Categoria: Giurisprudenza civile di merito
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Tribunale di Varese, Sez. Civ., 28 giugno 2012 - Caduta di una dipendente dell'Amministrazione di Giustizia e risarcimento


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI VARESE

Il Tribunale di Varese, in composizione monocratica, nella persona del magistrato dr. Elena Fumagalli,
ha pronunciato, in funzione di Giudice del Lavoro,
la seguente


SENTENZA


nella causa in materia di lavoro iscritta al n. R.G. 780/10 promossa da B.M. con l'avv. Vincenzo Toscano, con domicilio eletto presso lo studio di Varese, via M. n. 1;
RICORRENTE
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,
RESISTENTE CONTUMACE

Data della discussione: 28.6.2012

Oggetto: risarcimento da infortunio sul lavoro


All'udienza di precisazione delle conclusioni, il procuratore del ricorrente prendeva le seguenti
CONCLUSIONI
PER LA RICORRENTE


Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, gli opportuni accertamenti e declaratoria del caso, così giudicare: nel merito:
- accertare e dichiarare che l'infortunio occorso alla ricorrente in data 23/3/2009 nei locali del Palazzo di Giustizia di Varese, piazza Cacciatori delle Alpi, descritto in narrativa, ebbe a verificarsi terra fatto è colpa della resistente Ministero della Giustizia;
- condannare conseguentemente il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, al risarcimento in favore della ricorrente di tutti gli i danni patrimoniali e non un patrimoniali subiti in occasione e in conseguenza del sinistro de quo, che si quantificano in complessivi euro 35.690,97, così come indicato analiticamente in narrativa, ovvero in quella diversa, maggiore o minore e comunque ritenuta di giustizia; il tutto oltre interessi legali dal dovuto al saldo e rivalutazione monetaria; il tutto anche con l'ausilio di espletande CTU medico-legale e CTU tecnica. Con il favore delle spese di lite.

Fatto


Con ricorso depositato in data 29/6/2010 B.M.L. - premesso di essere dipendente dell'Amministrazione Giustizia - Ministero della Giustizia - dal 1/3/1980 con la qualifica di Cancelliere C1 presso il Tribunale di Varese; di aver subito un infortunio in data 23/3/2009 durante il normale svolgimento del suo lavoro, infortunio consistito in una violenta caduta causata dalla presenza di una grata collocata nei pressi dell'androne del Palazzo di Giustizia; di aver riportato un danno biologico valutabile nella misura del 15%, e di aver sofferto un periodo di inabilità temporanea al 100% di gg. 15, al 75 % di gg. 30, al 50% di gg. 30, al 25% di gg. 90; di aver diritto ad ottenere il risarcimento del danno subito e di aver vanamente cercato di addivenire ad una soluzione conciliativa della controversia; - conveniva in giudizio il Ministero della Giustizia chiedendo, previo accertamento della responsabilità del datore di lavoro ex artt. 2087, 2043 - 2051 c.c., la condanna a risarcire tutti i danni derivati dal predetto infortunio. Con vittoria di spese. All'udienza ex art. 420 c.p.c. del 19.10.2010 nessuno si costituiva in giudizio per il Ministero della Giustizia e il Giudice, constatata la regolarità della notifica, dichiarava la contumacia. Ammessa ed espletata la prova orale dedotta dalla ricorrente, all'udienza del 16.3.2011 veniva conferito incarico peritale per la quantificazione medico legale del danno subito. Depositato l'elaborato peritale, acquisita documentazione attestante l'ammontare delle somme erogate da parte dell'INAIL, depositate note difensive conclusive, all'udienza del 28.6.2012 la causa è stata decisa con la presente sentenza
La domanda proposta da B.M.L. è fondata e merita accoglimento.
Risulta provato in giudizio che la ricorrente ha subito un infortunio sul lavoro in data 23 marzo 2009; l'evento per cui è causa - confermato dal teste avv. C.C. che ha dichiarato di aver assistito alla dinamica dell'infortunio - si è verificato allorquando la signora B., diretta all'interno del Palazzo di Giustizia verso i locali del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Varese, all'atto di varcare la soglia che dall'androne dell'immobile conduce all'ampio salone che un tempo costituiva il cortile (all'aperto, adibito a posteggi auto) del Tribunale, rimaneva incastrata con il tacco dello stivale in una grata posizionata sopra un tombino che, prima dei lavori di ristrutturazione del palazzo, serviva per la raccolta dell'acqua piovana ("...ricordo di aver visto la signora B. transitare sopra la grata; indossava delle calzature con tacchi di cui uno si è incastrato nella fessura della grata, provocando la caduta della signora B...." così teste C.). Poiché il tacco dello stivale, infilatosi nello spazio esistente tra una barra e l'altra della grata tratteneva la gamba destra della ricorrente, la stessa si sbilanciava col corpo e, dopo aver posto in essere una repentina torsione della gamba sinistra, cadeva al suolo in modo violento, tanto da subire la "frattura sottocapitata del collo femorale sinistro" (cfr. cartella clinica Ospedale - doc. 1). Anche i restanti testi escussi avv. P.M., D.Z.G. e V.F., pur non avendo assistito alla dinamica del sinistro, hanno tutti confermato di essere intervenuti subito dopo la caduta e di aver constatato in loco che la grata "...presentava delle aperture oblique, di una larghezza di qualche centimetro... " e all'interno dei cui spazi ben poteva incastrarsi un tacco di calzatura femminile (cfr. deposizione avv. M.).
I testi hanno pure confermato che il giorno successivo all'evento si è proceduto alla sostituzione della grata che costituiva all'evidenza un'insidia: "...immediatamente dopo l'infortunio sono venuti gli operai dal Comune a coprire la grata con una rete di acciaio fitta... " (così V.F.) Le testimonianze acquisite in giudizio consentono di affermare che l'incidente - già riconosciuto dall'INAIL come infortunio in occasione di lavoro - si è verificato all'interno del luogo di lavoro ove la ricorrente opera; non essendo stato in alcun modo contestato che la signora B. si stesse muovendo all'interno del Palazzo di Giustizia per finalità legate all'espletamento delle proprie mansioni ed essendo emerso come la stessa si sia trovata nella necessità di percorrere il tragitto all'interno del quale è stato accertato vi era nella pavimentazione un'insidia costituita dalla grata che copriva l'ex tombino (grata che si caratterizzava dall'avere fessure così ampie da poter bloccare il tacco di una calzatura femminile e che poi è stata, per tale motivo, coperta con una fitta rete di ferro), l'incidente non può che essere attribuito alla responsabilità colposa del datore di lavoro ai sensi dell'art. 2087 c.c. e 64 D. Lgs. n. 81/2008, norme che impongono al medesimo di adottare ogni tipo di misura utile a tutelare il diritto soggettivo dei lavoratori ad operare in un ambiente esente da rischi al fine di tutelare il bene primario della salute, diritto fondamentale della persona. L'aver omesso di eliminare l'insidia prima che si verificasse l'infortunio costituisce violazione del dettato di cui all'articolo 2087 c.c.; a ciò deve aggiungersi che il nuovo testo unico in materia antinfortunistica prevede in maniera specifica che il datore di lavoro deve provvedere affinché i luoghi di lavoro vengano sottoposti a regolare manutenzione tecnica, con eliminazione quanto più rapidamente possibile dei difetti rilevati che possano pregiudicare la sicurezza e la salute dei lavoratori (art. 64), comportamento che, all'evidenza, è stato nel caso di specie posto in essere in ritardo.
Per i motivi esposti, l'evento occorso in data 23 marzo 2009 ai danni di B.M.L. deve essere ascritto alla responsabilità del Ministero della Giustizia quale datore di lavoro del ricorrente. Dovendo a questo punto procedere alla liquidazione dei danni riportati a seguito del sinistro, occorre evidenziare come in corso di causa sia stata disposta ed espletata CTU medico legale all'esito della quale il medico nominato ha accertato che in occasione dell'evento lesivo la ricorrente ha riportato "...una frattura sottocapitata ingranata femore sn" che ancora oggi comporta la presenza di "...menomazione dell'anca sinistra".
Il CTU ha quindi quantificato la durata della temporanea biologica come segue: invalidità lavorativa temporanea totale al 100% quantificabile in giorni 20, parziale al 75% in giorni 40, al 50% in giorni 40 e al 25% in giorni 60; l'invalidità psico-fisica permanente è stata valutata pari al
14%, a far tempo dalla 1/9/2010.
Ritiene il Tribunale di far proprie le conclusioni del medico legale nominato - alla cui relazione peritale si rimanda integralmente - siccome logiche, tecnicamente motivate e convincenti. Tenuto conto dell'età dell'infortunata (anni 52 all'epoca del fatto) gli importi risarcitori vengono quantificati applicando le tabelle del Tribunale di Milano tenuto conto dei più recenti arresti giurisprudenziali della S.C. in tema di unitarietà del danno alla persona.
A questo proposito si deve brevemente ricordare come, con la nota sentenza n. 26972/08, la Cassazione a sez. Unite ha avuto modo di chiarire che, nell'ambito del danno non patrimoniale, il riferimento a determinati tipi di pregiudizi in vario modo documentati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto di parentela), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno. Secondo la Suprema Corte è compito del Giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, e a provvedere alla riparazione integrale di tutte le ripercussioni negative subite dalla persona complessivamente identificata.
Per questo il Giudice, anziché procedere alla separata liquidazione del danno morale in termini di una percentuale del danno biologico, deve provvedere ad un'adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, così da pervenire al ristoro del danno nella sua interezza. Alla luce di quanto sopra, il danno patito dalla ricorrente in conseguenza dei fatti di causa, viene così liquidato secondo i criteri di liquidazione adottati da questo Tribunale:
- quanto al danno temporaneo: euro 8.500€ (di cui: euro 2.000€ per 20 giorni al 100%; euro 3.000€ per 40 giorni al 75%; euro 2.000€ per giorni 40 al 50%; euro 1.500€ per 60 giorni al 25%);
- quanto al danno biologico permanente (cd. punto pesante, comprensivo del danno morale) al 14%: euro 33.082€ con aumento del 25% e quindi euro 41.352€.
Per addivenire alla suddetta liquidazione è stata operato un aumento in "personalizzazione" del danno (tenendo conto delle particolari difficoltà nel compiere taluni movimenti da parte della ricorrente - come ad esempio, accavallare le gambe - e della preclusione a praticare sport o attività ludiche, così come accertato dal CTU nel proprio elaborato peritale, situazione che espone la signora B. sicuramente ad una sofferenza e ad un maggior sforzo fisico a compiere taluni atti della vita).
Le suddette somme sono già attualizzate alla data odierna atteso il continuo aggiornamento delle tabelle milanesi.
Poiché risulta in giudizio che B.M.L. ha ottenuto gli indennizzi di legge da parte dell'I.N.A.I.L., il danno da risarcire deve essere limitato al cd. "danno differenziale". Come è noto l'art.10 del D.P.R. n. 1124/65 disciplinava il danno risarcibile da parte del datore di lavoro disponendo che il risarcimento fosse dovuto "solo per la parte che eccede le indennità liquidate a norma degli articoli 66 e seguenti".
Con l'entrata in vigore del D. Lgs. n.38/00, è previsto all'art. 13 co. 2 che "in caso di danno biologico, i danni conseguenti a infortuni sul lavoro e a malattie professionali verificatisi o denunciati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 3, l'INAIL nell'ambito del sistema d'indennizzo e sostegno sociale, in luogo della prestazione di cui all'articolo 66, primo comma, numero 2) del testo unico, eroga l'indennizzo previsto e regolato dalle seguenti disposizioni...".
L'art.66, 1° c. n.2) del T.U. 1124/65 prevede l'erogazione di "una rendita per l'inabilità permanente". Dunque, l'indennizzo previsto dal D. Lgs. n. 38/00 è andato a sostituire la rendita per inabilità permanente prevista dall'art.66 del D.P.R. 1124/65 di conseguenza l'art.10 del D.P.R. n. 1124/65, nella parte in cui prevede il risarcimento del danno differenziale "...per la parte che eccede le indennità liquidate a norma degli articoli 66 e seguenti" fa riferimento anche a un'indennità (la rendita per inabilità permanente di cui all'art.66, 1° c., n.2) del T.U.) che ora è sostituita dall'indennizzo di cui all'art.13 del D.Lgs 38/00.
Ne discende che il danno differenziale risarcibile da parte del datore di lavoro è oggi integrato da quella parte di danno biologico permanente eventualmente superiore alla liquidazione compiuta dall'I.N.A.I.L. nonchè dal danno biologico temporaneo.
In questo caso l'I.N.A.I.L., riconosciuta un'invalidità pari al 11%, ha disposto l'erogazione di un indennizzo in conto capitale pari ad euro 9.431,28€ che deve pertanto essere sottratta dalla somma così come calcolata sopra.
Il danno differenziale che il datore di lavoro deve pertanto corrispondere ammonta ad euro 32.150,72€ (euro 41.582 - euro 9.431,28€), oltre a interessi legali dalla data del fatto al soddisfo. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano a carico del Ministero resistente in complessivi euro 3.000€, oltre accessori di legge.
Le spese di CTU, come liquidate in corso di causa, vengono poste in via definitiva a carico di parte resistente.

 

P.Q.M.


Il Tribunale, in funzione di giudice del lavoro , definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da B. M. nei confronti di Ministero della Giustizia, resistente contumace, così provvede:
- dichiara che l'infortunio per cui è causa deve ascriversi a colpa del datore di lavoro ;
- condanna il Ministero convenuto al pagamento della complessiva di euro 32.150,72€, oltre a interessi legali dalla data del fatto al soddisfo;
- condanna Ministero della Giustizia a rifondere alla ricorrente le spese di lite liquidate in complessivi euro 3.000, oltre accessori di legge;
- pone le spese di CTU, come liquidate in corso di causa, definitivamente a carico di parte resistente.

Varese, 28.6.2012

Il Giudice
dott. Elena Fumagalli