Cassazione Civile, Sez. Lav., 19 marzo 2012, n. 4324 - Risarcimento del danno sofferto per l'attività lavorativa svolta in ambiente insalubre ed in condizioni stressanti





REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio - Presidente

Dott. NOBILE Vittorio - Consigliere

Dott. NAPOLETANO Giuseppe - Consigliere

Dott. CURZIO Pietro - Consigliere

Dott. MELIADò Giuseppe - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

 



sul ricorso 18246/2010 proposto da:

CA. AN. , elettivamente domiciliato in (Omissis), presso lo studio dell'avvocato MA. RE. , rappresentato e difeso dall'avvocato PI. Gi. , giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

REGIONE PUGLIA;

- intimata -

avverso la sentenza n. 4531/2009 della CORTE D'APPELLO di BARI, depositata il 22/02/2010 R.G.N. 1391/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/02/2012 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADò;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto


Con sentenza in data 17.12.2009/22.2.2010 la Corte di appello di Bari confermava la decisione di primo grado che rigettava la domanda proposta da Ca.An. nei confronti della Regione Puglia ai fini del risarcimento del danno sofferto per l'attività lavorativa svolta in ambiente insalubre ed in condizioni stressanti, tenuto conto della mole di lavoro allo stesso affidata.

Osservava in sintesi la corte territoriale che gli esiti dell'istruttoria escludevano che il datore di lavoro avesse posto in essere una condotta idonea a ledere l'integrità psicofisica del dipendente, emergendo dalle acquisizioni probatorie una condizione di lavoro, nonostante le carenze di organico e le deficienze dell'ambiente di lavoro, largamente presente in non poche realtà lavorative, e, quindi, non connotata da tale anomalia e gravità da poter costituire causa di danno per il ricorrente, il quale non casualmente mai aveva sottoposto ai suoi superiori gerarchici una simile situazione.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso Ca.An. con un unico motivo. Non ha svolto attività difensiva la Regione Puglia.

Diritto



Con un unico motivo, svolto ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente lamenta violazione degli articoli 113, 116 e 292 c.p.c., articoli 2087 e 2735 c.c., nonchè vizio di motivazione, ed, al riguardo, osserva che la corte territoriale aveva omesso di considerare che le prevalenti malattie sofferte dal lavoratore erano strettamente connesse ad un eccesso di attività lavorativa e ad un ambiente di lavoro malsano, così come aveva sottovalutato il riscontro offerto dalla documentazione fotografica acquisita agli atti e dalla documentazione sanitaria acclusa alla pratica di riconoscimento della causa di servizio.

Il ricorso è infondato.

Giova, al riguardo, premettere che, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall'articolo 360 c.p.c., n. 5, non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell'opzione che ha condotto il giudice di merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione non sarebbe, in realtà, che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità, risultando del tutto estraneo all'ambito di operatività del vizio di motivazione la possibilità per la Suprema Corte di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l'autonoma propria valutazione delle risultanze degli atti di causa (cfr. ad esempio da ultimo Cass. n. 11789/2005; Cass. n. 4766/2006; Cass. n.6064/2008; Cass. n. 7394/2010). Giusto in quanto l'articolo 360 c.p.c., n. 5 "non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, all'uopo, valutarne le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione" (così SU n. 5802/1998), non incontrando, al riguardo, il giudice di merito alcun limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le allegazioni che, sebbene non menzionati specificatamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (v. ad es. Cass. n. 11933/2003; Cass. n. 9234/2006).

Sulla base di tali principi, la sentenza impugnata risulta immune dalle censure denunciate.

La corte territoriale ha, infatti, puntualmente esaminato le risultanze istruttorie ed ha escluso, con adeguata motivazione, che le stesse dessero conto di un'"ampia confessione" del datore di lavoro in ordine ai fatti di causa.

In particolare, ha sottolineato come la documentazione acquisita agli atti, anche alla luce della dichiarazioni testimoniali rese nel corso del processo, non contenesse alcun riferimento specifico alle modalità con le quali la prestazione di lavoro era stata eseguita (quantità e qualità del lavoro svolto, carichi di lavoro e tempi di smaltimento, numero degli addetti, mancato godimento delle ferie ecc), trattandosi, in realtà, di documenti rilevanti ai fini del riconoscimento della causa di servizio o che, comunque, davano conto dell'impegno profuso dal dipendente nell'espletamento del lavoro, senza evidenziare circostanze idonee a far inferire la violazione di specifici obblighi di protezione da parte dell'amministrazione.

Ed, in egual modo, con riferimento alle condizioni dell'ambiente di lavoro, deve osservarsi come la corte territoriale, lungi dal non esaminare il materiale acquisito, ne abbia, piuttosto, rilevato, anche tenendo conto dell'insufficienza dei riscontri offerti dal giudizio, l'inadeguatezza probatoria per un esaustivo riconoscimento del diritto.

Sicchè conclusivamente ha, con plausibile argomentazione, considerato come "i testi abbiano riferito di una realtà lavorativa in cui si trova ad operare la maggioranza dei lavoratori", dal momento che la circostanza "che il lavoro generi stress, anche in ragione degli organici ridotti ed in presenza di ambienti di lavoro a volte non confortevoli, costituisce un dato valevole in moltissime realtà lavorative".

Ne deriva che la motivazione della decisione impugnata, in quanto individua le fonti del proprio convincimento e giustifica in modo logicamente adeguato la decisione, non risulta suscettibile di censura in questa sede di legittimità. Il ricorso va, pertanto, rigettato. Nulla per le spese, non avendo la Regione intimata svolto attività difensiva.


P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso, nulla per le spese.