Cassazione Penale, Sez. 4, 28 maggio 2012, n. 20613 - Infortunio con una pressa meccanica malfunzionante e assoluzione di un datore di lavoro


 

 


Responsabilità del titolare di una ditta individuale esercente attività di recupero ed imballaggio di rifiuti per infortunio ad un dipendente: l'infortunato, addetto all'impianto di pressatura del cartone da confezionare in balle, è rimasto vittima di un grave incidente con una pressa meccanica in seguito al quale ha riportato l'amputazione del braccio destro.

Assolto in primo e secondo grado. Propone ricorso in Cassazione, solo ai fini civili, la parte civile - Rigetto.

E' stato accertato che, al momento dell'incidente, la chiavetta di sicurezza del macchinario risultava svitata e rimossa dal suo alloggiamento ed inserita direttamente nel microinterruttore, talchè lo sportello d'ispezione poteva essere aperto senza che fosse interrotto il flusso di energia, e quindi senza che si interrompesse il funzionamento dell'impianto. Proprio tale anomalo posizionamento della chiavetta aveva causato l'infortunio nel momento in cui, avendo il lavoratore aperto lo sportello con l'intenzione di sboccare, a mani nude, la macchina che si era inceppata, questa, essendo ancora in movimento, aveva trascinato al suo interno l'arto superiore destro dell'operaio.

Avviate le indagini dirette a chiarire le cause dell'incidente e le eventuali responsabilità, si è accertato che il giorno precedente, poichè l'impianto non funzionava, era stato chiesto l'intervento della " (Omissis) s.r.l." che, attraverso i propri dipendenti, aveva verificato che il mancato funzionamento era stato determinato da un guasto al microinterruttore; in tale occasione, i due tecnici avevano accertato che la chiavetta di sicurezza era stata svitata dal suo supporto ed era stata inserita direttamente nel microinterruttore. Sostituito tale congegno e riavvitata la chiavetta nel suo naturale alloggiamento, sotto lo sportello, la macchina aveva ripreso a funzionare regolarmente.

Tale intervento era stato completato intorno alle ore 17, quando ormai sia gli operai che il datore di lavoro erano andati via, per cui si è ritenuto che, probabilmente, la chiavetta, rinvenuta dopo l'incidente direttamente inserita nel microinterruttore invece che nel suo alloggiamento naturale, ove la sera precedente era stata posta dai tecnici, era stata da qualcuno rimossa da detto alloggiamento nella mattinata successiva, prima che si verificasse l'incidente e, secondo quanto sostenuto dallo stesso infortunato, la mattina successiva al lavoro c'era soltanto lui.

Circostanze che hanno indotto i giudici del merito a concludere, in termini non censurabili sotto il profilo logico, nel senso che non era possibile individuare la persona che, tra la fine dell'intervento di manutenzione e la ripresa del lavoro, aveva rimosso la chiavetta, e che, tra le opposte tesi possibili, e cioè che tale intervento fosse stato eseguito dal datore di lavoro o da qualcuno da lui incaricato, ovvero dallo stesso infortunato, il complessivo svolgersi degli avvenimenti, facevano propendere per la seconda ipotesi. Quanto all'interesse, dell'uno o dell'altro, a rimuovere la chiavetta, se è vero che il datore di lavoro aveva interesse a rendere costante il ciclo produttivo, è anche vero che lo stesso lavoratore, indicato come persona esperta, poteva avere interesse a rendere più agevoli i propri interventi sulla macchina.


Infondate sono anche le altre censure proposte dal ricorrente.


In realtà, come hanno correttamente rilevato i giudici del merito, una volta accertato, a seguito dell'intervento di manutenzione eseguito solo il giorno prima dell'incidente, che l'impianto era non solo funzionante, ma anche efficiente sotto il profilo della sicurezza, nessuna ulteriore verifica avrebbe dovuto svolgere l'imputato, nè ulteriori istruzioni avrebbe dovuto impartire ad un dipendente come l'infortunato, ritenuto esperto e capace gestire correttamente la macchina affidatagli.




 

 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARZANO Francesco - Presidente

Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere

Dott. FOTI Giacomo - rel. Consigliere

Dott. MASSERA Maurizio - Consigliere

Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

(Omissis) N. IL (Omissis);

nei confronti di:

(Omissis) N. IL (Omissis) C/;

avverso la sentenza n. 206/2010 CORTE APPELLO di ROMA, del 12/10/2010;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/12/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Stabile che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Udito, per la parte civile, l'Avv. (Omissis), che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

Udito il difensore Avv. (Omissis) che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto


-1- La mattina del (Omissis), presso i locali della ditta individuale " (Omissis)", esercente l'attività di recupero ed imballaggio di rifiuti, (Omissis), dipendente della ditta e addetto all'impianto di pressatura del cartone da confezionare in balle, è rimasto vittima di un grave incidente sul lavoro in seguito al quale ha riportato l'amputazione del braccio destro.

Secondo quanto accertato dai giudici del merito, il macchinario al quale il (Omissis) era addetto funzionava nei seguenti termini: il materiale (essenzialmente cartone) veniva trasportato e depositato all'interno di una tramoggia mediante un nastro trasportatore, non appena il cartone raggiungeva un certo livello, si azionava una cellula fotoelettrica che comandava l'arresto del nastro e l'avvio della pressa. L'impianto presentava un'apertura, che consentiva l'ispezione della tramoggia, dotata di un sistema di sicurezza composto da un microinterruttore posto sotto la bocca d'ispezione e da una linguetta metallica (chiavetta) avvitata nella parte inferiore dello sportello della tramoggia. Quando lo sportello era chiuso, la linguetta si inseriva nel microinterruttore consentendo il passaggio dell'energia elettrica e, quindi, l'alimentazione della macchina; quando lo sportello veniva aperto, viceversa, la linguetta si staccava dal microinterruttore interrompendo il flusso di energia, e dunque causando l'automatico arresto dell'impianto.

Al momento dell'incidente, la chiavetta risultava svitata e rimossa dal suo alloggiamento ed inserita direttamente nel microinterruttore, talchè lo sportello d'ispezione poteva essere aperto senza che fosse interrotto il flusso di energia, e quindi senza che si interrompesse il funzionamento dell'impianto. Proprio tale anomalo posizionamento della chiavetta aveva causato l'infortunio nel momento in cui, avendo il lavoratore aperto lo sportello con l'intenzione di sboccare, a mani nude, la macchina che si era inceppata, questa, essendo ancora in movimento, aveva trascinato al suo interno l'arto superiore destro dell'operaio.

Avviate le indagini dirette a chiarire le cause dell'incidente e le eventuali responsabilità, si è accertato che il giorno precedente, poichè l'impianto non funzionava, era stato chiesto l'intervento della " (Omissis) s.r.l." che, attraverso i propri dipendenti, (Omissis) e (Omissis), aveva verificato che il mancato funzionamento era stato determinato da un guasto al microinterruttore; in tale occasione, i due tecnici avevano accertato che la chiavetta di sicurezza era stata svitata dal suo supporto ed era stata inserita direttamente nel microinterruttore. Sostituito tale congegno dal (Omissis) e riavvitata la chiavetta nel suo naturale alloggiamento, sotto lo sportello, la macchina aveva ripreso a funzionare regolarmente.

Tale intervento era stato completato intorno alle ore 17 del (Omissis), quando ormai sia gli operai che il (Omissis) erano andati via, per cui si è ritenuto che, probabilmente, la chiavetta, rinvenuta dopo l'incidente direttamente inserita nel microinterruttore invece che nel suo alloggiamento naturale, ove la sera precedente era stata posta dai tecnici del " (Omissis)", era stata da qualcuno rimossa da detto alloggiamento nella mattinata del (Omissis), prima che si verificasse l'incidente.

-2- Di questo è stato chiamato a rispondere, nelle forme del rito abbreviato condizionato, (Omissis), titolare dell'omonima ditta e datore di lavoro dell'operaio infortunato, imputato ex articolo 590 c.p., commi 3 e 5 per avere per colpa, consistita in negligenza e imprudenza nonchè nella violazione del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 35 - avendo messo a disposizione dei propri dipendenti, secondo quanto articolato nel capo d'imputazione, "attrezzature inadeguate per la sicurezza e la salute, segnatamente una pressa meccanica PC 1704/8090 utilizzata per l'imballaggio del materiale cartaceo avente il microinterruttore di sicurezza non correttamente installato e funzionante ed avendo omesso di controllare la corretta esecuzione dei lavori di riparazione eseguiti da (Omissis) ..."- causato l'incidente nel quale il (Omissis) ha riportato le lesioni sopra descritte.

Con sentenza del Tribunale di Rieti del 16 marzo 2009, il (Omissis) è stato assolto dal delitto contestato perchè il fatto non sussiste.

Il giudice di primo grado, richiamata la sentenza assolutoria emessa, nelle forme del rito ordinario, nei confronti del (Omissis), acquisita agli atti con il consenso delle parti, ha ritenuto accertato che la rimozione della chiavetta dal suo alloggiamento era avvenuta dopo l'intervento dei tecnici della " (Omissis)", per cui ha escluso la sussistenza dei profili di colpa specifica contestati all'imputato. Quanto ai profili di colpa generica, ne ha ritenuto l'insussistenza, avendo giudicato inattendibili, non solo perchè interessate, ma anche perchè confuse e contraddittorie e non riscontrate, le dichiarazioni rese dalla persona offesa, secondo le quali il (Omissis) era aduso gestire il ciclo produttivo in totale mancanza di sicurezza. Non ha escluso, peraltro, lo stesso giudice che fosse stato proprio il lavoratore ad inserire la chiavetta nel microinterruttore per rendere più agevoli le operazioni di sblocco della pressa.

In generale, ha rilevato il primo giudice come non apparisse logico ritenere che il (Omissis), prima avesse fatto eseguire sulla macchina un intervento di manutenzione sul microinterruttore (mediante la sua sostituzione) ed avesse immediatamente dopo manomesso il meccanismo di sicurezza finendo con il neutralizzare la riparazione appena eseguita.

-3- Su appello proposto dalla parte civile, la Corte d'Appello di Roma, con sentenza del 12 ottobre 2010, ha confermato la decisione assolutoria.

La corte territoriale ha anzitutto ribadito l'inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa - che aveva lasciato intendere che era stato il (Omissis) a suggerirgli di non staccare la corrente nel caso di blocco della pressa - in quanto non riscontrate da altri elementi di prova; riscontri ritenuti necessari in considerazione dell'interesse processuale di cui la stessa era portatrice.

In particolare, è stato ribadito che dette dichiarazioni sono in contrasto con due specifiche circostanze: a) l'intervenuta sostituzione, eseguita a regola d'arte, il giorno precedente, del microinterruttore di sicurezza da parte del tecnico (Omissis), b) il riposizionamento della chiavetta nello sportello d'ispezione proprio su richiesta del (Omissis). Sono state, inoltre, evidenziate l'inverosimiglianza e l'inutilità della direttiva attribuita dal (Omissis) al (Omissis) - cioè di non interrompere il flusso di energia elettrica durante gli interventi di sblocco della pressa- attesa la presenza di una condizione operativa, in tesi d'accusa voluta dallo stesso datore di lavoro (rimozione della chiavetta dal suo alloggiamento naturale ed inserimento della stessa nel microinterruttore), che assicurava l'ininterrotta e costante erogazione di energia al macchinario.

Secondo i giudici del gravame, se poteva ritenersi certo che, dopo la riparazione serale ed il corretto inserimento della chiavetta nel suo alloggiamento, la stessa chiavetta era stata ancora spostata ed inserita nel microinterruttore, in tal guisa essendo stato ancora disattivato il congegno di sicurezza in precedenza ripristinato, era viceversa incerta l'attribuzione della paternità di tale manovra, nessuno, neanche la persona offesa, avendo sul punto fornito risposte di sorta; mentre doveva ritenersi accertato che il macchinario sul quale lavorava il (Omissis) era perfettamente in regola, in quanto munito di sistema di sicurezza idoneo e perfettamente funzionante. Priva di riscontri, peraltro, è rimasta, secondo gli stessi giudici, l'ipotesi di una prassi aziendale "contra legem" che inducesse i lavoratori ad operare disattivando i congegni di sicurezza.

In definitiva, anche secondo il giudice del gravame, nessun profilo di colpa, specifica o generica, poteva rilevarsi nella condotta del (Omissis).

-4- Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione, solo ai fini civili, la parte civile (Omissis), che deduce:

a) Violazione degli articoli 187, 192 e 238 cod. proc. pen., vizio di motivazione della sentenza impugnata, travisamento della prova.

Sostiene il ricorrente che erroneamente sono state ritenute inattendibili le dichiarazioni della persona offesa; in realtà, si sostiene nel ricorso, gli elementi probatori acquisiti -in particolare, l'accertata, dal tecnico (Omissis) in occasione dell'intervento del (Omissis), presenza della chiavetta nel microinterruttore, invece che nel suo giusto alloggiamento, all'evidente scopo di mantenere costante il flusso di energia elettrica, e quindi l'operatività della pressa - riscontrano quelle dichiarazioni, poichè attesterebbero chiaramente resistenza di una prassi aziendale in violazione delle regole di sicurezza.

Il giudizio di inattendibilità di dette dichiarazioni, fondato sulla circostanza che proprio il giorno precedente l'infortunio il (Omissis) aveva assunto l'iniziativa di far posizionare la chiavetta nella sua sede naturale (lo sportello d'ispezione), e quindi di ripristinare il dispositivo di sicurezza, sarebbe illogico e conseguente ad un grave travisamento della prova. Invero, si sostiene nel ricorso, non risulta rispondente al vero che la ricollocazione nello sportello della chiavetta fosse avvenuto su richiesta del (Omissis), posto che dalle testimonianze in atti sarebbe emerso che l'intervento della " (Omissis)" era stato richiesto perchè la pressa non funzionava, essendosi fermata e che ciò era dipeso, non dal posizionamento della chiavetta nel microinterruttore, ma da un guasto allo stesso del tutto indipendente dalla chiavetta e dal suo posizionamento. La pressa si era fermata, quindi, non perchè la chiavetta era stata manomessa ed inserita nel microinterruttore di sicurezza, bensì perchè questo si era guastato ed impediva l'alimentazione elettrica della macchina. Del tutto illogica sarebbe, quindi, l'affermazione della corte territoriale secondo cui l'intervento di manutenzione era stato richiesto dal titolare della ditta per posizionare correttamente la chiavetta.

E dunque, l'argomento principale sulla base del quale i giudici del merito hanno ritenuto inattendibili le dichiarazioni della persona offesa (cioè che la manomissione della chiavetta sarebbe stata eliminata a seguito dell'intervento del (Omissis)) è frutto di motivazione illogica e travisante, in quanto in contrasto con le acquisizioni probatorie.

Priva di logica sarebbe anche l'ipotesi che fosse stata proprio la persona offesa a riposizionare la chiavetta nel microinterruttore, non avendo evidentemente la stessa alcun interesse a disattivare i meccanismi di protezione.

Incongruo, infine, sarebbe il richiamo, da parte della corte territoriale, per ribadire l'inattendibilità del (Omissis), della sentenza, passata in giudicato, dello stesso Tribunale di Rieti che ha assolto il (Omissis) da ogni addebito. In tale provvedimento, invero, il giudice ha affermato che era stato proprio il (Omissis), direttamente o attraverso la stessa persona offesa, a ciò incaricata, a rimuovere, la mattina dell'incidente, la chiavetta dalla sua sede naturale e ad inserire la stessa nel microinterruttore, in modo da guadagnare tempo nel caso in cui la macchina si fosse bloccata; ciò perchè, secondo quanto sostenuto dal CT del PM, la manovra di rimozione del cartone ammassatosi in maniera eccessiva ed incastratosi nella pressa poteva essere effettuato in modo più conveniente con l'impianto in movimento.

b) Violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, laddove la corte territoriale, partendo dall'errato presupposto che l'intervento di manutenzione era stato richiesto per riposizionare la chiavetta sullo sportello d'ispezione, ha concluso nel senso che, con quella richiesta, il datore di lavoro aveva adempiuto ai suoi doveri di vigilanza e di controllo dell'operato del lavoratore, senza considerare, tuttavia, che egli era in realtà tenuto, anche a seguito dell'accertato errato posizionamento della chiavetta, a fornire al dipendente tutte le informazioni e le istruzioni riguardanti la sicurezza ed a richiedere allo stesso di adeguarvisi puntualmente;

c) Violazione di legge, laddove il giudice del gravame, dopo avere illegittimamente escluso che il datore di lavoro avesse mancato di adempiere ai propri doveri di garanzia e di protezione del lavoratore ed all'obbligo di impedire l'evento, ha escluso qualsiasi profilo di colpa in capo allo stesso. Conclude, quindi, la PC ricorrente, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.

Diritto



Il ricorso è infondato, essendo insussistenti i vizi dedotti.

-1- La corte territoriale, invero, alla stregua delle emergenze probatorie, correttamente richiamate, e nel rispetto della normativa di riferimento, ha anzitutto legittimamente sostenuto che il (Omissis) non aveva violato alcuna delle norme di sicurezza specificamente indicate nel capo d'imputazione. In particolare, la stessa corte ha rilevato, senza essere smentita dal ricorrente, che l'impianto, al cui funzionamento era stato addetto l'operaio infortunato, era dotato di idonee ed efficaci misure di sicurezza. Rappresentate, nel caso di specie, dal microinterruttore che garantiva l'arresto della macchina nel caso di apertura dello sportello d'ispezione, la cui perfetta efficienza era stata, da ultimo, accertata proprio la sera precedente l'incidente, in occasione dell'intervento di manutenzione eseguito dalla " (Omissis)". Circostanza, quest'ultima, neanche negata dal ricorrente, ritenuta certa dai giudici del gravame che, in proposito, hanno richiamato, oltre che i giudizi espressi dal consulente del PM, anche quanto in tal senso accertato nell'ambito del procedimento penale instaurato, per gli stessi fatti, a carico di (Omissis), dipendente della " (Omissis)" ed autore del citato intervento; procedimento definito con sentenza irrevocabile ampiamente assolutoria, che ha attestato la correttezza e la bontà dell'intervento stesso.

Giustamente inesistenti, quindi, sono stati ritenuti i profili di colpa specifica contestati, riferiti, nell'articolazione del capo d'imputazione, alla supposta messa a disposizione dei dipendenti, da parte del datore di lavoro, di attrezzature non adeguate sotto il profilo della sicurezza, nonchè quello relativo alla non corretta installazione del microinterruttore ed alla supposta mancata verifica, ancora da parte del datore di lavoro, della corretta esecuzione dell'intervento di manutenzione.

Quanto alla tesi di una prassi aziendale, promossa o anche solo tollerata dal (Omissis), che prevedeva la rimozione dalle macchine delle misure di sicurezza, e dunque la neutralizzazione delle stesse, la corte territoriale ha ritenuto, con motivazione congrua e coerente sul piano logico, e dunque non censurabile nella sede di legittimità, di doverla escludere.

Secondo il coerente argomentare della corte territoriale, invero, la tesi in questione, supportata dalle dichiarazioni della persona offesa, non è stata confermata dagli altri dipendenti della ditta ed è stata anche smentita dalla precisione e tempestività con la quale venivano eseguiti gli interventi di manutenzione delle macchine, secondo quanto accertato dagli ispettori dell'Usl di Rieti.

Le dichiarazioni accusatorie del (Omissis), peraltro, ha soggiunto la stessa corte, autorizzavano seri dubbi sotto il profilo della loro attendibilità. Dubbi giustificati, non solo dallo specifico interesse personale che poteva indurre la persona offesa, costituitasi parte civile, a ricostruire la vicenda in termini favorevoli a sè stessa, ma anche dalla incoerenza, sotto il profilo logico, di quell'intervento testimoniale, ritenuto anche confuso nella esposizione. Il riferimento è, in particolare, al "suggerimento", che lo stesso teste ha riferito essergli stato rivolto dal (Omissis), di non interrompere il flusso di energia elettrica in caso di blocco della macchina. Suggerimento apparso ai giudici del merito inverosimile ed inutile, laddove, per raggiungere detto obiettivo - cioè ottenere lo sblocco dell'impianto senza interrompere il flusso di energia elettrica -, bastava lo spostamento della chiavetta dal suo naturale alloggiamento e l'inserimento della stessa nel microinterruttore, mutile ed incongruo, cioè, sarebbe stato, secondo il coerente argomentare della corte del merito, chiedere al lavoratore di non interrompere il flusso di energia, nel caso di blocco della macchina, se tale risultato veniva già garantito dalla rimozione della chiavetta dal suo naturale alloggiamento e dall'inserimento della stessa nel microinterruttore.

Non solo, quindi, l'assenza di riscontri, nè solo l'esigenza di difendere, da parte della persona offesa, specifici interessi, ma anche l'incoerenza delle dichiarazioni da essa rese sono alla base del giudizio di inattendibilità espresso, su tali dichiarazioni, dai giudici del merito attraverso un iter argomentativo che si presenta certamente esente dai vizi dedotti.

Resta, ovviamente, il fatto che la chiavetta in questione, certamente correttamente inserita nel suo alloggiamento naturale, la sera precedente l'infortunio, dai tecnici della " (Omissis)", è stata poi rimossa e posizionata nel microinterruttore, con conseguente disattivazione del sistema di sicurezza. Resta, tuttavia, anche il fatto che, secondo le emergenze probatorie indicate dal giudice del gravame, non smentite dalla PC ricorrente, l'intervento di manutenzione eseguito la sera prima dell'incidente si era concluso nel tardo pomeriggio, in orario in cui sia il (Omissis) che i dipendenti dello stesso erano andati via, e che, secondo quanto sostenuto dallo stesso (Omissis), il giorno successivo, alla ripresa del lavoro, vi era soltanto lui.

Circostanze che hanno indotto i giudici del merito a concludere, in termini non censurabili sotto il profilo logico, nel senso che non era possibile individuare la persona che, tra la fine dell'intervento di manutenzione e la ripresa del lavoro, aveva rimosso la chiavetta, e che, tra le opposte tesi possibili, e cioè che tale intervento fosse stato eseguito dal (Omissis) o da qualcuno da lui incaricato, ovvero dallo stesso (Omissis), il complessivo svolgersi degli avvenimenti e l'esclusione della sussistenza dell'anomala prassi di cui si è detto, facevano propendere per la seconda ipotesi. Quanto all'interesse, dell'uno o dell'altro, a rimuovere la chiavetta, se è vero che il datore di lavoro aveva interesse a rendere costante il ciclo produttivo, è anche vero che lo stesso lavoratore, indicato come persona esperta, poteva avere interesse a rendere più agevoli i propri interventi sulla macchina.

-2- Infondate sono anche le altre censure proposte dal ricorrente.

In realtà, come hanno correttamente rilevato i giudici del merito, una volta accertato, a seguito dell'intervento di manutenzione eseguito solo il giorno prima dell'incidente, che l'impianto era non solo funzionante, ma anche efficiente sotto il profilo della sicurezza, nessuna ulteriore verifica avrebbe dovuto svolgere il (Omissis), nè ulteriori istruzioni avrebbe dovuto impartire ad un dipendente come il (Omissis), ritenuto esperto e capace gestire correttamente la macchina affidatagli.

Chiaramente infondata, oltre che generica, è l'ultima censura, posto che, dalla ritenuta assenza di condotte del (Omissis) riconducigli alla violazione di obblighi allo stesso imposti dalla sua posizione di datore di lavoro, e dalla inesistenza dei profili di colpa, generici e specifici, indicati nel capo d'imputazione, non poteva che derivare una sentenza assolutoria.

Il ricorso deve essere, dunque, rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.



Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.