Cassazione Civile, Sez. Lav., 24 ottobre 2012, n. 18224 - Amianto e morte di un capotreno


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico - Presidente

Dott. FILABOZZI Antonio - Consigliere

Dott. BALESTRIERI Federico - Consigliere

Dott. BLASUTTO Daniela - rel. Consigliere

Dott. FERNANDES Giulio - Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA



sul ricorso 1350/2008 proposto da:

(Omissis), (Omissis), (Omissis), (Omissis), nella qualità di eredi di (Omissis), tutti elettivamente domiciliati in (Omissis), presso lo studio dell'avvocato (Omissis), che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati (Omissis), (Omissis), (Omissis), giusta delega in atti;

- ricorrenti -

contro

(Omissis) S.P.A. (Omissis) (già (Omissis)), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (Omissis), presso lo studio dell'avvocato (Omissis), che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 1759/2006 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 03/01/2007 R.G.N. 1160/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/10/2012 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito l'Avvocato (Omissis) in proprio e per delega (Omissis);

udito l'avvocato (Omissis) per delega (Omissis);

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CORASANITI Giuseppe, che ha concluso per accoglimento del ricorso.

 

Fatto



Con ricorso al Tribunale di Firenze, gli eredi di (Omissis) agivano iure hereditatis per l'accertamento della responsabilità della società (Omissis) ai sensi dell'articolo 2087 cod. civ. e per il risarcimento del danno patrimoniale e del danno biologico subiti dal loro congiunto, deceduto in data 8 ottobre 1991 per mesotelioma pleurico, dopo dieci mesi di malattia.

I suddetti eredi deducevano che il de cuius aveva prestato servizio dal 1962 al 1972 come conduttore e capotreno su convogli merci, rimanendo esposto per tale periodo alle fibre di amianto, materiale i cui effetti cancerogeni erano ampiamente noti alla società e tuttavia massicciamente utilizzato per coibentare e verniciare le carrozze ferroviarie e per realizzare parti meccaniche. Deducevano che il nesso di causalità fra l'esposizione all'amianto e il mesotelioma era stato accertato in un precedente giudizio avente ad oggetto il riconoscimento della malattia professionale e definito con sentenza, passata in giudicato, di condanna della soc. (Omissis) al pagamento della rendita di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, articolo 85.

Il giudizio di primo grado veniva definito con declaratoria di nullità del ricorso per genericità ai sensi dell'articolo 414 cod. proc. civ., nn. 3 e 4. A seguito del gravame proposto dagli eredi (Omissis), la Corte di appello di Firenze, con sentenza depositata il 3 gennaio 2007, confermava la declaratoria di nullità quanto alla pretesa risarcitoria e respingeva la domanda di accertamento della responsabilità dall'azienda ex articolo 2087 cod. civ..

La sentenza si basava sulle seguenti considerazioni: non vi erano sufficienti elementi di conoscenza relativi alle modalità di espletamento delle mansioni di (Omissis) per potere ritenere che queste comportassero un'effettiva esposizione alle polveri di asbesto in ambito lavorativo; la genesi dei mesoteliomi in meccanici ferroviari era stata portata all'attenzione della comunità scientifica a partire dal 1983 ed era stata dimostrata in relazione ad operazioni di coibentazione e manutenzione di materiali rotabili, non altrettanto era avvenuto per il personale viaggiante diverso dai macchinisti; anche l'esistenza di un rischio correlato al trasporto dell'amianto sui treni merci era stato avanzato solo rispetto alle operazioni di carico e scarico; non vi erano studi mirati sul personale viaggiante delle (Omissis) anteriori al 1990 o comunque risalenti al periodo 1960/1970; non era condivisibile l'indicazione interpretativa derivante dalla sentenza n. 644 del 2005 della Corte di Cassazione, quanto al prospettato onere, in capo all'azienda (Omissis), di anticipare i risultati delle successive ricerche in ragione del fatto di disporre di un servizio sanitario costituente struttura diffusa su tutto il territorio nazionale e dotata di un organismo ad hoc, assistito da competenze scientifiche.

Avverso tale sentenza gli eredi (Omissis) propongono ricorso, articolato in tre motivi.

Resiste con controricorso la società (Omissis).

Parte ricorrente ha altresì depositato memoria illustrativa ex articolo 378 cod. proc. civ..

Diritto



Con il primo motivo, si denuncia la violazione del giudicato esterno formatosi tra le stesse parti in relazione alla sentenza n. 1444/95 del Pretore di Firenze, la quale aveva accertato l'origine professionale del mesotelioma pleurico del lavoratore. Era contraddittoria la motivazione che, da un lato, aveva affermato che il nesso causale non era più in contestazione e, dall'altro, aveva messo in dubbio il carattere morbigeno delle mansioni dei ferrovieri viaggianti diversi dai macchinisti.

Con il secondo motivo, si lamenta violazione di legge e insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo, costituito dallo stato delle conoscenze sulla pericolosità dell'amianto al tempo dell'esposizione del dante causa dei ricorrenti. La Corte fiorentina aveva dichiarato di condividere la c.t.u., la quale aveva affermato che già intorno alla metà degli anni 60 erano noti gli effetti dell'amianto anche per l'esposizione a basse concentrazioni di fibre, ma contraddittoriamente aveva escluso che quando il dipendente prestò servizio le informazioni disponibili fossero tali da imporre all'azienda (Omissis) l'adozione di misure di tutela dei lavoratori. La motivazione era anche insufficiente per non avere considerato che le (Omissis) potevano prefigurarsi che, con il tempo e le sollecitazioni meccaniche, l'amianto impiegato per la coibentazione si sarebbe sfaldato e le sue polveri avrebbero raggiunto l'interno dei vagoni; che le polveri disperse all'interno dell'elettromotrice avrebbero raggiunto sia i locali occupati dai macchinisti, sia la contigua cabina del capotreno; che le polveri filtrate attraverso le balle contenenti amianto si sarebbero disperse nei vagoni dei treni merci; che, al passaggio dei convogli, il vortice d'aria avrebbe sollevato polveri contenenti amianto. La soluzione adottata dalla Corte di appello si era dissociata, senza adeguata motivazione, dai principi espressi nella sentenza n. 644 del 2005 della Corte di cassazione.

Con il terzo motivo, gli eredi censurano la declaratoria di nullità della domanda di risarcimento dei danni, denunciando violazione di legge in relazione agli articoli 414 e 421 cod. proc. civ. e difetto di motivazione, per non avere la sentenza debitamente considerato che il risarcimento del danno patrimoniale riguardava le voci della retribuzione direttamente collegate alla prestazione lavorativa non percepite dal congiunto durante l'assenza per malattia e che la richiesta relativa al danno biologico, liquidabile in via equitativa, era correlata alla condizione di sofferenza fisica e psichica del congiunto nei dieci mesi di durata della malattia, prima del decesso.

Il primo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza. Esso concerne l'interpretazione di un giudicato esterno, interpretazione che può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di Cassazione con cognizione piena "sempre però nei limiti in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza del noto principio di autosufficienza di questo mezzo di impugnazione: infatti, se è vero che la sentenza passata in giudicato costituisce la ed. legge del caso concreto è anche vero che, al contrario degli atti normativi resi pubblici con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, atti che il giudice è tenuto a ricercare di ufficio (in applicazione del noto brocardo iura novit curia), il giudicato esterno deve essere prodotto dalla parte che intenda avvalersene e, qualora l'interpretazione che ne ha dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il ricorso per cassazione deve riportare il testo del giudicato che assume male interpretato, motivazione e dispositivo, atteso che il solo dispositivo può non essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale" (Cass. n. 26627/2006). In tema di ricorso per cassazione, ai fini del rituale adempimento dell'onere, imposto al ricorrente dall'articolo 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 6, di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti processuali su cui si fonda e di riportarli con riferimento alle parti oggetto di doglianza, è necessario che, in ossequio al principio di autosufficienza di detto atto processuale, si provveda anche alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l'esame (v. da ultimo, Cass. ordinanza n. 4220 del 2012).

Il ricorrente - che ha riportato nel ricorso solo alcuni stralci della motivazione della sentenza n. 3085 del 1999 di questa Corte costituente l'asserito giudicato a sostegno dell'impugnativa - non ha depositato copia autentica della cennata sentenza all'atto della iscrizione a ruolo del ricorso per cassazione, nè ha indicato in quale parte del proprio fascicolo dei precedenti gradi tale sentenza sarebbe stata prodotta.

Ne consegue che, esclusa l'esistenza di preclusioni derivanti da giudicato esterno, l'esposizione al fattore morbigeno in relazione alle mansioni in concreto svolte dal lavoratore era il tema di indagine e di accertamento devoluto alla cognizione del giudice di merito del presente giudizio.

Deve poi rilevarsi l'inammissibilità della censura vertente sul presunto vizio di contraddittorietà della sentenza in punto di nesso causale. Secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte regolatrice, il vizio di contraddittorìa motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l'individuazione della ratio decidendi, e cioè l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione adottata (Cass. 3 agosto 2007, n. 17076). Contemporaneamente, per il principio di autosufficienza sopra richiamato, il ricorso deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni ivi esposte senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso. Ne discende che, qualora si deduca - come nella specie - che la sentenza oggetto di ricorso per cassazione è censurabile sotto il profilo di cui all'articolo 360 cod. proc. civ., n. 5, per essere sorretta da una contraddittoria motivazione, è onere del ricorrente, a pena di inammissibilità, trascrivere nel ricorso le espressioni tra loro contraddittorie, ossìa inconciliabili, contenute nella parte motiva della sentenza impugnata, che si elidono a vicenda e non permettono, di conseguenza, di comprendere quale sia la ratio decidendi che sorregge la pronunzia stessa (Cass. n. 3248 del 3 febbraio 2012).

Poichè nella specie parte ricorrente, denunziando in forma del tutto sintetica il vizio di "contraddittoria motivazione", ha completamente omesso di indicare quali siano le proposizioni presenti nella sentenza impugnata tra loro inconciliabili, è evidente che pure per tale ulteriore profilo il motivo deve essere dichiarato inammissibile.

Il secondo motivo investe l'accertamento della esclusione di una responsabilità per colpa ascrivibile al datore di lavoro ex articolo 2087 cod. civ..

Anche tale motivo è inammissibile.

In tema di responsabilità del datore di lavoro per mancato rispetto dell'obbligo di prevenzione di cui all'articolo 2087 cod. civ., l'accertamento che l'evento dannoso sia riferibile a sua colpa costituisce un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se logicamente e congruamente motivato (Cass. n. 3785 del 17 febbraio 2009; v. pure n. 6002 del 17 aprile 2012).

Quanto alla censura di motivazione contraddittoria, valgono le considerazioni sopra esposte, non essendo state riportate le espressioni oggetto della doglianza contenute nella parte motiva della sentenza impugnata, mentre la censura di motivazione insufficiente involge la richiesta di una rivisitazione del merito della causa in ordine ad una diversa considerazione dei dati conoscitivi in possesso delle (Omissis) all'epoca dello svolgimento delle mansioni di (Omissis) circa i rischi da esposizione ad amianto del personale viaggiante.

Il ricorso per cassazione, con il quale si facciano valere vizi di motivazione della sentenza, impugnata a norma dell'articolo 360 c.p.c., n. 5, deve contenere - in ossequio al disposto dell'articolo 366 c.p.c., n. 4 che per ogni tipo di motivo pone il requisito della specificità sanzionandone il difetto - la precisa indicazione di carenze o lacune nelle argomentazioni sulle quali si basano la decisione o il capo di essa censurato, ovvero la specificazione d'illogicità, consistenti nell'attribuire agli elementi di giudizio considerati un significato fuori dal senso comune, od ancora la mancanza di coerenza fra le varie ragioni esposte, quindi l'assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e l'insanabile contrasto degli stessi. Ond'è che risulta inidoneo allo scopo il far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito all'opinione che di essi abbia la parte ed, in particolare, il prospettare un soggettivo preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell'"iter" formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma in esame. Diversamente, si risolverebbe il motivo di ricorso per cassazione ex articolo 360 c.p.c., n. 5, in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate ed, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal giudice del merito; cui, per le medesime considerazioni, neppure può imputarsi d'aver omesso l'esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio ritenuti non significativi, giacchè nè l'una ne1 l'altra gli sono richieste, mentre soddisfa l'esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo (in tali termini, cfr. Cass. 23 maggio 2007 n. 12052).

Il ricorso denuncia altresì la mancata considerazione della specifica realtà aziendale delle (Omissis) con particolare riferimento alla possibilità di venire a conoscenza e di indagare, stante la disponibilità di un servizio sanitario interno con competenze specialistiche, sull'esistenza di fattori di rischio per i dipendenti in un determinato momento storico. Al riguardo, parte ricorrente si limita a richiamare un precedente di questa Corte (sent. n. 644 del 2005, confermativa della sentenza di merito che aveva ritenuto responsabili ex articolo 2087 cod. civ. le (Omissis) per non aver predisposto, negli anni 60, le cautele necessarie a sottrarre il proprio dipendente al rischio amianto), omettendo la formulazione di un quesito di diritto atto a definire il principio giuridico che si vuole sia posto a base di una diversa decisione.

La doglianza non può risolversi nel mero vizio di insufficiente motivazione per inadeguatezza della motivazione, poichè la stessa involge la definizione degli obblighi gravanti sulle (Omissis), ossia una questione afferente al contenuto precettivo dell'articolo 2087 cod. civ.. La funzione propria del quesito di diritto, da formularsi a pena di inammissibilità del motivo proposto, è di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l'errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (Cass. n. 8463 del 2009).

La censura è dunque inammissibile.

Il terzo motivo attiene alla statuizione di nullità della domanda di risarcimento dei danni patrimoniale e biologico per indeterminatezza delle relative allegazioni.

L'esame del motivo resta assorbito nel rigetto dell'impugnazione avente ad oggetto l'accertata esclusione di responsabilità della soc. (Omissis) ex articolo 2087 cod. civ..

Il ricorso va dunque respinto.

Quanto all'onere delle spese a carico della parte soccombente ex articolo 91 cod. proc. civ., deve farsi applicazione del nuovo sistema di liquidazione dei compensi agli avvocati di cui al Decreto Ministeriale 20 luglio 2012, n. 140, Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi del Decreto Legge 24 gennaio 2012, n. 1, articolo 9, conv., con modificazioni, in Legge 24 marzo 2012, n. 27.

Il Decreto Ministeriale n. 140 del 2012, articolo 41, aprendo il Capo 7 relativo alla disciplina transitoria, stabilisce che le disposizioni regolamentari introdotte si applicano alle liquidazioni successive all'entrata in vigore del Decreto stesso, avvenuta il 23 agosto 2012.

Il riferimento testuale al momento della liquidazione contenuto nell'articolo 41 citato ("le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore") depone per la soluzione interpretativa che porta a ritenere applicabile la nuova disciplina anche ai casi in cui le attività difensive si siano svolte o siano comunque iniziate nella vigenza dell'abrogato sistema tariffario forense. Inoltre, il Decreto Legge n. 1 del 2012, articolo 9, comma 3, conv. Legge 24 marzo 2012, n. 27, ha escluso l'ultrattività del sistema tariffario oltre la data di entrata in vigore del decreto ministeriale, avvenuta anteriormente alla scadenza del termine (di centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione) fissato per la transitoria applicazione del sistema tariffario abrogato.

Avuto riguardo allo scaglione di riferimento della causa; considerati i parametri generali indicati nel menzionato articolo 4 del Decreto Ministeriale e non ravvisandosi elementi che giustifichino un discostamento dal valore medio di riferimento indicato per ciascuna della tre fasi previste per il giudizio di cassazione (fase di studio, fase introduttiva e fase decisoria) nella allegata Tabella A, i compensi sono liquidati nella misura omnicomprensiva di euro 4.000,00, oltre euro 40,00 per esborsi.

P.Q.M.



La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento dei compensi del presente giudizio, che liquida in euro 4.000,00, oltre euro 40,00 per esborsi.