, con riguardo all'elemento soggettivo, anche di tali conoscenze, la Corte deve rimandare al relativo paragrafo del capitolo 12 (v. sopra); ma ribadiamo, come già sopra accennato, come l'ing. MO. non avesse neppure necessità di apprendere da altri tecnici quali fossero i livelli di "rischio" incendio su di un impianto come la Linea 5 di Torino.
Si deve qui indicare uno scambio di e-mail intervenuto fra RE., MO., PE. e LI. (già accennato nel capitolo 14, paragrafo relativo al "board"), ai primi di ottobre 2007, con riferimento agli investimenti del budget straordinario di "fire prevention" per il secondo anno - 2007/2008; in particolare (v. doc in atti) in data 2/10/2007 alle ore 15,13 PE. inviava il "progetto" di investimento a MO. e per conoscenza a LI. chiedendo se andava bene; nello stesso giorno, alle ore 17,59 PE. inviava i "documenti" relativi al progetto di investimento a RE. e per conoscenza a MO., LI., DON., MAG.; il giorno dopo, alle 11,31, RE. scriveva a MO.: "D., per non andare dal board in continuazione, presento questa richiesta appena sono disponibili anche le altre info relative agli investimenti ... ; alle 15,35 dello stesso giorno risponde MO., trasmettendo per conoscenza ad ES.: "Purtroppo non sono d'accordo!", MO. spiega perché, per gli altri investimenti, erano necessari ulteriori tempi tecnici (v.) ed aggiunge: "La autorizzazione all'investimento di fire prevention è di estrema urgenza in quanto relativa ad attività strategiche per la sicurezza degli impianti e per la riduzione delle franchigie assicurative (purtroppo TKLAST è già in ritardo su questo progetto) In conclusione sono convinto che il board sarà disponibile ad essere disturbato anche più volte per consentirci lo svolgimento ottimale del nostro lavoro!".
L'imputato ES. ha riferito, durante il suo esame (v. udienza 4/11/2009), che la decisione (su cui v. infra in dettaglio) di posticipare gli interventi sugli impianti di Torino e, soprattutto, sulla Linea 5, successivamente al trasferimento a Terni, era stata "concordata" con MO.: come appare logico e naturale, considerato che MO. era il responsabile dell'area tecnica. Con la conseguenza che, se è vero che a decidere era, unitamente agli altri membri del "board" (v. sopra e infra), ES., nondimeno MO. risponde anche per avere omesso di "sottolineare", nonostante la sua competenza tecnica, in quel momento, la necessità di adottare le misure di "fire prevention" sugli impianti di Torino, a fronte della continuità nella attività produttiva di quello stabilimento.

La Corte ritiene quindi che anche MO. possedesse un quadro di "conoscenza" tale da prefigurare, da "rappresentarsi" la concreta possibilità del verificarsi di un incendio e di un infortunio anche mortale sulla Linea 5 di Torino, analogo a quello verificatosi; sussiste inoltre il nesso di causalità tra la condotta omissiva da lui mantenuta - consistita, come contestato, nel non avere "sottolineato" l'esigenza di adottare le indispensabili misure - e l'evento in concreto verificatosi: il suo comportamento ha causalmente contribuito al fatto che nulla - nessuna misura antincendio - fosse stata apprestata. Sul nesso di causalità si deve qui ripetere quanto già esposto per gli imputati SA. e CAF.: la Corte ha già esaminato, in dettaglio, nei relativi capitoli sopra citati e che qui si richiamano, il nesso di causalità materiale esistente tra le norme antinfortunistiche, la mancanza di misure ed apparecchiature antincendio e l'evento occorso il 6/12/2007. E così insegna la Corte Suprema, già riportata: " ... la considerazione che l'evento lesivo si verificò proprio perché quelle misure precauzionali, che se concretamente attuate avrebbero scongiurato, evidentemente, l'evento medesimo, non vennero poste in essere, per colpevole condotta omissiva dell'imputato ... rende anche priva di fondamento la censura relativa alla dedotta insussistenza del nesso di causalità" (così sentenza n. 19183/2006).
Come già si è esposto per SA. e per CAF. (v. sopra), anche per MO., come per tutti gli imputati (v. sopra e infra), la Corte non pone in dubbio - e nessuno, durante il dibattimento, ha mai posto in dubbio - che egli sperasse, nonostante la prevedibilità, la concreta previsione e la rappresentazione, anche da parte sua, dell'evento, che non "capitasse" nulla. Si deve qui richiamare il concetto di "ragionevole" speranza già esposto nel precedente paragrafo, con riferimento a SA. e CAF. (v.), anche riportando l'insegnamento della Suprema Corte (v. sentenza n. 10411/2011); in capo a MO., tale "ragionevole" speranza non può che ravvisarsi nell'essere anch'egli "sottoposto" alle decisioni di ES. e degli altri membri del "board" (v. sopra e infra): sottoposizione che, se non costituisce scriminante alcuna rispetto ai suoi doveri derivanti dalla posizione di garanzia, anche per MO. può considerarsi quale elemento psicologico sufficiente a ritenere che egli confidasse sul fatto che le decisioni dei vertici di TK AST in qualche modo evitassero il verificarsi dell'evento previsto.

La Corte deve concludere ritenendo la responsabilità penale dell'imputato MO. per i reati a lui ascritti sub D) ed E), con le aggravanti contestate.

Con riguardo alla posizione di MO. appare inoltre necessario esporre qui un altro argomento, finora solo accennato, riguardante le misure, tecniche e procedurali, adottate nello stabilimento di Terni successivamente all'incendio verificatosi a Torino il 6/12/2007.
Anche tali misure sono state oggetto, nel corso del presente processo, di un acceso dibattito fra le parti, in particolare incentratosi sull'adozione o meno, sulla linea di trattamento di Terni simile alla Linea 5, di "protezioni" antincendio anche sulle "centraline" idrauliche lungo linea.
Abbiamo già ricordato (v. capitolo 12) che tali protezioni sulle centrali "kleine" erano state adottate durante la ricostruzione della linea di Krefeld, come ci ha riferito il teste WE. (v. sopra); e questo dato, riferendosi al periodo precedente l'incendio del 6/12/2007, è certamente importante e significativo per ricostruire l'elemento soggettivo della "rappresentazione" in capo agli imputati.
Si può anche osservare che proprio l'incendio di Torino poteva costituire quell'esperienza "diretta" cui più volte si è, come indicato, appellata la difesa degli imputati (ed in ordine alla quale la Corte richiama le osservazioni di cui sopra, nella parte introduttiva a questo capitolo): nondimeno, la difesa ha sostenuto che a Terni non erano state installate quelle protezioni.
Invece, dopo l'incendio di Torino, a Terni sono state - ragionevolmente -adottate una serie di misure: in primo luogo emergenti dal "documento di valutazione del rischio incendio" nell'area PIX (a freddo: v. sopra, corrispondente allo stabilimento di Torino), secondo la revisione del settembre 2008 (v. doc. prodotto all'udienza del 11/4/2009); a pagina 42 di tale documento - cui si rimanda integralmente: è stato per la Corte utile quale confronto con il già citato documento di valutazione del rischio incendio per lo stabilimento di Torino, v. sopra - si legge: "RISCHIO INCENDIO CENTRALINE IDRAULICHE. Per ridurre il rischio incendi, su tutte le centraline idrauliche è partita una campagna inerente la sostituzione e il controllo dei flessibili idraulici (avevamo già citato questo "programma", v. sopra, n.d.e.), inoltre sono in corso degli studi inerenti la sostituzione dell'olio minerale con l'olio sintetico (olio con elevato punto d'infiammabilità) ... All'interno dello stabilimento si sta adottando la politica di proteggere le centraline idrauliche fino a 400 litri d'olio con estintori sprinkler automatici a polvere da 12 kg. (vedi foto), tutte le altre centraline idrauliche con capacità maggiore sono protette con sistemi di rivelazione e spegnimento di tipo automatico". È interessante poi, procedendo nella lettura del documento, seguire le indicazioni degli impianti di sola rilevazione ovvero di rilevazione e spegnimento posti sulle linee LAC 2 e LAF 4 (quest'ultima, come si è più volte ricordato, analoga alla linea 5 di Torino): proprio considerati tali impianti, a pagina 47 del documento si valuta il reparto PIX come a rischio di incendio "medio"; non appare necessario qui neppure ribadire come invece - sulla base del solo "controllo" degli operatori muniti di estintori portatili - era stato valutato "medio" il rischio incendio per la Linea 5 di Torino (v. sopra, nel capitolo 9, dedicato al documento di valutazione del rischio).
Sul fatto che questi impianti a protezione anche delle centraline idrauliche lungo linea siano stati poi eseguiti, ne riferisce il teste LUC. G. (citato, udienza 23/6/2009), sulla base di una recente visita allo stabilimento di Terni (ricordiamo che l'ing. LUC. "seguiva" per AXA i lavori a Terni, come già indicato): " ... su LAF 4 ... stanno sistemando ... testina spinkler..copre circa 10 metri quadrati ... protetto il serbatoio delle centraline con cavi termosensibili a spruzzo" oltre, come riferiranno anche altri testi, la predisposizione di un "interblocco" delle pompe (per interrompere il flusso di olio in pressione) (che) ... dovrà essere collegato allo sprinkler".
Riferisce della "messa in quiete" delle centrali idrauliche, progettata per la LAF 4 di Terni dopo l'incendio di Torino, il teste SE. (citato, v. udienza 28/5/2009), precisando " ... non c'è protezione nell'ultimo tratto del flessibile con olio in pressione ... per questo ci siamo rivolti al sistema di messa in quiete" ed ancora: " ... per adesso alcuni sistemi di spegnimento ed anche la messa in quiete sono ad attivazione manuale ... il progetto è di farli automatici"; ne riferisce anche ME. D. (citato, v. udienza 28/5/2009); anche LI. L. (citato, v. udienza 28/5/2009): " ... il progetto di messa in quiete è partito da MO. ... fatto per le due centraline LAF 4 si è deciso di estenderle anche agli altri impianti"; anche PE. (citato, v. udienza 9/6/2009), che si sofferma sulle difficoltà tecniche di progettazione (per le quali, in dettaglio, la Corte rimanda alla testimonianza) anche dichiarando: " ... avevamo avuto notizie che a Torino sulla linea 5 ci fosse un tale dispositivo ... sono rimasto anche sorpreso, perché a Terni non c'è mai stata e non avevamo notizia che ci fosse a Torino, non pensavamo che ci fosse" (v. sopra, nel capitolo 11, paragrafo dedicato al c.d. pulsante di emergenza).

Riferisce esaurientemente sui dispositivi antincendio realizzati sulla LAF 4 di Terni proprio l'imputato MO., durante il suo esame (v. udienza 21/10/2009): " ... sono stati realizzati ... impianti di rilevazione e spegnimento nelle centraline di ingresso e di uscita, nella saldatrice, nella zona di decapaggio e nelle cabine elettriche ... sulle centraline inferiori a 500 litri, non essendo prescritte da alcun Ente esterno ... abbiamo applicato degli estintori particolari, molto semplici ... di facile installazione e manutenzione che sono delle bocce di CO2 appese sopra a queste piccole centraline che, se nel caso investite da eventuali fiamme, possono erogare una quantità modesta di estinguente, ma che comunque vista la dimensione del carico di incendio, vista la dimensione della centralina, abbiamo fatto delle prove sperimentali, si sono dimostrate comunque efficaci ... sono automatici, nel senso che la stessa boccia ha un sensore e ... se viene investita dalle fiamme ... automaticamente quel poco di contenuto estinguente ... che abbiamo verificato sperimentalmente essere efficace"; MO. riferisce poi diffusamente anche sul sistema di "messa in quiete" (v. da pag. 25 trascrizioni).
Il comportamento mantenuto da MO. durante il suo esame sarà considerato in sede di determinazione della pena.

C) PR. e PU..
Il rimprovero loro rivolto è identico: "omettevano, quali membri del Comitato Esecutivo della THYSSENKRUPP ACCIAI SPECIALI TERNI s.p.a., di sottolineare l'esigenza di adottare le necessarie misure tecniche, organizzative, procedurali, informative, formative, di prevenzione e protezione dagli incendi presso lo stabilimento di Torino non appena avuta conoscenza della loro necessità".
La Corte ha diffusamente esposto (v. capitolo citato, 13) gli elementi ed i motivi, emersi nel corso del presente dibattimento, in forza dei quali gli imputati PR. e PU. rivestivano, in THYSSEN KRUPP AST, la "posizione di garanzia" di datori di lavoro; con la conseguente addebitabilità delle - indicate, v. capitoli sopra citati - violazioni alle norme antinfortunistiche, i cui obblighi erano a loro espressamente rivolti. Si deve anche sottolineare, come costantemente ripetuto dalla Corte di Cassazione e d'altronde logicamente conseguente proprio alla natura pubblicistica dei doveri su di lui gravanti (v. anche sopra, nei capitoli 8 e 9 e nel paragrafo dedicato al "board" del capitolo 13), che il comportamento del datore di lavoro non può certo andare esente da colpa, anche specifica, in conseguenza della sua scelta di non "occuparsi" della materia antinfortunistica.
Scelta che gli imputati PR. e PU. affermano di avere seguito nel caso di specie, disinteressandosi delle condizioni di lavoro di tutti i dipendenti; scelta che, a fronte dell'inequivocabile contenuto dei "poteri" loro delegati dal C.d.A. e di cui al punto 5.10 (v. sopra, in particolare nel paragrafo dedicato al "board"), hanno affermato riguardare tutti i dipendenti con l'eccezione di quelli addetti al loro specifico "settore". Specificazione che, se non cambia la natura della scelta, continuando a ravvisarsi la colpa anche specifica per il datore di lavoro che, a suo arbitrio, decide di occuparsi della materia antinfortunistica solo per alcuni dei dipendenti e non per gli altri, incide certamente - elevandola - sul grado di colpa in capo agli imputati PR. e PU., considerata la loro consapevolezza di essere "datori di lavoro" (sia pure con la illegittima, volontaria "limitazione" appena ricordata) e, di conseguenza, diretti destinatari della normativa antinfortunistica.

Si deve ora esaminare se gli stessi imputati rispondano anche della colpa c.d. "cosciente", consistente (come si è già indicato sopra e che qui si riporta per comodità) nell'avere agito (cioè nell'avere, PR. e PU., omesso di sottolineare ... l'esigenza di adottare le misure, v. subito sopra): "nonostante la previsione dell'evento, essendosi rappresentati la concreta possibilità del verificarsi di infortuni anche mortali sulla linea APL 5 dello stabilimento di Torino" per il capo sub D) e di "incendi" per il capo sub E) "in considerazione di fatti e documenti tra quelli di cui ai punti da 1 a 8 del capo A)". Se, quindi, il quadro di conoscenze a loro disposizione permettesse anche a loro - così come la Corte ha ritenuto per gli imputati SA., CAF. e MO. - di "rappresentarsi" tale concreta possibilità.
È necessario ricordare qui - e richiamare, ancora una volta, il relativo paragrafo - come il "board", che si riuniva in media due volte al mese, costituisse, per ognuno dei suoi membri, una fonte informativa qualificata, precisa, dettagliata su tutte le questioni, le problematiche, le criticità relative ai singoli "settori" - produzione, rapporti con i clienti, finanza ed amministrazione: in breve riguardanti l'intera "vita" aziendale. Dai "verbali", redatti da KR. in maniera più che succinta emergono infatti solo i "titoli" degli argomenti oggetto della relazione, trattazione, discussione, decisione da parte del "board"; ma è logico e conseguente ritenere che su tutti gli argomenti indicati con quella modalità a verbale i tre membri del board avessero effettivamente fornito e ricevuto notizie, informazioni, delucidazioni necessarie ed indispensabili per conoscere e di conseguenza scegliere, decidere ed operare in piena collegialità.

La Corte ha già evidenziato (v. sopra, stesso paragrafo) come in varie riunioni del "board" l'argomento fosse proprio lo stabilimento di Torino, fin dall'autunno 2005 (v. sopra nel capitolo relativo); PR. e PU. erano quindi debitamente, doverosamente informati sulle condizioni, i progetti, le criticità dello stabilimento di Torino, avendone seguito passo dopo passo gli sviluppi e condiviso le scelte operate da ES., dalla decisione (su proposta di ES., come da egli stesso riferito durante il suo esame, v. udienza 4/11/2009 e v. capitolo 5) - poi rinviata (ricordiamo quella "nota" al bilancio predisposta in "bozza" e poi soppressa, v. sopra) - della sua "dismissione", alla comunicazione ufficiale di quest'ultima, alla scelta di operare il trasferimento degli impianti da Torino a Terni in 15 mesi, continuando a produrre a Torino.
Non può esservi dubbio che la decisa dismissione con quelle modalità e con le conseguenze che essa comportava anche per i dipendenti, rendesse la situazione di Torino, da parte del datore di lavoro, certamente da "monitorare" e "controllare" anche e soprattutto nella materia della sicurezza sul lavoro.
Sappiamo inoltre che gli imputati PR. e PU. erano compiutamente informati, con riferimento allo stabilimento di Torino, anche degli investimenti - come si è indicato sopra, era proprio il "board" che decideva operativamente come, dove e quanto investire il "budget" assegnato - in generale anche nello stabilimento di Torino, in particolare, per quanto qui rileva, degli investimenti in sicurezza e prevenzione antincendio: come si è visto (v. capitolo 6) costituenti solo il 23,20% di quanto, negli stessi anni (2000-2007), era stato investito nella corrispondente area PIX dello stabilimento di Terni (v. capitolo 5). In punto investimenti - generali - si deve anche constatare - e lo richiameremo nella parte dedicata all'imputato ES. - che gli anni dal 2005 al 2007 (proprio quelli che hanno visto l'abbandono dello stabilimento di Torino: la decisione della sua chiusura risale quantomeno, secondo gli elementi in atti, al 2005, v. capitolo 5) sono stati "ricchi" di investimenti da parte di THYSSEN KRUPP AST: lo ha riferito il teste RE. (v. citato udienza del 31/3/2010, pagg. 134-135): " ... ci sono stati anni abbastanza fortunati ... hanno fatto parecchi investimenti in Italia"; il teste FV. E., funzionario dell'A.M.M.A., associazione sindacale-imprenditoriale (aderente a CONFINDUSTRIA) cui partecipava THYSSENKRUPP AST, dopo avere riferito che dal 2006 assisteva "come assisto tuttora la THYSSEN KRUPP" e di avere partecipato alle riunioni sindacali ed al "tavolo" delle trattative per la dismissione dello stabilimento di Torino, in punto investimenti precisa: "l'azienda (THYSSENKRUPP AST, n.d.e.) ... in occasione ... dell'incontro svoltosi presso Confindustria il 7 giugno (2007, n.d.e.) disse che negli anni 2005-2007 aveva già provveduto ad investire circa 300 milioni di euro, che avrebbe poi fatto ulteriori investimenti presso il polo ternano"; il teste TA. C. (all'epoca dei fatti ed attualmente segretario provinciale della FIM CISL di Terni, v. udienza 14/4/2010) riferisce degli investimenti in Italia tra il 2005 ed il 2007 come ammontanti a 600 milioni di euro (v. trascrizioni pag. 117); ma al di là della cifra esatta, ciò che rileva qui e che la Corte deve sottolineare è l'informazione e la condivisione, da parte degli imputati PR. e PU., della decisione di investire le ingenti somme a disposizione di TK AST nel "polo ternano". Decisione legittima e, così come quella della "dismissione" di Torino, assolutamente indiscutibile: decisione che ha però comportato il deficit di investimenti per Torino (tanto che anche i lavori per l'ottenimento del certificato di prevenzione incendi procedevano a rilento, come più volte ricordato), contemporaneamente puntando, la "direzione", alla continuità della produzione nello stesso stabilimento.
Molti altri dati documentali erano a disposizione di PR. e PU. sulla situazione dello stabilimento di Torino: come abbiamo esposto, in varie parti (v. capitolo 5, i precedenti paragrafi sugli altri imputati ed infra, il capitolo dedicato ad ES.), in quanto lo stabilimento di Torino era un "reparto" di Terni; così tutti i dati relativi ai lavoratori: la formazione, ma anche la riduzione, dalla primavera 2007, del numero di dipendenti ed il venir meno delle professionalità più qualificate (v. la sopra riportata testimonianza di FER., responsabile del personale anche per Torino); come quelli relativi ai contratti di pulizia, dipendenti da Terni; come quelli relativi ai consumi di materiale estinguente, in particolare alle ricariche degli estintori, e di olio idraulico (v. sopra, nei capitoli citati): perché tutte le spese di Torino facevano capo ed erano coperte da Terni. Dati documentali che ben rappresentano la frequenza con la quale si interveniva, a Torino, sugli incendi e sui focolai; la scarsa manutenzione degli impianti di Torino; le lavorazioni e l'emergenza affidate a lavoratori non esperti; in breve, il degrado e l'abbandono in cui versava lo stabilimento di Torino.
PR. e PU. avevano certamente conoscenza dell'incendio avvenuto a Torino nel 2002 e della intervenuta condanna in primo grado (v. più volte citata); leggendo la motivazione di quella sentenza del 2004 ben emergevano le carenze strutturali di quello stabilimento, in materia in particolare di prevenzione antincendio; a prescindere dagli impianti installati sul sendzimir incendiatosi, la mancanza di ulteriori investimenti su Torino non poteva certamente avere migliorato quelle lacune strutturali, specificamente individuate già nella citata sentenza proprio nella carenza di installazioni automatiche di protezione antincendio.
I difensori degli imputati sottolineano il fatto che durante le riunioni del "board" non fosse mai stata assunta una decisione riguardante la "sicurezza sul lavoro" (sulla questione "decisioni" da parte del board v. il relativo capitolo); è vero, così è esaminando i verbali ritualmente tradotti; ma, senza qui sottolineare nuovamente come sia emerso nel presente dibattimento - da ogni documento e da ogni testimonianza - la scarsa attenzione e considerazione, da parte dei vertici e dei dirigenti THYSSEN KRUPP AST, per tale materia, si deve però ricordare (v. anche sopra) che proprio un verbale del "board", in data 28/8/2007, documenti non solo una "trattazione" di quella materia, ma addirittura un vero e proprio allarme lanciato da ES.: "Sicurezza sul lavoro. ES. terrà una conferenza stampa sulla sicurezza sul lavoro nei prossimi giorni. Recentemente ci sono stati diversi incidenti nell'area della TKL-AST. C'è un forte bisogno di migliorare la sicurezza sul lavoro di AST e dei suoi subappaltatori''. Considerando le modalità di verbalizzazione normalmente utilizzate (v. subito sopra), non vi è dubbio che un siffatto allarme, così verbalizzato, proveniente da ES., poco più di tre mesi prima del 6/12/2007, non possa che far ritenere l'effettiva conoscenza, anche da parte di PR. e di PU., delle condizioni di rischio in cui si trovavano i dipendenti e della urgente ed indispensabile necessità di provvedere con adeguate misure. Posizione in linea, tra l'altro, con il budget straordinario stanziato dalla STAINLESS e con le indicazioni che provenivano dal WGS (su questo v. sopra); oltre che con il già sopra citato articolo comparso sul sito aziendale nel luglio precedente sulla importanza della "prevenzione" antincendio (v. sopra).

Sulla frase contenuta nel verbale del "board" 28/8/2007 e sopra riportata nella traduzione eseguita dalla interprete della difesa (depositata all'udienza del 11/6/2010, v.), traduzione del tutto corrispondente a quella eseguita dalla interprete nominata da questa Corte (v. sopra, il testo letterale di quest'ultima è quello riportato nel paragrafo relativo al "board" nel capitolo relativo alle "posizioni di garanzia"), è necessario un breve inciso. L'interprete del Pubblico Ministero (v. traduzioni depositate alla stessa udienza) intitola lo stesso paragrafo "Vigilanza sull'attività" e precisa che "il termine nel testo originale 'security' è da intendersi come la sicurezza da terzi, ad es. per attentati o furti; in questa accezione non si riferisce al rischio dei lavoratori, ma dal contesto risulta inappropriato e fa presumere a un errore di traduzione dello scrivente"; può quindi, anche a fronte di tale precisazione, la Corte essere certa che nella riunione l'argomento fosse quello della "sicurezza sul lavoro"?
La Corte ritiene di sì; perché così ha tradotto l'interprete nominata dalla Corte, sotto il vincolo del prestato giuramento; perché così ha tradotto l'interprete della difesa degli imputati; perché non avrebbe senso logico, da parte di ES. che lo propone, prevedere una conferenza stampa su "furti o attentati" (o su altri "accidents" di questo genere), mentre, a fronte di "diversi incidenti" - sul lavoro - verificatisi nell'area TKL-AST "recentemente" (e che potevano aver avuto eco sui mezzi di informazione, anche locali) ben si comprende perché ES. volesse indire una conferenza stampa: per tutelare l'immagine dell'azienda, per rassicurare sugli interventi di prevenzione ecc.
Ma c'è anche un'altra considerazione che la Corte deve aggiungere; il titolo nel documento originale inglese è "work security"; in inglese "sicurezza sul lavoro" corrisponde a "safety and security at work"; espressione che, se si vuole abbreviare correttamente in quella lingua, è "work safety". Ma chi ha scritto il verbale del 28/8/2007 è PR. (v.); in tedesco - così come in italiano - vi è un unico termine che significa "sicurezza" (in entrambi i significati sopra ricordati dall'interprete del P.M.) ed è "Sicherheit"; così, appare del tutto naturale, per un tedesco - come per un italiano - abbreviare in "work security", il termine "sicurezza sul lavoro", ancor più in un documento "riservato" e privo di rilevanza esterna, come erano i "verbali del board"; con l'ulteriore osservazione che, per lo stesso motivo sopra indicato, per ES. come per PU. l'indicazione poteva apparire corretta perché corrispondente all'argomento trattato.

Tornando agli imputati PR. e PU., si deve ricordare che essi erano stati anche compiutamente informati appunto sull'incendio di Krefeld (v. sopra, capitolo 12; avvenuto, lo ricordiamo, proprio su di una linea di ricottura e decapaggio), come documentato dal verbale del "board" in data 22/6/2006 (v. sopra, capitolo 14; l'imputato PU., durante il suo esame, ha invece negato che si fosse mai parlato dell'incendio di Krefeld durante le riunioni del "board", v. udienza 21/10/2009, pag. 56 trascrizioni), nel quale si torna a parlare dello stabilimento di Torino: " ... per usare la capacità produttiva di Torino per supplire a quella di TKL NIROSTA": già solo in forza di tale ultima frase, possiamo con certezza affermare che anche PR. e PU. fossero informati che nello stabilimento di Torino operavano impianti "simili" a quelli distrutti dall'incendio alla NIROSTA di Krefeld: altrimenti lo stabilimento di Torino non avrebbe potuto essere utilizzato per "supplire" al fermo di produzione causato dall'incendio.
PR. e PU. conoscevano anche, compiutamente, la questione relativa alle nuove assicurazioni ed alle franchigie (v. capitolo 12): lo documenta il verbale del "board" in data 24/11/2006, in cui lo stesso verbalizzante KR. "ha presentato una panoramica della situazione attuale delle assicurazioni contro gli incendi e l'interruzione delle attività" (PU., durante il suo esame, nega anche di avere mai "saputo" delle problematiche assicurative dopo Krefeld; v. udienza 21/10/2009, pag. 56 trascrizioni: la sua risposta è: "assolutamente no"); si tratta, come già sappiamo, proprio del contratto "master" (che assicurava appunto il danno diretto da incendio sugli impianti e il danno derivante dal "fermo" di produzione). Ma non solo: nello stesso verbale viene "discusso il documento redatto da D. relativo al progetto di prevenzione incendi di LAC". Frase quest'ultima che, unita a quella sopra riportata del verbale 28/8/2007, se ce ne fosse ancora necessità, contraddice in radice ogni affermazione della difesa volta a sostenere che "mai" gli altri membri esecutivi del "board", PR. e PU., si erano "occupati" della materia antinfortunistica e della prevenzione antincendio; permette inoltre di affermare che PR. e PU. fossero informati - anche - dei rischi incendio presenti sulle linee di trattamento e della necessità di adottare, su tali linee, delle indispensabili misure di prevenzione e protezione.
PR. e PU. conoscevano anche il documento indicato al punto 8 (v. capitolo 12); si tratta infatti della "richiesta di autorizzazione agli investimenti di prevenzione incendi" per l'anno 2007/08 in cui, nella parte dedicata alla Linea 5 dello stabilimento di Torino (v. punto 5), si afferma che l'attrezzatura antincendio di quella linea "deve essere migliorata per adeguarsi alle indicazioni tecniche dell'assicurazione, del reparto locale dei vigili del fuoco e del WGS"; ricordiamo qui la corrispondenza e-mail intervenuta tra il 2 ed il 3 ottobre 2007 tra RE. e MO. (v., dettagliatamente, nel precedente paragrafo dedicato a MO.) da cui si trae inequivocabilmente che tale "richiesta" fosse da sottoporre al "board" di TK AST (v.: " ... il board sarà disponibile ad essere disturbato anche più volte"); e v. anche nel capitolo successivo sul contenuto di tale richiesta.

Dall'insieme di questi verbali e documenti apprendiamo che gli imputati PR. e PU. erano quindi "informati", "conoscevano" la situazione dello stabilimento di Torino e, soprattutto (la Corte usa per brevità il verbo "sapere": ma per molti punti sotto indicati la decisione, per sua natura, non poteva che essere stata assunta collegialmente):
-sapevano che per Torino negli ultimi anni non erano più stati previsti né effettuati investimenti, in particolare in materia di sicurezza sul lavoro e di prevenzione incendi;
-sapevano che pochi anni prima proprio a Torino era intervenuto un incendio devastante;
-sapevano che a Torino le condizioni di lavoro e gli stessi impianti erano oggetto di progressivo degrado;
-sapevano che, nonostante tali condizioni, la "dismissione" di quello stabilimento sarebbe avvenuta continuando la produzione, addirittura "incrementata" dopo il fermo di Krefeld; lo stesso imputato PU., durante il suo esame (v. udienza del 21/10/2009), riferisce di avere egli stesso provveduto ad analizzare la "dismissione" dello stabilimento sotto il profilo del "mercato", mentre PR. aveva compiuto analoga analisi sotto il profilo economico-finanziario ;
-sapevano dell'incendio di Krefeld, avvenuto proprio su di una linea di trattamento "analoga" agli impianti che operavano a Torino;
-sapevano della valutazione di estrema pericolosità - rischio incendi - proprio di quelle linee effettuata, per tutti gli stabilimenti del mondo, dalla nuova Compagnia di Assicurazione AXA, con il relativo innalzamento della franchigia;
-sapevano della necessità di attrezzare tali linee con dispositivi antincendio (v. il citato documento D.) per ridurre le franchigie ma anche - v. verbale 28/8/2007 - in considerazione della " ... forte necessità di migliorare la sicurezza sul lavoro".
Ma gli imputati PR. e PU. erano compiutamente informati anche dello stanziamento straordinario disposto dalla STAINLESS e relativo alla materia di "fire prevention" (v. sopra, nel capitolo 12); altro argomento, di per sé solo ed ancora di più unito agli altri sopra indicati, la cui importanza, sotto il profilo della "conoscenza" in capo agli imputati e, quindi, del profilo soggettivo della colpa cosciente, è stato sopra illustrato (v. capitolo 12) e deve essere qui interamente richiamato. In fatto, sulla effettiva conoscenza da parte di PR. e di PU. del "budget" straordinario e dei suoi scopi, appare qui sufficiente ribadire (v. capitolo 14) che proprio il "board" decideva come utilizzare in TK AST anche quell'investimento, - come vedremo ancora dettagliatamente infra, nel paragrafo dedicato ad ES. - come documentato dalle e-mail da RE. ad ES., PR. e MO. già indicate (v. capitolo 13).
L'imputato PU., durante il suo esame (v. udienza 21/10/2009), dopo avere sottolineato la "difficoltà" di traduzione dei verbali del "board" (non tale per gli interpreti, come abbiamo indicato sopra) ed avere ribadito il compito meramente "informativo" di tali riunioni (v. sopra, capitolo 13, su tale punto), ha vigorosamente negato che durante le riunioni del "board" si fosse mai parlato dell'incendio di Krefeld (e v. invece il verbale sopra indicato); ha vigorosamente negato di essere informato delle problematiche assicurative dopo quell'incendio; la sua risposta, alle domande sul punto, è: "assolutamente no" (e v. invece il verbale sopra citato); ha vigorosamente negato di essere informato delle iniziative in tema di "fire prevention" da parte della STAINLESS e perfino dell'esistenza del fondo straordinario stanziato per lo stesso tema dalla STAINLESS a favore - anche - della TK AST (v. sopra per questi punti e nel capitolo 13); ha vigorosamente negato che durante le riunioni del "board" si fosse mai parlato di sicurezza sul lavoro (e v. invece il verbale sopra citato); anche l'imputato PR. durante il suo esame (v. udienza 4/11/2009) ha riferito che il "board" aveva solo ed esclusivamente compiti "informativi" (ma v. capitolo 13); ha negato che si fosse discusso dell'incendio di Krefeld durante le riunioni del "board" (e v. invece il verbale citato); ha confermato di avere predisposto un'analisi economica relativa alla "dismissione" dello stabilimento di Torino; ha confermato di essere al corrente delle attività del WGS e dello stanziamento straordinario da parte della STAINLESS anche per TK AST in materia di "fire prevention", negando però non solo di partecipare - come membro del board - alle decisioni relative a tali investimenti, ma anche di conoscerle nel dettaglio (e v. quanto già esposto sopra e nel capitolo 13); entrambi poi hanno affermato di essere "datori di lavoro" (per l'esattezza, PU. ha prima affermato di non esserlo e solo successivamente di esserlo nei termini che seguono) limitatamente ai dipendenti addetti ai loro "settori" (v. capitolo 13 su questo punto). La Corte ritiene che quanto dagli imputati riferito durante il loro esame contrasti nettamente con gli elementi di prova -documentali e testimoniali - emersi nel presente processo, esposti qui, nel capitolo precedente e negli altri citati.

La Corte ritiene quindi che anche PR. e PU. possedessero un patrimonio di "conoscenza" tale da prefigurare, da "rappresentarsi" la concreta possibilità del verificarsi di un incendio e di un infortunio anche mortale sulla Linea 5 di Torino, analogo a quello verificatosi; sussiste inoltre il nesso di causalità tra la condotta omissiva da loro mantenuta - consistita, come contestato, nel non avere "sottolineato" l'esigenza di adottare le indispensabili misure, v. sopra - e l'evento in concreto verificatosi: il loro comportamento ha causalmente contribuito al fatto che nulla - nessuna misura antincendio -fosse stata apprestata. Sul nesso di causalità si deve qui ripetere quanto già esposto per gli imputati SA., CAF. e MO.: la Corte ha già esaminato, in dettaglio, nei relativi capitoli sopra citati e che qui si richiamano, il nesso di causalità materiale esistente tra le norme antinfortunistiche, la mancanza di misure ed apparecchiature antincendio e l'evento occorso il 6/12/2007. E così insegna la Corte Suprema, già riportata: " ... la considerazione che l'evento lesivo si verificò proprio perché quelle misure precauzionali, che se concretamente attuate avrebbero scongiurato, evidentemente, l'evento medesimo, non vennero poste in essere, per colpevole condotta omissiva dell'imputato ... rende anche priva di fondamento la censura relativa alla dedotta insussistenza del nesso di causalità" (così sentenza n. 19183/2006).
Come già si è esposto precedentemente per gli altri imputali, la Corte non pone in dubbio - e nessuno, durante il dibattimento, ha mai posto in dubbio - che anche PR. e PU. sperassero, nonostante la prevedibilità, la concreta previsione e la rappresentazione, anche da parte loro, dell'evento, che non "capitasse" nulla.
Si deve qui richiamare il concetto di "ragionevole" speranza già esposto nei precedenti paragrafi, (v. sentenza Corte di Cassazione n. 10411/2011, sopra); in capo a PR. ed a PU. tale "ragionevole" speranza non può che ravvisarsi nell'essersi essi "affidati" all'esperienza ed alla professionalità, in materia di produzione come di sicurezza sul lavoro, di ES.; "affidamento" che, se non costituisce scriminante alcuna rispetto ai doveri derivanti dalla loro posizione di garanzia (unita alla loro conoscenza, come sopra esposta), può invece considerarsi quale elemento psicologico sufficiente a ritenere che essi confidassero sul fatto che le proposte operative ed il "controllo" esercitato da ES. in qualche modo evitassero il verificarsi dell'evento previsto.

La Corte deve concludere ritenendo la responsabilità penale degli imputati PR. e PU. per i reati a loro ascritti sub D) ed E), con le aggravanti contestate.