Cassazione Penale, Sez. 3, 22 febbraio 2012, n. 6998 - Lavoro subordinato di fatto e responsabilità per omissione della sorveglianza sanitaria


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TERESI Alfredo - Presidente

Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere

Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere

Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere

Dott. MARINI Luigi - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

1) Ar. En. nato il (Omissis);

avverso la sentenza del 9.10.2009 del Tribunale di Firenze;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Silvio Amoresano;

sentitele conclusioni del P.G., Dr. LETTIERI Nicola, che ha chiesto annullarsi con rinvio la sentenza impugnata.

Fatto

 



1) Con sentenza in data 9.10.2009 il Tribunale di Firenze condannava Ar. En. alla pena di euro 2.582,00 di ammenda per il reato di cui al Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4, comma 5, lettera g) e articolo 89, comma 2 sub b) per non aver sottoposto i lavoratori Pa. De. Fa. e Pa. De. Fa. alla sorveglianza sanitaria prevista (visita medica periodica).

Dopo aver riportato le risultanze processuali e dopo aver ricordato che, in materia antinfortunistica, un rapporto di lavoro subordinato deve ritenersi tale, a prescindere dalla qualifica formale, con riferimento all'assenza di autonomia del lavoratore, assumeva il Tribunale che i due lavoratori operassero sotto le direttive dell'imputato, il quale forniva i materiali (ponteggi tubolari), richiedeva la concessione di suolo pubblico per l'arco temporale previsto, forniva indicazioni in ordine alle modalità di esecuzione dei lavori. Inoltre i Pa. De. , pur titolari di ditte individuali, lavoravano quasi esclusivamente per l' Ar. e se volevano prendere un periodo di ferie preavvisavano l'imputato.

2) Avverso la predetta sentenza proponeva appello l' Ar. , a mezzo del difensore, chiedendo di essere mandato assolto perchè il fatto non costituisce reato o con altra formula ritenuta di giustizia.

Con il primo motivo deduceva la violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4 ed all'articolo 2094 c.c., nonchè il vizio di motivazione, avendo il Tribunale ritenuto la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato in difetto dei requisiti richiesti (ed in particolare dell'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro) e ritenuto rilevanti connotati sussidiari (collaborazione, continuità dell'attività, osservanza di un orario di lavoro) che possono sussistere anche in presenza del lavoro autonomo. Deduceva, altresì, il vizio di motivazione, il travisamento della prova e la illogicità della motivazione, non avendo il Tribunale valutato l'esistenza di contratti di appalto e fatto ricorso a criteri sussidiari non decisivi, nonostante non fosse stato provato il criterio della subordinazione. A parte il fatto che dalle risultanze processuali non emergeva la mancanza di autonomia dei lavoratori, ma piuttosto la mancanza di qualsiasi assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro.

2.1) Essendo la sentenza inappellabile, qualificata l'impugnazione come ricorso ex articolo 568 c.p.p., comma 5, gli atti venivano rimessi a questa Corte.

3) Il ricorso è manifestamente infondato e "risente" palesemente del fatto che si intendeva proporre appello.

3.1) Secondo la giurisprudenza di questa Corte, richiamata anche dal Tribunale, "..un rapporto di lavoro subordinato deve essere considerato tale in riferimento all'assenza di autonomia del lavoratore nella prestazione dell'attività lavorativa e non già in relazione alla qualifica formale assunta dal medesimo (Fattispecie in cui è stato ritenuto subordinato e non autonomo il lavoratore che, pur formalmente titolare di una ditta artigiana, prestavo in assenza di autonomia lo propria attività, ricevendo ordini dal datore di lavoro, del quale utilizzava le attrezzature, il mezzo di trasporto ed il materiale)" (cfr. Cass. pen. sez. 4 n. 12348 del 29.1.2008).

3.1.1) Il Tribunale ha fatto corretta applicazione di tali principi e, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici, ha ritenuto che ci si trovasse, di fatto, in presenza di un rapporto di lavoro subordinato.

Sulla base delle risultanze processuali, ed in particolare delle testimonianze di Pa. De. Fa. e Pa. De. Fa. e delle stesse parziali ammissioni dell'imputato, ha ritenuto che i due Pa. De. "eseguivano gli stessi lavori realizzati dall' Ar. con la sua società e cioè ponteggi tubolari"; "il materiale e cioè i tubolari li forniva l' Ar. che si occupava anche di richiedere la concessione di suolo pubblico per l'arco temporale previsto fornendo altresì indicazioni in ordine alle modalità di esecuzione dei lavori"; i due "... lavoravano quasi esclusivamente per l' Ar. , anzi si erano licenziati creando la ditta proprio perchè l'imputato aveva dato assicurazioni circa il lavoro con regolarità e quindi se volevano prendere un periodo di ferie era loro cura avvisare il lavoro".

Da siffatte risultanze emergeva, quindi, che i Pa. De. erano assoggettati al potere direttivo ed organizzativo dell'imputato e, conseguentemente, la sussistenza, di fatto, degli elementi che caratterizzano il rapporto di lavoro subordinato.

3.1.2) Con il ricorso si propone, sostanzialmente, una diversa lettura delle risultanze processuali, assumendosi che "..l'istruttoria dibattimentale non ha evidenziato il carattere fondamentale della subordinazione".

Le censure sollevate dal ricorrente non tengono conto, però, che il controllo demandato alla Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità di rivalutare in una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o di verificare se i risultati dell'interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo. Anche a seguito della modifica dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), con la Legge n. 46 del 2006, il sindacato della Corte di Cassazione rimane di legittimità: lo possibilità di desumere la mancanza, contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare criticamente le risultanze istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell'iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di procedere all'annullamento quando la prova non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (cfr. Cass. pen. sez. 6 n. 752 del 18.12.2006).

Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma che pare congruo determinare in euro 1.000,00 ai sensi dell'articolo 616 c.p.p..

P.Q.M.



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento alla cassa delle ammende della somma di euro 1.000,00.