Omissione da parte del datore di lavoro della necessaria formazione del lavoratore con la conseguenza della morte del lavoratore stesso -  La colpa del datore di lavoro consiste nell'aver destinato il lavoratore ad un compito per il quale non aveva sufficienti preparazione e cognizioni - Sussiste

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Coco Giovanni Silv - Presidente -
Dott. Campanato Graziana - Consigliere -
Dott. Bartolomei Luigi - Consigliere -
Dott. Colombo Gherardo - Consigliere -
Dott. Bianchi Luisa - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

S E N T E N Z A   /   O R D I N A N Z A
sul ricorso proposto da:
1) G.A.P., N. IL (omissis);
2) A.A., N. IL (omissis);
avverso sentenza del 06/11/2002 Corte Appello di Bologna;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. Bianchi Luisa;
Udito il Procuratore Generale in persona del Sost. Proc. Gen. Cons. Dott. Iannelli Mario, che ha concluso per il rigetto.
Udito il difensore Avv.to Mazzarelli Vito del Foro di Roma, in sostituzione dell'Avv.to Spaggiari Corrado.
F a t t o   e   D i r i t t o
Con sentenza della Corte di appello di Bologna del 6 novembre 2002 è stata confermata la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia di condanna di G.A.P. e A.A. alle pene ritenute di giustizia per omicidio colposo commesso con violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro. L'incidente si era verificato in data 26.8.1995 allorché S.G. era intento al lavoro di riparazione di una pressa alimentata ad aria compressa; nel mentre stava smontando la piastra di testa del cilindro con l'ausilio di uno scalpello, veniva schiacciato al cranio dalla piastra espulsa con forza dalla pressione dell'aria compressa.
I giudici di merito hanno ravvisato a carico dei due imputati la responsabilità per l'infortunio verificatosi per omissione del dovere di formazione del lavoratore e per mancanza di sorveglianza; in particolare la Corte di appello escludeva che il comportamento sia pure imprudente del S. avesse, come sostenuto dagli imputati, esclusiva efficienza causale rispetto all'incidente; osservava infatti che S. aveva effettuato la riparazione credendo che si fosse verificato un guasto diverso da quello in realtà esistente e di essere in grado di ripararlo dato che si era già verificato, senza rendersi conto dei rischi cui invece andava incontro; anche ammesso che vi sia stata imprudenza da parte del lavoratore, ciò non escludeva la responsabilità degli imputati, in colpa per aver destinato il lavoratore ad un compito rispetto al quale non era stato sufficientemente istruito e non aveva sufficienti capacità.
Ricorrono per Cassazione i due imputati formulando, attraverso il difensore di fiducia, i seguenti motivi:
1) assoluta e totale insufficienza della motivazione in quanto la Corte di appello, nonostante l'ampia illustrazione fatta in sede dibattimentale delle ragioni che avrebbero dovuto portare alla assoluzione di entrambi gli imputati, non ha indicato le ragioni per le quali è stata confermata la sentenza di primo grado; per di più anche il giudice di appello non ha tenuto conto che il S., lavoratore esperto, avrebbe dovuto procedere a svuotare l'impianto di aria compressa prima di procedere all'intervento sulla macchina e che un compagno di lavoro lo aveva avvisato che doveva procedere in tal modo;
2) nessuna rilevanza aveva sull'infortunio occorso la pretesa mancata formazione del S. da parte degli imputati, atteso che secondo i dati riferiti dallo stesso periti" un buon 30% di infortuni avviene a lavoratori "fortemente professionalizzati" che trattano il lavoro senza il necessario rispetto e nella specie il S. aveva proprio voluto compiere l'operazione senza togliere l'aria, nonostante fosse stato avvisato dal compagno di lavoro che gli aveva detto di toglierla; l'incidente era dunque dovuto alla macroscopico imprudenza del lavoratore;
3) mancata considerazione del concorso di colpa del lavoratore e della circostanza che in appello le parti civili avevano revocato la costituzione;
4) intervenuta prescrizione del reato.

Il ricorso è infondato e deve pertanto essere rigettato.
Occorre in primo luogo rilevare che il reato non è prescritto atteso che agli imputati sono state concesse le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti con l'effetto che la pena cui aversi riguardo per determinare il tempo necessario alla prescrizione è quella del reato di omicidio colposo, stabilita dall'art. 589 c.p., comma 1 nella misura da sei mesi a cinque anni; opera dunque il termine decennale di cui all'art. 157 c.p., comma 1, n. 3, e la conseguente e dunque.
Deve poi dichiararsi l'estinzione del reato nei confronti di G.A.P. atteso che il medesimo è deceduto, come risulta dal certificato in atti.
Quanto alle censure sulla responsabilità, la Corte di Bologna ha correttamente motivato il suo convincimento evidenziando, sia pure sinteticamente nel senso sopra riportato, la colpa degli imputati alla luce delle circostanze del caso concreto.
La difesa sostiene che si sarebbe però trascurato di considerare che nella specie il S. fu gravemente imprudente, operando senza svuotare l'impianto dall'aria compressa e che una maggiore formazione da parte dei datori di lavoro non avrebbe modificato la situazione atteso che S. era comunque un lavoratore esperto e sono proprio i lavoratori esperti quelli che spesso commettono imprudenze.
La censura non vale ad escludere la responsabilità.
Deve infatti sottolinearsi che la colpa del datore di lavoro è stata individuata nell'aver destinato il lavoratore ad un compito per il quale non aveva sufficienti cognizioni e preparazione ed è stato altresì accertato, con valutazione ormai insindacabile e peraltro neppure contestata, che l'incidente si veri fico proprio per il difetto di formazione, atteso che il lavoratore credette di trovarsi di fronte ad un guasto già in precedenza verificatosi e da lui superato operando secondo le modalità utilizzate anche nel presente caso, mentre nella specie si trattava di una situazione del tutto diversa.
In tale contesto non può condividersi la tesi prospettata dalla difesa secondo cui causa dell'incidente è stato il comportamento imprudente del lavoratore, postosi come evento interruttivo del nesso di causalità.
Ed invero, in tema di rapporto di causalità, la legge penale accoglie il principio di equivalenza delle cause, riconoscendo il valore interruttivo della relazione causale solo a quelle cause che sopravvengono del tutto autonomamente, svincolate dal comportamento del soggetto agente e assolutamente autonome, e non già a quelle che abbiano causato l'evento in sinergia con la condotta dell'imputato e, pertanto, non assolutamente svincolate da quest'ultima. Con specifico riferimento alla materia degli infortuni sul lavoro è principio orami consolidato quello (Cass. sez. 4^, 27.11.96 n. 952 m.u. 206990; sez. 4^, 3.6.2004 n. 40164, Giustiniani rv 229564) che "Il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che o sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro".
Correttamente dunque il comportamento del lavoratore, posto in essere nell'ambito delle mansioni allo stesso incautamente affidate dal datore di lavoro, è stato ritenuto non idoneo ad escludere il nesso di causalità. Nè, può aggiungersi, la situazione si modifica quando si sia in presenza di un lavoratore esperto, giacchè la familiarità con il lavoro svolto è fattore, che, secondo la comune esperienza, comporta minore attenzione da parte del lavoratore, e deve dunque essere tenuto presente dal datore di lavoro e "controbilanciato" con le opportune cautele.
Del tutto generiche sono le censure attinenti al trattamento sanzionatorio e al concorso della persona offesa, specie tenuto conto che nell'appello non era stata formulata specifica censura al riguardo.
P.  Q.  M.
La Corte:
- annulla la sentenza impugnata nei confronti di G.A. P. senza rinvio per morte dell'imputato; rigetta il ricorso di A.A.e lo condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 7 marzo 2007.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2007