Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 18 maggio 2012, n. 19145 - Pulizia del filtro di un macchinario e infortunio sul lavoro


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente

Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere

Dott. ROMIS Vincenzo - rel. Consigliere

Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere

Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

1) (Omissis) N. IL (Omissis);

avverso la sentenza n. 3034/2008 CORTE APPELLO di ROMA, del 30/03/2011;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/03/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO ROMIS;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. D'AMBROSIO Vito che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Udito il difensore Avv. (Omissis) - anche in sostituzione dell'Avv. (Omissis) -che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

Fatto



(Omissis) e (Omissis) venivano tratti a giudizio dinanzi al Tribunale di Latina per rispondere dei reati di cui agli articoli 40 cpv., 41, 81, 113 e 451 c.p. e articolo 583 c.p., commi 1 e 2, articolo 590 c.p., commi 1 e 3, perchè - nelle rispettive qualità di Amministratore Delegato, il (Omissis), e Direttore Tecnico Produzioni Chimiche, Dirigente, il (Omissis), della Ditta " (Omissis) s.r.l." - per colpa generica nonchè per inosservanza delle norme antinfortunistiche, in cooperazione colposa tra loro e con altri, avevano cagionato al lavoratore (Omissis) lesioni personali gravi al braccio destro; ai due imputati, quanto ai profili di colpa specifica, era stato addebitato di aver omesso di fornire adeguata formazione ed informazione al (Omissis) relativamente all'uso di un filtro - con particolare riferimento alla fase di pulizia del filtro stesso che presupponeva per prassi consolidata l'introduzione degli arti superiori del lavoratore nel corpo del filtro attraverso la portella grande e piccola e per non aver dotato tale filtro degli idonei presidi di sicurezza e protezione richiesti per legge.

All'esito del giudizio i due imputati venivano condannati alle rispettive pene ritenute di giustizia, con il beneficio della sospensione condizionale della pena.

A seguito di gravame ritualmente proposto dagli imputati, la Corte d'Appello di Roma assolveva il (Omissis) dai reati allo stesso ascritti ed il (Omissis) dal reato di cui all'articolo 451 c.p. rideterminando conseguentemente la pena per il (Omissis) con riferimento alla residua imputazione e concedendo di ufficio allo stesso il beneficio della non menzione della condanna.

In risposta alle deduzioni difensive del (Omissis), per la parte che in questa sede rileva, la Corte territoriale dava conto del proprio convincimento richiamando specificamente le acquisite risultanze probatorie e così argomentando: 1) il (Omissis) era stato istruito, circa l'uso del filtro, dai colleghi di lavoro che avevano maggiore anzianità; in particolare il teste (Omissis) - il quale all'epoca dei fatti svolgeva le funzioni di responsabile del servizio di prevenzione e protezione all'interno dello stabilimento - aveva evidenziato che il (Omissis), come tutti i dipendenti appena assunti, aveva ricevuto una formazione generale sulle norme di sicurezza, ma non era stato in grado di indicare se lo stesso avesse ricevuto una formazione riguardante specificamente il filtro "Comber" che aveva cagionato le lesioni al (Omissis); 2) il tecnico del servizio di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro dell'azienda U.S.L. di Latina (Omissis), aveva dettagliatamente descritto le carenze riscontrate al momento dell'intervento nello stabilimento, che erano già state riportate nel verbale di ispezione redatto in data 5 aprile 2004, acquisito al fascicolo del dibattimento del precedente grado di giudizio, ed aveva riferito in particolare che: a) i due sportelli del filtro "Comber" erano privi di dispositivi che mettessero la macchina in sicurezza, come, ad esempio, il pulsante di arresto di emergenza; b) al momento dell' infortunio non esisteva il libretto di uso e manutenzione del macchinario in questione, redatto successivamente da un ingegnere; c) le aperture di entrambi gli sportelli consentivano al lavoratore di introdurre le mani all'interno della macchina; 3) appariva sussistente quindi il rapporto di causalità tra l'evento e la condotta del (Omissis), nella sua veste di responsabile della sicurezza sul lavoro dello stabilimento, come emerso nel corso dell'Istruttoria dibattimentale (ed in proposito la Corte di merito richiamava anche le dichiarazioni rese dal teste (Omissis) il quale rivestiva il ruolo di caposquadra); 4) l'imputato aveva omesso di istruire adeguatamente il dipendente, mediante un corso di formazione specificamente rivolto all'utilizzo del filtro "Comber", ed aveva inoltre omesso di adottare le cautele imposte dalla legislazione antinfortunistica al fine di evitare improvvisi avviamenti del macchinario, di notevole pericolosità poichè dotato di organi meccanici di grandi dimensioni in movimento; al fine di illustrare il rilevante grado della colpa, bastava rinviare all'allegato n. 16 della documentazione prodotta dalla difesa, contenente le fotografie del filtro "Comber" prima e dopo gli interventi imposti dall'azienda U.S.L. di Latina; 5) il teste (Omissis) aveva infine dichiarato che il datore di lavoro, pur avendo previsto che la macchina potesse avviarsi in modo inatteso, non aveva posto in essere alcuna misura di prevenzione; 6) sussistevano, pertanto, entrambi i requisiti della colpa: la prevedibilità e la prevenibilità; 7) era risultata macroscopica, nello stabilimento ove era in funzione più di un macchinario "Comber", la mancanza di un libretto di uso e manutenzione. Ricorre per cassazione il (Omissis), con due autonomi atti di impugnazione sottoscritti dai difensori avv. (Omissis) ed avv. (Omissis), deducendo, con analoghe argomentazioni, anche testualmente sovrapponigli, censure che possono così riassumersi: 1) Vizio di motivazione quanto al ritenuto profilo di colpa concernente la contestata omessa formazione ed informazione: la Corte distrettuale avrebbe erroneamente valutato la deposizione del teste (Omissis) - peraltro particolarmente attendibile in quanto non più dipendente della " (Omissis)" allorquando era stato sentito come testimone - posto che dalla stessa, se letta integralmente, si rileverebbe come attraverso il corso di aggiornamento relativo alla sostanza adoperata nel filtro Comber i dipendenti erano stati altresì informati sul corretto impiego del macchinario: al riguardo, nel ricorso vengono riportati testualmente stralci della deposizione del (Omissis) e si sostiene che la natura sostanziale e non formale della disciplina a tutela dei lavoratori non prevederebbe alcun obbligo di fornire ai lavoratori le istruzioni in forma scritta; 2) Vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell'elemento psicologico del reato, in quanto non si rileverebbero dal percorso motivazionale seguito dalla Corte di merito gli elementi in base ai quali sarebbe stata raggiunta la certezza in ordine alla prevenibilità e prevedibilità in concreto dell'evento dannoso occorso al (Omissis); 3) ancora vizio di motivazione, avendo la Corte distrettuale omesso di confutare compiutamente le deduzioni difensive circa la prospettata abnormità della condotta del (Omissis) il quale si sarebbe arrischiato a pulire un residuo di sostanza senza verificare l'effettivo arresto del filtro; lo stesso pulsante di emergenza, installato dopo l'infortunio, sarebbe servito - secondo la testimonianza resa del teste (Omissis), tecnico della ASL - se l'operaio avesse aperto la portella senza fermare la macchina, ma non a prevenire un avviamento inatteso del macchinario: l'affermazione dei giudici di merito secondo cui il (Omissis) non sarebbe stato così avventato da non chiudere l'attivazione del macchinario prima di operarvi all'interno, sarebbe del tutto apodittica, essendo mancata qualsiasi valutazione in ordine all'abnormità del comportamento del lavoratore. All'atto di impugnazione sottoscritto dall'avv. (Omissis), risultano allegate in copia una scheda di training e talune parti delle trascrizioni relative all'esame dei testi (Omissis), (Omissis) e (Omissis), nonchè del consulente tecnico della difesa ing. (Omissis).

Diritto



Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per le ragioni di seguito indicate. Le dedotte censure - come si rileva agevolmente dal tenore della loro formulazione -risultano ripetitive delle tesi già proposte in appello, e/o concernenti apprezzamenti di merito non deducibili in questa sede avendo la Corte di merito dato adeguatamente conto del proprio convincimento con le argomentazioni sopra ricordate che risultano prive di qualsiasi connotazione di illogicità. Giova sottolineare che, secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, "è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev'essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell'articolo 591, comma 1, lettera c), all'inammissibilità" (in termini, Sez. 4, n. 5191 del 29/03/2000 Ud. - dep. 03/05/2000 - Rv. 216473; conf. Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, dep. 25/03/2005, Rv. 231708).

Nella concreta fattispecie la decisione impugnata si presenta formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali forniscono, con argomentazioni basate su una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti concernenti l'infortunio oggetto del processo: la Corte distrettuale, dopo aver analizzato tutti gli aspetti della vicenda - dinamica dell'infortunio e posizione di garanzia del (Omissis) - ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistente la penale responsabilità di quest'ultimo.

Deve sottolinearsi che, per quel che riguarda l'individuazione dei profili di colpa nella condotta del (Omissis), con il gravame - attraverso la denunzia di assenti vizi di violazione di legge e di motivazione - sono state in parte riproposte questioni, anche di fatto, già ampiamente dibattute in sede di merito. La Corte territoriale ha specificamente richiamato significative risultanze probatorie la cui valenza accusatoria appare evidente, laddove ha sottolineato che il tecnico del servizio di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro dell'azienda U.S.L. di Latina, Pietro (Omissis) - nel descrivere dettagliatamente le carenze riscontrate al momento dell'intervento nello stabilimento, quali già riportate nel verbale di ispezione redatto in data 5 aprile 2004, acquisito al fascicolo del dibattimento del precedente grado di giudizio - aveva riferito in particolare che: a) i due sportelli del filtro "Comber" erano privi di dispositivi che mettessero la macchina in sicurezza, come, ad esempio, il pulsante di arresto di emergenza; b) al momento dell' infortunio non esisteva il libretto di uso e manutenzione del macchinario in questione, redatto successivamente da un ingegnere; c) le aperture di entrambi gli sportelli consentivano al lavoratore di introdurre le mani all' interno della macchina. La Corte distrettuale ha evidenziato che non erano state adottate le cautele imposte dalla legislazione antinfortunistica al fine di evitare improvvisi avviamenti del macchinario, di notevole pericolosità poichè dotato di organi meccanici di grandi dimensioni in movimento; ed ha ancora aggiunto che, per rilevare il notevole grado della colpa, sarebbe stato sufficiente rinviare all'allegato n. 16 della documentazione prodotta dalla difesa, contenente le fotografie del filtro "Comber" prima e dopo gli interventi imposti dall' azienda U.S.L. di Latina. Appare dunque sussistente, come ritenuto dai giudici del merito - oltre ogni ragionevole dubbio - il rapporto di causalità tra la condotta del (Omissis), nella sua veste di responsabile della sicurezza sul lavoro dello stabilimento, e l'evento. I giudici di seconda istanza hanno dunque puntualmente ragguagliato il giudizio di fondatezza dell'accusa al compendio probatorio acquisito, a fronte del quale non possono trovare spazio le deduzioni difensive, per lo più finalizzate a sollecitare una lettura del materiale probatorio diversa da quella operata dalla Corte distrettuale, ed in quanto tale non proponibile in questa sede.

Si impongono poi talune ulteriori precisazioni in relazione alla tesi difensiva prospettata dal ricorrente secondo cui l'evento sarebbe stato causato dalla condotta asseritamente abnorme della stessa parte lesa.

Orbene, pur a voler ipotizzare che possa esservi stata una disattenzione del lavoratore, resta il fatto oggettivo del particolare rischio che quella fase lavorativa di pulizia del filtro del macchinario comportava in relazione alle condizioni di scarsa sicurezza derivanti dalla condotta omissiva del titolare della posizione di garanzia sopra descritta: e ciò è sufficiente ad integrare il nesso di causalità essendo ben nota e assolutamente pacifica la giurisprudenza di questa Corte secondo cui la eventuale imprudenza del lavoratore non elide il nesso di causalità allorchè l'incidente si verifichi a causa del lavoro svolto e per l'inadeguatezza delle misure di prevenzione. è evidente, infatti, che la prospettazione di una causa di esenzione da colpa che si richiami alla condotta imprudente del lavoratore, non rileva allorchè chi la invoca versa in re illicita, per non avere negligentemente impedito l'evento lesivo, che è conseguito, nella specie, dall'avere la vittima operato in condizioni di rischio a lui certo non imputabili. Tanto meno la causa esimente è invocabile, se la si pone, come nel caso di specie, alla base del proprio errore di valutazione, assumendo che il sinistro si è verificato non perchè si sia tenuto un comportamento antigiuridico, ma sol perchè vi sarebbe stato, da parte dell'infortunato un comportamento asseritamente imprudente. Il rilievo difensivo, dunque, non serve a scagionare l'imputato, in quanto chi è responsabile della sicurezza del lavoro deve avere sensibilità tale da rendersi interprete, in via di prevedibilità, del comportamento altrui. In altri termini, l'errore sulla legittima aspettativa che non si verifichino condotte imprudenti da parte dei lavoratori non è invoca bile, non solo per la illiceità della propria condotta omissiva, ma anche per la mancata attività diretta ad evitare l'evento, imputabile a colpa altrui, quando si è nella possibilità di impedirlo. è il cosiddetto "doppio aspetto della colpa", secondo cui si risponde sia per colpa diretta sia per colpa indiretta, una volta che l'incidente dipende dal comportamento dell'agente, che invoca a sua discriminante la responsabilità altrui. è da osservare, peraltro, che la normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l'incolumità del lavoratore non solo dai rischi derivanti da incidenti o fatalità, ma anche da quelli che possono scaturire dalla sue stesse disattenzioni, imprudenze o disubbidienze alle istruzioni o prassi raccomandate, purchè connesse allo svolgimento dell'attività lavorativa. è stato affermato dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte il condivisibile principio giuridico che, in caso di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale esclusiva può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondursi anche alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare il rischio di siffatto comportamento. Alla stregua di tale principio, la doglianza difensiva in esame risulta manifestamente infondata, non potendo considerarsi l'eventuale imprudenza della vittima (prospettata dal ricorrente) imprevedibile ed abnorme, tale da interrompere il rapporto di causalità con l'evento infortunistico, essendo questo nella specie riconducibile, soprattutto, alla condotta del garante.

Nè, infine, possono poi valere a corroborare la tesi difensiva i documenti allegati al ricorso e sopra ricordati nella parte narrativa, non potendo nemmeno assumere rilievo al riguardo le modifiche apportate dalla Legge n. 46 del 2006 (cd. Legge Pecorella) all'articolo 606 c.p.p..

A fronte dei motivi di ricorso formulati dal ricorrente, compito di questa Corte non è quello di ripetere l'esperienza conoscitiva del Giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l'incompiutezza strutturale della motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dal non aver tenuto presente, la Corte distrettuale, fatti decisivi, di rilievo dirompente dell'equilibrio della decisione impugnata. In realtà, le deduzioni del ricorrente non risultano in sintonia con il senso dell'indirizzo interpretativo di questa Corte secondo cui (Sez. 6, Sentenza n. 38698 del 26/09/2006, Rv. 234989, imp. Moschetti ed altri) la Corte di Cassazione deve circoscrivere il suo sindacato di legittimità, sul discorso giustificativo della decisione impugnata, alla verifica dell'assenza, in quest'ultima, di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili, infine, con "atti del processo", specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione. Ciò posto, se la denuncia del ricorrente va letta alla stregua dei contenuti concettuali dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), come modificato dalla Legge n. 46 del 2006, occorre allora tener conto che la legge citata non ha normativamente riconosciuto il travisamento del fatto, anzi lo ha escluso: semmai, può parlarsi di "travisamento della prova", che, nel rinnovato indirizzo interpretativo di questa Corte, ha un duplice contenuto, con riguardo a motivazione del Giudice di merito o difettosa per commissione o difettosa per omissione, a seconda che il Giudice di merito, cioè, incorra in una utilizzazione di un'informazione inesistente, ovvero in una omissione decisiva della valutazione di una prova (Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, Rv. 233460, P.M. in proc. Napoli). In sostanza, la riforma della legge n. 46 del 2006 ha introdotto un onere rafforzato di specificità per il ricorrente in punto di denuncia del vizio di motivazione. Infatti, il nuovo testo dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) - nel far riferimento ad atti del processo che devono essere dal ricorrente "specificamente indicati" - detta una previsione aggiuntiva ed ulteriore rispetto a quella contenuta nell'articolo 581 c.p.p., lettera c) (secondo cui i motivi di impugnazione devono contenere "l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta"). Con la conseguenza che sussiste a carico del ricorrente -accanto all'onere di formulare motivi di impugnazione specifici e conformi alla previsione dell'articolo 581 c.p.p - anche un peculiare onere di inequivoca "individuazione" e di specifica "rappresentazione" degli atti processuali ritenuti rilevanti in relazione alla doglianza dedotta, onere da assolvere nelle forme di volta in volta più adeguate alla natura degli atti stessi, e cioè integrale esposizione e riproduzione nel testo del ricorso, allegazione in copia, precisa identificazione della collocazione dell'atto nel fascicolo del giudice et similia (cfr. Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, Rv. 233778, imp. Simonetti ed altri). In forza di tale principio (cosiddetta autosufficienza del ricorso) si impone, inoltre, che in ricorso vengano puntualmente ed adeguatamente illustrate le risultanze processuali considerate rilevanti e che dalla stessa esposizione del ricorso emerga effettivamente una manifesta illogicità del provvedimento, pena altrimenti l'impossibilità, per la Corte di Cassazione, di procedere all'esame diretto degli atti (in tal senso, "ex plurimis", Sez. 1 n. 16223 del 02/05/2006, Rv. 233781 imp. Scognamiglio): manifesta illogicità motivazionale assolutamente insussistente nel caso in esame, se si tiene conto delle argomentate risposte fornite dalle integrative pronunce di primo e secondo grado alle questioni poste dalla difesa dell'imputato. Ma v'è di più, posto che, sempre con riferimento alla portata delle innovazioni della Legge n. 46 del 2006 relativamente allo specifico caso di ricorso per cassazione di cui all'articolo 606 c.p.p., lettera e), non è sufficiente: a) che gli atti del processo evocati con il ricorso siano semplicemente "contrastanti" con particolari accertamenti e/o valutazioni del giudicante, o con la sua ricostruzione complessiva (e finale) dei fatti e delle responsabilità; b) nè che tali atti possano essere astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Occorre invece che gli "atti del processo", presi in considerazione per sostenere l'esistenza di un vizio della motivazione, siano "decisivi", ossia autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione. In definitiva: la nuova formulazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), introdotta dalla Legge 20 febbraio 2006, n. 46, articolo 8, nella parte in cui consente la deduzione, in sede di legittimità, del vizio di motivazione sulla base, oltre che del "testo del provvedimento impugnato", anche di "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, per cui gli atti in questione non possono che essere quelli concernenti fatti decisivi che, se convenientemente valutati (non solo singolarmente, ma in relazione all'intero contesto probatorio), avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo comunque esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione (cui deve limitarsi la corte di cassazione) possa essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito (Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Rv. 233775, imp. Capri ed altri). Tenendo conto di tutti i principi testè ricordati, deve dunque concludersi che, nel caso di specie, le argomentazioni poste a base delle censure esaminate non valgono a scalfire la congruenza logica del complesso motivazionale impugnato, alla quale il ricorrente ha inteso piuttosto sostituire una sua perplessa visione alternativa del fatto facendo riferimento all'articolo 606 c.p.p., lettera e): pur asserendo di volere contestare l'omessa o errata ricostruzione di risultanze della prova dimostrativa, il ricorrente, in realtà, ha piuttosto richiesto a questa Corte un intervento in sovrapposizione argomentativa rispetto alla decisione impugnata, e ciò ai fini di una lettura della prova alternativa rispetto a quella, congrua e logica, fornita dalla Corte di merito. Le allegazioni difensive non valgono dunque a disarticolare l'apparato argomentativo delle integrative pronunce di primo e secondo grado (trattasi di doppia conforme); e ciò, anche con riferimento ai documenti richiamati con il ricorso.

Da ultimo, e per mera completezza espositiva, è opportuno svolgere alcune considerazioni in ordine alla prescrizione avuto riguardo al titolo del reato (lesioni personali colpose) ed al "tempus commissi delicti" (2 aprile 2004).

Dagli atti a disposizione di questa Corte si rileva il seguente rinvio disposto per adesione del difensore all'astensione dalle udienze: dall'udienza del 27 giugno 2006 al 12 dicembre 2006. Orbene, secondo il consolidato indirizzo interpretativo affermatosi nella giurisprudenza di questa Corte, "la richiesta del difensore di differimento dell'udienza, motivata dall'adesione all'astensione collettiva dalle udienze, quantunque tutelata dall'ordinamento mediante il riconoscimento del diritto al rinvio, non costituisce, tuttavia, impedimento in senso tecnico, in quanto non discende da un'assoluta impossibilità a partecipare all'attività difensiva. Ne consegue che, in tale ipotesi, non si applica il limite massimo di sessanta giorni di sospensione al corso della prescrizione, che resta sospeso per tutto il periodo del differimento" (in termini, "ex plurimis", Sez. 1, n. 25714 del 17/06/2008 Ud. - dep. 25/06/2008 - Rv. 240460). Ciò posto si osserva quanto segue: a) in relazione al "tempus commissi delicti" - 2 aprile 2004 - il termine massimo di prescrizione pari a sette anni e sei mesi sarebbe venuto a scadenza, senza sospensioni, alla data del 2 ottobre 2011; b) calcolando la sospensione dal 27 giugno al 12 dicembre 2006 il termine prescrizionale non è ancora decorso alla data odierna. Con riferimento alla prescrizione, va conclusivamente evidenziato che: a) il termine massimo di prescrizione (sette anni e sei mesi), ad oggi, non è ancora decorso; b) non sarebbe stato comunque possibile rilevare la prescrizione, anche se il relativo termine fosse già decorso prima dell'odierna udienza, in presenza di gravame inammissibile per causa originaria di inammissibilità (come nel caso in esame, trattandosi di doglianze manifestamente infondate e/o non deducibili in sede di legittimità perchè in fatto), alla luce dei principi enunciati in materia dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Sez. Un. 22/11/2000 De Luca e 27/6/2001 Cavalera).

Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro 1.000,00 (mille)..

P.Q.M.



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.