Cassazione Civile, 06 settembre 2012, n. 14941 - Infortunio in itinere e ingiusta locupletazione


 

 

Fatto




Il 12 giugno 1997 M.L.Z., mentre si recava al lavoro, alla guida della propria auto, veniva investita dall'auto di proprietà e condotta da A.S., assicurata con la G.A. Spa. A seguito del sinistro, la Z. riportava una gravissima menomazione, ammessa alla tutela previdenziale in materia di infortuni sul lavoro. Con diffide del 7 gennaio 1999 e del 20 aprile 199 9 l'Inail chiedeva allo S. ed alla G. il rimborso dell'importo erogato. La compagnia assicuratrice con raccomandata del 13 maggio 1999 e del 4 luglio 2000 replicava di aver già inviato all'Istituto in data 10 marzo 1998 raccomandata ai fini dell'adempimento degli obblighi di cui all' art.28 legge n.990/69 senza ricevere risposta nei 45 giorni successivi, per cui aveva versato alla Z. la somma di lire 2.450.000.000 che, sommata alla cifra di 300 milioni già date in precedenza, aveva quasi esaurito il massimale, restando disponibile unicamente l'importo di lire 127 .600.000, che fu poi attribuito all' Inail in due distinti momenti.

Con atto di citazione notificato il 26 settembre 2000 l'INAIL conveniva lo S. e la s.p.a. G.A. avanti il Tribunale della stessa città per ottenere il rimborso di quanto erogato. Esponeva che la responsabilità del sinistro era interamente addebitabile allo S. e che nessuna comunicazione aveva ricevuto circa l’intervenuto pagamento alla Z., da parte della G.A. s.p.a., in forza di un accordo transattivo che non le era opponibile. Si costituiva ritualmente lo S., il quale addebitava alla G. l'incauta gestione del sinistro per aver riconosciuto all’infortunata poste eccessive e comunque per aver transatto la causa e risarcito la Z., senza il rispetto degli adempimenti previsti dall'art.28 L n.990/69. Domandava pertanto la reiezione della domanda ed, in subordine, la condanna della G. a garantirlo dagli effetti dell'eventuale condanna. Si costituiva altresì la G.A., contestando la natura di danno risarcibile e la mancata comunicazione dell'INAIL di volersi avvalere della facoltà di surroga e rimarcando l'onere della prova in capo all'attrice, con riguardo al danno civilistico come limite all'azione di surroga.

Così radicatosi il contraddittorio, nel corso del giudizio l'Inail chiedeva ed otteneva la chiamata della Z. perché venisse accertato il pregiudizio che la stessa aveva arrecato al suo diritto di surroga, ricevendo dalla G. anche il risarcimento dei danni coperti dall'assicurazione sociale contro gli infortuni sul lavoro; per l'ipotesi affermativa chiedeva che il tribunale determinasse le somme dovutegli dalla Z. in restituzione. La chiamata chiedeva il rigetto della domanda. In esito al giudizio, il Tribunale adito condannava lo S. al pagamento della somma di euro 626.175,54 rigettando le domande nei confronti della G. e della Z.. Avverso tale decisione proponevano appello con distinti atti l'Inail e lo S.; in via incidentale la Z. si doleva per la disposta compensazione delle spese. In esito al giudizio, la Corte di Appello di Brescia con sentenza depositata in data 19 maggio 2010 condannava la F.A. Spa (nuova denominazione della G.) al pagamento, in favore dell'Inail, della somma di euro 49.381,03 oltre interessi legali dalla domanda al saldo; respingeva la domanda dell'Inail nei confronti dello S.; provvedeva quindi al governo delle spese.

Avverso la detta sentenza hanno quindi proposto ricorso per cassazione, in via principale l'Inail, che ha depositato altresì memoria illustrativa, ed in via incidentale la F.A. Spa, articolati, ciascuno, in 4 motivi. Resistono con controricorso la Z., lo S. e l'Inail.


Diritto




In via preliminare, deve rilevarsi che il ricorso principale e quello incidentale sono stati riuniti, in quanto proposti avverso la stessa sentenza.

Procedendo all'esame del ricorso principale, va rilevato che l'Inail, con la prima doglianza, deducendo la violazione e la falsa applicazione degli, artt. 1916, 2697 c.c. e 112 cpc, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui "la Corte di Appello, di sua iniziativa, in violazione del principio dispositivo che regola il processo civile, ha ritenuto che l'Inail avesse agito unicamente ai sensi dell'art. 28 legge n. 990/69, senza però poi giungere alla conclusione logica che lo S. non avesse una legittimazione passiva in causa mentre, dalla comparsa di costituzione di primo grado, si evinceva che lo S. aveva chiesto il rigetto della domanda dell'Inail a causa del mancato riscontro alla raccomandata inviata dalla G., ed in subordine, la condanna della G. a tenerlo indenne dalle pretese dell'Inail.

In ogni caso, pur ammettendo che lo S. avesse contestato che l'Inail non avesse esperito l'azione di surrogazione ex art.1916 c.c. - la considerazione sostanzia la seconda doglianza, articolata sotto il profilo dell'omessa ed insufficiente motivazione - la Corte non avrebbe spiegato le ragioni per le quali a suo avviso, l'Inail non aveva agito ai sensi dell'art. 1916 c.c. nei confronti dello S. e non avrebbe motivato adeguatamente per giungere al rigetto della domanda dell'Istituto " colpevole, a suo dire, di non aver agito anche ai sensi e per gli effetti dell'art.1916 c.c. I motivi in questione, che vanno esaminati congiuntamente in quanto, sia pure sotto diversi profili, prospettano ragioni di censura connesse tra loro, sono entrambi infondati e devono essere rigettati.

A riguardo, si deve premettere che questa Corte,anche di recente, ha ribadito il principio secondo cui, in tema di recupero delle prestazioni previdenziali ed assistenziali erogate al danneggiato a seguito di sinistro stradale, all'ente gestore dell'assicurazione sociale spetta la scelta di agire in surrogatoria nei confronti del terzo responsabile del danno ai sensi dell'art. 1916 cod. civ., ovvero, in alternativa, di esperire l'azione diretta, ai sensi dell'art. 28 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, nei confronti dell'assicuratore della responsabilità civile di detto terzo responsabile, giacché i due rimedi, che attribuiscono il diritto di successione nel credito rispetto a due diversi soggetti obbligati, non risultano tra loro incompatibili (Cass.n.3356/2010, Cass. n.6720/2000).

Ciò premesso, giova aggiungere che il giudice del merito ha il potere-dovere di procedere all'interpretazione della domanda sottoposta al suo esame e che, nel caso di specie, la Corte territoriale ha ritenuto che l'assicuratore sociale avesse voluto esperire l'azione diretta ex art. 28 legge citata nei confronti dell'assicuratore della r.c. tenendo conto, espressamente, della formulazione testuale della domanda nonché del contenuto sostanziale in relazione alle finalità che la parte intendeva conseguire. Ed invero, la Corte ha fondato la sua decisione sul rilievo che l'Inail aveva impostato la sua azione sul disposto di cui all'art. 28, come era evidente, non solo alla luce delle maggiori garanzie patrimoniali offerte dalla compagnia assicuratrice, ma anche in considerazione che la domanda era tutta imperniata sul rapporto fra l'ente previdenziale e la società di assicurazione e si basava su una serie di conseguenti inadempimenti addebitabili alla compagnia nell'ambito del detto rapporto tra i due assicuratori, cui era estraneo necessariamente lo S., non potendovi interferire in alcun modo.

Ciò posto, vale la pena di rilevare che l'interpretazione della domanda è attività discrezionale del giudice di merito, la quale, risolvendosi in un tipico accertamento di fatto, è censurabile in sede di legittimità solo sotto il profilo dell'esistenza, sufficienza e logicità della motivazione, per cui non è invece censurabile ove sorretta da una motivazione congrua e rispettosa della normativa in questione. E nella specie, la motivazione adottata dalla Corte di merito, come risulta dal percorso argomentativo sopra riportato, deve essere ritenuta sufficiente, logica, non contraddittoria a rispettosa dei principi della materia. Né il ricorrente Inail ha offerto elementi univoci e concreti, dai quali desumere che avesse inteso proporre anche l'azione ex art. 1916 c.c. nei confronti dello S., e non già la sola azione ex art. 28 legge n.990/69, né è riuscito ad individuare effettivi vizi logici o giuridici nell'iter motivazionale della decisione.

Passando alla terza doglianza, articolata sotto il profilo della violazione dell'art. 112 cpc, va rilevato che l'Inail ha lamentato che la Corte avrebbe omesso di pronunciarsi su una sua domanda, proposta sin dall'atto di chiamata notificato alla Z. e poi riproposta in appello. Ed invero, nell'atto di chiamata, aveva chiesto la determinazione delle somme che gli erano dovute dalla Z. in restituzione: domanda che fu respinta in primo grado sul presupposto che sussistesse la responsabilità dello S. condannato al rimborso della residua somma spettantegli; quindi, con il sesto motivo di appello, aveva chiesto, in via subordinata, l'accoglimento della domanda di "rideterminazione del risarcimento integrale del danno subito dalla Z., calcolando il danno differenziale dovuto dall' istituto alla Z. Riducendo proporzionalmente le prestazioni economiche alla stessa erogate ed erogande".

Fatto sta che la Corte, non solo, aveva respinto la domanda di surrogazione nei confronti dello S. ma aveva respinto altresì il sesto motivo di impugnazione proposto dall'Istituto, deducendo in primo luogo che la determinazione dell'indennizzo da danno differenziale non era stata legata dall'Istituto in nessuno dei due gradi di giudizio ad una particolare domanda restitutoria a carico della Z. osservando, in secondo luogo, che l'Inail avrebbe potuto ridurre o escludere la propria prestazione in favore dell'assistito, nell'esercizio dei poteri di autotutela, riconosciuti alla P.A.

Anche tale doglianza è infondata. Ciò, alla luce della considerazione secondo cui, ad integrare gli estremi dell' omessa pronuncia, occorre che si sia completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile in riferimento al caso concreto.

Ne deriva che non sussiste il vizio in parola in relazione a una questione implicitamente assorbita in altre statuizioni della sentenza, cui risulti legata da nesso di dipendenza logico-giuridica, oppure quando ricorrano gli estremi di una reiezione implicita della pretesa, al di là delle statuizioni l'Inail formalmente contenute nel dispositivo.

Ed è quanto è avvenuto nei caso di specie, in cui la Corte di merito, come ha riconosciuto lo stesso Istituto ricorrente, in motivazione (cfr pagg.14 e 15 della sentenza), ha disatteso la sesta censura (ma in realtà si trattava di una richiesta espressa nelle conclusioni al giudice del gravame, cfr pag. 9 del ricorso) deducendo in primo luogo che l'Inail non aveva proposto alcuna specifica domanda restitutoria, a carico della Z., nei cui confronti, in primo grado, aveva avanzato invece la diversa domanda di risarcimento ex art. 1916 co.3 c.c. per il pregiudizio arrecato al diritto di surroga; ed osservando in secondo luogo che non era pensabile che l'Inail non potesse autonomamente ridurre o escludere la propria prestazione in favore dell'assistito, nell'esercizio dei poteri di autotutela riconosciuti alla P.A. allorquando possa profilarsi un'ipotesi di ingiusta locupletazione in favore dell'assistito.

Da ciò - ed è questa, in sintesi, la ratio decidendi sul punto controverso - il difetto del necessario interesse dell'Inail ad ottenere soddisfazione sul profilo considerato. Deve quindi concludersi che in tal modo la Corte di merito, sia pure implicitamente, si è pronunciata anche sulla richiesta de qua, onde l'insussistenza della doglianza formulata. Del resto, la portata ed il valore della pronuncia giurisdizionale vanno individuati tenendo conto non soltanto delle statuizioni l'Inail formalmente contenute nel dispositivo, ma anche delle enunciazioni contenute nella motivazione, la quale incide sul momento precettivo della pronuncia e deve considerarsi parte integrante del dispositivo, in quanto rivelatrice dell'effettiva volontà del giudice.

Resta da esaminare l'ultima doglianza, articolata dal ricorrente principale sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione degli artt.122 3, 1226, 1910, 1916 co. 3, 205 6 c.c. 28 legge n. 990/69, con cui l'Inail lamenta che la Corte di merito avrebbe gravemente errato trascurando che nel giugno del 1998, nel chiudere transattivamente la controversia, la danneggiata aveva assunto un atteggiamento reticente omettendo di avvertire la compagnia assicuratrice di aver ricevuto alcuni mesi prima la diffida dell'Inail e pregiudicando in tal modo la rivalsa dell'assicuratore sociale e rendendo di fatto incapiente il massimale di polizza rimasto disponibile nel minor importo di lire 127,600.000. Conseguentemente, la sentenza meriterebbe di essere annullata non essendo esatto che l'Istituto avvalendosi dei poteri di autotutela possa ridurre o escludere le prestazioni erogate per evitare la locupletazione dell' infortunato.

La doglianza, fondata essenzialmente sul dedotto pregiudizio arrecato dalla Z. al diritto di surrogazione dell'assicuratore sociale, merita attenzione.

A riguardo, mette conto di premettere che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, nella concreta determinazione del pregiudizio subito dal lavoratore, rimasto vittima di un infortunio sul lavoro, si deve tenere debito conto di quanto percepito dall'infortunato in esecuzione di un accordo transattivo concluso con l'assicuratore del terzo responsabile mediante detrazione dalla somma dovutagli dall'INAIL, senza che ciò dia luogo ad un compensazione, non consentita in materia, e senza che pertanto la somma da detrarre possa esser gravata di interessi e rivalutazione, (cfr Cass.347/98). Ed invero, "L'assicurato, rimasto vittima di un infortunio sul lavoro, nell'ipotesi di transazione conclusa direttamente (con effetto liberatorio) con il responsabile civile (o con la sua società assicuratrice) dell'infortunio che ha risarcito interamente il danno dedotto dal danneggiato, non può conseguire dall'Inail un (ulteriore) indennizzo dello stesso danno - già in parte o per intero risarcito - se non nei limiti dell'eventuale differenza fra quanto ricevuto dal responsabile (o dal suo assicuratore) e quanto ancora dovuto dall'istituto previdenziale". (Cass. 2649/90).

Deve essere ben chiaro pertanto che occorre evitare la corresponsione di un duplice risarcimento in una all'illecito arricchimento del danneggiato. E ciò, alla luce del "divieto di locupletazione ricavabile dall'ordinamento giuridico in relazione agli artt.1223, 1226 e 2056 del c.c. (in tema di risarcimento del danno), in relazione agli artt.1910 e 1916 del C.C., (in tema di indennizzo assicurativo) ed in relazione agli artt. 10 e 11 del D.P.R. 30 giugno 1965 n.1124 in tema specifico di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro"(cfr Cass. n. 2649/90).

Ciò premesso, venendo al caso di specie, è pacifico tra le parti che in data 5/13 novembre 1997, l'Inail inviò alla Z. un preciso invito ad astenersi dallo stipulare accordi con il presunto responsabile senza il suo intervento, essendo sua intenzione quella di surrogarsi nel diritto di credito di essa assicurata. Fatto sta che nel successivo mese di giugno 1998 la lavoratrice definiva transattivamente la controversia con la G.A., omettendo di avvertirla di aver ricevuto alcuni mesi prima la diffida dell'Inail e rendendo di fatto incapiente il massimale di polizza, rimasto disponibile nel ridotto importo di lire 127.600.000. Ne deriva che la Z., con lo stipulare la transazione senza avvertire l’Inail, ha con tutta evidenza pregiudicato il diritto di surrogazione dell'assicuratore sociale. Né è sostenibile in senso contrario che la mancata risposta dell'Inail alla raccomandata, inviatagli dalla G.A., in data 10 marzo 1998, ai fini dell' adempimento degli obblighi di cui all' art. 28 legge n.990/69, abbia interrotto il nesso causale perché, al di là di quella mancata risposta, l'assicuratore sociale aveva comunque diffidato l'infortunata a non concludere alcun accordo transattivo senza avvertirlo e l'omissione addebitabile ad esso Istituto non si è posta - né si poteva porre - in termini di relazione causale con il successivo autonomo comportamento della lavoratrice infortunata, che, ad onta della diffida ricevuta, ha stipulato la transazione senza darne comunicazione all'Inail ed ha determinato la successiva incapienza, sia pure parziale, del massimale di polizza. Ne deriva l'accoglimento del motivo di doglianza in esame.

Procedendo all'esame del ricorso incidentale, va osservato che con la prima doglianza per violazione e falsa applicazione degli artt.1328 e 1988 c.c. la ricorrente G.A. ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale, accogliendo il motivo di appello dell'Inail, ha ritenuto che la disponibilità a versare il residuo di massimale, manifestata con le missive 13.5.1999 e 4.7.2000, costituirebbe riconoscimento del debito e non già una mera proposta di transazione formulata nel tentativo di evitare la lite giudiziale.

Peraltro, anche a voler aderire alla tesi secondo cui le succitate missive costituirebbero ricognizione di debito per il residuo di massimale, la Corte - ed il rilievo sostanzia la seconda doglianza per violazione dell'art.1988 c.c. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione - avrebbe trascurato che l'art. 1988 c.c. consente la prova contraria rispetto al rapporto fondamentale e che tale prova era stata raggiunta in corso di causa con la dimostrazione dell'avvenuto integrale ristoro di tutte le pretese risarcitorie della Z.. Né la Corte avrebbe adeguatamente motivato riguardo.

I due motivi, che vanno esaminati congiuntamente in quanto, sia pure sotto profili diversamente articolati, prospettano un'unica censura, concernente l'omesso compimento, da parte della Corte territoriale, delle necessarie verifiche volte ad accertare l'effettiva debenza delle ulteriori somme di cui alla doglianza (la quarta) proposta dall'Inail nell'atto di appello, meritano attenzione in relazione al vizi o motivazionale dedotto.

A riguardo, si deve osservare che la Corte territoriale, dopo aver premesso che la compagnia assicuratrice "aveva messo a disposizione dell'Inail la somma residua a coprire il capitale (missive del 13 maggio 1999 e del 4 luglio 2000) sia pure condizionandola alla dimostrazione di un'effettiva debenza da parte dell'ente previdenziali per voci non coperte dalla transazione" aggiunge che di tale ulteriore debenza vi sarebbe stata la prova dal momento che la transazione sottoscritta dalla Z. aveva carattere definitivo soltanto rispetto a se stessa ma non rispetto all'Inail, per quanto erogato direttamente alla stessa Z. a titolo di rendita previdenziale (cfr pag.14).

Conclude pertanto aggiungendo testualmente: "Spetta dunque all' appellante l'importo residuo, pacificamente pari a lire 95.615.000 (E. 49.381,03) oltre agli interessi legali decorrenti dalla domanda al saldo" .

Ora, premesso che il vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. si verifica non solo nell'ipotesi di totale assenza di una qualunque esplicitazione delle ragioni della pronunzia ma anche nel caso di una sostanziale inidoneità della motivazione a rappresentare con esito chiaro e convincente le ragioni poste a base della decisione, deve osservarsi che l'argomentazione svolta dalla Corte di merito, fondata sul rilievo che la transazione sottoscritta dalla Z. aveva carattere definitivo soltanto rispetto alla danneggiata e non anche rispetto all'Inail, non fornisce alcun elemento utile atto a dimostrare un'effettiva debenza per voci non coperte dalla transazione né tanto meno l'esatta misura del credito vantato dall'ente previdenziale.

Infatti, la motivazione deve essere effettiva e non apparente, come è invece avvenuto nel caso di specie, posto che la Corte si è guardata bene dallo spiegare le ragioni della sua valutazione così da consentire il controllo della correttezza del percorso logico-argomentativo intrapreso, omettendo di provvedere alla necessaria comparazione delle somme erogate ed erogande in relazione alle voci di danno liquidate a favore della danneggiata, in rapporto alla transazione stipulata.

Ne consegue che nella specie l'omesso compimento degli accertamenti di cui sopra non solo inficia la correttezza del ragionamento svolto dalla Corte di merito ma ne determina altresì la sua censurabilità.

Tutto ciò considerato, le doglianze esaminate meritano di essere accolte, assorbite in esse la terza e la quarta censura, articolate dalla ricorrente incidentale, rispettivamente, sotto il profilo della violazione o falsa applicazione dell' art. 2043 c.c. e 28 co. 4 legge 990/1969 (per aver la Corte errato quando ha statuito che la transazione stipulata tra la G. e la Z. avrebbe carattere definitivo soltanto tra le parti e non anche nei confronti dell' Inail in relazione a quanto erogato a titolo di rendita previdenziale), e la violazione degli artt. 329 e 346 cpc nonché l'omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione (per non avere la Corte preso in considerazione il giudicato formatosi con la sentenza di primo grado riguardo l'avvenuta estinzione in via transattiva di tutti i diritti risarcitori della Z., compresi quelli di natura patrimoniale oggetto della surroga da parte dell'Inail).

Alla stregua di tutte le superiori considerazioni, vanno pertanto rigettati i primi tre motivi del ricorso principale, vanno invece accolti il quarto motivo del ricorso principale, il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale, assorbiti gli altri motivi, e va cassata la sentenza impugnata in relazione. Con l'ulteriore conseguenza che, occorrendo un rinnovato esame della controversia, la causa va rinviata alla Corte di Appello di Brescia, in diversa composizione, che provvedere anche in ordine al regolamento delle spese della presente fase di legittimità.


P.Q.M.




Rigetta il primo, il secondo e terzo motivo del ricorso principale proposto dall'Inail, accoglie il quarto motivo del ricorso principale, il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale proposto dalla G.A. Spa (ora Incontra Assicurazioni Spa),assorbiti gli altri due, cassa la sentenza impugnata in relazione, con rinvio della causa alla Corte di Appello di Brescia, in diversa composizione, che provvedere anche in ordine al regolamento delle spese della presente fase di legittimità.