Cassazione Penale, Sezione 4, 27 ottobre 2011, n. 38879 - Cantiere navale e morte per esposizione ad amianto



 


Responsabilità di due presidenti del Cda di una spa e del direttore di uno stabilimento della stessa società per la morte di un lavoratore conseguita a mesotelioma pleurico maligno contratto per effetto dell'esposizione ad amianto presente nel cantiere navale nel quale prestava servizio.

Il Tribunale di GORIZIA dichiarava non luogo a procedere, ex articolo 425 c.p.p., comma 3 nei confronti dei tre imputati "per non aver commesso il fatto".

Avverso la sentenza propone appello il Procuratore della Repubblica di Trieste invocando, in riforma, il rinvio a giudizio degli imputati dinanzi al Tribunale - La Corte d'appello di Trieste con ordinanza in data 15 ottobre 2008 rimetteva gli atti a questa Corte ai sensi dell'articolo 568 c.p.p., comma, ritenuta, ex articolo 428 c.p.p., l'inappellabilità della sentenza emessa dal GIP, ex articolo 425 c.p.p..

La Corte Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Gorizia.

Le proposte doglianze del Procuratore della Repubblica appaiono fondate, risultando la sentenza impugnata effettivamente affetta dai denunziati vizi motivazionali e di inosservanza od erronea delle disposizioni processuali indicate nell'atto di gravame.


 





REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE


SEZIONE QUARTA PENALE



Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:


Dott. MARZANO Francese - Presidente


Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere


Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere


Dott. MARINELLI Felicett - Consigliere


Dott. VITELLI CASELLA Lue - rel. Consigliere


ha pronunciato la seguente:


SENTENZA




sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI TRIESTE;

nei confronti di:
1) TU. GI. , N. IL (Omissis);
2) FA. VI. , N. IL (Omissis);
3) LI. MA. , N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 126/2005 GIP TRIBUNALE di GORIZIA, del 10/10/2006;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA VITELLI CASELLA;

sentite le conclusioni del PG Dott. D'Ambrosio Vito, che ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata;


uditi i difensori Cassoni D. (in difesa dell'imputata TU. e dell'imputato Fa. ) che ha concluso per il rigetto del ricorso.


Fatto


Con sentenza emessa in data 10 ottobre 2006, il GIP del Tribunale di GORIZIA dichiarava non luogo a procedere, ex articolo 425 c.p.p., comma 3 "per non aver commesso il fatto" nei confronti di: TU. Gi. , FA. Vi. e LI. Ma. - imputati del delitto di cui all'articolo 589 c.p., commi 1 e 2, articolo 41 c.p., in qualità - i primi due - di presidenti del Consiglio di amministrazione della It. s.p.a.; - il terzo - di direttore dello stabilimento di (Omissis) della stessa società - nel cui cantiere il lavoratore dipendente Od.Sa. aveva prestato servizio con mansioni diverse, restando esposto alle polveri di amianto - per averne cagionato la morte per colpa generica e specifica (stante l'omessa adozione delle misure prescritte dalla normativa vigente a tutela della salute dei lavoratori, al fine di preservare o di contenere i rischi derivanti dall'inalazione di polveri di amianto) conseguita a mesotelioma pleurico maligno contratto per effetto della suddetta esposizione all'amianto.

Evento sopravvenuto in (Omissis).

Osservava il GIP che, attesa l'insufficienza o la contraddittorietà del materiale indiziario raccolto, non era possibile sostenere l'accusa in dibattimento. Ed invero,pur essendo pacifico che il dipendente era deceduto per un patologia derivata dall'inalazione di fibre di amianto, non era però rimasto accertato che gli ambienti di lavoro dei cantieri navali di (Omissis) - nei quali l' Od. aveva prestato servizio per lungo periodo - fossero effettivamente saturi di dette fibre di amianto e che il lavoratore fosse stato effettivamente esposto a detta sostanza, otre i limiti fissati dalla legge sì da potersi configurare una responsabilità colposa dei prevenuti. E neppure si era acclarato, secondo il Giudice di prime cure, se l'operaio avesse contratto la patologia esclusivamente all'interno del cantiere e non piuttosto svolgendo attività di lavoro alle dipendenze di società diverse, non operanti nei cantieri navali ovvero se lo stesso fosse venuto a contatto con l'amianto in luoghi diversi dall'ambiente di lavoro.

Inoltre rimarcava il GIP che nessuno degli imputati risultava aver ricoperto posizioni direttive od apicali all'interno delle società succedutesi nella gestione dei cantieri navali di (Omissis), tra il 1940 ed il 1950 ovvero nel periodo in cui - soprattutto negli anni dal 1940 al 1942 - aveva avuto luogo, secondo quanto chiarito dal perito medico - legale, l'esposizione oncogena da ritenersi causativa della grave malattia contratta dal lavoratore.

Avverso la sentenza propone appello il Procuratore della Repubblica di Trieste invocando, in riforma, il rinvio a giudizio degli imputati dinanzi al Tribunale.

A confutazione degli assunti del GIP, espone l'appellante che era fatto notorio l'impiego dell'amianto - almeno fino ai primi anni novanta - nei cantieri navali di (Omissis) in numerose applicazioni, trattandosi di materiale a basso costo e molto versatile, per la sua resistenza al fuoco, per le caratteristiche di fono -assorbenza e di termoisolamento. Sulla base poi degli accertamenti compiuti dall'ispettore del lavoro Ia. e dal consulente del P.M. dr. Ba. era altresì emerso, da un lato, che tutte le varie occupazioni svolte dalla vittima dagli anni quaranta fino agli anni settanta avevano comportato il rischio di esposizione anche indiretta, alle polveri di amianto per aver egli lavorato in ambienti ove altri operai eseguivano lavorazioni con materiali amiantiferi e, dall'altro, che doveva riconoscersi la causalità professionale del mesotelioma pleurico contratto da Od. Sa. per effetto dell'esposizione quotidiana e prolungata alle fibre di amianto; ciò in particolare nel periodo compreso tra il 1967 ed il 1984, nel quale i tre imputati avevano rivestito le cariche indicate in rubrica. Sottolinea altresì l'appellante che, se il periodo medio di latenza della patologia neoplastica corrisponde di regola a 30/35 anni (come peraltro affermato in sentenza), il periodo di esposizione oncogena: causa dell'insorgenza della malattia stessa, non avrebbe potuto collocarsi tra il 1940 ed il 1950 (e soprattutto nel biennio 1940 e 1942, come contraddittoriamente sostenuto dal GIP) ma invece negli anni sessanta - stante l'epoca di manifestazione del mesotelioma avvenuta nel 1995 - e quindi in perfetta compatibilità con i periodo preso in considerazione dal capo di imputazione.

A configurare infine la c.d. colpa specifica, contestata agli imputati sotto il profilo dell'inosservanza delle specifiche disposizioni volte ad impedire la inalazione di polveri d'amianto per i lavoratori, evidenzia il Procuratore Generale che la normativa di protezione dal rischio dell'esposizione all'amianto era stata introdotta dal Decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, articolo 21 ed era già in vigore all'epoca in cui i tre imputati ricoprivano le posizioni apicali indicate in rubrica. Conclusivamente, pertanto, secondo l'appellante, sia in relazione al nesso di causalità che alle plurime omissioni colpose ascritte ai prevenuti, sussistevano elementi idonei a sostenere l'accusa in dibattimento.

La Corte d'appello di Trieste con ordinanza in data 15 ottobre 2008 rimetteva gli atti a questa Corte à sensi dell'articolo 568 c.p.p., comma, ritenuta, ex articolo 428 c.p.p., l'inappellabilità della sentenza emessa dal GIP, ex articolo 425 c.p.p..

 

Diritto

 



Giova premettere che l'udienza preliminare ha natura prevalentemente processuale essendo finalizzata, nonostante l'intervenuto ampliamento dei poteri officiosi attribuiti al giudice in materia di prova, ad evitare dibattimenti inutili anzichè ad accertare la colpevolezza o l'innocenza dell'imputato. Ciò è desumibile anche dalla lettera dell'articolo 425 c.p.p., comma 3 ove è stabilito che il giudice pronunzia "sentenza di non luogo a procedere" anche quando gli elementi acquisiti risultano "insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l'accusa in giudizio": per l'effetto il giudice, contemperando l'obbligo dell'esercizio dell'azione penale (articolo 112 Cost.) con i criteri di economia processuale prescritti dall'articolo 111 Cost. deve disporre per l'ulteriore corso processuale anche se si trova in presenza di elementi probatori insufficienti o contraddittori i quali però risultino destinati, con ragionevole previsione, ad essere chiariti ed integrati in dibattimento. La pronunzia della sentenza di non luogo a procedere deve quindi ritenersi legittima nel solo caso in cui ricorra una situazione di innocenza dell'imputato tale da apparire non superabile in dibattimento dall'acquisizione di nuovi elementi di prova o da una possibile diversa valutazione del compendio probatorio già acquisito; e ciò anche quando, come prevede espressamente l'articolo 425 c.p.p., comma 3, "gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contradditori o comunque non idonei a sostenere l'accusa in giudizio". Siffatta disposizione altro non è se non la conferma che il criterio di valutazione per il giudice dell'udienza preliminare non è l'innocenza, bensì - pur in presenza di elementi probatori insufficienti o contraddittori (sempre che appaiano destinati, con ragionevole previsione, a rimanere tali nell'eventualità del dibattimento) - l'impossibilità di sostenere l'accusa in giudizio (cfr. Sez 5 n. 22864 del 2009; Sez. 4 n.13163 del 2008; Sez. 4 n.47169 del 2007; Sez. 2 n. 35178 del 2008 ). Ergo, secondo il consolidato indirizzo interpretativo delineatosi nella giurisprudenza di questa Corte, circa la portata normativa dell'articolo 425 c.p.p., comma 3 nel testo modificato dalla Legge 16 dicembre 1999, n. 479, articolo 23, comma 1, "l'insufficienza o la contraddittorietà delle fonti di prova a carico degli imputati ha quale parametro la prognosi dell'inutilità del dibattimento, sicchè correttamente deve essere escluso il proscioglimento in tutti i casi in cui tali fonti di prova si prestino a soluzioni alternative e aperte" (cfr.Sez. 6, n45275 del 2001).

Tutto ciò premesso, non ritiene il Collegio che il Giudice di prime cure si sia attenuto ai principi ed alla regola di giudizio fin qui richiamati.

Come rilevato dal Procuratore Generale con il proposto gravame, il GIP ha motivato la pronunzia di proscioglimento adottata, rimarcando che:

1. pur non potendosi dubitare che la grave affezione che ebbe a condurre a morte il lavoratore era derivata dall'inalazione di fibre di amianto, non era certo che una siffatta perniciosa esposizione fosse avvenuta all'interno dei Cantieri navali di (Omissis) e che comunque, anche se ciò fosse stato acclarato, non si era accertato se detta esposizione avesse superato i limiti di legge;

2. Il lavoratore poi deceduto avrebbe potuto contrarre la patologia (mesotelioma pleurico) anche al di fuori dell'ambiente di lavoro;

3. non avrebbe potuto affermarsi la colpevolezza degli imputati in quanto, come accertato dal consulente del P.M., l'esposizione oncogena, determinativa della malattia avrebbe dovuto collocarsi negli anni dal 1940 al 1950 - e soprattutto negli anni dal 1940 al 1942 - durante il lavoro prestato ai suddetti cantieri e quindi in periodi in cui nessuno degli imputati aveva rivestito posti apicali nell'organigramma delle società di gestione degli stessi.

Le proposte doglianze appaiono fondate, risultando la sentenza impugnata effettivamente affetta dai denunziati vizi motivazionali e di inosservanza od erronea delle disposizioni processuali indicate nell'atto di gravame. Come rilevato dal Procuratore Generale, la motivazione della sentenza è priva di qualsivoglia accenno (anche a titolo di mera confutazione ) a quanto accertato dall'isp. del lavoro Ia.Gi. (di cui da conto, la relazione in data 30 marzo 1999). Questi, fermo il fatto notorio dell'impiego dell'amianto, fino ai primi anni novanta del secolo trascorso, nelle lavorazioni cantieristiche prima dell'entrata in vigore del Decreto Legislativo 15 agosto 1991, n. 277 (come peraltro riconosciuto dallo stesso GIP) aveva concluso per la sussistenza del nesso di causalità materiale fra attività lavorativa prestata dall' Od. e la malattia da questi contratta. Il lavoratore infatti nello svolgimento di tutte la mansioni espletate tra il 1940 ed il 1970 (e quindi anche all'interno dei Cantieri navali di (Omissis)) era stato esposto al rischio dell'esposizione a polveri ed a fibre di amianto, rientrando nella più assoluta normalità che il predetto, anche se non direttamente addetto ad usare amianto, fosse stato esposto all'inalazione delle fibre di tale minerale negli stessi ambienti di lavoro ove altri operai erano intenti ad impiegare materiali amiantiferi nell'esecuzione delle più diverse mansioni (in particolare negli interventi di coibentazione).

Nè il GIP ha preso in considerazione il parere espresso dal consulente del P.M. che aveva individuato la causa professionale della patologia neoplastica contratta dall' Od. , avendo la letteratura scientifica, da tempo messo in relazione l'esposizione prolungata alle fibre d'amianto in taluni ambienti lavorativi (massime i cantieri navali fino a circa vent'anni orsono) con l'insorgenza del mesotelioma pleurico che invece, secondo il dato statistico, assai raramente colpiva e colpisce chi non ha avuto occasione di venire a contatto con l'amianto. Inoltre il GIP, cadendo in evidente contraddizione con quanto evidenziato in altro passo della motivazione della stessa sentenza ove aveva fatto proprio (fgl. 5) il parere espresso dal consulente medico - legale del P.M., aveva escluso che potesse farsi risalire alla responsabilità di taluno degli imputati l'omessa adozione delle misure a tutela della salute del lavoratore esposto alle fibre di amianto attesochè i tre imputati avevano rivestito le posizioni apicali indicate, nel periodo tra il 1967 ed il 1984. Ha invece ritenuto il Giudice di prime cure che il periodo di esposizione oncogena, con effetti causativi della patologia dovesse collocarsi negli anni compresi tra 1940 ed il 1950, con maggior incidenza della esposizione negli anni compresi tra il 1940 ed il 1942.

Invero, come sottolineato dal Procuratore Generale, proprio sulla scorta del parere espresso dal consulente medico - legale, la patologia resterebbe di regola latente per un periodo di 30 -35 anni. Sicchè, posta la manifestazione conclamata della malattia risalente al 1995, l'esposizione oncogena - della stessa determinativa - avrebbe dovuto farsi retroagire agli anni 1960: periodo quindi rilevante agli effetti degli addebiti contestati agli attuali imputati. In ogni caso, ai fini dell'acquisizione di ulteriori elementi di convincimento necessari alla verifica della sussistenza del nesso di causa e della compiuta valutazione degli stessi (a tanto non potendo che provvedersi in dibattimento), va detto che la giurisprudenza di questa Corte, elaborata sulla scorta delle ulteriori acquisizioni della letteratura scientifica sul tema, ha ravvisato nella prolungata esposizione alle fibre di amianto, anche se risalente a periodo anteriore all'assunzione della diretta responsabilità dell'azienda dell'imputato, (quantomeno alla stregua di concausa) un incontestabile influenza sullo sviluppo della patologia tumorale, sulla proliferazione cellulare nonchè sullo stato di latenza della malattia già esistente o sull'insorgenza della malattia ancora non esistente; ciò con riferimento specifico al mesotelioma pleurico, non potendo considerarsi comunque priva di rilevanza, ai fini di una precoce (e quindi maggiormente pregiudizievole) produzione dell'evento un'esposizione all'amianto non adeguatamente " protetta", protrattasi peraltro per un dato periodo sì da ridurre i tempi di latenza della patologia in caso di patologie già insorte (cfr. Sez 4 n. 37432 del 2003; Sez. 4 n. 988 del 2003; cfr. Sez. 4 n. 39393 del 2005).

Mette conto infine di rilevare che, con un'ancor più recente pronunzia, la Sezione 4 di questa stessa Corte (sentenza n. 43786 del 2010), riesaminando funditus la questione di rilievo centrale in siffatti procedimenti penali, dell'accertamento del nesso di causalità tra le violazioni antinfortunistiche, ascrivibili al datore di lavoro e l'evento - morte - dovuta a mesotelioma pleurico - di un lavoratore reiterata mente esposto all'amianto durante la prestazione professionale resa all'interno di un'officina ferroviaria, ha in particolare posto l'accento sull'"effetto acceleratore della protrazione dell'esposizione all'amianto, dopo l'iniziazione del processo cancerogenetico" da sottoporre a necessaria verifica alla stregua di una legge scientifica universale ovvero solo probabilistica, essendo ineludibile, in tale caso, accertare se "l'effetto acceleratore si sia determinato nel caso concreto alla luce di definitive e significative acquisizioni fattuali". è evidente che la sede propria di siffatti approfondimenti di ordine scientifico e medico - legale non può che essere il dibattimento.

Nè pare infine possa dubitarsi dell'astratta configurabilità di profili anche di colpa specifica (cosiccome contestati agli imputati e da rimettere, anch'essi, correttamente al vaglio critico dibattimentale) posto che, anche prima dell'entrata in vigore della speciale normativa di cui al Decreto Legislativo n. 277 del 1991, la disciplina dell'igiene sul lavoro dettata dalla speciale normativa in vigore a partire dagli anni 1956 e 1965, volta a salvaguardare la salute dei lavoratori dal rischio di contrarre l'asbestosi (malattia professionale determinata dal contatto con l'amianto) disciplinava ed indicava (come peraltro riportato nel capo di imputazione) le cautele da adottare doverosamente negli ambienti di lavoro al fine di contrastare o contenere la dispersione dell'amianto quali: impianti di aspirazione; l'uso di mezzi di protezione individuali come guanti e mascherine, essendo già nota la nocività dell'amianto per la salute.

Concludendo deve osservarsi che le risultanze acquisite (oltre a quant'altro emerso in esito alla fase delle indagini preliminari e non considerato nella sentenza impugnata) avevano offerto al GIP precisi elementi di valutazione in presenza dei quali non poteva certo escludersi una ulteriore evoluzione probatoria nel giudizio, magari alla luce e sulla scorta di più approfonditi accertamenti peritali, se del caso di natura collegiale non valendo gli elementi già in atti, anche desumibili dagli accertamenti eseguiti dal consulente del P.M., ad accreditare una valutazione prognostica (in termini di ragionevole prevedibilità) di superfluità dell'ulteriore verifica del giudizio, giustificabile solo, giova ribadirlo, in presenza di un compendio probatorio da considerarsi irrimediabilmente statico ed insuscettibile di evoluzione.

La sentenza deve essere pertanto annullata con rinvio al Tribunale di Gorizia che si atterrà ai principi sopraindicati.

 

P.Q.M.


Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Gorizia.