CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
UFFICIO DEL MASSIMARIO E DEL RUOLO

Relazione tematica

Rel. n. 142

Roma, 10 novembre 2008



Oggetto: LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - DIRITTI ED OBBLIGHI DEL DATORE E DEL PRESTATORE DI LAVORO - TUTELA DELLE CONDIZIONI DI LAVORO - Condotta idonea a determinare una condizione di "mobbing" del lavoratore — Mobbing verticale e mobbing orizzontale - Responsabilità.

IL MOBBING

SOMMARIO:
1.- Introduzione: il fenomeno.
2.- La disciplina:
2.1.- Disciplina internazionale ed europea.
2.2.- Disciplina nazionale.
3.- La giurisprudenza:
3.1.- Giurisprudenza penale.
3.2.- Giurisprudenza civile di legittimità.
3.3.-Giurisprudenza di merito.
3.4.- Giurisprudenza amministrativa e contabile.
4.- La dottrina e le principali problematiche giuridiche.


1.- Introduzione: il fenomeno.
È noto che la sociologia ha mutuato il termine mobbing da una branca dell'etologia per designare un complesso fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all'obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo.

Le forme che il mobbing può assumere sul posto di lavoro nei confronti di un lavoratore sono diverse, e possono consistere in:

a) pressioni o molestie psicologiche;
b) calunnie sistematiche;
c) maltrattamenti verbali ed offese personali;
d) minacce od atteggiamenti miranti ad intimorire ingiustamente od avvilire, anche in forma velata ed indiretta;
e) critiche immotivate ed atteggiamenti ostili;
f) delegittimazione dell'immagine, anche di fronte a colleghi ed a soggetti estranei all'impresa, ente od amministrazione;
g) esclusione od immotivata marginalizzazione dall'attività lavorativa ovvero svuotamento delle mansioni;
h) attribuzione di compiti esorbitanti od eccessivi, e comunque idonei a provocare seri disagi in relazione alle condizioni fisiche e psicologiche del lavoratore;
i) attribuzione di compiti dequalificanti in relazione al profilo professionale posseduto;
l) impedimento sistematico ed immotivato all'accesso a notizie ed informazioni inerenti l'ordinaria attività di lavoro;
m) marginalizzazione immotivata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e di aggiornamento professionale;
n) esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo nei confronti del lavoratore, idonee a produrre danni o seri disagi;
o) atti vessatori correlati alla sfera privata del lavoratore, consistenti in discriminazioni.
In ogni caso, la fattispecie assume rilevanza, secondo gli studi di settore, una volta che gli atti di persecuzione acquistino i requisiti della sistematicità e della durata, per quanto non si esclude che anche un singolo atto lesivo possa rilevare ove i relativi effetti siano duraturi.

Secondo un sondaggio (all. 1 e 2) svolto tra 21.500 lavoratori dalla Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Fondazione di Dublino), nel corso del 2000 l'8% dei lavoratori dell'Unione europea, pari a 12 milioni di persone, è stato vittima di mobbing sul posto di lavoro, e si può presupporre che il dato sia notevolmente sottostimato. Se ciò è vero, e il fenomeno è diffuso nella realtà lavorativa pubblica e privata, i casi di mobbing emersi a livello giurisprudenziale non sono invece molti, ed ancor meno quelli conclusisi con il riconoscimento del fenomeno e l'attribuzione di tutela giurisdizionale al lavoratore ricorrente.

2.- La disciplina;
2.1.- Disciplina internazionale ed europea.

A livello internazionale, hanno cominciato ad interessarsi al problema le grandi organizzazioni specializzate dell'ONU, come l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e, soprattutto, l'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) che ha promosso azioni contro la violenza sul luogo di lavoro. Quest'ultima, in uno studio (promosso nel corso della "Conferenza internazionale sul trauma sul luogo di lavoro" tenutasi l'8 e 9 novembre 2000 a Johannesburg), intitolato "La violenza sul lavoro: la minaccia globali", da cui è emerso un nuovo approccio alla violenza sul lavoro, che attribuisce uguale enfasi sia ai comportamenti lesivi dell'integrità fisica del lavoratore, sia a quelli che mirano ad intaccare il suo equilibrio psicologico.
In ambito europeo, il 16 luglio 2001 la Commissione occupazione ed affari sociali del Parlamento europeo, ha presentato una relazione sul mobbing sul posto di lavoro (A5-0283/2000: all. 3) sulle problematiche del mobbing nella quale analizza il fenomeno sotto vari punti di vista: definizione del fenomeno, ricerca delle cause della sua rapida espansione, individuazione degli effetti sulla salute del lavoratore e sull'efficiente ed economica organizzazione delle aziende, ricerca di strumenti efficaci per contrastarlo. Da un punto di vista più strettamente giuridico, la relazione evidenzia la necessità di chiarire se la vigente direttiva quadro per la salute e la sicurezza sul lavoro, la n. 89/391/CEE, possa essere interpretata estensivamente in modo da ricomprendere nel suo ambito applicativo anche i casi di mobbing. La relazione è stata quindi allegata alla Risoluzione sul mobbing che nel settembre 2001 il Parlamento europeo ha approvato (2001/2339(INI): all. 3).
Con tale risoluzione, si è evidenziata la necessità per gli Stati membri di approfondire lo studio del fenomeno delle violenze psicologiche in ambito lavorativo, al fine di pervenire ad una comune definizione della fattispecie del mobbing e creare una più solida base statistica sulla sua diffusione. In particolare, il Parlamento ha esortato gli Stati membri, le parti sociali e le istituzioni comunitarie a farsi carico di questa problematica invitando la Commissione ad un'analisi dettagliata sulla situazione del mobbing negli ambienti lavorativi con riferimento ad ogni Stato membro e ad un programma d'azione concernente le misure comunitarie contro il mobbing.
La risoluzione ha evidenziato, tra l'altro, che dai dati provenienti da uno degli Stati membri risulta che i casi di mobbing sono di gran lunga più frequenti nelle professioni caratterizzate da un elevato livello di tensione, professioni esercitate più comunemente da donne che da uomini e che hanno conosciuto una grande espansione nel corso degli anni 90, ed ha sottolineato che gli studi e l'esperienza empirica convergono nel rilevare un chiaro nesso tra, da una parte, il fenomeno del mobbing nella vita professionale e, dall'altra, lo stress o il lavoro ad elevato grado di tensione, l'aumento della competizione, la riduzione della sicurezza dell'impiego nonché l'incertezza dei compiti professionali.
Sono degni di specifica menzione, in particolare, due richiami dell'atto, uno volto ad evidenziare che tra le cause del mobbing vanno ad esempio annoverate le carenze a livello di organizzazione lavorativa, di informazione interna e di direzione, e che problemi organizzativi irrisolti e di lunga durata si traducono in pesanti pressioni sui gruppi di lavoro e possono condurre all'adozione della logica del "capro espiatorio" e al mobbing; l'altro secondo il quale il continuo aumento dei contratti a termine e della precarietà del lavoro, in particolare tra le donne, crea condizioni propizie alla pratica di varie forme di molestia.
La risoluzione ha quindi esortato gli Stati membri a rivedere e, se del caso, a completare la propria legislazione vigente sotto il profilo della lotta contro il mobbing e le molestie sessuali sul posto di lavoro, nonché a verificare e ad uniformare la definizione della fattispecie del "mobbing"; ha inoltre raccomandato agli Stati membri di imporre alle imprese, ai pubblici poteri nonché alle parti sociali l'attuazione di politiche di prevenzione efficaci, l'introduzione di un sistema di scambio di esperienze e l'individuazione di procedure atte a risolvere il problema per le vittime e ad evitare sue recrudescenze; ha raccomandato, in tale contesto, la messa a punto di un'informazione e di una formazione dei lavoratori dipendenti, del personale di inquadramento, delle parti sociali e dei medici del lavoro, sia nel settore privato che nel settore pubblico, ricordando a tale proposito la possibilità di nominare sul luogo di lavoro una persona di fiducia alla quale i lavoratori possono eventualmente rivolgersi. Infine, ha esortato la Commissione ad esaminare la possibilità di chiarificare o estendere il campo di applicazione della direttiva quadro per la salute e la sicurezza sul lavoro oppure di elaborare una nuova direttiva quadro, come strumento giuridico per combattere il fenomeno delle molestie, nonché come meccanismo di difesa del rispetto della dignità della persona del lavoratore, della sua intimità e del suo onore, sottolineando sia l'importanza dell'adozione di misure preventive, sia l'importanza dell'ampliamento della responsabilità del datore di lavoro in ordine alla messa in atto di misure sistematiche atte a creare un ambiente di lavoro soddisfacente.
Inoltre, il Parlamento europeo ha già provveduto all'istituzione, nell'ambito della propria organizzazione interna, di un apposito Comitato consultativo sulle molestie morali che, in base all'articolo 3 del suo regolamento «ha come compito principale la prevenzione da ogni azione verbale, fisica e professionale costituente molestia morale contro il personale, funzionari ed agenti, del Parlamento europeo. Il comitato sulla base delle denunce, delle segnalazioni ricevute o di propria iniziativa,, dispone l'audizione dei denuncianti e di ogni altra persona reputata utile ai fini dell'istruzione della pratica».
Qualche riferimento indiretto al mobbing emerge da alcuni documenti comunitari relativi ai settori della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, delle condizioni di lavoro, del rispetto e della dignità dell'individuo, e della parità di trattamento1.

In materia è intervenuta anche la Corte di Giustizia delle Comunità Europee in una sua pronuncia del 12 novembre 1996, C-84/94, Regno Unito/Consiglio, nella quale si è occupata indirettamente di mobbing quando, richiesta di chiarire le nozioni di "ambiente di lavoro" "sicurezza" e "salute" richiamate dall'art. 118A del trattato UE, ha fornito un'interpretazione molto ampia del concetto di ambiente di lavoro e delle sue implicazioni di natura psicologica, avvicinandosi alla concezione scandinava dell'ambiente di lavoro, particolarmente attenta all'integrazione psicosociale del lavoratore nella comunità di lavoro.

Quanto alla tutela giuridica contro il mobbing al di fuori dell'Europa, negli USA vi è una ricca disciplina antidiscriminatoria che costituisce la base della tutela contro il mobbing, che non è tuttavia disciplinato a livello federale.
Particolarmente utile al riguardo si è dimostrato il Titolo VII del "Civil Rights Act" del 1964" in base al quale "è illegittima ogni pratica lavorativa posta in essere dal datore di lavoro per licenziare o sottoporre il lavoratore a trattamenti discriminatori in relazione a retribuzione, condizioni, termini o trattamenti privilegiati (benefits) a causa della sua razza, colore della pelle, religione, sesso o nazionalità".
Da qualche anno la Suprema Corte degli Stati Uniti ha cominciato a ricomprendere nella tutela di cui al Titolo VII del "Civil Right Act" anche il c.d. hostile environment, ossia i casi in cui il lavoratore sia costretto a prestare la propria attività lavorativa in un ambiente ostile a causa delle continue intimidazioni, offese, scherni ed insulti che permeano l'ambiente lavorativo e che comportano l'alterazione delle stesse condizioni di lavoro. Ai fini della qualificazione di un ambiente come ostile, la Suprema Corte richiede i seguenti requisiti: ripetitività e gravità della condotta, carattere minaccioso in senso fisico o umiliante della condotta (la quale può essere costituita anche soltanto con espressioni offensive); irragionevole interferenza della condotta con la performance lavorativa. In giurisprudenza, si richiamano in proposito le sentenze della U.S. Supreme Court del 1998, Burlington Industries v. Ellerth e Faragher v. City of Boca Raton, ove si è esteso il concetto di hostile environment fino a ricomprendervi oggettivamente i fatti posti in essere dai dipendenti nei confronti dei colleghi.
Questo tipo di interpretazione costituisce del resto la base giuridica da sempre utilizzata dalle corti americane per la tutela contro le molestie sessuali e potrà ora essere esteso con altrettanto successo anche al mobbing.

Una forma di tutela più specifica contro il mobbing è stata, invece, rinvenuta nelle recenti norme che alcuni Stati Americani (Ontario, Oregon, Arizona, California, Iowa, Wyoming) hanno introdotto nei loro ordinamenti volte disciplinare la workplace violence, a definire una antimobbing policy ed infine a riconoscere espressamente ai lavoratori il diritto ad ottenere il risarcimento per i danni mentali (mental injury) patiti in conseguenza dello stress lavorativo o dell'esposizione ad altri stimoli mentali nei luoghi di lavoro. In questi casi il risarcimento del danno spetta indipendentemente dal fatto che il soggetto abbia anche riportato danni fisici.

Nelle singole legislazioni nazionali dei Paesi europei, la Svezia è stata il primo Paese europeo a dotarsi di una legge nazionale sul mobbing.
L'Ente nazionale per la salute e la sicurezza svedese (Arbetaskyddsstyrelsen) ha emanato, in data 21 settembre 1993, una specifica ordinanza (AFS 1993/17), entrata in vigore il 31 marzo 1994, recante misure contro qualsivoglia forma di «persecuzione psicologica» negli ambienti di lavoro. A questa, sono poi seguiti, nel 1997, nuovi atti dispositivi relativi alle misure da adottare contro le forme di persecuzione psicologica in ambito lavorativo.
L'ordinanza fornisce ai datori di lavoro precise indicazioni su come affrontare il problema della persecuzione psicologica in via preventiva attraverso il sostegno dei comitati aziendali e l'interazione continua tra la dirigenza e i dipendenti. In particolare l'ordinanza prevede alcuni principi fondamentali cui i datori di lavoro devono attenersi nell'organizzazione dell'attività lavorativa della loro azienda:
1) il datore di lavoro è tenuto a pianificare ed organizzare il lavoro in modo da prevenire, per quanto possibile, ogni forma di persecuzione nei luoghi di lavoro;
2) il datore di lavoro deve informare i lavoratori, con forme adeguate ed inequivocabili, che queste forme di persecuzione non possono essere assolutamente tollerate nel corso dell'attività lavorativa;
3) devono essere previste procedure idonee ad individuare immediatamente i sintomi di condizioni di lavoro persecutorie, l'esistenza di problemi inerenti all'organizzazione del lavoro o eventuali carenze per quanto riguarda la cooperazione che possono costituire il terreno adatto all'insorgere di forme di persecuzione psicologica durante l'attività lavorativa;
4) qualora poi, nonostante l'attività preventiva, si verifichino ugualmente fenomeni di mobbing, dovranno essere adottate immediatamente efficaci contromisure volte anche ad individuare le eventuali carenze organizzative causa dell'insorgere del fenomeno; 5) il datore di lavoro dovrà, infine, prevedere forme di aiuto specifico ed immediato per le vittime del mobbing.

Diversamente, la Norvegia ha preferito optare per una tutela a livello legislativo del mobbing attraverso l'introduzione del paragrafo 12 della legge 24 giugno 1994, n. 41, (Arbeidsmiljoven) che così recita: "Le tecnologie, l'organizzazione del lavoro, gli orari di lavoro ed i sistemi retributivi devono essere disposti in modo da non esporre i lavoratori a gravosi sforzi fisici o psichici" e che "I lavoratori non devono essere esposti a molestie o ad altri comportamenti sconvenienti".

In Francia, nel 2000, è stata votata la legge "lutte contre le harcèlement moral au travati" (l. 202-73, ritenuta conforme alla Costituzione dal Conseil constitutionnel 12 gennaio 2002, n. 2001-455), specifica sul mobbing, ove il fenomeno viene definito come un "insieme di azioni ripetute di violenza morale che hanno per oggetto e per effetto la degradazione delle condizioni di lavoro suscettibile di recare offesa ai diritti e alla dignità del salariato, di alterare la sua salute psicologica o mentale e compromettere il suo avvenire professionale" (art. 168-180).
Vi si stabilisce (nuovo art. 122-49 cod. trav.) che: "Nessun lavoratore deve subire atti ripetuti di molestia morale che hanno per oggetto o per effetto un degrado delle condizioni di lavoro suscettibili di ledere i diritti e la dignità del lavoratore, di alterare la sua salute fisica o mentale o di compromettere il suo avvenire professionale. Nessun lavoratore può essere sanzionato, licenziato o essere oggetto di misure discriminatorie, dirette o indirette, in particolare modo in materia di remunerazione, di formazione, di riclassificazione, di qualificazione , di promozione professionale, di mutamento o rinnovazione del contratto, per aver subito, o rifiutato di subire, i comportamenti definiti nel comma precedente o per aver testimoniato su tali comportamenti o averli riferiti".
Le due peculiarità di maggior interesse riguardano l'introduzione dell'istituto della c.d. inversione dell'onere della prova (in realtà si tratta di una agevolazione probatoria per cui è sufficiente che il lavoratore adduca elementi di fatto che lascino supporre l'esistenza della molestia ripetuta ed è il soggetto accusato di aver posto in essere azioni dirette o indirette di violenza morale in ambito lavorativo a dover dimostrare l'estraneità a qualsiasi forma di responsabilità) e la previsione di apposite sanzioni civilistiche e penali su fatti costituenti mobbing. In particolare, sotto tale profilo, la legge prevede, quale rimedio generale la nullità per ogni atto di modificazione contrattuale in peius delle condizioni lavorative del dipendente (mansioni, rimunerazione, assegnazione, destinazione, trasferimenti), per ogni atto di rottura del rapporto di lavoro (dimissioni o licenziamenti), per le sanzioni disciplinari qualora siano in qualche modo ricollegabili a pratiche di mobbing ai danni del lavoratore.
La legge contiene, poi, tutta una serie di disposizioni che mirano a favorire la prevenzione del fenomeno mobbing nei luoghi di lavoro attraverso l'informazione tra i vari attori delle relazioni lavorative (datori di lavoro e vertici aziendali, lavoratori, sindacati), l'attivazione di procedure di conciliazione interne, l'estensione del concetto di salute del lavoratore anche agli aspetti psichici e psicologici della personalità, la previsione di un obbligo generale in capo al datore di lavoro di vigilare sul corretto svolgimento delle relazioni sociali nei luoghi di lavoro e di adottare le misure, anche di tipo disciplinare, che prevengano comportamenti vessatori ai danni dei lavoratori.
La nuova legge prevede, inoltre, l'introduzione di un'apposita figura di reato dedicata al mobbing con l'inserimento nel codice penale francese di una nuova sezione intitolata, per l'appunto, all'harcèlement moral e di un articolo, il 222-33-2, che sanzionava espressamente "il fatto di molestare gli altri attraverso comportamenti ripetuti aventi per oggetto o per effetto una degradazione delle condizioni di lavoro suscettibili di ledere i suoi diritti e la sua dignità, di alterare la sua salute fisica o mentale o di compromettere il suo avvenire professionale": la pena prevista è della reclusione fino a un anno o la multa di 15.000 euro.
La loi n° 2003-6 du 3/1/2003 portant relance de la négociation collective en matière de licenciements économiques ha disciplinato due aspetti novellando la legge precedente e in materia di charge de lapreuve e di médiation.2

Anche in Belgio vi è una legge (dell'11 giugno 2002, intitolata Proposition de loi relative au hacèlementmoral parla dègradation dèliberèe des condition de travail) per regolamentare il fenomeno attraverso la previsione dell'obbligo per il datore di lavoro di designare, in accordo con i rappresentanti dei lavoratori, un Consigliere per la prevenzione (interno od esterno a seconda delle dimensione dell'impresa) con specifiche competenze psico-sociali in particolare riferite all'ambiente lavorativo. Le imprese al di sopra di 20 dipendenti, qualunque sia il settore di attività, dovranno disporre del servizio interno di prevenzione, mentre quelle con meno di 20 dipendenti che ne sono prive saranno affiliate ad un servizio esterno di prevenzione inter-aziendale che raggruppa specialisti di cinque discipline (medicina del lavoro, sicurezza, igiene industriale, ergonomia e psicologia). Da alcuni anni, poi, grazie all'azione svolta dal sindacato, si è costituita presso i servizi pubblici per la prevenzione e protezione sul lavoro, una commissione "d'avviso" composta da rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, con lo scopo di offrire ai lavoratori vittime del mobbing un'assistenza al di fuori della realtà lavorativa.

In Spagna, in data 23 novembre 2001, sono state presentate al Congreso de los Deputatos, da parte del Gruppo parlamentare socialista, due nuove proposte di legge (la n. 122/000157 intitolata "derecho a no sufriracoso moral en el trabajo" e la n. 122/000158 intitolata "Organica por la que se incluye un articulo 314 bis en el Codigo Penai tipiticando el acoso moral en el trabajo" miranti a regolare normativamente l'acoso moral e, in data 14 aprile 2001, il Parlamento catalano ha esaminato una proposta sul mobbing, con la quale quale, tra l'altro, si vuole modificare l'attuale legge di prevenzione dei rischi lavorativi in modo da includere la prevenzione dell'acoso moral tra le obbligazioni del datore di lavoro.
Forme alternative di tutela giuridica contro il mobbing possono poi trarsi da normative di portata generale come lo Statuto dei Lavoratori (Estatuto de los Trabajores -ET), nella legge di prevenzione dei rischi lavorativi (Ley de Prevenciòn des Riesgos Laborales — LPRL) (artt. 4.2.d e 4.2.e), che stabiliscono rispettivamente il diritto del lavoratore alla sua integrità fisica e al rispetto della sua intimità e dignità compresa la protezione contro offese verbali o fisiche di natura sessuale.
Per "rischio derivante dal lavoro" si deve intendere, ai sensi dell'art. 4.2 LPRL, "la possibilità che un lavoratore soffra un determinato danno in conseguenza del lavoro" e per "danno derivante dal lavoro", "tutte le infermità, patologie o lesioni sofferte a causa o in occasione del lavorò" comprese a pieno titolo le lesioni di natura psicologiche.

In Germania, pur non essendoci ancora alcuna legge specifica, alla Volkswagen nel 1996 è stato firmato un accordo tra azienda e sindacato con l'obiettivo di prevenire molestie sessuali, mobbing ed ogni forma di discriminazione al fine di creare un clima di lavoro positivo basato sulla reciproca collaborazione.

Oltre all'art. 618 del codice civile tedesco (Burgerliches Gesetzbuch), che stabilisce l'obbligo generale di adozione delle misure di sicurezza, la legge sulla sicurezza sul lavoro (Arbeitsschutzgesetz) del 7 agosto 1996 affronta indirettamente la questione del mobbing laddove si occupa dei difetti organizzativi del lavoro, delle manchevolezze nella conduzione aziendale e dei complessi rapporti sociali, che possono essere alla base dei danni alla salute.
Una tutela più specifica contro i fenomeni del mobbing nei luoghi di lavoro viene fornita da normative più specifiche come il Betriebsverfassungsgesetz (BetrVG) del 23 dicembre 1988 (legge costituzionale sullo statuto delle imprese), il "Hessisches Personalvertretungsgesetz" (HPVG) ed il "Bundes Personalvertretungsgesetz" (BpersVG che contiene principi per il trattamento dei dipendenti).Si tratta per lo più di forme di cura ed assistenza preventiva contro il mobbing, stabilendosi dall'art. 75 del BetrVG e dall'art. 67 del BpersVG che il datore di lavoro ed il Consiglio d'azienda sono tenuti a tutelare e a promuovere la libera espressione della personalità dei dipendenti dell'azienda. In particolare è previsto che il Consiglio d'amministrazione (Betriebsrat) e i datori di lavoro siano obbligati a tenere colloqui mensili e ad attivare eventuali procedure di conciliazione all'interno dell'azienda.
L'art. 80 del BetrVG attribuisce, poi, al Consiglio d'azienda il compito di proporre al datore di lavoro le misure che possano servire all'azienda e alla comunità; misure che il datore di lavoro è obbligato ad adottare. Gli artt. 62 del HPVG e 68 del BpersVG, inoltre, riconoscono: 1) il diritto del datore di lavoro, nell'ambito del suo potere-dovere di sorveglianza, di interrogare i dipendenti, anche attraverso questionari anonimi, sui comportamenti adottati sui luoghi di lavoro e in generale su ogni elemento che potrebbe avere attinenza con eventuali fenomeni di mobbing nell'ambiente di lavoro; 2) il diritto dei lavoratori a ricorrere al datore di lavoro contro comportamenti mobbizzanti; 3) il dovere del Consiglio di prendere in esame tali ricorsi con la possibilità di autorizzare il datore di lavoro a raggiungere forme di conciliazione. Il Betriebsverfassungsgesetz (BetrVG) riconosce a tutti il diritto di ricorrere al datore di lavoro.
Infine, l'104 del BetrVG che prevede che il Consiglio d'azienda possa pretendere l'allontanamento o anche il licenziamento del lavoratore che abbia disturbato la pace aziendale ripetutamente e volontariamente.

In Svizzera non vi è una disciplina specifica del mobbing a livello legislativo, ma vi è una disciplina sulla sicurezza nel lavoro molto evoluta che permette di offrire tutela al lavoratore mobbizzzato.
In caso di violazione della disciplina sulla sicurezza sul lavoro, il lavoratore può rivolgersi all'Ispettorato del lavoro cantonale, competente per l'applicazione di tutte le disposizioni in materia di legge federale sul lavoro, affinché intervenga per far cessare le offese alla sua personalità. L'Ispettorato di Ginevra, denominato "Office Cantonal de l'inspection et des relations du travail" (OCIRT), ha emanato un'apposita "brochure" per regolare le procedure da seguire nei casi di "sofferenza psicologica sul lavoro (mobbing)", nella quale viene stabilito che ogni qual volta il lavoratore lamenti di aver subito molestie morali sul lavoro, sarà tenuto a specificare, in un apposito documento, a che tipo di molestia morale, tra i 45 atti di mobbing individuati dal Leymann, è stato sottoposto e, se possibile, dovrà indicare anche la data di accadimento di ognuno di essi. Sulla base della denuncia presentata l'OCIRT procederà, quindi, all'effettuazione di un'inchiesta all'interno dell'azienda in questione, al fine di accertare la fondatezza delle accuse esposte dal lavoratore e di far prendere coscienza ai vertici aziendali delle responsabilità che essi hanno in queste situazioni. Una volta accertata l'offesa alla personalità del soggetto, l'OCIRT potrà richiedere alla direzione aziendale la cessazione dei comportamenti ostili negoziando eventualmente con essa le contromisure da adottare per evitare che simili situazioni si ripetano in futuro. Se, però, l'azienda si rifiuta di collaborare, l'OCIRT di fatto non dispone di alcun potere prescrittivo.

Un'esplicita menzione del termine mobbing è rinvenibile poi in Austria, all'interno del piano d'azione per la parità uomo-donna approvato il 16 maggio 1998, che così recita: "tra i comportamenti che ledono la dignità delle donne e degli uomini nel luogo di lavoro vanno annoverati in particolare le espressioni denigratorie, il mobbing e la molestia sessuale. Le collaboratrici devono essere edotte sulle possibilità giuridiche di tutela delle molestie sessuali".

In Gran Bretagna è in discussione una proposta di legge che dispone l'adozione da parte del datore di lavoro di una politica mirata a prevenire il fenomeno da sottoporre alla consultazione dei rappresentanti sindacali e dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Il progetto di legge per la tutela della dignità del lavoratore nei luoghi di lavoro, "The Dignity at Work Bill", che stabilisce all'art. 1 che "ogni lavoratore ha diritto al rispetto della propria dignità sul lavoro"". Il datore di lavoro viene considerato responsabile di violazione di tale diritto "ogni qual volta il lavoratore venga esposto, durante il rapporto di lavoro, a molestia da parte dello stesso datore di lavoro o al bullying o ad ogni altro atto, omissione o condotta che causi la stessa".
Aggiungendosi alla tutela offerta dal Sex Discrimination Act del 1977 e dall'Health and Safety at work Act del 1974, la disciplina introdotta dal Protection from Harassment Act e dall'Employment relations Act del 1997 rappresenta la principale disciplina britannica per la protezione contro le molestie morali ai danni di un soggetto ed è fondata sul principio generale in base al quale: "una persona non deve porre in essere una condotta che possa risultare molesta nei confronti di un'altra persona e di cui egli conosca o debba conoscere il carattere molesto".

2.2.- La disciplina in Italia.
Venendo ora ad esaminare la situazione normativa italiana, va evidenziato che a livello nazionale non vi sono allo stato normative specificamente rivolte a disciplinare il fenomeno del mobbing, ma solo -e da diversi anni- alcuni disegni e proposte di legge (su cui si dirà infra).
Va peraltro ricordato che di molestie sul lavoro si parla nella disciplina, di rango legislativo e di derivazione comunitaria, antidiscriminatoria.
Infatti, la nozione comunitaria di discriminazione, recepita dal nostro ordinamento nei decreti legislativi 215 e 216 del 2003, include le molestie e l'ordine di discriminazione (a prescindere dalla sua esecuzione) a causa dei motivi tipizzati: "le molestie sono da considerarsi una discriminazione in caso di comportamento indesiderato adottato e avente lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo".
Sotto il profilo pratico, l'equiparazione della molestia alla discriminazione consente l'applicazione del regime probatorio agevolato e l'apparato sanzionatorio particolarmente incisivo previsto dalla disciplina antidiscriminatoria.
Peraltro, va ricordato che le fonti normative prevedono espressamente i motivi rilevanti per configurare una discriminazione: nella disciplina comunitaria, e poi nei decreti di recepimento, si tratta delle razza, origine etnica, religione, convinzioni personali, handicap, età, sesso, tendenze sessuali; nella disciplina nazionale, oltre ai predetti motivi, rilevano lingua, credo politico, credo religioso, appartenenza sindacale, partecipazione ad attività sindacali, sieropositività.
Si tratta qui dei motivi tipici di discriminazione, ossia dei motivi a base degli atti o comportamenti che l'ordinamento qualifica in senso tecnico come discriminatori approntandovi una tutela specifica.

Altro aspetto disciplinato dal legislatore nazionale che può avere rilevanza indiretta ai fini del mobbing è dato dalla disciplina sulla sicurezza sul lavoro, dettata da ultimo dal decreto legislativo 9. 4. 2008, n. 81.
Questa non riguarda il mobbing direttamente ma contiene varie norme comunque utili: basti pensare alla stessa definizione di salute del lavoratore (quale stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un'assenza di malattia o d'infermità) ovvero al contenuto ampio e generale della «valutazione dei rischi» cui obbligatoriamente, e con compito e responsabilità non delegabile (art. 16), è chiamato il datore di lavoro (che deve effettuare una valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell'ambito dell'organizzazione in cui essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza), o infine all'ambito di applicazione della disciplina sulla sicurezza (che riguarda tutte le tipologie di rischio, in ogni attività).
Al di fuori di tali norme, vi è poi il principio generale di cui all'art. 2087 cod. civ. intitolato "tutela delle condizioni di lavoro", che stabilisce -quale effetto legale del contratto e non mero effetto naturale, non essendo un obbligo derogabile- l'obbligo del datore di lavoro di tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro; a tale obbligo si connette poi il combinato disposto degli art. 2049 e 2059 cod. civ., ed il regime di corresponsabilità del datore di lavoro per i fatti dei propri dipendenti che cagionino ad altri dipendenti danni non patrimoniali.
Tale disciplina, quale "norma di chiusura" del sistema, pone a carico del datore di lavoro uno speciale ed autonomo obbligo di protezione della persona del lavoratore e reca una previsione particolarmente ampia ed elastica, comprensiva non solo del rispetto delle condizioni e dei limiti imposti dalle leggi e dai regolamenti per la prevenzione degli infortuni e per l'igiene del lavoro, ma anche dell'introduzione e manutenzione delle misure idonee, nelle concrete condizioni aziendali, a prevenire infortuni ed eventuali situazioni di pericolo per il lavoratore, derivanti da fattori naturali o artificiali di nocività o penosità presenti nell'ambiente di lavoro, e che possano incidere non solo sul profilo dell'integrità psico-fisica dei lavoratori, ma anche a quello della loro personalità morale.

Anche il legislatore nazionale si è interessato al mobbing da tempo e, da alcune legislature, sono stati presentati numerosi progetti di legge: ai primi disegni e proposte di legge del 1999, se ne sono aggiunti presto altri (fino ad arrivare a 19 nella precedente legislatura, 12 al Senato e 7 alla Camera), e oggi sono all'esame del Parlamento diversi progetti di legge.

Un esame anche diacronico delle iniziative parlamentari evidenzia la diversità degli approcci dei vari testi proposti: alcuni progetti di legge affrontano la questione dal punto di vista penalistico, prevedendo la reclusione e l'interdizione dai pubblici uffici per chi pone in essere atti di violenza o terrore psicologico, altri si caratterizzano per la funzione preventiva che intendono svolgere, finalizzata ad informare e sensibilizzare tutti i soggetti interessati alla gravità del fenomeno del mobbing; altri si occupano della responsabilità disciplinare in materia, e alcuni delineano anche forme di tutela giurisdizionale in favore del lavoratore.
A tal proposito, alcuni progetti di legge prevedono una agevolazione della prova del mobbing e valorizzano in sede probatoria il ricorso alle presunzioni; sotto altro profilo, alcuni progetti disciplinano un procedimento speciale urgente sulla falsariga di quello antidiscriminatorio; quanto poi alla tutela, alcuni progetti prevedono l'obbligo di ripristino delle situazioni professionali colpite, oltre al risarcimento del danno, anche mediante la pubblicazione della sentenza, ed alla nullità degli atti lesivi.

Vari legislatori regionali si sono occupati invece direttamente del mobbing.
Dapprima la legge regionale del Lazio 11 luglio 2002, n. 16, (all. 4) recante disposizioni per prevenire e contrastare il fenomeno del mobbing nei luoghi di lavoro, che —con l'elencazione di atti riportata in premessa di tale lavoro- definisce mobbing (art. 2) "gli atti e comportamenti discriminatori o vessatori protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di lavoratori dipendenti, pubblici o privati, da parte del datore di lavoro o da soggetti posti in posizione sovraordinata ovvero da altri colleghi, e che si caratterizzano come una vera e propria forma di persecuzione psicologica o di violenza morale".
Con sentenza 19 dicembre 2003, n. 359, (all. 5) la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale in toto della legge della Regione Lazio, accogliendo il ricorso presentato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri: quanto alle ragioni dell'incostituzionalità della normativa, si è escluso che il mobbing, nei suoi aspetti generali e per quanto riguarda i principi fondamentali, possa essere oggetto di discipline territorialmente differenziate, sicché resta precluso alle regioni di intervenire, in ambiti di potestà normativa concorrente, dettando norme che vanno ad incidere sul terreno dei principi fondamentali (quali la salvaguardia sul luogo di lavoro della dignità e dei diritti fondamentali del lavoratore, la tutela della salute e della sicurezza del lavoro, l'incidenza, sotto il profilo della regolazione degli effetti sul rapporto di lavoro, nell'ordinamento civile).
Sono invece ancora vigenti altre leggi regionali (che, disciplinando specifici aspetti del mobbing, hanno invece superato il vaglio di costituzionalità: sentenza Corte cost. 27 gennaio 2006, n. 22, e sentenze 22 giugno 2006, n. 238 e 239) (all. 6-7-8).
La legge Regione Abruzzo 11 agosto 2004, n. 26 (recante intervento della Regione Abruzzo per contrastare e prevenire il fenomeno mobbing e lo stress psico-sociale sui luoghi di lavoro), (all. 6) ha istituito un Centro di riferimento regionale presso l'ASL di Pescara ed un centro di ascolto per ogni altra ASL della Regione, con compiti di monitoraggio ed analisi del fenomeno mobbing e dello stress psico-sociale ed assistenza medico-legale e specialistica ai lavoratori in situazioni lavorative riconducibili a mobbing.
La legge Regione Umbria 28 febbraio 2005, n. 18 (recante tutela della salute psicofisica della persona sul luogo di lavoro e prevenzione e contrasto dei fenomeni di mobbing), (all. 7) ha promosso la costituzione di sportelli anti-mobbing l'Osservatorio regionale sul mobbing e altre iniziative di informazione sul mobbing, e soprattutto azioni di formazione professionale sul fenomeno mobbing, rivolti, in particolare, a vari operatori pubblici e ad operatori delle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro nonché ai responsabili della gestione del personale nel settore pubblico e privato, di assistenza medico-legale e psicologica. Si è poi previsto la concessione di incentivi regionali alla realizzazione di supporti e terapie psicologiche di sostegno e riabilitazione per il lavoratore vittima del mobbing ed i suoi familiari. Da ultimo, si è previsto che il Servizio di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro, sulla base delle segnalazioni ricevute o nell'ambito della sua attività istituzionale, effettua apposite ispezioni nel luogo di lavoro per accertare l'esistenza di azioni di mobbing e l'eventuale stato di malattia del lavoratore.

La legge Regione Friuli Venezia Giulia 8 aprile 2005, n. 7 (portante interventi regionali per l'informazione, la prevenzione e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori dalle molestie morali e psico-fisiche nell'ambiente di lavoro), (all. 8) ha promosso la realizzazione di progetti contro le molestie morali e psico-fisiche sul posto di lavoro, progetti che possono prevedere l'attivazione di appositi centri, dotati di personale qualificato, di sostegno e di aiuto nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori, denominati "Punti di Ascolto" Si è previsto poi che un'apposita Agenzia regionale del lavoro e della formazione professionale compie attività dirette a migliorare la conoscenza delle problematiche che concorrono a determinare il fenomeno delle molestie morali e psico-fisiche sul luogo di lavoro e a definire idonee misure di prevenzione del medesimo.
Da ultimo, il Regolamento Regione Liguria 19 maggio 1997, n. 2, ha dettato un codice di comportamento contro le molestie e gli atti lesivi della dignità personale sul luogo di lavoro, prevedendo che "Ciascun dipendente ha diritto al rispetto della propria dignità personale. Pertanto non sono permesse né tollerate le molestie sessuali, che sì configurano come comportamenti indesiderati con manifestazioni fisiche, verbali o non verbali ed inoltre ogni altra molestia derivante da esibizioni del proprio potere o da manifestazioni di ostilità. Tali comportamenti sono considerati gravi - e i dipendenti hanno il diritto di denunciarli ove si verifichino - in quanto inquinano l'ambiente di lavoro, ledono la dignità delle persone che li subiscono e possono favorire un clima intimidatorio, ostile, umiliante, con conseguenti effetti deleteri sulla salute, il morale, il rendimento. Le molestie come definite all'art. 2 assumono particolare gravità qualora siano accompagnate da minacce o ricatti inerenti la condizione professionale del dipendente. Gli atti relativi alla condizione professionale, per i quali venga accertato un diretto collegamento a siffatti comportamenti, sono soggetti ad annullamento".
Il codice di comportamento prevede azioni di prevenzione, assistenza e repressione contro le molestie. Con riferimento a queste ultime, in particolare, l'art. 7 del regolamento prevede che il dipendente che ha subito molestia può perseguire due strade, l'una delle quali non esclude l'altra, per la soluzione del problema: a) la via "privata o pacifica"; b) la via "ufficiale". Per soluzione in via privata o pacifica si intende "il tentativo di sanare la situazione mediante un incontro tra il dipendente che abbia subito molestie e l'autore delle stesse. All'incontro può partecipare, su richiesta del dipendente che abbia subito molestie, il Presidente del Comitato per le Pari Opportunità. La controparte può farsi assistere durante l'incontro da un collega a conoscenza dei fatti o da un rappresentante delle organizzazioni sindacali. Il dipendente che abbia subito molestie può delegare il Presidente del Comitato per le Pari Opportunità a rappresentarlo. In nessun caso possono essere assunte iniziative senza l'espresso consenso della parte lesa" (art. 8).
Per i casi in cui l'interessato ritenga che non convenga tentare la via della soluzione pacifica, o qualora un tentativo in tal senso sia stato respinto, può ricorrere alla procedura formale, con rilevanza in sede disciplinare nei confronti del soggetto riconosciuto colpevole di molestie.
Particolarmente importante la norma dell'art. 10, che stabilisce l'obbligo dei dirigenti di rispettare il codice di comportamento, di spiegarlo al personale e di garantirne l'applicazione prevenendo i casi di molestie, ed in particolare prevede che il dirigente deve "mostrarsi disponibile a dare ascolto a chiunque gli si rivolga per protestare contro un episodio di molestia, favorendo, ove possibile, un chiarimento tra le parti; individuare e stroncare sul nascere comportamenti che, se lasciati liberi di consolidarsi, potrebbero alla fine configurarsi come molestie; conservare il segreto sui casi di cui venga a conoscenza; adoperarsi affinché, una volta risolto un episodio di molestie anche attraverso l'intervento del Presidente del Comitato per le Pari Opportunità, il caso non si ripeta e non si instauri una persecuzione a danno del dipendente che l'ha denunciato".
Quanto ai dipendenti, si prevede che (art. 11) "i dipendenti hanno l'obbligo di trattare con rispetto i colleghi di lavoro nell'osservanza di quanto stabilito dal codice".
Sul tema, è bene ricordare che era intervenuto anche l'INAIL con propria circolare 17 dicembre 2003, n. 71, avente ad oggetto i "disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro, il rischio tutelato e diagnosi di malattia professionale, le modalità di trattazione delle pratiche". (all. 9)
Il riconoscimento della competenza Inail in materia di mobbing è derivato da un lato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 179/1988 e nel Decreto Legislativo n. 38/2000 (art. 10, comma 4), in base ai quali sono malattie professionali, non solo quelle elencate nelle apposite Tabelle di legge, ma anche tutte le altre di cui sia dimostrata la causa lavorativa, e dall'altro lato dalla norma del citato decreto che prevede l'indennizzo Inail anche per il danno biologico.
L'Inail ha ritenuto nella detta circolare che secondo un'interpretazione aderente all'evoluzione delle forme di organizzazione dei processi produttivi ed alla crescente attenzione ai profili di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, la nozione di causa lavorativa consente di ricomprendere non solo la nocività delle lavorazioni in cui si sviluppa il ciclo produttivo aziendale (siano esse tabellate o non) ma anche quella riconducibile all'organizzazione aziendale delle attività lavorative; secondo l'Istituto, tuttavia, tali condizioni ricorrano esclusivamente in presenza di situazioni di incongruenza delle scelte in ambito organizzativo, situazioni definibili con l'espressione "costrittività organizzativa", e consistenti in una marginalizzazione dalla attività lavorativa, uno svuotamento delle mansioni, una mancata assegnazione dei compiti lavorativi, con inattività forzata, una mancata assegnazione degli strumenti di lavoro, in ripetuti trasferimenti ingiustificati, in una prolungata attribuzione di compiti dequalificanti rispetto al profilo professionale posseduto o per converso di compiti esorbitanti o eccessivi anche in relazione a eventuali condizioni di handicap psico-fisici, nell'impedimento sistematico e strutturale all'accesso a notizie, nell'inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni inerenti l'ordinaria attività di lavoro, nell'esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale, ed infine nell'esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo.
Il rischio coperto riguarda le patologie psichiche derivanti dalle enunciate condizioni lavorative, e in tale rischio tutelato può essere compreso anche il cosiddetto "mobbing strategico" specificamente ricollegabile a finalità lavorative.
L'Inail peraltro ha espressamente precisato che le azioni finalizzate ad allontanare o emarginare il lavoratore rivestono rilevanza assicurativa solo se si concretizzano in una delle situazioni di "costrittività organizzativa" di cui all'elenco sopra riportato o in altre ad esse assimilabili; le incongruenze organizzative, inoltre, devono avere caratteristiche strutturali, durature ed oggettive e, come tali, verificabili e documentabili tramite riscontri altrettanto oggettivi e non suscettibili di discrezionalità interpretativa.
Sono invece esclusi dal rischio tutelato sia i fattori organizzativo/gestionali legati al normale svolgimento del rapporto di lavoro (nuova assegnazione, trasferimento, licenziamento), sia le situazioni indotte dalle dinamiche psicologico-relazionali comuni sia agli ambienti di lavoro che a quelli di vita (conflittualità interpersonali, difficoltà relazionali o condotte comunque riconducibili a comportamenti puramente soggettivi che, in quanto tali, si prestano inevitabilmente a discrezionalità interpretative).
La circolare è stata peraltro annullata dal TAR Lazio n. 5454 del 2005, (all. 42) per profili di legittimità di carattere formale.
Sul tema, va ricordato che la richiamata sentenza del TAR Lazio ha annullato la circolare INAIL ma non il d.m. 27 aprile 2004, (all. 10) recante l'elenco delle malattie per cui è obbligatoria la denuncia, ex art. 139 d.P.R. n. 1124 del 1965, nella parte i cui inserisce nella lista il "gruppo 7", relativo alle malattie psichiche e psicosomatiche da disfunzioni dell'organizzazione del lavoro (c.d. costrittività organizzative): si tratta delle malattie psichiche e psicosomatiche quali il disturbo dell'adattamento cronico (con ansia, depressione, reazione mista, alterazione della condotta e/o della emotività, disturbi somatiformi) ed il disturbo post-traumatico cronico da stress.

Al fenomeno del mobbing hanno dedicato attenzione anche le parti sociali, che vi hanno dedicato appositi spazi nella contrattazione collettiva nazionale.
Nel settore pubblico, ad esempio, il mobbing viene definito come una serie di atti, atteggiamenti o comportamenti, diversi e ripetuti nel tempo in modo sistematico ed abituale, aventi connotazioni aggressive, denigratorie e vessatorie tali da comportare un degrado delle condizioni di lavoro idoneo a compromettere la salute o la professionalità o la dignità del lavoratore stesso nell'ambito dell'ufficio di appartenenza o, addirittura, tale da escluderlo dal contesto lavorativo di riferimento.
La contrattazione quindi prevede distinte forme di intervento: vengono creati dei Comitati paritetici presso ciascuna amministrazione con il compito di raccogliere dati quantitativi e qualitativi sul fenomeno del mobbing, individuare le possibili cause del fenomeno, con particolare riferimento alla verifica dell'esistenza delle condizioni di lavoro o fattori organizzativi o gestionali che possono determinare l'insorgere di situazioni persecutorie o di violenza morale, formulare proposte di azioni positive per il superamento delle situazioni critiche, formulare proposte per norme di comportamento dai inserire nei codici di condotta.
É prevista poi per la prima volta l'espressa inclusione del mobbing tra i comportamenti che possono avere un rilievo disciplinare, previsione questa particolarmente rilevante se si considera da un lato il principio di tassatività delle condotte disciplinarmente rilevanti e dall'altro lato la possibilità di porre in essere mobbing anche con atti in sé formalmente ed astrattamente leciti.
L'art. 13 del codice disciplinare del comparto ministeri prevede oggi la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione fino ad un massimo di 10 giorni per i sistematici e reiterati atti o comportamenti aggressivi, ostili, e denigratori che assumano forme di violenza morale o di persecuzione psicologica nei confronti di un altro dipendente; è stabilita poi la sanzione della sospensione dal servizio e dalla retribuzione da 11 giorni a 6 mesi per l'esercizio, attraverso sistematici atti e reiterati atti e comportamenti aggressivi ostili e denigratori di forme di violenza morale o di persecuzione psicologica nei confronti di un altro dipendente al fine di procurargli un danno in ambito lavorativo o addirittura di escluderlo dal contesto lavorativo; infine, è prevista una sanzione espulsiva, il licenziamento con preavviso, per la recidiva nel biennio relativa al compimento, anche nei confronti di persona diversa, di sistematici e reiterati atti e comportamenti aggressivi ostili e denigratori e di forme di violenza morale o di persecuzione psicologica nei confronti di un collega al fine di procurargli un danno in ambito lavorativo o addirittura di escluderlo dal contesto lavorativo.
Inoltre, l'art. 6 del CCNL Comparto ministeri prende atto della diffusione del fenomeno (che ricollega tra l'altro alla flessibilità delle strutture e relativa mancanza di certezza dei ruoli, nonché al crescente clima sociale competitivo) e prevede la costituzione di un comitato paritetico sul fenomeno del mobbing e l'istituzione della figura del consigliere/consigliera di fiducia.

In materia di mobbing nelle pubbliche amministrazioni, si segnala anche l'intervento del Ministero per la Funzione Pubblica che ha emanato la direttiva 24 marzo 2004, recante misure finalizzate al miglioramento del benessere organizzativo nelle pubbliche amministrazioni (all. 12).
Tra i fattori idonei ad incidere su tale benessere sono state individuate, tra l'altro, il riconoscimento e la valorizzazione delle competenze; la chiarezza degli obiettivi organizzativi e coerenza tra enunciato e pratiche organizzative, le caratteristiche dell'ambiente nel quale il lavoro si svolge, la comunicazione intraorganizzativa circolare e la circolazione delle informazioni, la creazione di un clima relazionale franco e collaborativi, la giustizia operativa, lo stress, la conflittualità.

Da ultimo, si richiama l'accordo europeo quadro dell'8 ottobre 2004 contro lo stress su lavoro (all. 13 e 14): si tratta di un accordo sottoscritto dalle quattro maggiori organizzazioni europee di lavoratori ed imprenditori (e precisamente la Confederazione europea dei sindacati - CES, l'Unione delle confederazioni industriali d'Europa - UNICE, l'Unione europea dell'artigianato e delle PMI - UEAPME e il Centro europeo delle imprese pubbliche e delle imprese di interesse economico generale - CEEP) e quindi sottoposto alla Commissione europea.
Tale accordo rileva che stress da lavoro può derivare da fattori di stress "oggettivi", quali l'organizzazione del lavoro, le condizioni e l'ambiente lavorativi, la comunicazione, ovvero da fattori "soggettivi", quali le pressioni psicologiche e sociali, la sensazione di incapacità ad affrontarle, l'impressione di non essere sostenuti.
L'accordo impegna i datori di lavoro, se il problema di stress da lavoro è identificato, ad agire per prevenirlo, eliminarlo o ridurlo, stabilendo le misure adeguate da adottare, le quali saranno attuate con la partecipazione e la collaborazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti.
L'accordo europeo è stato recepito con accordo interconfederale del 9 giugno 2008 (all. 15).