Cassazione Civile, 14 febbraio 2012, n. 2085 - Caduta all'uscita del luogo di lavoro, gradini bagnati e mancanza di corrimano



 
 

Fatto

 
 
 
Con sentenza del 22-10-2008 la Corte di appello di Bologna, in riforma della decisione di accoglimento del Tribunale, ha rigettato la domanda di risarcimento danni proposta da O. A., dipendente dell'I.P.A.B. T. terza età, nei confronti del datore di lavoro, che ha chiamato in causa la sua compagnia assicuratrice A. s.p.a, per le lesioni riportate a seguito della caduta all'uscita del luogo di lavoro, sui gradini bagnati di una scala, priva di corrimano in violazione dell'art.16 D.P.R n.547/55
 
La Corte di appello ha ritenuto che la ricorrente non avesse fornito la prova delle modalità dell'incidente e del nesso causale tra la mancanza del corrimano e la caduta, né che la presenza di un corrimano avrebbe evitato l'evento dannoso.

Propone ricorso A. O. con due motivi. Resiste con controricorso la A. s.p.a illustrato da memoria.
 
 
 


Diritto

 
 
 
 1.Con il primo motivo si denunzia omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo individuato nell'efficacia causale della presenza de! corrimano
 rispetto all'impedimento dell'evento lesivo e violazione degli artt. 2043 e 2697 cc.
 
Sostiene la ricorrente che se la Corte di merito avesse correttamente valutato le risultanze probatorie in relazione alla struttura e dimensioni del vano
 scala, avrebbe dovuto ritenere l'utilità del presidio antinfortunistico ad evitare l'evento dannoso.
 
Inoltre i giudici di merito,in violazione degli artt,2043 e 2697 cc. , non hanno considerato che la danneggiata aveva assolto all' onere probatorio che le incombeva ,avendo fornito la prova di tutti gli elementi costitutivi dell'illecito: il fatto, il danno e la colpa derivante dalla violazione della norma precauzionale.
 
 

2. Il motivo è fondato.
 
 

La controversia è stata decisa alla luce dell' art.2043 cc . In ipotesi di responsabilità ex art. 2043 cc. incombe al danneggiato di provare gli elementi costitutivi del fatto, il nesso di causalità, il danno ingiusto e la imputabilità soggettiva.
 
Risulta provata la caduta della ricorrente sulla scala all'uscita del luogo di lavoro in quanto la teste escussa , pur non avendo assistito al fatto, era vicina al luogo dell'evento ed ha sentito il rumore del capo che urtava contro il muro intervenendo subito dopo a soccorrere la collega. I danni riportati sono stati accertati a mezzo c.t.u nel giudizio di primo grado.
 
Certa è la mancanza del corrimano, integrandosi quindi la violazione da parte del datore di lavoro dell'art.16 del D.P.R. 27 aprile 1955 n.547, che impone che le scale destinate all'accesso ai luoghi di lavoro, se sono aperte , devono essere dotate di parapetto o di altra difesa , e se sono delimitate da due pareti, come quella in oggetto, devono essere munite almeno di un corrimano.
 
 

3. In ordine al nesso di causalità anche la violazione di una norma può costituire causa o concausa di un evento, quando essa sia preordinata ad  impedirlo Cass.9 giugno 2010 n.13830.
 
La norma in oggetto ha certamente la funzione di rendere sicuro l'uso delle scale di accesso ai luoghi di lavoro e di prevenire le cadute, con l'imposizione dell'obbligo di parapetti nelle scale aperte, che hanno anche la funzione di appoggio, o l'installazione di un parapetto delle scale chiuse da pareti.
 
 

4. Di recente questa Corte regolatrice, attraverso le sentenze a S.U. n, 576 e 581 dell'11 gennaio 2008, è pervenuta ad un importante arresto in tema di responsabilità civile, stabilendo che il nesso causale è regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 c.p., per il quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all'interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano (ad una valutazione ex ante) de! tutto inverosimili, ferma restando, peraltro, la diversità del regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi: nel senso che, nell'accertamento del nesso causale in materia civile, vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", mentre nel processo penale vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio".
 
Nell'imputazione per omissione colposa il giudizio causale assume come termine iniziale la condotta omissiva del comportamento dovuto (Cass. n, 20328 del 2006; Cass. n. 21894 del 2004; Cass. n. 6516 del 2004; Cass. 22/10/2003, n. 15789): rilievo che si traduce a volte nell'affermazione dell'esigenza, per l'imputazione della responsabilità, che il danno sia una concretizzazione del rischio, che la norma di condotta violata tendeva a prevenire.
 
Il Giudice pertanto è tenuto ad accertare se l'evento sia ricollegabile all'omissione (causalità omissiva) nel senso che esso non si sarebbe verificato se (causalità ipotetica) l'agente avesse posto in essere la condotta doverosa impostagli, con esclusione di fattori alternativi.
 
L'accertamento del rapporto di causalità ipotetica passa attraverso l'enunciato "controfattuale" che pone al posto dell'omissione il comportamento alternativo dovuto, onde verificare se la condotta doverosa avrebbe evitato il danno lamentato dal danneggiato.
 

5. Di conseguenza la ricorrente, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di appello, ha assolto all'onere probatorio che le incombeva, fornendo la prova di tutti gli elementi costitutivi del fatto, mentre spettava alla Corte di merito accertare il rapporto di causalità ipotetica , nei termini suindicati, fra l'omissione del datore di lavoro e l'evento.

 
 Il secondo motivo risulta assorbito dall'accoglimento del primo.


 
 
 
 P.Q.M.
 


 
 
 Accoglie il ricorso,cassa e rinvia alla Corte di Appello di Bologna,in diversa composizione, che provvedere anche sulle spese del giudizio di cassazione.