Cassazione Civile, 05 marzo 2012, n. 3416 - Omissione di misure di sicurezza nell'ufficio postale: rapina e risacimento del danno


 

 

Fatto



G.P. adiva il Tribunale di Forlì nei confronti della s.p.a. Poste Italiane deducendo che sussisteva la responsabilità di quest'ultima, che non aveva adottato le misure di sicurezza necessarie, quanto ai danni che ella, dipendente della società con funzioni di direzione, aveva patito in conseguenza della rapina verificatasi il 17.10.1998 presso l'ufficio postale di Forlimpopoli.

La domanda era rigettata dal Tribunale che escludeva la responsabilità della azienda, che aveva adottato le misure normativamente prescritte e idonee.

A seguito di appello della P., la Corte d'appello di Bologna riteneva invece sussistente la responsabilità della azienda.

Infatti, ricostruita la complessa dinamica attraverso cui si era concretizzata la rapina, osservava in particolare che la realizzazione del delitto era stata facilitata dal fatto che i malviventi avevano potuto accedere facilmente, durante l'orario di chiusura notturna dell'ufficio postale, ai locali dell'ufficio stesso siti al primo piano, che non erano protetti dal sistema di allarme e in cui erano presenti finestre non protette né da grate metalliche né da vetri antisfondamento, misure che invece avrebbero dovuto essere adottate sulla base del d.m. 10.2.1992 sulle misure di sicurezza da adottare presso gli uffici postali (richiedente misure di "ordinaria protezione dalla intrusione esterna" per i locali contigui e in possibile comunicazione con quelli in cui erano custoditi valori), tanto più se interpretato in correlazione con gli obblighi derivanti dall'art. 2087 c.c..

La omissione di tali misure, peraltro, aveva integrato una grave negligenza e la sottovalutazione della situazione di conseguente potenziale pericolo per i dipendenti.

Accoglieva conseguentemente la domanda di risarcimento del danno, limitatamente al danno biologico, il quale, come attestato dalla c.t.u. espiata in appello, aveva avuto estrinsecazione all'epoca della vicenda esposta in una reazione depressivo-ansiosa riferibile al trauma patito e si era stabilizzato in un quadro depressivo diagnosticabile come disturbo distimico lieve, ed era quantificabile in 15 giorni di inabilità temporanea assoluta e in esiti permanenti dell'8% (esclusa una riduzione della capacità di lavoro) e monetizzabile in € 12.000,00 oltre interessi e rivalutazione dalla data del sinistro.

Le Poste Italiane ricorrono per cassazione con un motivo preceduto da tre rubriche ma contenente un'unica esposizione e un unico quesito di diritto.

G.P. resiste con controricorso e contestualmente propone ricorso incidentale articolato in quattro motivi.


Diritto



1. Il ricorso principale e quello incidentale devono essere riuniti (art. 335 c.p.c).

2. Il ricorso delle Poste Italiane, nella sua parte espositiva, in sostanza fa valere il principio secondo cui ai fini del rispetto dell'art. 2087 c.c. il datore di lavoro, se deve adottare tutte le misure tassativamente imposte dalla legge e inoltre quelle generiche dettate dalla comune prudenza, non è tuttavia tenuto ad adottare ogni possibile cautela necessaria al fine di evitare qualsiasi danno, perché un simile obbligo renderebbe possibile individuare in ogni situazione una responsabilità del datore di lavoro e comporterebbe in pratica una sua responsabilità oggettiva.

Si sostiene poi che nella specie erano state adottate tutte le misure previste dalla normativa specifica, cioè dal d.m. 10.2.1992, e si contesta la sussistenza del nesso causale tra la omissione delle misure relative al primo piano dell'edificio postale e la verificazione della rapina, poiché, in caso di loro presenza, i rapinatori avrebbero potuto adottare altre modalità operative.

Si lamenta anche la evidente sproporzione tra i fatti accaduti, che avevano coinvolto la P. per non più di cinque minuti, e i danni lamentati.

3. I quattro motivi del ricorso incidentale censurano sotto vari profili il mancato risarcimento del danno morale.

3.1. Con il primo motivo si chiede l'applicazione.del principio secondo cui nel danno subito dal lavoratore per effetto di mancata osservanza degli obblighi di sicurezza imposti dall'art. 2087 c.c. rientra anche il danno morale, quando da quell'inosservanza siano derivate al dipendente lesioni personali o uno stato di malattia.

3.2. Il secondo motivo censura (in via cautelativa) la sentenza per l'ipotesi in cui, implicitamente ed erroneamente, abbia ritenuto non configurabile la responsabilità della parte convenuta per i danni morali in ragione della sua qualità di persona giuridica.

3.3. Il terzo motivo lamenta che non sia stata ravvisata, in capo ai soggetti agenti per conto delle Poste italiane, il reato di lesioni colpose in relazione ai fatti accertati e, in particolare, in presenza di lesioni psichiche, comportanti un'invalidità permanente e quindi di una fattispecie integrante il reato di cui all'art. 590 c.p.

3.4. Il quarto motivo deduce contraddittorietà di motivazione perché il nesso causale tra colpa dell'ente e danni era stato ravvisato quanto al danno biologico e non anche quanto ai danni morali.

4. Il ricorso principale non e fondato.

La Corte d'appello ha proceduto, con ampia motivazione, ad un esame approfondito di tutti gli elementi di fatto rilevanti, in particolare rilevando come la mancanza di misure di protezione, anche se non sofisticate, da intrusioni nei locali dell'ufficio del primo piano aveva comportato la violazione di puntuali prescrizioni della normativa regolamentare in esame, e evidenziando il nesso causale tra tale lacuna e l'azione criminosa in questione, che aveva potuto essere progettata e realizzata proprio sfruttando tale lacuna delle misure di sicurezza. La critica di tale accertamento risulta invece basata in sostanza su una contestazione meramente apodittica dei puntuali rilievi della sentenza impugnata. Analoga inidoneità è riscontrabile anche nelle critiche mosse agli accertamenti e alle valutazioni formulate dalla Corte di merito circa le conseguenze della rapina e delle sue modalità di esecuzione sullo stato di salute della ricorrente.

5. Il ricorso incidentale, i cui motivi sono esaminati congiuntamente per la loro connessione, merita accoglimento.

Al riguardo assume valore determinante e assorbente il principio di diritto, enunciato dalle sezioni unite di questa Corte, secondo cui il danno non patrimoniale, di cui l'art. 2059 c.c. prevede la risarcibilità nei casi "previsti dalla legge", in effetti, sulla base di un'interpretazione costituzionalmente orientata di tale disposizione del codice civile, è risarcibile non solo quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato, ma anche quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale, tra i quali è annoverabile in primo luogo il diritto all'integrità psicofisica personale, che è quello di cui è stata accertata la lesione nella specie (Cass. S.U. 26972/2011; conf. Cass. 20684/2009).

6. In conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato e il ricorso incidentale deve essere accolto, con cassazione della sentenza impugnata nella parte in cui non ha riconosciuto il risarcimento dei danni non patrimoniali - e rinvio della causa ad altro giudice (stessa Corte in diversa composizione), che si atterrà al già indicato principio di diritto. Al giudice di rinvio si demanda anche la regolazione delle spese del presente giudizio di cassazione.




P.Q.M.


Riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale e cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d'appello di Bologna in diversa composizione.