Cassazione Penale, 18 ottobre 2012, n. 40890 - Responsabilità di un datore di lavoro per infortunio mortale e nomina di un RSPP



 

 

Responsabilità di un datore di lavoro in ordine al reato di cui all'art. 589 cod. pen., per avere cagionato la morte dell'operaio L. S..

Al prevenuto si contesta di non aver informato il dipendente sui rischi specifici connessi allo svolgimento delle mansioni e sulle norme in materia di prevenzione, di non aver attuato misure tecniche ed organizzative volte ad impedire che i lavoratori usassero attrezzature in condizioni non adatte e di non aver impedito che C. A. facesse salire il L. su un carrello elevatore, la cui pedana in legno mostrava tavole schiodate e non perfettamente ancorate al telaio, pedana dalla quale L. precipitava, procurandosi lesioni gravi che lo conducevano a morte.

Condannato, ricorre in Cassazione -Rigetto.

Con il primo motivo di ricorso l'esponente contesta l'affermazione di responsabilità a suo carico, evidenziando che i giudici di merito hanno omesso di considerare che egli aveva delegato i propri compiti di sorveglianza sui lavoratori, nominando un responsabile del servizio di prevenzione e protezione ed un direttore di stabilimento.

La Corte afferma, con riferimento alla nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che tale figura non corrisponde a quella di delegato per la sicurezza. In effetti, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione costituisce figura tutt'affatto diversa da quella, meramente eventuale, del responsabile per la sicurezza che, in quanto destinatario di poteri e responsabilità originariamente ed istituzionalmente gravanti sul datore di lavoro, deve essere formalmente individuato ed investito del suo ruolo con rigorose modalità. E si è pure rilevato che in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la responsabilità penale del datore di lavoro non è esclusa per il solo fatto che sia stato designato il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, trattandosi di soggetto che non è titolare di alcuna posizione di garanzia rispetto all'osservanza della normativa antinfortunistica e che agisce, piuttosto, come semplice ausiliario del datore di lavoro, il quale rimane direttamente obbligato ad assumere le necessarie iniziative idonee a neutralizzare le situazioni di rischio.

Conclusivamente sul punto, deve poi sottolinearsi che questa Corte regolatrice ha chiarito che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur in assenza di una previsione normativa di sanzioni penali a suo specifico carico, può essere ritenuto responsabile, anche "in concorso con il datore di lavoro", del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare.

Quanto alla seconda figura, il direttore di stabilimento, del tutto legittimamente i giudici di merito hanno rilevato che la responsabilità dell'imputato non era esclusa dalla presenza di un direttore dello stabilimento, indicato come "legale responsabile per la sicurezza".

La Corte di Appello ha infine correttamente considerato che nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dalla assenza di misure di prevenzione, come nel caso di specie, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento negligente del medesimo lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque alla insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente.


 

Fatto

 


1. Il Tribunale di Barcellona P.G., sezione distaccata di Milazzo, con sentenza in data 8.11.2007 affermava la penale responsabilità di B. F., nella sua qualità di legale rappresentante della A. s.r.l. e della M., s.r.l., in ordine al reato di cui all'art. 589 cod. pen., per avere cagionato la morte dell'operaio L. S.. Al prevenuto si contesta di non aver informato il dipendente sui rischi specifici connessi allo svolgimento delle mansioni e sulle norme in materia di prevenzione; di non aver attuato misure tecniche ed organizzative volte ad impedire che i lavoratori usassero attrezzature in condizioni non adatte; e di non aver impedito che C. A. facesse salire il L. su un carrello elevatore, la cui pedana in legno mostrava tavole schiodate e non perfettamente ancorate al telaio, pedana dalla quale L. precipitava, procurandosi lesioni gravi che lo conducevano a morte.


2. La Corte di Appello di Messina, con sentenza in data 18 febbraio 2011, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Barcellona P.G., dichiarava non diversi procedere a carico dell'imputato B., in ordine ai reati di cui ai capi B) e C), perché estinti per prescrizione; rideterminava la pena originariamente inflitta e confermava le statuizioni civili.
La Corte territoriale, nel censire i motivi di doglianza, rilevava che l'intervenuta designazione di un responsabile del servizio di prevenzione e protezione non escludeva la responsabilità del datore di lavoro, atteso che il predetto soggetto non era stato delegato a svolgere concretamente i compiti di osservanza delle norme antinfortunistiche.
Sotto altro aspetto, la Corte territoriale evidenziava che nel caso in questione la responsabilità del B. non era esclusa dalla presenza di un direttore dello stabilimento, indicato come "legale responsabile per la sicurezza"; rilevava che il predetto direttore era stato mandato assolto già al primo giudice, con motivazione condivisa dal Collegio.
La Corte di Appello evidenziava poi l'infondatezza del rilievo, svolto dalla difesa, in base al quale doveva ritenersi interrotto il nesso di condizionamento tra la condotta dell'imputato e l'evento, stante il comportamento colposo posto in essere dallo stesso lavoratore rimasto vittima del sinistro.


3. Avverso la citata sentenza della Corte di Appello di Messina ha proposto ricorso per cassazione B. F., a mezzo del difensore, deducendo violazione di legge, in riferimento agli artt. 589 cod. pen. e 4, d.P.R. n. 547/1955 ed il vizio motivazionale.
Con il primo motivo, la parte si duole del fatto che i giudici di merito non abbiano assegnato rilevanza alla complessa ed articolata struttura della società A. s.p.a. ed al collegamento funzionale con la A. s.r.l. e M. s.r.l.
Osserva che la Corte di Appello motiva l'affermazione di responsabilità del B. sulla mancata delega ad attuare i compiti di osservanza delle norme antinfortunistiche, in favore del responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Si duole, altresì, del fatto che i giudici abbiano ritenuto che la presenza del direttore dello stabilimento non fosse idonea ad escludere la colpevolezza dell'imputato. Il ricorrente rileva che deve ritenersi pacifico che il direttore dello stabilimento possa considerarsi responsabile dell'infortunio subito dal lavoratore nell'ambito del ciclo di produzione. Ritiene, pertanto, che l'imputato non possa essere ritenuto responsabile del reato ascrittogli, atteso che la nomina di sostituti o preposti, anche in assenza di una delega specifica in materia di prevenzione, consente di eliminare qualsiasi profilo di colpa, in capo al B., nell'adempimento dei propri obblighi sulla sicurezza.
Ciò premesso, la parte rileva che il dipendente L., assunto da circa sei mesi, rispetto alla data del fatto, era già stato formato ed informato sui rischi del trasporto dei materiali; e che l'imputato non aveva alcuna possibilità di prevedere che L. decidesse di salire sulla pedana ancorata al muletto, per raccogliere i rifiuti accumulatisi nei giorni precedenti. L'esponente ritiene che la Corte di Appello postuli una sorta di responsabilità oggettiva in capo al B..
Ribadisce che l'intervenuta nomina del responsabile del servizio di prevenzione esclude la responsabilità dell'imputato.
Con il secondo motivo, la parte ribadisce che l'infortunio ebbe a verificarsi a causa del comportamento abnorme tenuto dal medesimo dipendente. Osserva che L. violò le più elementari regole di condotta, prendendo l'iniziativa di salire sulla pedana del muletto.

Diritto


4. Il ricorso è destituito di fondamento.

4.1. Con il primo motivo di ricorso l'esponente contesta l'affermazione di responsabilità a suo carico, evidenziando che i giudici di merito hanno omesso di considerare che il datore di lavoro B. aveva delegato i propri compiti di sorveglianza sui lavoratori, nominando un responsabile del servizio di prevenzione e protezione ed un direttore di stabilimento.

4.2. Giova considerare, con riferimento alla nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione non corrisponde a quella di delegato per la sicurezza. In effetti, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione costituisce figura tutt'affatto diversa da quella, meramente eventuale, del responsabile per la sicurezza che, in quanto destinatario di poteri e responsabilità originariamente ed istituzionalmente gravanti sul datore di lavoro, deve essere formalmente individuato ed investito del suo ruolo con rigorose modalità (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 37861 del 10.07.2009, dep. 25.09.2009, Rv. 245276). E si è pure rilevato che in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la responsabilità penale del datore di lavoro non è esclusa per il solo fatto che sia stato designato il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, trattandosi di soggetto che non è titolare di alcuna posizione di garanzia rispetto all'osservanza della normativa antinfortunistica e che agisce, piuttosto, come semplice ausiliario del datore di lavoro, il quale rimane direttamente obbligato ad assumere le necessarie iniziative idonee a neutralizzare le situazioni di rischio (Cass. Sez. F, Sentenza n. 32357 del 12.08.2010, dep. 26.08.2010, Rv. 247996).


4.3. L'ordine di considerazioni che precede induce a rilevare che sia l'apprezzamento in fatto compiuto dal giudici di merito che la valutazione in ordine alla diversità dei ruoli delle figure aziendali ora indicate, risultano immuni da errori logici o giuridici. In particolare, deve osservarsi che del tutto legittimamente la Corte territoriale ha sottolineato che l'intervenuta designazione di un responsabile del servizio di prevenzione e protezione non escludeva la responsabilità del datore di lavoro, atteso che il predetto soggetto non era stato delegato a svolgere concretamente i compiti di osservanza delle norme antinfortunistiche. E che del pari conferentemente il Collegio ha sottolineato che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, in sostanza, assume la veste di consulente del datore di lavoro, il quale fa propri gli studi elaborati dal predetto consulente. Del resto, questa Suprema Corte ha pure chiarito che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione è una sorta di consulente del datore di lavoro e che i risultati dei suoi studi ed elaborazioni sono fatti propri dal datore di lavoro che lo ha scelto (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 1841 del 16.12.2009, dep. 15.01.2010, Rv. 246163).
Conclusivamente sul punto, deve poi sottolinearsi che questa Corte regolatrice ha chiarito che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur in assenza di una previsione normativa di sanzioni penali a suo specifico carico, può essere ritenuto responsabile, anche "in concorso con il datore di lavoro", del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 32195 del 15.07.2010, dep. 20.08.2010, Rv. 248555).

4.4. Sotto altro aspetto, occorre pure considerare che, del tutto legittimamente, i giudici di merito hanno rilevato che la responsabilità del B. non era esclusa dalla presenza di un direttore dello stabilimento, indicato come "legale responsabile per la sicurezza".
Sul punto, la decisione della Corte di Appello, espressamente adesiva a quella di primo grado, si integra con quella del Tribunale, dando luogo ad un unico plesso motivazionale, secondo il consolidato insegnamento di questa Suprema Corte (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 4619 del 20.03.1981, dep. 15.05.1981, Rv. 148886). Orbene, deve allora evidenziarsi, con rilievo di ordine dirimente, che il Tribunale di Milazzo, con apprezzamento che risulta privo di fratture logiche rilevabili in sede di legittimità, ha chiarito: che B. aveva provveduto a nominare D. A. quale direttore di stabilimento, in riferimento alla società committente A. s.p.a,; che il sinistro nel quale è rimasto coinvolto il dipendente L. non era dipeso da un difetto di coordinamento tra società committente e società appaltataci, ma unicamente dall'uso inappropriato del carrello elevatore, veicolo in concreto appartenente alla M.; e sulla scorta di tali rilievi, ha mandato assolto il D. (dal reato di omicidio colposo di cui al capo A), ascritto al predetto in cooperazione con il B., con la formula per non aver commesso il fatto. Come si vede, la nomina del direttore di stabilimento, nella persona del D., è stata ritenuta dai giudici di merito evenienza concretamente inidonea ad escludere la responsabilità del B., proprio in ragione della effettuata ricostruzione della dinamica del sinistro, afferente all'uso improprio di un carrello elevatore appartenente alla M., secondo una valutazione di fatto non sindacabile in questa sede.


5. Il secondo motivo di ricorso è del pari infondato.

La Corte di Appello ha correttamente considerato che nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dalla assenza di misure di prevenzione, come nel caso di specie, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento negligente del medesimo lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque alla insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente. Invero, deve rilevarsi che la Suprema Corte ha ripetutamente affermato che le norme antinfortunistiche sono destinate a garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro, anche in considerazione della disattenzione con la quale gli stessi lavoratori effettuano le prestazioni. Le considerazioni svolte dalla Corte territoriale si collocano, pertanto, nell'alveo dell'orientamento espresso ripetutamente dalla Corte regolatrice, in riferimento alla valenza esimente da assegnare alla condotta colposa posta in essere dal lavoratore, rispetto al soggetto che versa in posizione di garanzia. Questa Suprema Corte ha chiarito che, nel campo della sicurezza del lavoro, gli obblighi di vigilanza che gravano sul datore di lavoro risultano funzionali anche rispetto alla possibilità che il lavoratore si dimostri imprudente o negligente verso la propria incolumità; e che può escludersi l'esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l'abnormità del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento. Nella materia che occupa deve, cioè, considerarsi abnorme il comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro; e la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che l'eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l'obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica (cfr. Cass., sez. 4, sentenza n. 3580 del 14.12.1999, dep. il 20.03.2000, Rv. 215686). La Suprema Corte ha pure chiarito che non può affermarsi che abbia queste caratteristiche il comportamento del lavoratore - come certamente è avvenuto nel caso di specie - che abbia compiuto un'operazione rientrante pienamente, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 10121 del 23.01.2007, dep. 9.03,2007, Rv. 236109).


6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese in favore della costituita parte civile, liquidate come a dispositivo, in considerazione del concreto impegno della controversia.

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione in favore della costituita parte civile delle spese di questo giudizio, che liquida in € 2.500,00, oltre I.V.A. e C.P.A. e spese generali come per legge.