Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 12 marzo 2012, n. 9466 - Lavori di scalpellamento e caduta sui ferri di ripresa del muro: foratura del torace


 

 

 

Responsabilità di un datore di lavoro per infortunio occorso ad un lavoratore: secondo quanto ritenuto dei giudici di merito, la vittima si portava sulla sommità di un muro posto alla quota di circa 2,50 metri per eseguire lavori di scalpellamento, senza che fosse predisposto idoneo ponteggio e facendo uso soltanto di una scala a pioli. Nel corso della procedura il lavoratore scivolava cadendo sui ferri di ripresa del muro e riportando la foratura del torace. All'imputato, nella veste di datore di lavoro, è stato attribuito l'addebito colposo di non aver reso disponibili strutture cantieristiche adeguate.

Condannato in primo e secondo grado, ricorre in Cassazione - Inammissibile.

"Il ricorso è privo di specificità e manifestamente infondato.

Le doglianze prospettate a questa suprema Corte riproducono pedissequamente le censure esposte nei motivi d'appello ed analiticamente indicate nella pronunzia impugnata. La corte di merito ha dettagliatamente esaminato le questioni proposte, dando puntuali risposte basate su definite acquisizioni probatorie ed immuni da vizi logico-giuridici. Tra l'altro, sulla base delle dichiarazioni della vittima e di numerosi testimoni, si perviene alla conclusione che l'infortunato si trovava a cavallo tra la sommità del muro e l'ultimo piolo della scala quando perdeva l'equilibrio cadendo sui ferri di ripresa dello stesso muro che stava in quel momento misurando e pulendo in vista di ulteriori lavorazioni. La scala non era sufficientemente lunga e tale circostanza ha favorito la caduta.

Quanto al tema della responsabilità del datore di lavoro, che rivestiva altresì la qualità di subappaltatore, la sentenza richiama e condivide la giurisprudenza di questa Corte di legittimità che pone a carico di tale figura l'onere di riscontrare ed accertare la sicurezza dei luoghi di lavoro anche quando nel cantiere siano operanti altre imprese riconducibili all'appaltatore, tanto più quando si è in presenza di un'opera parziale e specialistica."




REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARZANO Francesco - Presidente

Dott. FOTI Giacomo - Consigliere

Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere

Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere

Dott. BLAIOTTA Rocco Marc - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

 



sul ricorso proposto da:

1) MO. LU. GI. , N. IL (Omissis);

avverso la sentenza n. 428/2010 CORTE APPELLO di TRIESTE, del 23/03/2011;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/01/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROCCO MARCO BLAIOTTA;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Volpe Giuseppe, che ha concluso per l'inammissibilità.

FattoDiritto



1. Il Tribunale di Trieste ha affermato la responsabilità dell'imputato in epigrafe in ordine al reato di lesioni colpose commesso con violazione delle norme sulla sicurezza dei lavoro. La pronunzia è stata confermata dalla Corte d'appello di Trieste.

Secondo quanto ritenuto dei giudici di merito, la vittima si portava sulla sommità di un muro posto alla quota di circa 2,50 metri per eseguire lavori di scalpellamento, senza che fosse predisposto idoneo ponteggio e facendo uso soltanto di una scala a pioli. Nel corso della procedura il lavoratore scivolava cadendo sui ferri di ripresa del muro e riportando la foratura del torace. All'imputato, nella veste di datore di lavoro, è stato attribuito l'addebito colposo di non aver reso disponibili strutture cantieristiche adeguate.

2. Ricorre per cassazione l'imputato deducendo diversi motivi.

Si espone che, come ritenuto dallo stesso Tribunale in altro procedimento, non è ravvisabile alcuna condotta colposa riferibile al ricorrente, dovendo l'infortunio essere attribuito esclusivamente alla Ci. S.p.A. che aveva la materiale disponibilità di tutte le strutture del cantiere.

Si deduce altresì che il giudice di merito ha ignorato le deposizioni che segnalavano il ruolo della detta S.p.A.; ha attribuito eccessivo credito alle dichiarazioni della vittima; ha proposto enunciazioni illogiche a proposito delle modalità della caduta del lavoratore; ha trascurato che il lavoratore si è procurato le lesioni per la sua temerarietà e cioè per la fretta di correre all'ora di pranzo, scavalcando impropriamente un muro e quindi ponendo in essere una condotta che il diligente imputato non poteva prevedere; ha infine omesso di sentire un teste e di ispezionare il muro per constatare inequivocabilmente la posizione dei ferri che determinarono le lesioni.

3. Il ricorso è privo di specificità e manifestamente infondato.

Le doglianze prospettate a questa suprema Corte riproducono pedissequamente le censure esposte nei motivi d'appello ed analiticamente indicate nella pronunzia impugnata. La corte di merito ha dettagliatamente esaminato le questioni proposte, dando puntuali risposte basate su definite acquisizioni probatorie ed immuni da vizi logico-giuridici. Tra l'altro, sulla base delle dichiarazioni della vittima e di numerosi testimoni, si perviene alla conclusione che l'infortunato si trovava a cavallo tra la sommità del muro e l'ultimo piolo della scala quando perdeva l'equilibrio cadendo sui ferri di ripresa dello stesso muro che stava in quel momento misurando e pulendo in vista di ulteriori lavorazioni. La scala non era sufficientemente lunga e tale circostanza ha favorito la caduta.

Quanto al tema della responsabilità del datore di lavoro, che rivestiva altresì la qualità di subappaltatore, la sentenza richiama e condivide la giurisprudenza di questa Corte di legittimità che pone a carico di tale figura l'onere di riscontrare ed accertare la sicurezza dei luoghi di lavoro anche quando nel cantiere siano operanti altre imprese riconducibili all'appaltatore, tanto più quando si è in presenza di un'opera parziale e specialistica.

Si considera, ancora, che la pronunzia assolutoria adottata in altro procedimento è irrilevante, essendosi espressa in termini di incertezza quanto alla responsabilità in ordine ad alcuni illeciti contravvenzionali. Infine, si argomenta che è superfluo qualunque approfondimento istruttorio essendosi in presenza di una ricostruzione dei fatti esaustiva.

A fronte di tale compiuta ponderazione del caso, basata su principi ripetutamente espressi da questa suprema Corte, il ricorrente si limita a riproporre acriticamente le questioni già prospettate nel giudizio di merito, alle quali la Corte d'appello ha dato risposte chiare ed esaustive e che, tuttavia, l'atto di gravame non prende considerazione. Sotto tale profilo impugnazione difetta di specificità e propone argomenti per più parti non coerenti con il contenuto della sentenza di merito.

L'impugnazione, inoltre, evoca frammenti dei fatti e propone dubbi ricostruttivi che tentano di sollecitare impropriamente questa Corte suprema alla riconsiderazione del merito. Dunque, pure sotto tale profilo, il gravame è manifestamente infondato.

Il ricorso è quindi inammissibile. Segue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di euro 1.000 a titolo di sanzione pecuniaria, non emergendo ragioni di esonero.



P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.