Cassazione Penale, Sez. 4, 07 luglio 2011, n. 26660 - Crollo di un muro nell'ambito di opere di edilizia scolastica: responsabilità dell'ingegnere collaudatore


 

Omicidio colposo per il crollo di un muro costruito nell'ambito di opere di edilizia scolastica: il minore G.P., colpito alla testa ed al corpo da blocchi di muratura caduti a seguito del ribaltamento del muro in questione, decedeva in conseguenza delle lesioni riportate.

"In tema di violazione della L. 5 novembre 1971, n. 1086, sulla disciplina delle opere in conglomerato cementizio armato, ... al fine di affermare la responsabilità di un soggetto occorre verificare che questi abbia assunto una delle qualità proprie prese in considerazione dalla norma incriminatrice, ovvero di committente, costruttore, direttore dei lavori o collaudatore, atteso che alla semplice qualità di proprietario non può connettersi un generale dovere di controllo dalla cui violazione derivi una responsabilità penale prescindendo dalla concreta situazione in cui viene svolta l'attività incriminata. E sicuramente, per il caso di specie, i giudici di merito hanno evidenziato che la omessa rilevazione da parte dell'ingegnere collaudatore della difettosa costruzione dell'opera ha determinato, in una alla condotta del costruttore, il crollo della stessa".



 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARZANO Francesco - Presidente -
Dott. D'ISA Claudio - rel. Consigliere -
Dott. IZZO Fausto - Consigliere -
Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere -
Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
1) C.P. N. IL (Omissis);
2) F.E. N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 1537/2008 CORTE APPELLO di CATANZARO, del 04/06/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/05/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. CLAUDIO D'ISA;
udito il P.G. in persona del Dott. GIALANELLA Antonio che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udito, per la parte civile, l'avv. MENDICINO Ortensio che chiede dichiararsi l'inammissibilità o il rigetto dei ricorsi;
udito il difensore avv. MURONE Monio, difensore del C. che chiede l'accoglimento del ricorso per F. è presente l'avv. VENEZIANO Nicola che chiede l'accoglimento del ricorso al giudice  (Ndr: testo originale non comprensibile) del Gup di Lamezia Terme nei confronti di altro imputato per lo stesso fatto.

 

 

Fatto


C.P. e F.E. ricorrono in cassazione avverso la sentenza, in data 4.06.2010, della Corte di Appello di Catanzaro di conferma della sentenza di condanna, emessa il 7.02.2008 nei loro confronti dal GUP presso il Tribunale di Lamezia Terme in ordine al delitto di omicidio colposo.
Gli imputati erano stati oggetto di richiesta di rinvio a giudizio perchè (unitamente a M., T. e L., rispettivamente, i primi due, progettisti e direttori dei lavori ed il terzo quale coordinatore per la progettazione e l'esecuzione, a carico dei quali si è proceduto a parte con rito abbreviato condizionato) il C., quale collaudatore, ed il F., quale rappresentante e titolare dell'impresa esecutrice, per colpa - consistita in negligenza ed imperizia nella progettazione, costruzione e collaudo del muro in blocchi di calcestruzzo prevista nella "perizia di variante tecnica e suppletiva" relativa alle opere di edilizia scolastica realizzate nell'Istituto Comprensivo M. Manfredi di San Mango d'Aquino - cagionavano la morte del minore G.P., che, colpito alla testa ed al corpo da blocchi di muratura caduti a seguito del ribaltamento del muro in questione, decedeva in conseguenza delle lesioni riportate; si individuava la condotta colposa, in rapporto all'avvenuto crollo, nella omessa realizzazione di pilastrino in c.a. da un lato, e nella mancanza di adeguata giuntura con la parete strutturale dell'edificio scolastico dall'altro, necessari ad assicurare adeguato sostegno al muro crollato, nonchè nella mancanza di idonea connessione tra la base del muro ed il piano di appoggio. La diversificazione delle condotte colpose ascritte agli imputati è inerente al loro specifico ruolo.


Il F., quale esecutore materiale del muro, avrebbe dovuto realizzare le indicate opere che lo avrebbero reso sicuro anche se oggetto di sollecitazioni interne, il C., quale collaudatore, avrebbe dovuto rilevare le deficienze strutturali del muro.
Per una migliore comprensione dei motivi posti a base dei ricorsi odierni è opportuno evidenziare che i giudici del merito, oltre a ritenere concretizzatesi le condotte colpose ascritte ai ricorrenti, hanno evidenziato che la causa ultima del crollo del muro sia stata determinata dall'azione di tre ragazzi, B.F., M.F. e G.P.. In particolare, sulla base delle dichiarazioni del B. e sulla scorta della relazione tecnica redatta dall'ausiliario di P.G. Ing. D.F., il fatto è stato così ricostruito: all'esterno di un locale, posto sul lato posteriore della scuola materna ove è collocato il bruciatore della caldaia, il G. avrebbe iniziato a spingerne una parete verso l'interno, a loro volta il B. ed il M., che si trovavano nel locale, avrebbero iniziato ad esercitare una spinta contraria, che subito dopo determinava il crollo della parete addosso al G..
 

Con un primo motivo il C. denuncia:
violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), d) ed e), in relazione agli artt. 63 e 125 c.p.p., art. 192 c.p.p., comma 1, art. 348 c.p.p., art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e) e art. 603 c.p.p., poichè la sentenza gravata di ricorso, mediante argomentare mancante ed illogico, solo apparentemente ha indicato le ragioni che avrebbero indotto il medesimo giudice a non disporre la rinnovazione della istruttoria dibattimentale in appello, e gli elementi di fatto e di diritto su cui si fonda la motivazione; e, comunque, ha operato una ricostruzione dei fatti basata su prove inutilizzabili, frammentarie e parziali, che non tiene conto delle considerazioni svolte dalla difesa nell'atto di appello e della rappresentazione degli elementi probatori effettuata dalle parti processuali, incorrendo in nullità per omessa motivazione, e travisamento del fatto.
 

In particolare:
a) si eccepisce la inconciliabilità dei fatti posti a fondamento della sentenza di condanna con quelli accertati in altro procedimento penale che ha interessato i coimputati del ricorrente. In fatto si precisa che la sentenza di primo grado è stata emessa in data 7.02.2008, ed in data 3.03.2008, nel corso del procedimento a carico dei coimputati M., T. e L., a suo tempo oggetto di separazione, è stata depositata una consulenza tecnica, redatta dall'ing. A.A., disposta d'ufficio dallo stesso GUP. La relazione di questa perizia è stata prodotta in sede di appello all'udienza del 4.06.2010.
Ciò premesso e, richiamando principi giurisprudenziali di prevenzione del conflitto di giudicati affermati da questa Corte in tema di revisione, a norma dell'art. 630, comma 1, lett. a) (Sez. 1A sentenza n. 12595 dell'1.12.1998) secondo cui è sottesa alla realizzazione dell'ordinamento l'esigenza di evitare che si realizzino situazioni di palese difformità tra differenti provvedimenti giurisdizionali non ancora definitivi, si evidenzia che nel caso di specie i due procedimenti, promananti da un unico originario procedimento, separato a seguito delle scelte sul rito effettuate dalle parti, riguardano la medesima imputazione di concorso in omicidio colposo, le quali hanno come dato comune un contesto spazio-temporale unico o strettamente consequenziale, di modo che la ricorrenza delle diverse, precedenti ed anche successive, condotte integrative del reato è identica.
Ebbene, si rileva che la perizia disposta d'ufficio dal GUP, la cui acquisizione è stata richiesta alla Corte d'Appello in sede di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, giunge a conclusioni opposte a quella redatta dall'ausiliario di P.G. e posta a base dell'affermazione di responsabilità del C., sia in primo che in secondo grado. Si rileva che, secondo la relazione dell'ing. D., si ritiene che gli imputati avrebbero concorso nella causazione dell'evento "per colpa consistita in negligenza ed imperizia nella progettazione, nell'esecuzione e collaudo del muro di calcestruzzo", secondo la relazione dell'ing. A., proprio rispetto a quelle condotte, considerate inesistenti e che nell'errato collaudo avrebbero trovato il loro momento terminativo, si ritiene espressamente non configurabile una responsabilità del collaudatore.
Quindi, il ricorrente, dopo aver riportato copiosa giurisprudenza di questa Corte in tema di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale e, poi, in ordine alla possibilità di aversi acquisizione in appello dell'atto di cui si è chiesta la produzione, anche affrontando la problematica di effettuarla con riferimento ad un procedimento celebratosi con il rito abbreviato, evidenzia che le prove di cui si chiede l'acquisizione, oltre ad essere rilevanti, non possono ritenersi sicuramente superflue, giacchè si tratta di documenti che, anche in ragione della loro sopravvenienza rispetto all'accertamento del giudice di primo grado, incidono direttamente sull'accertamento compiuto dalla sentenza oggetto del ricorso, con evidente rilevanza rispetto a tutte le altre prove acquisite, che non hanno toccato il tema oggetto di dimostrazione con l'atto di cui si è chiesta l'acquisizione.
La sentenza impugnata, si argomenta, si è limitata, per altro in modo laconico, ad affermare che "appaiono ininfluenti le notazioni ed i dati tecnici prospettati nella memoria difensiva depositata da C.P. anche con riferimento alla descrizione dei luoghi", non tenendo conto che la perizia disposta dal GUP nel procedimento separato, ed allegata alla memoria difensiva, conteneva affermazioni contrastanti con le conclusioni cui era pervenuta la consulenza disposta su iniziativa della polizia giudiziaria. La Corte d'appello, con riferimento alla posizione del C., ha completamente omesso di prendere in considerazione dei dati di fatto certamente rilevanti ai fini della decisione e ne ha piegati altri in maniera argomentativa strumentale alla affermazione della penale responsabilità del ricorrente.


b) Assoluta inutilizzabilità di tutte le dichiarazioni rese dal B.F. e dal M.F., ai sensi dell'art. 63 c.p.p., comma 2, per essere state tali dichiarazioni assunte senza l'assistenza del difensore, pur emergendo dalle medesime una loro responsabilità rispetto ai fatti oggetto dell'indagine.
Dagli stessi elementi indicati in sentenza emerge con evidenza la sussistenza di elementi indiziari a carico del B. e del M. in ordine allo stesso reato, oggetto del procedimento;
gli indizi di reità erano tali che i fatti non potevano formare oggetto di ulteriori indagini se non postulando necessariamente l'esistenza di responsabilità penali a carico dei dichiaranti, in quanto, senza il loro comportamento, contrario alla legge, l'evento non si sarebbe verificato; ciononostante, gli stessi sono stati sentiti dalla P.G. senza alcuna garanzia difensiva. Trattasi di inutilizzabilità erga omnes in quanto si cade nell'ipotesi prevista dall'art. 63 c.p.p., comma 2. Appare evidente, per il ricorrente, ad una lettura della sentenza impugnata, come i giudici del merito abbiano fondato la ricostruzione dei fatti esclusivamente su una valutazione delle contrastanti dichiarazioni dei "testimoni" indicati, di modo che la concreta inutilizzabilità dello loro dichiarazioni rende impossibile ogni valutazione sulla vicenda de qua.
 

c) Assoluta inutilizzabilità della relazione tecnica redatta dall'ausiliario della P.G. e disposta dopo la comunicazione al pubblico ministero della notizia di reato. La consulenza tecnica dell'ing. D. fonda le sue considerazioni sulla base delle dichiarazioni rese dal B. e dal M., presenti ai fatti e senza il cui contributo causale l'evento non si sarebbe verificato, tant'è che la sentenza impugnata evidenzia che "in tale quadro, l'affermazione di penale responsabilità si fonda, pertanto, sulle risultanze di natura investigativa, dichiarativa e tecnica congruamente saldate". Altra ragione che rende la consulenza dell'ing. D. inutilizzabile è che essa è stata disposta dalla P.G. nel momento in cui il P.M. aveva assunto la direzione delle indagini, e, quindi, disposta dalla polizia giudiziaria in evidente carenza di potere. Si richiama sul punto in giurisprudenza di questa Corte, laddove, pur affermandosi "l'autonomia investigativa" della P.G., anche dopo l'intervento del P.M. potendosi avvalere di "persone idonee" quando compie atti ed operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, ma proprio la diversità terminologica utilizzata dal legislatore deve far ritenere non praticabile in tale sede il conferimento di un incarico di consulenza tecnica in senso stretto, quale quello conferito all'ing. D..
Non v'è alcun dubbio che trattasi di consulenza tecnica e non di ausilio alle indagini, per altro è la stessa Corte territoriale ad affermarlo, ancorchè il medesimo atto venga indicato dall'Ing. D. come redatto "nella veste di ausiliario di P.G.", l'incarico era conferibile esclusivamente dal P.M. a norma dell'art. 359 cod. proc. pen. dimissione di motivazione nella affermazione della penale responsabilità del ricorrente.

Motivazione manifestamente illogica e contraddittoria.

La Corte afferma di riportarsi alle valutazioni del primo giudice, in ordine all'acquisito materiale probatorio, ritenute convincenti non rendendosi conto che il GUP mai avrebbe potuto valutare la consulenza dell'ing. A. in quanto questa fu depositata nell'altro giudizio dopo l'emanazione della sentenza di primo grado. Ma, a parte l'analisi di tale perizia, si adduce che la Corte, a fronte di specifiche doglianze proposte dalla difesa avverso la sentenza di primo grado, si limita ad affermare che "il primo giudice dopo aver ripercorso le dichiarazioni rese...ha in dettaglio richiamato i dati della consulenza tecnica redatta dall'ing. D. in ordine ai difetti strutturali del muro che ne avevano compromesso la stabilità ed agli accorgimenti tecnici che, ove adottati, avrebbero reso il muro più stabile, diminuendone il pericolo di crollo". La Corte distrettuale non tiene in alcun conto le osservazioni della difesa circa l'opera di smantellamento del muro attuata dai tre ragazzi anche mediante strumenti (spranghe di ferro e tubo metallico) rinvenuti sul posto all'esito del sopralluogo dei CC, che ne danno atto nel relativo verbale, ed è stato rilevato anche un segno di rottura della malta cementizia, proprio nel punto di appoggio, compatibile con un'attività di leva dai ragazzi per far cadere il muro. La Corte liquida l'osservazione affermando che si tratta di questioni già affrontate dal primo giudice e che le deduzioni circa l'uso di strumenti provengono dal geom. T. ritenuto non attendibile. I ragazzi, assunti come testimoni, che hanno escluso l'uso di strumenti, non solo sono inattendibili, perchè interessati a dare una diversa versione dei fatti ed in contraddizione tra di loro, ma soprattutto la sentenza ha omesso di indicare quale fosse l'interesse perseguito dal T. nel rendere una costruzione favorevole agli imputati e con quale supporto scientifico la stessa si riscontra.
Ad un raffronto tra l'impugnato provvedimento ed i fatti rappresentati nell'impugnazione e nella memoria difensiva, con allegati documenti, avverso la sentenza di primo grado, emerge chiaramente come la sentenza non abbia tenuto in alcuna considerazione gli elementi rappresentati dalla difesa, il cui esame avrebbe consentito di pervenire a differente conclusione in ordine all'affermazione di responsabilità del C.. La Corte è incorsa nel travisamento del fatto.


Con un secondo motivo si denuncia violazione di legge con riferimento agli artt. 110 e 589 cod. pen.. La perizia disposta dal GUP, nell'ambito del procedimento proseguito con rito abbreviato condizionato, prodotta in appello, afferma che "per quanto concerne il collaudatore, ritengo che alla sua figura non possano essere imputate responsabilità di sorta, enumerando quali sono i compiti che la legge impone al collaudatore, con esclusione di quello di entrare nel merito delle scelte tecniche legittimamente operate dai progettisti che, invece, sono oggetto della contestazione e della condanna".


F.E. con un primo motivo deduce violazione di legge con riferimento alla ammissione, quali parti civili, di G.A. e Ga.Ro. e di G.S. e g.r..
 

Quanto ai primi due, l'inammissibilità della loro costituzione a p.c. era stata sollevata in primo grado e posta base dei motivi di appello, ma la Corte ha ritenuto di condividere l'ordinanza del 27.09.2007 del GUP di rigetto della relativa eccezione. La costituzione di G.A. e Ga.Ro. non andava ammessa per difetto di procura speciale al difensore di fiducia in quanto rilasciata con atto diverso dalla costituzione ed a nulla valendo a sanare la dedotta nullità, diversamente da come opinano i giudici del merito, la presenza in aula delle predette persone offese. Quanto alla inammissibilità della costituzione di G.S. (fratello della vittima) e g.r. (nonna della vittima), eccezione sollevata in primo grado ed oggetto dei motivi di appello, si deduce che la costituzione di parte civile non poteva essere più ammessa all'udienza del 18.10.2007 per intempestività delle stesse, essendo la costituzione avvenuta dopo la presentazione della richiesta di rito abbreviato semplice, avanzata dal F. e, quindi, non all'udienza preliminare, come prescritto dall'art. 79 c.p.p., bensì in una fase avanzata di essa, quando ormai non era più possibile la dichiarazione di apertura della discussione ex art. 421 c.p.p. che segna il limite temporale massimo. Si argomenta che con la richiesta non revocabile di rito abbreviato semplice, la cui ammissione è soltanto un atto formale, obbligatorio del GUP, è già intervenuta senza che sia possibile revocarla in quanto è stata effettuata sulla base di una oggettiva valutazione degli interessi in causa da parte dell'imputato dipendenti proprio dalla presenza o meno delle parti civili.
Con riferimento, poi, alla posizione di g.r. la sua mancata citazione non rimetteva automaticamente la stessa nei termini per la costituzione di parte civile e se violazione dell'art. 178 c.p.p., lett. c) vi era stata, trattandosi di nullità di ordine generale a regime intermedio, la stessa avrebbe dovuto essere eccepita ed il giudice avrebbe dovuto disporre la regressione del processo, relativamente a tale posizione processuale, alla precedente fase di apertura dell'udienza preliminare con la conseguente possibilità di costituzione di parte civile.
 

Il secondo motivo ripropone quello posto a base del ricorso del C. riguardante violazione di legge per nullità ed inutilizzabilità degli accertamenti e della relazione tecnica dell'ausiliario di P.G. ing. D. nonchè vizio di motivazione.
 

Anche il terzo motivo ripropone quello posto a base del ricorso del C. riguardante violazione di legge attesa la inutilizzabilità delle sommarie informazioni testimoniali rese dal B. e dal M. per violazione dell'art. 63 c.p.p., comma 2.
 

Così pure il quarto motivo ripropone quello posto a base del ricorso del C., laddove la Corte territoriale ha rigettato la richiesta della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale con l'acquisizione della consulenza d'ufficio ing. A.. Per altro, dai verbali e dalla relazione peritale emerge un altro comportamento irrituale della Polizia Giud. che ha trattenuto una serie di fotografie scattate al momento del primo sopralluogo e non allegate alla notizia di reato e quindi mai trasmesse al P.M., le quali sono state ritenute molto utili per la ricostruzione della posizione del cadavere, conseguentemente per la ricostruzione dell'incidente, tutto ciò senza una apparente giustificazione ed in aperta violazione dei doveri imposti alla P.G. dall'art. 357 c.p.p. con conseguente violazione del diritto di difesa, sia in ordine all'avviso di conclusione delle indagini, sia in ordine alla richiesta di rinvio a giudizio, sia in ordine alla celebrazione del giudizio immediato. Sul punto nella sentenza impugnata non si spende neanche una parola e ciò integra vizio insanabile di motivazione.
 

Con il quinto motivo si denunciano altra violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla insussistenza delle prove per un affermazione di responsabilità del ricorrente.
In effetti, si sostiene, l'argomentazione di tale motivo poggia sulle conclusioni cui perviene l'ausiliario della P.G., ing. D., che, oltre ad essere inutilizzabile per quanto già evidenziato, svolge un esame superficiale circa le possibili dinamiche che hanno determinato l'evento letale, basandosi sulle dichiarazioni del B. e del M., che oltre ad essere inutilizzabili, per quanto eccepito negli altri motivi, sono tra loro contrastanti.
 

Si ripropone, in fatto, la critica riguardante la omessa valutazione della presenza sul posto di strumenti utilizzati dai ragazzi per divellere il muro.
 

Con l'ultimo motivo, il sesto, il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità dell'appaltatore, non essendo questi tenuto a modificare il progetto predisposto da altri.
 

 

Diritto

 


I motivi posti a base di entrambi i ricorsi, come esposti, sono infondati e comportano il rigetto dei gravami di legittimità.


Ovviamente, per ragioni sistematiche e di economia motivazionale, si procederà all'analisi unitaria dei motivi comuni ad entrambi i ricorsi.
 

1. In via preliminare vanno affrontate le questioni, poste con il ricorso del F., di natura procedurale relative alla eccepita irregolarità delle costituzioni di parte civile. La censura formulata in ordine alla costituzione di parte civile di G. A. e Ga.Ro. è da ritenersi incoerente sia con riferimento al dato normativo che all'insegnamento di questa Corte.
Invero, la presenza delle parti danneggiate, G.A. e Ga.Ro., come evincesi dai verbali di causa, all'udienza del 27.09.2007 innanzi al GUP, al momento della produzione dell'atto di costituzione di parte civile e dell'atto separato di conferimento della procura speciale, che hanno ribadito la loro volontà di costituzione, rende del tutto rituale l'atto processuale di cui trattasi. Questa Corte ha affermato (V. tra le tante sez. 3, Sentenza n. 35187 del 25.06.2009, Rv. 244598) che la persona danneggiata, che si costituisce personalmente parte civile, deve nominare un difensore e non anche un procuratore speciale. La Corte, nell'enunciare il predetto principio, ha precisato che l'obbligo di nomina del procuratore speciale, che può essere lo stesso difensore nominato con il medesimo atto, sussiste solo nel caso in cui la parte civile non si costituisca personalmente. Infatti, ed in definitiva, nell'ipotesi di esercizio di azione civile nel processo penale, occorre distinguere la legitimatio ad causam, di cui all'art. 74 c.p.p., comma 3, che è il presupposto dell'azione civile, ossia la qualità di danneggiato, dalla legitimatio ad processum, che è la capacità di stare in giudizio, per la quale il titolare del diritto leso che non abbia la capacità di agire, come ad esempio il minore o l'infermo, deve essere rappresentato ed assistito nelle forme prescritte per l'azione civile, e dalla stessa rappresentanza processuale, in base alla quale la parte civile non può difendersi da sola, ma deve intervenire in giudizio con il ministero di un difensore munito di procura speciale. In conclusione, la procura speciale, alla quale allude l'art. 76 cod. proc. pen., è diversa da quella di cui all'art. 78 c.p.p., comma 3, e art. 100 c.p.p., comma 1. La prima è quella di diritto sostanziale, la seconda è quella con cui si affida il ministero difensivo. Ovviamente è possibile conferire con lo stesso atto alla stessa persona sia la procura sostanziale che quella difensiva. In quest'ultimo caso il difensore è depositario sia della legitimatio ad causam che della rappresentanza processuale, e solo in tale caso nell'atto costitutivo deve fare riferimento alla duplicità del mandato. Nella fattispecie, le parti civili, essendosi costituite personalmente, dovevano limitarsi a nominare un difensore a norma degli artt. 78 e 100 cod. proc. pen.. La censura formulata dal ricorrente è, quindi, frutto di una confusione concettuale.
Parimenti infondata è la censura relativa alla eccepita irritualità della costituzione di parte civile di G.S. e g.r. in punto di pretesa intempestività dell'adempimento.
Va ricordato che si verte in tema di giudizio abbreviato e, dunque, vale il principio affermato da questa Corte (V. Sez. 3, Sentenza n. 27274 del 15.06.2010, Rv. 247933) per il quale la costituzione di parte civile può intervenire nel giudizio abbreviato, dopo l'emissione dell'ordinanza che lo ha disposto. Infatti, l'art. 441 c.p.p., comma 2, è rimasto invariato anche dopo le modifiche introdotte nell'ordinamento dalla L. n. 479 del 1999, che ha inciso profondamente sulla disciplina ex art. 438 e segg. cod. proc. pen., e che ha anche modificato proprio il suddetto art..

2. Per quanto attiene al primo profilo (sotto la lettera "a", v. parte narrativa) del primo motivo di ricorso, presentato nell'interesse del C., ed al quarto motivo del ricorso F., sostanzialmente coincidenti, con le censure poste a base di essi ciascun ricorrente lamenta che nel caso di specie si sarebbe verificata una situazione sostanzialmente riferibile all'art. 630 c.p.p., comma 1, lett. a), in pratica un "conflitto teorico" tra differenti provvedimenti, determinato, in particolare da due contrastanti perizie emerse nel corso di due differenti procedimenti, aventi ad oggetto l'identica vicenda processuale, sebbene ognuno riguardanti diversi imputati. La perizia disposta nell'altro procedimento (a firma dell'ing. A.) integrerebbe gli estremi di una prova nuova o sopravvenuta al giudizio di primo grado, tale da giustificare il potere del giudice di appello di disporre, anche nel rito abbreviato, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale da ritenersi assolutamente necessaria a fronte di tale assoluta esigenza probatoria. Le censure non sono condivisibili.
La questione se al giudice di appello nel giudizio abbreviato è consentito disporre d'ufficio i mezzi di prova ritenuti assolutamente necessari per l'accertamento dei fatti che formano oggetto della decisione, secondo il disposto dell'art. 603 cod. proc. pen., va risolto positivamente, in tal senso questa Corte si è pronunciata più volte (V. Sez. 1, Sentenza n. 36122 del 9.06.2004, Rv. 229837; sez. 1, Sentenza n. 13756 del 24,01,2008, Rv. 239767; Sez. 6, Sentenza n. 45240 del 10.11.2005, Rv. 233506). Si è affermato che la rinnovazione del dibattimento è disposta quando l'integrazione probatoria è necessaria ai fini della decisione, indipendentemente dal fatto che tale integrazione possa comportare o meno una decisione sfavorevole all'imputato, in quanto allorchè il legislatore ha voluto limitare i poteri di indagine del giudice lo ha indicato chiaramente, come nell'ipotesi di cui all'art. 422 c.p.p., comma 1, (nel testo modificato dalla L. 16 dicembre 1999, n. 479). Ma alle parti è riconosciuto solo la facoltà di sollecitare i poteri suppletivi di iniziativa probatoria che spettano al giudice di appello. E, dunque, la celebrazione del processo nelle forme del rito abbreviato, se non impedisce al giudice di appello di esercitare i poteri di integrazione probatoria, comporta tuttavia l'esclusione di un diritto dell'imputato a richiedere la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale ed un corrispondente obbligo per il giudice di motivare il diniego a tale richiesta.
Ciò puntualizzato, nel caso sottoposto all'esame di questa Corte, la decisione impugnata, pur non essendo obbligata, per quanto argomentato, non ha mancato di soffermarsi sulla questione dell'acquisizione del verbale di sopralluogo allegato alle note di perizia aliunde disposta, nè sulla richiesta di acquisizione della perizia indicata nella parte narrativa. Il ricorrente C. ha però innovato la questione in questa sede di legittimità finendo con l'evocare espressamente il concetto di prove nuove o sopravvenute al giudizio di primo grado e la disposizione dell'art. 495 c.p.p., comma 1, non avvedendosi, però, di introdurre un tema che conduce a conclusioni opposte rispetto a quelle pretese. Infatti, secondo l'insegnamento di questa Corte (V. sez. 5, Sentenza n. 12027 del 21.10.1999, Rv. 214873), la mancata assunzione di una prova decisiva, in realtà - quale motivo di impugnazione per cassazione - può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l'ammissione a norma dell'art. 495 c.p.p., comma 2. Il diritto alla controprova, riconosciuto all'imputato dalla richiamata norma procedurale, non può avere ad oggetto l'espletamento di una perizia, mezzo di prova non classificabile nè a carico, nè a discarico dell'accusato e rimesso essenzialmente al potere discrezionale del giudice, la cui valutazione, se assistita da adeguata motivazione, come nel caso di specie, è insindacabile in sede di legittimità. Conseguentemente deve negarsi che l'accertamento peritale, da eseguirsi ex novo o acquisirsi da altro procedimento, possa ricondursi al concetto di prova decisiva, la cui mancata assunzione, per esempio, costituisce motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. d).
A tutto ciò, peraltro, segue che non ha pregio anche l'ulteriore doglianza formulata ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ed, invero, la motivazione della Corte di merito appare conforme ai reiterati principi affermati da questa Corte in tema di art. 603 cod. proc. pen. e dei contenuti dell'obbligo di motivazione del giudice di appello (tra le tante v: sez. 5, Sentenza n. 8891 dell'8.08.2000, Rv. 217209; sez. 6, Sentenza n. 22526 del 21.05.2003, Rv. 226195), non tralasciando di osservare che, in tema di rinnovazione in appello della istruzione dibattimentale, il giudice, pur investito - con i motivi di impugnazione - di specifica richiesta, è tenuto a motivare solo nel caso in cui a detta rinnovazione vi acceda (invero, in considerazione del principio di presunzione di completezza della istruttoria compiuta in primo grado, egli deve dare conto dell'uso che va a fare del suo potere discrezionale, conseguente alla convinzione maturata di non poter decidere allo stato degli atti). Non così, viceversa, nell'ipotesi di rigetto, in quanto in tal caso, la motivazione potrà ancora essere implicita e desumibile dalla stessa struttura argomentativa della sentenza di appello, con la quale si evidenzia la sussistenza di elementi sufficienti alla affermazione o negazione di responsabilità.
Va, ancora osservato, scendendo nel particolare, che l'asserzione del consulente d'ufficio (V. secondo motivo ricorso C. nella parte narrativa) che ha redatto la perizia di cui si è chiesta l'acquisizione, relativa al ruolo che assume il collaudatore in riferimento alla posizione di garanzia che da esso discende (come contestata) assume connotati che attengono più al compito del giudice che a quello del tecnico, tenuto solo ad evidenziare e descrivere l'attività che il collaudatore è tenuto a svolgere.
 

Trattasi, in sostanza, di un'opinione del perito non riferibile ad argomenti tecnici o scientifici.
Quanto al tema del cd. contrasto "teorico" tra giudicati, de iure condito, non assume alcuna rilevanza. Piuttosto il principio da applicare al caso in esame (V. sez. 2, Sentenza n. 16649 del 31.03.2008, Rv. 239778; sez. 2, Sentenza n. 21998 del 3.05.2005, Rv. 231924) è quello in funzione del quale il divieto di un secondo giudizio nei confronti dell'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili posto dall'art. 649 cod. proc. pen. non vincola il giudice chiamato a rivalutare il medesimo fatto in relazione alla posizione di altri soggetti imputati quali concorrenti nello stesso reato; il che comporta, tra l'altro, che qualora il giudicato sia stato di assoluzione, il giudice del separato procedimento instaurato a carico del concorrente nel medesimo reato, può sottoporre a rivalutazione il comportamento dell'assolto all'unico fine - fermo il divieto del "ne bis in idem" a tutela della posizione di costui - di accertare la sussistenza ed il grado di responsabilità dell'imputato da giudicare (nello stesso senso: sez. 4, Sentenza n. 8135 del 25.10.2001, Rv. 221098; sez. 1, Sentenza n. 12595 del 16.11.1998, Rv. 211769).
Non va tralasciato, inoltre, di rilevare che la sentenza esibita (nel corso del giudizio di legittimità), relativa all'altro procedimento parallelo, non reca annotazione o attestazione del suo passaggio in giudicato. Tale circostanza, tuttavia, non appare dirimente. Ove, infatti, tale sentenza non sia passata in giudicato, v'è da considerare che "le sentenze pronunciate in procedimenti penali diversi e non ancora divenute irrevocabili, possono essere utilizzate come prova limitatamente all'esistenza della decisione e alle vicende processuali in esse rappresentate, ma non ai fini della valutazione delle prove e della ricostruzione dei fatti oggetto di accertamento in quei procedimenti" (Sez. Un., Sentenza n. 33748 del 12.07.2005, Rv. 231677). Ove, invece, tale sentenza sia passata in giudicato, sarebbe evocabile il disposto dell'art. 238 bis cod. proc. pen. "sicuramente eccezionale nell'impianto codicistico ispirato ai principi di oralità ed immediatezza" (Sez. Un. cit.), a termini della quale le sentenze divenute irrevocabili" possono essere acquisite ai fini della prova del fatto in esse accertato e sono valutate a norma dell'art. 187 e art. 192, comma 3". Ma "l'acquisizione agli atti del procedimento, giusto quanto previsto dall'art. 238 bis cod. proc. pen. di sentenze divenute irrevocabili non comporta per il giudice di fatto procedimento alcun automatismo nel recepimento e nell'utilizzazione ai fini decisori dei fatti, nè tanto meno, dei giudizi di fatto contenuti nei passaggi argomentativi della motivazione delle suddette sentenze, dovendosi al contrario ritenere che quel giudice conservi integra l'autonomia e la libertà delle operazioni logiche di accertamenti e formulazione di giudizio a lui istituzionalmente riservato" (Sez. 1, Sentenza n. 12595 del 16.11.1998, Rv. 211768; ripresa da sez. Un. Cit; sez. 6, 12.11.2009, n. 47314, Rv. 245483).
 

3. Altrettanto sovrapponibili sono il secondo profilo (V. sotto la lett. "b", parte narrativa) del primo motivo del ricorso presentato nell'interesse del C., ed il terzo motivo del ricorso del F..
Sostanzialmente, con tali motivi, sintetizzando le copiose argomentazioni riportate nei rispettivi ricorsi, entrambi i ricorrenti lamentano che la decisione impugnata avrebbe trascurato di valutare il tema relativo alla utilizzabilità delle dichiarazioni rese da B. e M. ai sensi dell'art. 63 c.p.p., comma 2, atteso che si sarebbe dovuto accertare se, al momento dell'assunzione delle dichiarazioni di costoro, non sussistessero nè indizi, nè elementi di sospetto di alcun genere in ordine ad alcun tipo di reato connesso o collegato rispetto a quelli attribuiti a persone coinvolte dalle dichiarazioni degli stessi.
La irrilevanza della censura e, quindi, la manifesta infondatezza del motivo che la sostiene, emerge dalla mancata prospettazione, da parte dei ricorrenti, di quali siano gli elementi giustificativi del loro interesse a sollevare la questione in esame, che viene spiegata in ricorso, solo alludendo ad un deficit di credibilità nei due soggetti suindicati. Da un lato, invero, non si contesta la spontaneità delle dichiarazioni rese dal B. e dal M., e, dall'altro, se il C., in particolare, ha inteso lamentarsi del fatto che simili dichiarazioni gli nuocciono, non tiene conto che esse sono state utilizzate in sede di giudizio abbreviato. Le censure, pertanto, appaiono in palese contrasto con quanto affermato (V. sez. 1, Sentenza n. 48916 del 2.12.2003, Rv. 226674; sez. 1, Sentenza n. 40050 del 23.09.2008, Rv. 241554; e da ultimo: sez. 3, Sentenza n. 10643 del 21.01.2010, Rv. 246590) da questa Corte in tema secondo cui nel giudizio abbreviato possono essere utilizzate nei confronti del coimputato le dichiarazioni spontaneamente rese alla polizia giudiziaria dal soggetto che ancora non ha formalmente assunto la qualità di sottoposto ad indagine, sia perchè la richiesta del rito speciale costituisce un'implicita rinuncia al dibattimento e, quindi, all'esame in contraddittorio della persona che ha rilasciato le dichiarazioni spontanee, sia perchè l'art. 350 c.p.p., comma 7, ne preclude l'utilizzazione nella sola sede dibattimentale (V. anche sez. 3, Sentenza n. 10643 del 30.01.2010, Rv.246590 e sez. 6, Sentenza n. 29138 del 25 secondo cui "Le dichiarazioni rese spontaneamente alla polizia giudiziaria dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, a norma dell'art. 350 c.p.p., comma 7, non possono essere utilizzate nel dibattimento, se non ai fini delle contestazioni, ma sono pienamente utilizzabili nel giudizio abbreviato, nel quale ha pieno rilievo probatorio il materiale assunto nel corso delle indagini").
Ma, a tutto concedere, anche se si ritenessero le dichiarazioni di cui trattasi non spontanee ma indotte dalla polizia giudiziaria, pur in presenza di elementi indizianti a loro carico, la eccepita loro utilizzabilità non ha certo comportato un nocumento alla posizione processuale di entrambi i ricorrenti, atteso che i giudici del merito, come evidenziato nella parte narrativa, nella ricostruzione del fatto, ed anche sulla base delle loro dichiarazioni, hanno ritenuto che il comportamento dei tre ragazzi, ivi compresa la vittima, sia stata la causa ultima che ha determinato il crollo del muro, evidenziando che la responsabilità colposa addebitata, rispettivamente, alle condotte pregresse del C. e del F., va individuata nelle loro posizioni di garanzia determinate dai rispettivi ruoli di collaudatore delle opere e di esecutore materiale delle stesse come contestate.
Per completezza di esposizione, neanche può rimproverarsi alla decisione del giudice di secondo grado di non aver provveduto sulla eccezione esaminata non meritevole di accoglimento. Si tratta del tradizionale principio insegnato da questa Corte (V. Sez. 1, Sentenza n. 915 del 30.09.1985, Rv.171657) reiterato e precisato anche a Sezioni Unite (V. sentenza n. 0001 del 28.06.2000, Rv.216238), in forza del quale il mancato esame di un motivo di impugnazione manifestamente infondato da parte del giudice di secondo grado non costituisce ragione di annullamento della sentenza in sede di cassazione, in quanto anche se il motivo fosse stato esaminato, non avrebbe potuto essere accolto, cosicchè nessun pregiudizio è derivato all'imputato da tale omissione.


4. Con riguardo al terzo profilo (nella parte narrativa sotto la lett. "c") del primo motivo del ricorso del C. e del secondo motivo del ricorso del F., laddove ci si lamenta della inutilizzabilità della consulenza tecnica (a firma dell'ing. D.) disposta su incarico della polizia giudiziaria, dopo che la stessa aveva informato il pubblico ministero dell'esistenza della notizia di reato e ricevuto direttive in ordine alle attività da compiere, la manifesta infondatezza della censura deriva, come per le altre questioni già affrontate, dal non aver considerato i ricorrenti la particolare peculiarità del rito con cui si è svolto il processo.
Nel giudizio abbreviato (V. tra le prime:sezione 1, Sentenza n. 6302 del 14.04.1999, Rv. 213460 e da ultimo: sez. 3, Sentenza n. 16683 del 5.03.2009, Rv. 243462), mancando la fase del dibattimento, è inapplicabile il divieto di inutilizzabilità di prove diverse da quelle in esso acquisite, sancito dall'art. 526 cod. proc. pen. E vige, invece, il principio della decisione "allo stato degli atti", stabilito dall'art. 440, comma 1, codice di rito, che comporta la facoltà di utilizzare tutti gli atti legittimamente acquisiti al fascicolo del pubblico ministero. Con la richiesta di giudizio abbreviato, infatti, l'imputato non soltanto rinuncia ad avvalersi delle regole ordinarie in cambio di un trattamento sanzionatorio più favorevole attraverso l'applicazione della diminuente di un terzo, ma accetta che rientrino nel novero delle risultanze probatorie utilizzabili tutte le emergenze acquisite anteriormente alla sua istanza e legittimamente confluite nel fascicolo del pubblico ministero. Per altro, non si ritiene conferente la critica - complessivamente tautologica - svolta dai ricorrenti nei confronti dell'utilizzabilità della relazione tecnica redatta dall'ausiliario di p.g..
Invero (V. sez. 4, Sentenza n. 15384 del 2.03.2005, Rv. 231551), la polizia giudiziaria può autonomamente e legittimamente effettuare, sia in modo diretto, attraverso propri ausiliari, che attraverso pubbliche strutture, analisi tecniche ricognitive tale attività di indagine, svolta a corredo dell'informativa di reato, si inserisce in quelle previste dall'art. 348 cod. proc. pen. e non prevede il preventivo avviso al difensore, e, quando tale attività sia confluita in un documento (V. sez. 6, Sentenza n. 6594 del 13.02.1991, Rv. 187445), e qualora l'indagato sia giudicato con il rito abbreviato, tale documento, legittimamente confluito nel fascicolo del pubblico ministero, può essere utilizzato ai fini della prova del reato. Ed inoltre (V. sez. 3, Sentenza n. 16683 del 5.03.2009, Rv. 243462) l'utilizzabilità in fase di indagine preliminare dei risultati degli accertamenti tecnici compiuti dalla polizia giudiziaria con il ricorso alla collaborazione di ausiliari non richiede che costoro siano individuati con l'osservanza delle forme e delle modalità previste per la nomina del consulente tecnico del pubblico ministero.
 

5. Relativamente al quarto profilo (indicato sotto la lettera "d" nella parte narrativa) del primo motivo ed al secondo motivo del ricorso del C., che possono essere trattati unitariamente, va evidenziato che, a fronte delle insistite doglianze del ricorrente, in punto di pretesa per la mancata considerazione delle sue ragioni da parte della Corte di merito, si svolgono diffusissime disquisizioni sui principi in tema di oneri motivazionali del giudice di appello, ma, in realtà, solo in sintetici e non autosufficienti passaggi, si insiste sulle prospettazioni già formulate in sede di merito con modalità che, per altro, non sono del tutto compatibili con la natura del giudizio di legittimità. E ciò per due ragioni:
da un lato la carenza di specificità di simili motivi dev'essere apprezzata, nel caso di specie, per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dal complesso motivazionale di merito e quelle poste a fondamento dell'impugnazione; dall'altro lato, e con riguardo alle denunzie di omissione motivazionale, va osservato che, a differenza di quanto espone il C., il giudice di merito non era tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo, invece, sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spiegasse, in modo logico ed adeguato, come verificatosi nel caso concreto, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. E, dunque, debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (V. sez. 5, Sentenza n. 8411 del 28.07.1992, Rv. 191488), e, pertanto, l'articolazione argomentativa del provvedimento impugnato non contiene una patologia riconducibile al vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. c).
Si vuole che, inammissibilmente, il collegio si pronunci su circostanze di fatto quale la prospettata opera di smantellamento del muro da parte dei ragazzi anche con l'uso di pali di ferro, laddove la Corte territoriale ha adeguatamente affrontato l'aspetto riportandosi alle esaustive argomentazioni del Tribunale, analizzando le dichiarazioni testimoniali dei ragazzi e del geom. T..
Il C., in definitiva, contesta che la responsabilità del fatto possa essere a lui ascritto in ragione della sua qualità di collaudatore. Al fine di sorreggere le sue censure, si riporta ad una pronuncia di questa Corte relativa a collaudi di impianti e, in specie, di giostre (Sez. 4, Sentenza n. 4699 del 6.12.2001, Rv. 220795), mentre conferente al caso di specie è l'affermazione del principio giurisprudenziale (Sez. 4, Sentenza n. 5919 del 31.10.1991, Rv. 191806; sez. 3, Sentenza n. 8579 del 15.01.2003, Rv. 224170) in tema di violazione della L. 5 novembre 1971, n. 1086, sulla disciplina delle opere in conglomerato cementizio armato, secondo cui, al fine di affermare la responsabilità di un soggetto occorre verificare che questi abbia assunto una delle qualità proprie prese in considerazione dalla norma incriminatrice, ovvero di committente, costruttore, direttore dei lavori o collaudatore, atteso che alla semplice qualità di proprietario non può connettersi un generale dovere di controllo dalla cui violazione derivi una responsabilità penale prescindendo dalla concreta situazione in cui viene svolta l'attività incriminata. E sicuramente, per il caso di specie, i giudici di merito hanno evidenziato che la omessa rilevazione da parte dell'ingegnere collaudatore della difettosa costruzione dell'opera ha determinato, in una alla condotta del costruttore, il crollo della stessa, sia pure a seguito del comportamento posto in essere dai tre giovani, come ritenuto in sentenza, che non avrebbe avuto alcuna rilevanza in tal senso se il muro fosse stato costruito "a regola d'arte". Si rammenta, per quanto attiene il limite del sindacato del giudice di legittimità, che questi deve accertare il contenuto del ricorso, la decisività del materiale probatorio richiamato tale da disarticolare l'intero ragionamento del giudicante o da determinare almeno una complessiva incongruità della motivazione, l'esistenza di una radicale incompatibilità con l'iter motivazionale seguito dal giudice di merito e non di un semplice contrasto, non essendo obbligato a prendere visione degli atti processuali anche se specificamente indicati, ove non risulti detto requisito, la sussistenza di una prova omessa o inventata, e del c.d. "travisamento del fatto" solo qualora la difformità della realtà storica sia evidente, manifesta, apprezzabile "ictu oculi" ed assuma anche carattere decisivo in una valutazione globale di tutti gli elementi probatori esaminati dal giudice di merito il cui giudizio valutativo non è sindacabile in sede di legittimità se non manifestamente illogico e, quindi, anche contraddittorio (cfr. in parte Cass. sez. 2^ 9 giugno 2006 n. 19848 rv. 234162, le decisioni della sesta sezione citate cui adde Cass. sez. 6^ 5 ottobre 2006 n. 33435 rv. 234364 e Cass. sez. 6^ 26 ottobre 2006 n. 35964 rv. 234622). Peraltro, il dedotto vizio di "travisamento del fatto", poichè dal tenore della relativa esposizione involge la valutazione di risultanze probatorie, è da qualificarsi, piuttosto, in vizio del e. d. travisamento della prova. Ma questo si atteggia in maniera differente, non solo nelle due differenti fasi, cautelare e cognitiva ordinaria, ma anche quando si è in presenza della c.d. doppia conforme in quanto, in tal caso, non solo vige il limite del "devolutum", che può essere superato solo ove il giudice dell'impugnazione si fondi su atti probatori mai presi in esame (Cass. sez. 2^ 19 ottobre 2006 n. 35194, rv. 234915), ma sussiste anche l'obbligo di evidenziare una carenza ed omessa motivazione su determinati punti sottoposti all'esame del giudice del gravame con la specifica e puntuale indicazione degli stessi con il carattere della decisività e della radicale incompatibilità con l'iter motivazionale seguito, giacchè, altrimenti, si richiederebbe una rilettura degli atti processuali ed una rivalutazione delle risultanze, inibita al giudice di legittimità, sicchè una simile censura è inammissibile.
 

6. Da ultimo, quanto al quinto motivo del ricorso del F., la Corte di merito, sia pure in modo sintetico, ha proceduto ad una valutazione globale di deduzioni e risultanze processuali, ed ha spiegato, in modo logico ed adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento ed ha posto, a fondamento della sua scelta di verosimiglianza, una spiegazione in ordine all'individuazione degli elementi di dimostrazione; il ricorrente, nel contestare tale scelta di verosimiglianza, propone soltanto prospettazioni alternative che si sottopongono a questa Corte nella veste di critiche alla motivazione della decisione impugnata.
Trattasi di prospettazioni alternative a carattere chiaramente ipotetico o semplicemente volte a proporre un'interpretazione alternativa del fatto. Per altro, le censure, che si limitano ad evocare frammenti della prova raccolta nel giudizio di merito, sono ben lontane da un corretto adempimento dell'onere di specificità, connotante il principio di autosufficienza del ricorso, onere al quale occorre far fronte allorchè si intenda denunziare anche, come il ricorrente fa in alcuni passaggi del ricorso, un vizio di travisamento della prova ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) nel testo riformato dalla L. n. 46 del 2006.
Solo in apparenza il ricorrente evidenzia i contenuti testuali dell'una o dell'altra fonte di prova, o mostra di aver allegato atti decisivi, ma nell'uno e nell'altro caso si tratta di frammenti di atti processuali prescelti dalla difesa che sono, a loro volta, segmenti della ramificata prova logica rappresentativa della decisione, in realtà, delle stesse fonti è riproposta solo l'interpretazione che il difensore di esse formula.
E, dunque, il ricorrente è rimasto, in sostanza, inadempiente al principio di autosufficienza del ricorso nella precisa indicazione ed allegazione al ricorso degli atti che sarebbero stati oggetto di travisamento. In forza di tale principio gli si imponeva che in ricorso fossero puntualmente evidenziate le risultanze processuali ritenute rilevanti, che il contenuto delle stesse fosse compiutamente illustrato, e che dalla stessa esposizione del ricorso emergesse effettivamente una manifesta illogicità del provvedimento.
Al rigetto del ricorso segue la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed, in solido, alla refusione in favore della costituita parte civile, G.S., delle spese di questo giudizio che si liquidano come da dispositivo.
 


P.Q.M.
 

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè in solido tra loro, alla rifusione in favore della costituita parte civile, G.S., delle spese di questo giudizio che liquida in Euro 2.200.00 oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. nella misura di legge.
Così deciso in Roma, nella pubblica udienza, il 13 maggio 2011.
Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2011