L’applicazione del Decreto legislativo 9 aprile 2001, n. 81 alle sedi estere del Ministero degli Affari Esteri. Il nuovo regolamento in materia di tutela della salute e sicurezza per gli uffici all’estero (D.M. 16 febbraio 2012, n. 51).

A cura di:
Dott. Tonino Castrichino - Vice Direttore Generale/Direttore Centrale del Ministero degli Affari Esteri.per il patrimonio e i finanziamenti all'estero - Direzione generale per l’amministrazione, l’informatica e le comunicazioni -

Dott. Carlo Vito Magli - Direttore dell’Ufficio del contenzioso e degli affari generali dell’INAIL - Settore Ricerca Certificazione e Verifica (ex ISPESL)
Ing. Leone Pera - Già Dirigente di ricerca Ispesl e Direttore dei dipartimenti di Milano e Piacenza, docente incaricato presso l'Università di Parma e Presidente organismo Apice.

Dott.ssa Elena De Martino - Ricercatore INAIL - Settore Ricerca Certificazione e Verifica (ex ISPESL)



Premessa

Il regolamento in parola trova la sua origine nell’ambito di un “Progetto pilota” avviato dal Ministero degli Affari Esteri e l’ex Ispesl (ora Inail) iniziato nel 2009. Tale progetto aveva lo scopo di monitorare i rischi, gli ambienti di lavoro e le attività del personale del Ministero che svolge l’attività all’estero ed effettuare consulenze tecniche, organizzative e formazione in loco, secondo le particolari esigenze delle strutture coinvolte.
Tale iniziativa, vedeva coinvolte professionalità giuridiche e tecniche dell’ente di ricerca e del ministero ed ha incontrato subito alcune difficoltà legate innanzitutto allo studio di compatibilità della normativa tecnica dei paesi dell’area U.E. ed extra U.E. presso le quali sono presenti sedi di lavoro riconducibili a vario titolo alle competenze del Ministero degli esteri1. L’aspetto più delicato dell’indagine ha riguardato in particolare i rischi reali che il personale quotidianamente incontra nello svolgimento delle attività cui è impegnato. Questa impostazione dell’indagine infatti riflette, sul piano pratico, la logica del testo unico che ormai considera il lavoratore ai fini della sicurezza come il soggetto esposto ai rischi presenti nel processo produttivo nel quale a vario titolo presta la propria attività2.
Oltre a questa tematica di carattere generale ci si è resi conto subito che un problema fondamentale riguardava la “gestione della sicurezza” in quei particolari ambiti ed in special modo sulla necessità di organizzarla, non solo per l’attività corrente, ma anche in funzione di eventi particolari o prolungati che per loro intrinseca natura cambiano l’incidenza dei rischi negli ambienti di lavoro oggetto di indagine. A tale proposito infatti risultava di impellente necessità la regolamentazione e l’implementazione del sistema di previsione e riduzione dei rischi interferenziali che di volta in volta veniva a variare la mappatura del documento di valutazione dei rischi.
Si è cercato quindi di costruire il regolamento sulla base dei dati fattuali che mano a mano si andavano raccogliendo ed anche alla luce delle esperienze maturate durante le visite presso le sedi diplomatiche e consolari. In effetti il testo unico se lo si guarda nella sua complessità, lungi dall’esser “un unico testo” come più volte sostenuto in dottrina3, consente di operare alcune interessanti operazioni di adattamento alle realtà imprenditoriali. Nel caso di specie poi si era in presenza di una vera e propria possibilità di deroga al sistema con la norma regolamentare.
Ma questa possibilità di deroga tanto ampia, costituiva proprio una minaccia al fallimento dell’operazione, che, se non fondata su esigenze reali e misurate circostanze, rischiava di creare un contenitore vuoto o ancor di più di non crearlo affatto. A questo punto preme precisare che proprio questo metodo d’analisi si è rivelato sempre particolarmente efficace nelle modalità di approccio alle tematiche della sicurezza; infatti nell’approccio alle problematiche della sicurezza delle centrali nucleari, delle aziende ospedaliere o di strutture complesse, pubbliche o private, la metodologia usata è stata sempre quella di esaminare in primo luogo approfonditamente il processo produttivo al fine di migliorare ed ottimizzare gli strumenti ed i rapporti con le logiche della normativa in materia di sicurezza. Nel caso che ci occupa diventava ancora più importante prima di avviare la stesura del regolamento capire quali corde andavano registrate al fine di ottenere un risultato, non solo conforme al dettato normativo, ma soprattutto fruibile e realmente utile, al fine del miglioramento della sicurezza in una realtà complessa come il quella in esame.
In questo senso dai sopralluoghi sono emerse alcune criticità legate agli ambienti di lavoro ed alla identificazione degli stessi. In molte realtà infatti si è ritenuto utile “ridefinire” alcuni principi fondamentali legati alla qualificazione di “luoghi di lavoro” anche in ragione delle diverse tipologie di attività, che in essi si svolgevano. Altro aspetto che si è valutato, come meglio spiegato in seguito, è stato quello di esaminare il contesto normativo, in materia di salute e sicurezza, del paese ospitante; in questo tipo di indagine il criterio principe utilizzato è stato quello dell’appartenenza o meno all’area dell’Unione europea.

Come innanzi cennato4, la Direttiva quadro rappresenta una cornice di indirizzi generali nella quale si inseriscono le norme specifiche emanate dai singoli Stati in materia di tutela dei lavoratori, appartenenti a tutti i settori dell’attività sia pubblica che privata.

L’analisi operata quindi, partendo dagli indirizzi generali dettati dalla Direttiva ha analizzato, poi, le modalità di attuazione nei principali Stati membri dell’Ue. L’esame dei principi di matrice comunitaria e la comparazione della legislazione degli Stati membri sono stati d’ausilio nella predisposizione di un regolamento che si armonizzasse non solo, e necessariamente, con la normativa italiana ma anche con quella internazionale dove i destinatari dovevano operare.

Da ultimo e non per ultimo preme segnalare come il regolamento in parola lungi da considerarsi esaustivo e compiuto proprio per le logiche della materia sempre in evoluzione, definisce nella previsione della futura collaborazione tra INAIL e Ministero degli Esteri5 le fondamenta di un percorso che ad oggi ha fornito risultati importanti e soddisfacenti già nel riconoscimento da parte delle autorità preposte all’emanazione dello stesso.

C’è da auspicarsi che le rinnovate istanze di sinergie e collaborazione segnalate dalla recente normativa emanata dal Governo, non possano che trovare, in questo settore, un terreno non solo fertile ma già esplorato e coltivato, al fine di fornire migliori risposte, proprio nella logica della complementarietà di ruoli e di professionalità armonizzate, per il raggiungimento di un fine comune che, nel caso che ci occupa, sembra essere ai vertici di quelle prerogative che lo Stato non può mai disattendere.

Il contesto organizzativo

Il primo dato con cui i redattori del regolamento si sono dovuti confrontare è stato quello organizzativo. Il Ministero degli Affari Esteri infatti si caratterizza per avere una rete periferica molto estesa, ma non sul territorio italiano.
Uffici del Ministero degli Affari Esteri sono presenti in tutti e cinque i continenti e risultano al momento6 articolati in 127 Ambasciate, 10 Rappresentanze Permanenti presso Organismi internazionali, 92 Uffici consolari, 81 Istituti di cultura italiani ed una Delegazione diplomatica speciale7.

La tipologia degli edifici presso i quali hanno sede gli Uffici del Ministero è sia di proprietà dello Stato italiano (patrimonio indisponibile, in prevalenza con caratteristiche culturali di pregio, quindi con problemi maggiori), sia in locazione. Già questo dato rivela una criticità per l’applicazione uniforme della normativa italiana. Ma a tale aspetto di natura infrastrutturale va associato quello delle risorse umane. Infatti, la dotazione di risorse umane che opera presso le strutture all’estero è composta sia da personale dei ruoli ministeriali, sia da personale reclutato sul posto con contratti di diritto locale.
L’esperienza degli anni passati ha insegnato che un’effettiva tutela dei lavoratori richiedeva un dialogo tra la normativa nazionale e quella locale, non potendosi (per ragioni che verranno esposte in seguito) imporre sul posto la normativa italiana, in generale per gli immobili di proprietà ed a fortiori per quelli in locazione (spesso anche in contesti condominiali).
In linea con quanto a suo tempo previsto dal Decreto legislativo 626/94 per il Ministero degli Affari Esteri (in occasione di decretazione correttiva8), anche nel D.lgs 81/08 è stato ritenuto opportuno prevedere a favore dell’Amministrazione degli Affari esteri, una facoltà di adattamento delle disposizioni generali9, tenendo conto del contesto normativo estero, che per ragioni giuridiche, oltre che fattuali, non poteva essere ignorato.
A seguito di un attento lavoro interno di definizione degli obiettivi da perseguire con il regolamento, si è provveduto alla sua redazione, tenendo comunque sempre presenti i principali attori dell’esercizio (stakeholders), con cui il dialogo è stato costante lungo tutto il percorso redazionale10.

Inquadramento generale

Il lavoro svolto dal Ministero degli Affari Esteri, di concerto con il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, il Ministro della Salute ed il Ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione, ha consentito così l’emanazione del decreto 16 febbraio 2012 n. 51 contenente il "Regolamento recante disposizioni in materia di tutela della salute e della sicurezza degli uffici all'estero ai sensi dell'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 9 aprile 2008,n. 81", pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 105 il 7 maggio 2012. Il regolamento, come detto sopra, costituisce uno dei più importanti risultati della collaborazione avviata dal Ministero con l’Istituto Superiore per la Salute e la Sicurezza sul lavoro (ISPESL) oggi accorpato all’INAIL.

A livello di dettaglio, il regolamento ha la scopo di definire le modalità di applicazione della normativa per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori impiegati presso gli uffici all’estero e le unità tecniche locali, in quanto articolazioni degli uffici stessi11 tenendo conto delle realtà locali, sia dal punto di vista normativo che da quello tecnologico e fattuale.
I vincoli (e le opportunità) con cui la disciplina di è confrontata sono la relatività del concetto di “inviolabilità” delle Sedi diplomatiche e consolari prevista dalle Convenzioni internazionali applicabili (v. infra), la volontà di assicurare una tutela effettiva al lavoratore (con chiara definizione di ruoli, regole e responsabilità) ed il diverso trattamento riservato agli Istituti italiani di cultura all’estero.

Ambito di applicazione
Il regolamento trova applicazione per gli uffici all’estero di cui all’articolo 30 del Decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18 “Ordinamento dell’Amministrazione degli affari esteri”. Si tratta, come sopra descritto, di Ambasciate, Rappresentanze permanenti, Consolati Generali e Consolati12 ed Istituti italiani di cultura.

Nel disciplinare la materia, il Regolamento opera una differenziazione in base alla collocazione territoriale degli uffici all’estero distinguendo tra quelli che hanno sede in Stati appartenenti all’Unione Europea e quanti, invece, sono situati in Paesi extraeuropei; ed ancora, in questo secondo caso, tra quanti sono situati in Paesi dotati di una normativa locale in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro e quanti, invece, ne sono sprovvisti. La distinzione operata non è casuale e si è ispirata anche a principi di semplificazione ed economia nella regolamentazione.
È infatti apparso subito chiaro ai redattori che l’esistenza di una normativa comunitaria poteva rivelarsi un utile elemento di semplificazione, oltre che di sicura reperibilità sul territorio dei necessari “presidi” (misure, risorse, conoscenze e tecnologia) atte a dare maggiore effettività alla tutela dei lavoratori.

Nel caso di uffici in Stati appartenenti all’Unione Europea, l’applicazione della normativa nazionale in materia di salute e sicurezza sul lavoro non dovrebbe presentare criticità di particolare rilievo, considerata la matrice comunitaria di tale normativa (prima tra tutte la Direttiva quadro 89/391/CEE). L’art. 4 del Regolamento, difatti, dispone che per gli uffici all’estero aventi sede in uno Stato dell’U.E. trova applicazione la normativa locale, purché attuativa delle direttive comunitarie.

Per gli uffici siti in Stati non appartenenti all’U.E., ma dotati di una normativa organica sulla sicurezza sul lavoro, si applicheranno invece le leggi locali, ma comunque nel rispetto dei principi del d.lgs. n. 81/2008 e ss.mm.ii.. A differenza di quanto previsto dall’art. 4 in caso di disciplina comunitaria, viene qui introdotta un’ulteriore cautela: viene favorita l’applicazione della normativa locale, ma la stessa andrà raccordata con quella italiana attraverso l’individuazione di obblighi specifici in capo al datore di lavoro. Anche in questo caso non dovrebbero esservi difficoltà applicative, dal momento che molti Paesi extra-UE con normative specifiche si collocano su standard uguali (ed a volte superiori) a quelli derivanti dalle Direttive comunitarie.

L’ipotesi più difficile da disciplinare è senz’altro quella di sedi del Ministero poste in paesi extraeuropei e non dotati di una normativa specifica. In questo caso, per evitare difficoltà applicative, il regolamento ha inteso assicurare il rispetto di standard adeguati di sicurezza a tutela del personale, mediante l’applicazione dei principi del “Testo unico”, nel rispetto delle disposizioni tecniche locali in materia di impiantistica, antisismica, antincendio e di primo soccorso.

Concludendo sulla regolamentazione per i Paesi non UE, si assiste, nell’uno e nell’altro caso, ad un’armonizzazione tra normativa locale ed italiana, ma tale raccordo non viene lasciato alla discrezionalità dell’interprete in quanto restano fermi e codificati alcuni adempimenti inderogabili a carico del datore di lavoro, quale la valutazione dei rischi, l’organizzazione della sicurezza e la sorveglianza sanitaria.

Ad integrazione delle specialità degli Uffici all’estero, indipendentemente dalla loro collocazione, sta il comma 4, dell’art. 3, del Decreto Ministeriale che effettua un richiamo “aperto” - ovvero da valutarsi in relazione alle concrete situazioni esistenti – alle disposizioni a tutela della sicurezza del segreto di Stato, del trattamento e custodia di documentazione classificata, nonché di limitazioni di accesso e delle particolari caratteristiche delle aree protette e riservate.

Gli Istituti di cultura

Gli Istituti italiani di Cultura, sono per l’ordinamento interno, considerati a tutti gli effetti “uffici” del Ministero degli Affari Esteri13. Pur rappresentando delle strutture organizzative del Ministero, gli stessi sono però dotati di una maggiore autonomia gestionale rispetto ad Ambasciate e Consolati. La mission degli Istituti, secondo quanto previsto dall’art. 8, della Legge 22 dicembre 1990, n. 401, consiste nella promozione della cultura italiana e nella sua diffusione all’estero. Gli stessi sostengono iniziative per lo sviluppo culturale delle comunità italiane all'estero, per favorire sia la loro integrazione nel paese ospitante che il rapporto culturale con la patria d'origine.

In ragione dell’attività al pubblico che viene svolta (es. corsi di lingua/cultura italiana, anche remunerati), tali Istituti sono talvolta considerati entità culturali che non godono di alcuna prerogativa diplomatica o consolare e sono soggetti, pertanto, alla normativa locale. La mancata applicazione di quest’ultima comporterebbe l’inibizione delle attività culturali, l’esposizione dei titolari a sanzioni amministrative o penali e l’attivazione di azioni risarcitorie da parte di terzi.

Per tale ragione, il regolamento trova applicazione agli Istituti di Cultura solo se considerati, dagli ordinamenti locali, quali strutture di pertinenza delle rappresentanze diplomatiche, delle rappresentanze permanenti o degli uffici consolari. Nel caso contrario, si applicherà la normativa locale fatta comunque salva l’applicazione dei principi del D.lgs. n.81/2008 e ss.mm.ii. (art. 3 del D.M. n.51/2012).

Il personale reclutato all’estero

Un ulteriore aspetto di cui la disciplina ha dovuto tenere conto è la presenza, presso gli uffici ministeriali all’estero, di personale reclutato sul posto. Le disposizioni del regolamento, indubbiamente, non possono – per alcuni aspetti – trovare applicazione per i lavoratori locali, che restano assoggettati alla normativa del paese di appartenenza. La criticità può emergere laddove non esistano leggi locali nella materia de qua ovvero sia prevista una normativa meno garantista rispetto a quella italiana. In generale, la prassi ha previsto sempre l’applicazione del regime più garantista ove possibile.

Al fine di assicurare l’effettività dei principi di prevenzione e sicurezza espressi nel d.lgs. 81/2008, anche a favore dei lavoratori locali, è dunque imprescindibile realizzare un fattivo raccordo con le Autorità locali per la fruizione dei servizi di soccorso a tutela dell’incolumità fisica delle persone e dell’integrità delle cose.

La relatività del principio di “inviolabilità” dei locali dell’Ambasciata o del Consolato.

Nella redazione del regolamento ci si è dovuti confrontare con la relatività del concetto di inviolabilità dei locali dell’Ambasciata o del Consolato. A ben vedere gli uffici all’estero non possono tecnicamente considerarsi “territorio” con le stesse prerogative dello Stato di appartenenza, ma, più correttamente, zone presso le quali lo Stato ospitante si astiene volontariamente dall’esercitare la propria sovranità. Il concetto di “extraterritorialità”, difatti, viene spesso impropriamente evocato per giustificare l’applicazione della normativa italiana.

Il principio di inviolabilità, di cui all’art. 31 della Convenzione di Vienna del 196314, prevede l’inviolabilità delle stanze consolari e che le autorità dello Stato di residenza non possano accedere nelle stanze consolari, salvo che con il consenso del capo del posto consolare, della persona da lui designata o del capo della missione diplomatica dello Stato d’invio. Tuttavia, il consenso del capo del posto consolare può essere presunto in caso d’incendio o d’altro sinistro che esiga misure di protezione immediate. Resta fermo l’obbligo dello Stato di residenza di prendere tutte le misure appropriate per impedire che le stanze consolari siano invase o danneggiate e che la pace del posto consolare sia turbata oppure la sua dignità diminuita.

L’intervento normativo di cui al D.M. n. 51/2012 si è conformato al principio di inviolabilità che rappresenta un riferimento fondamentale per la disciplina dei rapporti tra Stati con particolare riferimento alle attività ispettive delle Autorità locali.

Tale principio verrebbe, infatti, inficiato da un’eventuale resistenza a visite delle Autorità locali per ragioni di sicurezza sul lavoro che, se pur almeno teoricamente possibili, rappresenterebbero da parte dello Stato di residenza una manifestazione di “persona non grata” nei confronti dei titolari degli uffici all’estero.

L’individuazione del Datore di lavoro

Il datore di lavoro negli uffici all’estero è il capo dell’ufficio. Tale individuazione, operata dall’art. 3, comma 4 del regolamento, tiene conto della giurisprudenza consolidata nel tempo sul principio di “effettività delle funzioni”. I capi degli uffici all’estero, difatti, sono gli unici ad avere potere di spesa e poteri decisionali per impartire ordini e direttive in merito all’organizzazione del lavoro15.

Oltre che del dato giurisprudenziale, la disposizione è stata formulata in modo da armonizzarsi con due importanti provvedimenti su cui l’Amministrazione stava già lavorando. Da un lato infatti, era in via di finalizzazione la riforma dell’ordinamento contabile degli uffici all’estero, dall’altro era in lavorazione il provvedimento – attuativo dell’art. 125 del D.lgs 16 aprile 2006, n. 163 – relativo alle voci di spesa eseguibili mediante procedure in economia.
Sotto il primo profilo, il nuovo ordinamento contabile degli Uffici all’estero, emanato con il D.P.R. 1 febbraio 2010, n. 54, ha riformato la gestione finanziaria all’estero, conferendo ai titolari di tali uffici nuovi e più articolati poteri gestionali, con facoltà (prima non prevista) di rimodulazione di risorse per esigenze sopravvenute oltre che un’accresciuta autonomia in materia di spesa e di acquisizione di entrate “proprie” (donazioni, sponsorizzazioni e servizi alle imprese).
Sotto il secondo aspetto, il D.M. MAE 456 del 7 giugno 2011, nel regolamentare le spese in economia, ha soppresso ogni autorizzazione preventiva di spesa in materia di sicurezza sul lavoro (forniture, servizi e lavori all’interno delle soglie di legge dell’economia).
I succitati provvedimenti conferiscono ai titolari di uffici/datori di lavoro, poteri di spesa più incisivi rispetto al passato, soprattutto con riferimento alla tempestività di intervento nel caso di tematiche concernenti la sicurezza sul lavoro.
Per concludere su questo punto con un’annotazione di carattere pratico, saranno pertanto considerati “datori di lavoro” ai fini del D.lgs 81/08, i capi delle Rappresentanze diplomatiche per tali strutture, gli Ambasciatori per le Ambasciate ed i Consoli Generali/Consoli per gli Uffici consolari.

In merito agli Istituti di cultura, pur restando fermo il disposto relativo all’applicazione del regolamento solo se gli stessi sono considerati dagli ordinamenti locali come strutture di pertinenza dei predetti uffici, è chiaro che la figura di riferimento quale datore di lavoro/responsabile, sarà comunque il titolare di tale struttura.

Il medico competente

In considerazione della difficoltà di reperire sul posto professionalità mediche uguali a quelle previste dall’art. 41 del D.lgs 81/08, il regolamento ha tentato di operare una semplificazione in materia16. Gli obblighi del medico competente (sia in ambito U.E. – art. 6 – che extra U.E. – art. 7) non sono stati infatti modificati, operandosi solo sulla nomina di tale figura. Un richiamo (di carattere programmatico) alle specificità climatiche di cui la sorveglianza sanitaria deve tener conto si trova nell’art. 7 e si giustifica con la maggiore gravosità che il servizio prestato in determinati Stati può presentare.
Il tema della nomina del medico competente all’estero è stato molto dibattuto, sia a livello interno che interministeriale, in ragione delle difficoltà pratiche sopra menzionate e la formula individuata potrebbe risolvere solo in parte le criticità sperimentate dagli uffici all’estero.17 Per le Sedi U.E. quindi il medico competente dovrà essere un libero professionista (pubblico o privato) in possesso di “titoli e requisiti equivalenti” a quelli previsti dal D.Lgs 81/08, mentre per quelle extra U.E. dovrà essere un libero professionista (pubblico o privato) in possesso di “requisiti equivalenti” a quelli del Testo unico e dovrà essere in grado di assicurare “livelli di prestazione sanitaria equivalenti a quelli previsti dal piano sanitario nazionale italiano”.
Mentre negli Stati U.E. – per la radice comune della regolamentazione in materia – la prospettiva è ottimista e l’individuazione dell’equivalenza non dovrebbe presentare problemi, in quelli extra U.E. gli uffici all’estero potrebbero avere qualche difficoltà nel trovare tale figura e segnali in tal senso sono già pervenuti.

La valutazione dei rischi ed il documento di valutazione dei rischi (DVR)

Progressi sono stati fatti sul piano della valutazione dei rischi e l’elaborazione del relativo documento, sempre per assicurare una loro effettività ed utilità per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Tali attività costituiscono obblighi indelegabili del datore di lavoro, con ciò rimarcandosi la loro natura inderogabile. Dal momento che occorre un’armonizzazione con le misure locali è stato ritenuto opportuno un raccordo, in qualche modo formalizzato, con la disciplina locale, diversamente articolata per gli uffici in ambito U.E. e non.
Così per gli uffici aventi sede in Stati appartenenti all’Unione Europea, la valutazione dei rischi e l’elaborazione del DVR si riterranno assolti ove si sia ottemperato alle disposizioni locali, comunque attuative delle direttive comunitarie in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Partendo dal presupposto che non vi è una compatibilità totale tra le normative dei 27 Paesi membri, il minimo denominatore comune, atto a garantire un adeguato livello di sicurezza e salute sul lavoro, viene individuato proprio nella valutazione del rischio, nell’organizzazione della sicurezza e nella sorveglianza sanitaria.
A tal riguardo la Direttiva quadro del 1989, recepita in Italia con il D.lgs. n. 626/1994, stabilisce un complesso di norme basilari al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, ferma restando la facoltà degli stati membri di adottare delle disposizioni più rigorose per tutelare i propri lavoratori. Le misure che essa prevede sono volte in particolare ad eliminare i fattori di rischio, di malattie professionali e di infortuni sul lavoro. I principi cardine fatti propri dal legislatore comunitario ruotano intorno alla prevenzione, all’informazione e alla formazione dei lavoratori.

Per i paesi non appartenenti all’U.E. , ma dotati di una normativa in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, l’art.5 del Regolamento prevede a carico del datore di lavoro l’obbligo di effettuare la valutazione dei rischi mentre per i Paesi non dotati di una normativa in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro trovano, comunque, applicazione i principi del d.lgs. n.81/2008 e ss.mm.ii. , tenendo conto delle disposizioni tecniche locali in materia di impiantistica, antisismica, antincendio e di primo soccorso.

Con il rinvio ai principi del d.lgs. n. 81/2008, gli attori della sicurezza sono, quantomeno, tenuti al rispetto delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori contenute nell’art. 15 del d.lgs. 81/2008 e dunque: alla valutazione di tutti i rischi per la salute e sicurezza; alla programmazione della prevenzione, mirata ad un complesso che integri in modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche produttive dell'azienda nonché l'influenza dei fattori dell'ambiente e dell'organizzazione del lavoro; all’eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico; al rispetto dei principi ergonomici nell'organizzazione del lavoro, nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, in particolare al fine di ridurre gli effetti sulla salute del lavoro monotono e di quello ripetitivo; alla riduzione dei rischi alla fonte; alla sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è, o è meno pericoloso; alla limitazione al minimo del numero dei lavoratori che sono, o che possono essere, esposti al rischio; all'utilizzo limitato degli agenti chimici, fisici e biologici sui luoghi di lavoro; a dare priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale; al controllo sanitario dei lavoratori; all'allontanamento del lavoratore dall'esposizione al rischio per motivi sanitari inerenti la sua persona e l'adibizione, ove possibile, ad altra mansione; all'informazione e formazione adeguate per i lavoratori; all'informazione e formazione adeguate per dirigenti e i preposti; all'informazione e formazione adeguate per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; a fornire istruzioni adeguate ai lavoratori; alla partecipazione e consultazione dei lavoratori; alla partecipazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; alla programmazione delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza, anche attraverso l'adozione di codici di condotta e di buone prassi; alle misure di emergenza da attuare in caso di primo soccorso, di lotta antincendio, di evacuazione dei lavoratori e di pericolo grave e immediato; all'uso di segnali di avvertimento e di sicurezza; alla regolare manutenzione di ambienti, attrezzature, impianti, con particolare riguardo ai dispositivi di sicurezza in conformità alla indicazione dei fabbricanti.
Nella valutazione dei rischi presso le Sedi all’estero sarà necessario tener conto di tutti i rischi che riguardano il luogo di lavoro con riferimento anche alle eventuali speciali condizioni di rischio esistente presso lo Stato estero nel quale si trova la Sede: ambientale, sanitario, sociale, geopolitico, sismico, terroristico ecc. in atto o potenzialmente in atto sia in condizioni ordinarie che in condizioni di emergenza.
Pare doveroso ricordare che in base ai principi comuni di diritto, qualora le misure dirette a tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori previste dalla normativa locale siano più rigorose rispetto a quelle previste dal d.lgs. n.81/2008 e ss.mm.ii. , troverà applicazione lo standard di tutela più elevato.
Ove le disposizioni locali offrano garanzie maggiori, ovvero ove siano previste dalla normativa locale specifiche sanzioni è a queste che occorre uniformarsi, in caso contrario, troveranno applicazione gli standard previsti dal D.lgs. 81/08, tenendo comunque conto delle tecnologie, delle prassi e delle disposizioni normative esistenti in loco.

La gestione degli appalti ed il Documento Unico di Valutazione dei Rischi Interferenziali (DUVRI)

Il regolamento non disciplina espressamente la gestione della sicurezza sul lavoro in caso di affidamento di lavori, servizi o forniture a terzi.
Il processo di valutazione dei rischi previsto dall’art. 26 del d.lgs. n.81/2008 rientra, comunque, nella valutazione dei rischi che, come sopra evidenziato, è obbligo del datore di lavoro delle sedi all’estero.
Fermo restando, dunque, l’obbligo di valutare i rischi da interferenza tra le lavorazioni, alcuni aspetti critici sono legati alla verifica dell’idoneità tecnico professionale nel momento in cui viene selezionato il soggetto appaltatore, alle modalità con cui attuare lo scambio di informazioni necessarie sia prima dell’inizio dei lavori che durante il loro svolgimento ed alla elaborazione del DUVRI.

In relazione al primo aspetto, come noto, l’art. 26 prevede che la verifica della idoneità tecnico professionale delle imprese e dei lavoratori autonomi avvenga attraverso l’acquisizione del certificato di iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato e mediante l’ acquisizione dell'autocertificazione dell'impresa appaltatrice o dei lavoratori autonomi del possesso dei requisiti di idoneità tecnico-professionale, ai sensi dell'articolo 47 DPR n.445/ 2000.

Il controllo sui requisiti di idoneità tecnico-professionale effettuato in base al disposto dell’art. 26 presuppone l’esistenza di una normativa locale che attribuisca all’autocertificazione lo stesso valore assegnato dal D.P.R. 445/2000 in termini di sanzioni penali in caso di false attestazioni e mendaci dichiarazioni. In attesa che vengano definiti dalla Commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro i criteri guida per la verifica dell’idoneità dei terzi dovranno essere individuati dei parametri che consentano tale accertamento anche nei Paesi ove non esiste una normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro. In tale ipotesi, difatti, non sarà possibile acquisire dalle imprese appaltatrici tutte quelle informazioni sui rischi specifici previste dall’art. 26; informazioni che presuppongono da parte della impresa appaltatrice la valutazione dei rischi e l’apprestamento di misure di prevenzione e protezione, obblighi ai quali per via della mancanza di una normativa ad hoc non sono tenuti.

A fronte di tale criticità le sedi all’estero dovranno massimizzare sia la vigilanza durante l’esecuzione dei lavori che l’informazione.

Lo scambio di informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui i lavoratori dell’appaltatore sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività dovrà avvenire nella lingua del paese ospitante. Anche i documenti della sicurezza (piano di emergenza, DVR.…) dovranno essere tradotti affinché il contenuto della informazione sia facilmente comprensibile per i lavoratori autoctoni.

Il Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione (RSPP)

Il Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione è nominato dal datore di lavoro degli uffici all’estero e scelto, se presente nell’ufficio, tra i dipendenti di ruolo in possesso dei requisiti specifici previsti dall’art. 32 del d.lgs. n. 81/2008 e ss.mm.ii.. La disposizione andrebbe utilizzata con un carattere preferenziale verso le risorse interne e ciò anche in virtù dei vincoli di finanza pubblica (a cui anche la rete estera è soggetta). Tenuto conto che il reperimento all’esterno di tali professionalità comporterebbe degli oneri, le indicazioni fornite agli uffici all’estero vanno nel senso di ricorrervi solo in caso di carenza di risorse interne.
Ad ogni modo, anche su questo aspetto il regolamento è intervenuto con una portata innovativa, suscettibile di produrre risparmi di spesa. Infatti, ove non vi fossero risorse interne formate, si potrà anche ricorrere a professionisti esterni, ma, innovando rispetto al passato, tali figure potranno essere reperite localmente, purché in possesso di adeguate competenze in materia di prevenzione infortuni, con particolare riguardo ai rischi connessi allo svolgimento dell’attività istituzionale delle sedi all’estero (in sintesi, attività di ufficio).
In linea con le sinergie già in atto presso diversi edifici all’estero, ove insistono più uffici del sistema Italia (Difesa, Interno, ex ICE), viene fatta salva la facoltà, per i rispettivi datori di lavoro, di nominare un unico RSPP.

Quanto alla formazione delle figure di RSPP (come delle altre figure di responsabilità) il Ministero ha già da tempo avviato una fattiva collaborazione con l’INAIL ex ISPESL. Cicli formativi specifici dell’INAIL vengono regolarmente tenuti sia in occasione degli avvicendamenti all’estero, sia periodicamente.
Sullo stesso piano si colloca la prosecuzione del Progetto pilota, che potrebbe portare ad ulteriori verifiche sul campo, con indicazione di azioni correttive e di miglioramento per l’adeguamento dei luoghi di lavoro oltre che a nuova formazione.

Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS)

Per tutte le sedi all’estero, appartenenti o meno all’Unione Europea, è prevista l’istituzione della figura del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza. Il numero e le modalità di designazione degli RLS sono disciplinati dalla contrattazione collettiva così come previsto dal D.lgs. n. 81/2008. Sul punto non si è ritenuto opportuno discostarsi dalla normativa generale.

Il coordinamento ed il controllo affidati all’Amministrazione centrale

Un’ultima indicazione riguarda il coordinamento ed il controllo affidati alle strutture dirigenziali generali dell’Amministrazione centrale. L’art. 10 del Regolamento ha una valenza organizzativa ed individua le strutture dirigenziali generali deputate ad esercitare le funzioni di coordinamento, controllo, assistenza, consulenza e ad esercitare i poteri di impulso in caso di inerzia nell’attuazione degli adempimenti in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Il regolamento attribuisce le suddette competenze a tre Direzioni generali del Ministero degli Affari Esteri, a seconda della tipologia delle sedi all’estero e prevede la collaborazione con l’INAIL per la realizzazione delle indicate attività.

La Direzione generale per l’amministrazione, l’informatica e le comunicazioni del Ministero ha competenza su tutti gli uffici all’estero, mentre la Direzione generale per la promozione del sistema Paese del Ministero provvede per gli istituti di cultura italiani mentre le unità tecniche locali sono affidate alla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo.

Lo scopo della disposizione è duplice: da un lato fornire gli uffici all’estero dei “centri di riferimento” per l’assistenza nell’applicazione della normativa, dall’altro riconoscere un’importanza superiore alla materia mediante l’individuazione di strutture con poteri di vigilanza e quindi di impulso all’occorrenza.
Le sedi all’Estero potranno quindi avvalersi della consulenza e dell’assistenza della Direzione Generale deputata qualora vi fossero difficoltà applicative nelle previsioni del D.Lgs. 81/2008, comunicando all’Amministrazione le circostanze e le motivazioni dell’impedimento con puntuale riferimento anche alle disposizioni locali incompatibili. L’Amministrazione centrale da parte sua, conta di poter fare affidamento sulla collaborazione istituzionale con l’INAIL, codificata nel medesimo provvedimento.
Interessante appare poi la soluzione individuata per vigilare sulle attività degli uffici all’estero in questa materia. Una formulazione di contenuto simile, ma molto più sfumata di quella attuale, esisteva nella precedente regolamentazione (DM 21 novembre 1997, n. 497). Il provvedimento parlava in modo più generale di “competenze di coordinamento e controllo” con una funzione informativa a favore della Commissione consultiva permanente per la prevenzione degli infortuni e l’igiene del lavoro istituita presso il Ministero del lavoro18. L’esperienza applicativa del citato DM – che prevedeva solo obblighi informativi – ha convinto l’Amministrazione che fosse opportuna una funzione nuova, di supervisione e di impulso, in modo da dare maggiore effettività alla tutela dei lavoratori.
Su tali basi è stata rafforzata, in termini manageriali e non gerarchico-burocratici (non si prevedono infatti poteri sostitutivi) la funzione del coordinamento e del controllo, che può estrinsecarsi in un potere di “impulso”, di cui gli uffici all’estero dovranno tenere conto ricorrendone le condizioni.

Conclusioni

L’obiettivo che l’Amministrazione si è posto con l’emanazione del nuovo regolamento di armonizzazione non è di poco conto. Il precedente provvedimento in materia, idoneo all’epoca della sua emanazione (1997) e con il quadro normativo vigente, necessitava, anche alla luce delle modifiche nel frattempo intervenute sulla normativa italiana (da ultimo il D.lgs 81/08) di un’opportuna revisione. In materia di sicurezza sul lavoro non è opportuno prevedere disposizioni generali e tale è stata la ragione per cui un provvedimento composto da soli tre articoli è stato abrogato da uno che ne contempla ben dodici.
Il patrimonio di esperienza, proveniente da segnalazioni di difficoltà applicative dall’estero, data fin dall’applicazione del D. Lgs 626/94 e la sua analisi, unita alla verifica sul campo delle difficoltà applicative, ha costituito il materiale di base che ha ispirato la redazione del regolamento.
L’effettività della tutela del lavoratore all’estero, data la complessità e la varietà dei regimi giuridici, delle specificità tecniche e strutturali, passa necessariamente per un confronto sereno tra ordinamenti e tra misure tecniche poste in essere per raggiungere il medesimo scopo. Ciò non significa che il regolamento risolverà tutti i problemi, ma la sua apertura verso gli ordinamenti stranieri, come l’individuazione di maggiori certezze per tutte le figure interessate sono suscettibili di (ri)creare un circolo virtuoso in cui tutti gli attori coinvolti (soprattutto datore di lavoro, RLS e lavoratori), in sinergia e non i contrapposizione, si sentiranno parti di uno stesso processo a cui contribuiranno andando nella stessa direzione, quella della tutela.
In tale “alleanza” un ruolo importante è già stato svolto dall’Amministrazione centrale, la quale, con il conferimento di nuove funzioni e nuova autonomia agli uffici all’estero ha già reso più effettivo, rispetto al passato, il ruolo di garante dei titolari degli uffici all’estero. Si tratta ora di sviluppare ulteriormente tali sinergie, contribuendo ad esaminare gli aspetti suscettibili di generare criticità, attraverso un esame centralizzato delle concrete fattispecie di volta in volta segnalate dalle sedi all’estero.
In sede di prima trasmissione del regolamento, l’Amministrazione centrale ha inteso dare un messaggio rassicurante agli uffici all’estero, invitando gli stessi a rivedere le proprie valutazioni del rischio solo in senso migliorativo, sia per mantenere elevati standard di tutela, sia per non appesantire oltre il lavoro degli uffici. In un’ottica di maggior tutela non sono state infatti riviste le “Linee guida” emanate a ridosso dell’entrata in vigore del D.lgs 81/08. Allo stato attuale, dopo oltre un mese dalla diramazione del regolamento, non sono pervenute segnalazioni di particolare criticità, ad eccezione di “normali” comunicazioni relative a possibili difficoltà di ordine finanziario19.

In un futuro prossimo, l’Amministrazione vorrebbe rivedere, d’intesa con le altre strutture centrali interessate e con la collaborazione dell’INAIL, le Linee guida, tenendo conto della distinzione, operata dallo stesso Decreto Ministeriale del 16 febbraio 2012 n. 51 della collocazione territoriale degli uffici. A tal fine utile si rivelerebbe una mappatura della reale e specifica copertura normativa in materia nei diversi Paesi, come l’attivazione di un sistema di segnalazione dalle sedi all’estero delle difficoltà operative riscontrate nell’attuazione del regolamento. Del pari, l’analisi dei dati statistici sugli infortuni sul lavoro, qualora esistenti nel paese ospitante, potrebbe meglio orientare l’interprete nell’individuazione delle priorità di intervento e sulle misure da adottare per garantire l’effettività della tutela.
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1 A tale proposito vedasi gli articoli riguardanti la normativa di salute e sicurezza in Inghilterra, Francia, Svezia, Germania e Spagna, pubblicati sulla rivista “Progetto Sicurezza” Maggioli Editore – nn. 2/3-4/5/6 del 2010 e n. 2 del 2011.

2 A tale proposito si ricorda che il personale cui è volta la tutela del regolamento rientra tra variegate tipologie di prestatori d’opera . Si riporta, di seguito, l’art.2, lett. a) del d.lgs. n.81/2008 e s.m.i.

3 Paolo Pascuccci “Dopo la legge n. 123 del 2007. Prime osservazioni sul Titolo I del decreto legislativo n. 81 del 2008 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”, consultabile al seguente link: http://olympus.uniurb.it/index.php?option=com_content&view=article&id=929&Itemid=40

4 Per gli approfondimenti vedi gli articoli pubblicati sulla rivista Maggioli citati alla nota n. 1
Nell’ottica dell’approfondimento della Direttiva e dell’analisi delle normative di recepimento di alcuni Stati membri, nasce una sezione specifica all’interno di Progetto sicurezza intitolata “La sicurezza in ambito europeo”. L’intento è quello di fornire un quadro generale di riferimento relativamente alle tematiche più importanti in materia di salute e sicurezza sul lavoro – quali gli obblighi di legge dei soggetti della prevenzione, il ruolo dei rappresentanti dei lavoratori, la valutazione dei rischi.

5 Vedasi l’ art. 10 del Decreto 16 febbraio 2012, n. 51 recante “Regolamento recante disposizioni in materia di tutela della salute e della sicurezza degli uffici all'estero ai sensi dell'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.”

6 Fonte: Annuario Statistico 2012 (reperibile sul sito istituzionale www.esteri.it).

7 La Delegazione diplomatica speciale (art. 35 e 74 del DPR 5 gennaio 1967, n. 18) rappresenta una forma intermedia di presenza istituzionale del Ministero degli Affari Esteri. Rispetto ad una presenza sporadica (con missioni) o ad una presenza piena (con la strutturazione di un ufficio), viene istituita una delegazione diplomatica speciale che ha natura temporanea. Si ricorre a questa formula organizzativa quando potrebbe risultare problematico (o difficile) istituire un ufficio. Attualmente l’unica DDS istituita è a Taipei. In passato, vi sono state DDS a Baghdad (prima della riapertura dell’Ambasciata) e per la Somalia (entrambe soppresse).

8 D.lgs 19 marzo 1996, n. 242.

9 D.lgs 3 agosto 2009, n. 106 (modifica art. 3, comma 2).

10 Oltre al Vertice politico amministrativo, interessato per gli aspetti organizzativi della tematica, moltissimo interesse è stato mostrato da parte delle organizzazioni sindacali di tutte le risorse umane del Ministero. Nel corso dell’iter di redazione, vi sono state quattro occasioni di confronto (informazione preventiva) con i sindacati del Ministero ed in ognuna delle stesse il dibattito è stato molto intenso, rivelandosi le stesse come sedute di consultazione più che di informazione.

11 Le unità tecniche locali sono strutture organizzative ubicate all’estero, funzionali allo svolgimento delle attività di cooperazione allo sviluppo (per approfondimenti sulla tematica si rinvia alla legge speciale sulla cooperazione allo sviluppo ed al relativo regolamento di attuazione: Legge 26 febbraio 1987, n. 49; DPR 12 aprile 1988, n. 177).

12 La normativa non può ovviamente trovare applicazione per i Consolati onorari, i quali non dispongono di una struttura.

13 Vedasi l’art. 5 Legge 23 aprile 2003, n. 109.

14 Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari, Vienna, 24 aprile 1963; Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche, Vienna, 18 aprile 1961.

15 Il precedente ordinamento contabile degli uffici all’estero, DPR 22 marzo 2000, n. 120, ora sostituito dal DPR 1 febbraio 2010, n. 54, pur prevedendo una responsabilità generale del titolare della sede estera, istituiva, per le spese di funzionamento e manutenzione, un funzionario delegato diverso dal titolare dell’ufficio stesso.

16 In una delle prime bozze era stata previsto un procedimento di valutazione di equivalenza, che si sarebbe concluso con un apposito provvedimento del Ministero della Salute. Tale proposta avrebbe consentito un’analisi non in astratto, ma in concreto dei singoli casi che si fossero presentati. Per evitare la creazione di un nuovo onere amministrativo l’ipotesi fu poi scartata.

17 Ispirandosi ad alcuni principi generale del DPR 18/67 per alcune attività (ad es. pareri sostitutivi tecnici o legali) era stata anche immaginata un’assunzione di responsabilità del titolare dell’ufficio all’estero nell’individuazione della figura, ma la soluzione è stata scartata in sede di concerto interministeriale.

18 L’art. 2 del citato DM recitava: “La Direzione generale del personale e dell'amministrazione del Ministero degli affari esteri svolge attività di coordinamento e controllo dell'attuazione delle norme riguardanti la sicurezza e la salute dei lavoratori da parte di rappresentanze diplomatiche ed uffici consolari di prima categoria e fornisce alla Commissione consultiva permanente per la prevenzione degli infortuni e per l'igiene del lavoro, istituita presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, aggiornati elementi sui casi di incompatibilità fra le disposizioni dei vari ordinamenti.”

19 Qualche dubbio è stato espresso sull’individuazione del medico competente in ambito extra U.E..