Cassazione Penale, Sez. 6, 23 luglio 2012, n. 30085 - Inapplicabilità del d.lgs. n. 231/01 alle imprese individuali


 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE ROBERTO Giovanni - Presidente -
Dott. CORTESE Arturo - Consigliere -
Dott. FAZIO Anna Maria - Consigliere -
Dott. PETRUZZELLIS Anna - Consigliere -
Dott. FIDELBO Giorgio - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania;
avverso l'ordinanza del 2 febbraio 2012 emessa dal Tribunale di Catania, nel procedimento a carico di:
V.G. ed altri;
visti gli atti, l'ordinanza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del Consigliere Dott. Giorgio Fidelbo;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. CEDRANGOLO Oscar, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio;
udito l'avvocato Maria Caterina Caltabiano, che ha concluso per il rigetto del ricorso del pubblico ministero.

 

Fatto


Con provvedimento del 4.3.2008 il G.i.p. del Tribunale di Catania disponeva il sequestro per equivalente, ai sensi dell'art. 321 c.p.p., dell'impresa (quote) individuale di V.G., facente parte del Consorzio Se.Tra Service.
Il provvedimento cautelare veniva adottato a seguito delle indagini originate dalla richiesta della Se.Tra Service di acquistare le aziende del Gruppo Riela, formato dalla S.T.S s.r.l., D & D Italia s.r.l., F.lli Riela & C. s.n.c. e Ditta individuale R. F., tutte in amministrazione giudiziaria a seguito della confisca definitiva, intervenuta nel 1999, trattandosi di beni riconducibili a R.L. (deceduto nel (OMISSIS)) e di suo figlio R.F., entrambi indiziati di far parte del clan Santapaola, associazione di stampo mafioso; interessata dall'Agenzia del Demanio a rendere un parere sull'offerta di vendita, la Prefettura di Catania segnalava che tra i dipendenti del Gruppo R. figuravano esserci alcuni fratelli del proposto R. F. e, inoltre, a seguito di controlli avviati nei confronti dello stesso Consorzio Se.Tra Service, risultava che fosse di fatto controllato dalla famiglia R., in particolare dai fratelli Ri.Fi., R.L. e R.R., e che il presidente, C.V., era il consulente del lavoro delle aziende del Gruppo Riela.
Dalle indagini svolte dalla Guardia di Finanza doveva emergere, nella ricostruzione contenuta nel decreto di sequestro, che il Consorzio era stato costituito al fine di consentire alla famiglia R. di riappropriarsi indirettamente, tramite il Consorzio stesso, rappresentato formalmente dal C., delle imprese confiscate, continuando così a gestire il mercato di trasporti nella zona.
Infatti, risultava che nel giugno 2005 le imprese del Gruppo R., tramite l'amministratore giudiziario A.L., avevano stipulato con il Consorzio Se.Tra dei contratti di appalto aventi ad oggetto le operazioni di autotrasporto, di movimentazione di merci e di facchinaggio per un valore complessivo di oltre 8 milioni di Euro;
nel 2007 il presidente del Consorzio, assieme a R.R. - che nessun ruolo formale aveva nella società -, aveva chiesto al nuovo amministratore giudiziario del Gruppo Riela il rinnovo del contratto di locazione dei locali, nonchè di prendere in locazione anche i mezzi delle imprese confiscate; dopo il licenziamento, nel luglio del 2007, di R.R., Ri.Fi. e R.L. dalle imprese dell'omonimo Gruppo molti dei dipendenti di quelle stesse imprese avevano dato le dimissioni ed erano stati assunti nel Consorzio Se.Tra; veniva anche accertato che le società confiscate erano collegate direttamente con il server del Consorzio e che le società del Gruppo Riela spesso effettuavano trasporti di beni per clienti delle imprese facenti parte del Consorzio; inoltre, risultava l'utilizzo di immobili comuni e l'uso del medesimo logo della Riela Group da parte di una delle società consorziate (New Style Log).
Sulla base di tale ricostruzione dei fatti, il G.i.p. ha ritenuto ipotizzabile il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato a carico dei fratelli R., del presidente C. e di tutti gli altri amministratori delle società consorziate, per avere realizzato artifici e raggiri consistiti nel costituire appositamente il Consorzio Se.Tra, presieduto da un prestanome, e le società ad esso consorziate, sempre riconducibili ai R., con l'intento di istituire un soggetto giuridico apparentemente estraneo alla famiglia R., così da indurre in errore l'Agenzia del Demanio, che non individuava nel Consorzio un soggetto riconducibile alla famiglia R.; quest'ultima, attraverso i contratti di subaffitto e di appalto conclusi con il Consorzio, si procurava un ingiusto profitto consistito nell'acquisire l'avviamento delle aziende gestite dalle società del Gruppo Riela, nonchè i clienti e il marchio del Gruppo Riela - per un valore complessivo di oltre 6.5 milioni di Euro (pari alla diminuzione dei ricavi netti dal 2003 al 2007 da 23.654.697,00 Euro a 16.929.019,00 Euro) - nonchè i clienti e il marchio del Gruppo Riela - per un valore complessivo di oltre 6.5 milioni di Euro (pari alla diminuzione dei ricavi netti dal 2003 al 2007 da 23.654.697,00 Euro a 16.929.019,00 Euro) - con conseguente danno patrimoniale dell'Agenzia del Demanio che, tra l'altro, non procedeva nè all'affitto nè alla vendita o messa in liquidazione delle aziende confiscate.
Il sequestro è stato, quindi, disposto ai sensi dell'art. 321 c.p.p., comma 1, ritenendo che la libera disponibilità dei beni aziendali della Se.Tra Service e delle società consorziate determinasse un concreto pericolo di aggravamento delle conseguenze del reato; ai sensi dell'art. 321 c.p.p., comma 2, in relazione al profitto ingiustamente conseguito dal reato di truffa, profitto confiscabile ai sensi del combinato disposto degli artt. 640 quater e 322 ter c.p..
Con ordinanza del 31.3.2008 il Tribunale di Catania, in sede di riesame, annullava il provvedimento di sequestro ritenendo insussistente il reato di truffa aggravata.
Sul ricorso proposto dal pubblico ministero la Corte di cassazione, con sentenza n. 38154 del 17.9.2008, annullava a sua volta l'ordinanza del Tribunale, censurando la valutazione operata dal Tribunale che, anzichè limitarsi a verificare la astratta configurabilità dell'ipotesi accusatoria formulata, accertava in concreto i requisiti della fattispecie criminosa, con particolare riferimento sia alla effettiva idoneità dei comportamenti artificiosi a trarre in inganno il soggetto passivo, che all'ingiusto profitto realizzato dall'agente, senza considerare che ai fini della verifica dei presupposti di ammissibilità del sequestro preventivo è sufficiente solo l'astratta configurabilità di un'ipotesi di reato, non dovendo il giudice accertare la fondatezza dell'accusa e tantomeno la colpevolezza dell'imputato.
La Corte di cassazione ha sottolineato come il Tribunale, pur ravvisando la sussistenza di molteplici e gravi elementi che possono indurre a ritenere che i fratelli R. fossero coinvolti di fatto nell'amministrazione del Consorzio SE.TRA., ha assegnato rilievo alla circostanza che i rapporti contrattuali fra il Consorzio e l'impresa confiscata erano stati autorizzati dagli amministratori giudiziari, in questo modo trascurando che "per la configurazione del delitto di truffa (...) risulta irrilevante la mancanza di diligenza, di controllo e di verifica da parte della persona offesa" e che, comunque, secondo la prospettazione dell'accusa, l'Agenzia del Demanio era rimasta all'oscuro, sino agli accertamenti eseguiti nel 2007, della circostanza che il Consorzio costituiva "una propaggine" del gruppo Riela.
Inoltre, con riferimento a quanto sostenuto dagli stessi giudici del riesame, circa le ragioni delle perdite della azienda confiscata, imputate, più che all'azione di progressivo svuotamento operata dal Consorzio, ad una cattiva gestione o ad altri fattori, e in ordine alla circostanza che le somme erogate in favore del Consorzio costituivano comunque corrispettivo per le prestazioni di servizio rese, e, quindi, erano un doveroso adempimento dei contratti di appalto stipulati, la decisione della Cassazione ha evidenziato che in questo modo è stato operato un "palese accertamento sul merito dell'accusa, con un fraintendimento dell'ipotesi accusatoria stessa, che, lungi dell'escludere il carattere reale dei contratti stipulati fra l'azienda confiscata e il Consorzio, ha individuato in questi ultimi lo strumento per realizzare (l'ingiusto profitto di) una progressiva perdita dell'avviamento dell'azienda confiscata, con sviamento della clientela e dei dipendenti".
In sede di rinvio il Tribunale di Catania, con l'ordinanza del 2.3.2012, ha nuovamente annullato il decreto di sequestro preventivo, ritenendo "manifestamente infondata l'ipotesi di reato così come formulata dal pubblico ministero e ictu oculi non sostenibile giuridicamente l'impostazione accusatoria con riferimento a tutti gli elementi della fattispecie contestata". In particolare, i giudici del Tribunale hanno escluso la sussistenza degli artifizi e raggiri quali elementi costitutivi del reato di truffa, rilevando che non possano essere considerati tali nè le iniziative giudiziarie intraprese dai R., trattandosi di legittimo esercizio di attività difensiva, nè l'occultamento all'Agenzia del Demanio del coinvolgimento dei congiunti di R.L. e R.F. nell'amministrazione di fatto e nella proprietà delle quote delle società del Consorzio, non sussistendo alcun obbligo giuridico di palesare tutti i soggetti coinvolti nell'amministrazione delle società all'atto della stipula di contratti. Con riferimento specifico a quest'ultimo aspetto, l'ordinanza evidenzia come non si possa parlare di truffa contrattuale in quanto nella specie non può dirsi violato il principio di buona fede, di cui all'art. 1337 c.c., dal momento che i fratelli R., sebbene congiunti dei soggetti indiziati di appartenenza ad associazione mafiosa, non risultano indagati L. n. 356 del 1992, ex art. 12 quinquies non sono proposti per misure di prevenzione personali o reali e non sono sospettati di altre attività criminose; inoltre, si sottolinea che all'epoca della stipula dei contratti (2005) gli stessi amministratori giudiziari delle imprese confiscate non avevano manifestato alcuna riserva nei loro confronti, tanto da mantenerli, fino alla metà del 2007, quali dipendenti del Gruppo, su autorizzazione del G.i.p. e su conforme parere del pubblico ministero, sicchè non può ritenersi che al momento della stipula dei contratti sia stato maliziosamente nascosto il coinvolgimento dei R. nella gestione del Consorzio.
Il Tribunale ha, infine, riconosciuto insussistenti anche gli elementi del profitto e del correlativo danno, che nell'impostazione accusatoria venivano ravvisati nella perdita di avviamento delle società del Gruppo Riela e nella diminuzione dei loro ricavi netti, considerando che la perdita della clientela, il passaggio dei dipendenti dalle società del Gruppo Riela al Consorzio e la diminuzione degli utili sono fattori da ricollegare all'incapacità gestionale da parte dell'amministrazione finanziaria del gruppo delle società confiscate.
Contro questa ordinanza ricorre per cassazione il pubblico ministero.
Con il primo motivo deduce l'inosservanza dell'art. 627 c.p.p., comma 3 e art. 324 c.p.p. e rileva che il Tribunale, quale giudice di rinvio, non si sarebbe uniformato ai principi di diritto enucleati dalla sentenza della Cassazione, in quanto nel valutare la configurabilità astratta del reato contestato si sarebbe spinto ad accertare la fondatezza dell'accusa, come dimostrano le argomentazioni in ordine alla esclusione degli artifici e raggiri.
Infatti, viene censurata dal ricorrente sia la ritenuta irrilevanza della omessa rappresentazione della presenza dei R. quali soci occulti delle società, sia la ritenuta buona fede degli indagati, evidenziando l'interesse dell'Agenzia del Demanio ad evitare che i beni potessero tornare nella disponibilità, anche mediata, dei proposti; inoltre, per quanto riguarda l'esclusione del profitto e del conseguente danno, il pubblico ministero rileva come l'ordinanza abbia reiterato le stesse motivazioni addotte circa l'inettitudine della persona offesa, già censurate dalla sentenza della Cassazione perchè ritenute inammissibili in sede di valutazione del fumus commissi delicti.
Con il secondo motivo viene denunciata l'erronea applicazione dell'art. 640 c.p., comma 2, nonchè la manifesta illogicità della motivazione. Si censura l'ordinanza per avere escluso la sussistenza degli artifici e dei raggiri sulla base di una non consentita delibazione della fondatezza dell'accusa in sede cautelare e si evidenzia: a) che nell'ordinanza vi è stata una sottovalutazione dell'uso strumentalmente dilatorio delle iniziative giudiziarie poste in essere dagli indagati; b) che il silenzio serbato nelle fasi di contrattazione circa la presenza nel Consorzio dei Riela quali soci di fatto non può essere considerata una circostanza irrilevante ai fini della sussistenza degli artifici e dei raggiri, in quanto l'ordinamento non ammette che operino società di cui non risultino gli effettivi soci, in quanto verrebbe meno la garanzia dell'affidamento dei terzi e, in ogni caso, l'Agenzia del Demanio non avrebbe mai potuto consentire la stipula di contratti di appalto tra le società confiscate del Gruppo Riela e il Consorzio, qualora avesse saputo che tra i soci dello stesso Consorzio figurassero R.R., Ri.Fi. e R.L., cioè i prestanomi dei proposti R.L. e R.F., ai quali le società erano state confiscate; c) che appare incomprensibile la ritenuta buona fede dei R., motivata in considerazione della loro incensuratezza, dal momento che questi hanno celato la loro presenza nel Consorzio proprio perchè erano pienamente consapevoli dei problemi che avrebbe avuto l'Agenzia del Demanio ad autorizzare la stipula dei contratti in questione; d) che la ritenuta insussistenza del profitto e del conseguente danno si pone in aperto contrasto con la pronuncia della Cassazione che aveva indicato al giudice di rinvio "che non poteva ritenere la insussistenza del danno spingendosi a sostenere che le perdite dell'azienda confiscata erano state causate da una cattiva gestione del demanio".

 

Diritto


Preliminarmente deve osservarsi che sebbene nell'intestazione dell'ordinanza impugnata si richiami anche il D.Lgs. n. 231 del 2001, l'impresa individuale del V. non risulta indagata di alcun illecito amministrativo dipendente da reato (si veda l'imputazione provvisoria contenuta nel decreto di sequestro del G.i.p.), sicchè deve ritenersi che il sequestro sia stato richiesto solo in relazione al reato di cui all'art. 321 c.p.p., non anche ai sensi del D.Lgs. 231 cit., artt. 19 e 53 (deve rilevarsi, incidentalmente, che la normativa sulla responsabilità delle persone giuridiche non si applica alle imprese individuali, in quanto si riferisce ai soli soggetti collettivi: Sez. 6^, 3 marzo 2004, n. 18941, Ribera).
Il ricorso del pubblico ministero è da considerare generico, in quanto non contiene alcun elemento che valga ad inficiare la motivazione dell'ordinanza impugnata con riferimento alla ritenuta insussistenza del fumus del reato di truffa aggravata attribuito a V.G..
A differenza dei sequestri che hanno interessato il Consorzio Se.Tra Service e la società New Style log, i cui amministratori, secondo l'Impostazione accusatoria, erano semplici prestanome dei fratelli R. e, quindi, coinvolti direttamente nelle condotte truffaldine poste in essere al fine di rientrare in possesso delle aziende confiscate, V.G. risulta essere un imprenditore individuale impegnato nel settore dei trasporti (c.d. padroncino), consorziato con la Se.Tra Service, per conto della quale avrebbe effettuato dei trasporti, ma nè nel ricorso del pubblico ministero, nè nel provvedimento genetico di sequestro, nè nell'ordinanza impugnata si rinvengono elementi o argomenti che consentano di riferire la truffa aggravata ipotizzata all'indagato.
L'unico elemento che lega V. ai fratelli R. è che la sua impresa individuale è una consorziata S., situazione che non consente di potere affermare l'esistenza del fumus commissi delicti e, quindi, di ritenere la legittimità del sequestro preventivo nei suoi confronti, sebbene per ragioni diverse da quelle evidenziate dal giudice del rinvio.
Peraltro, deve sottolinearsi come i motivi di ricorso del pubblico ministero non esaminino affatto la posizione del V., che non viene neppure mai menzionato, interessandosi esclusivamente alle posizioni degli amministratori formali e di fatto del Consorzio Se.Tra. e della New Style log. s.r.l..
Secondo la tesi accusatoria, i fratelli R. una volta resisi conto che non riuscivano a rientrare in possesso delle imprese confiscate attraverso legittime iniziative giudiziarie, avevano cambiato strategia, costituendo il Consorzio Se.Tra, di cui erano gli amministratori occulti e di fatto, al fine di rientrare in possesso delle aziende confiscate nel momento in cui l'Agenzia del Demanio avesse deciso di attivare le procedure per la destinazione delle aziende ai sensi della L. n. 575 del 1965; il metodo seguito era consistito, prima, nell'inserire il Consorzio tra i fornitori del Gruppo Riela, acquisendo così un credito di oltre 4 milioni di Euro, poi nel trasferire al Consorzio i dipendenti dello stesso Gruppo ed infine nell'avanzare la proposta di acquisto delle aziende del Gruppo con trattativa privata; in questa ottica il credito vantato si poneva come contropartita totale o parziale dell'acquisto, in piena coerenza con la strategia portata avanti diretta, da un lato, a ridurre il valore di mercato del Gruppo Riela, anche attraverso la progressiva diminuzione della sua redditività, dall'altro, a fare in modo che il Consorzio divenisse di fatto l'unico possibile offerente per l'acquisto, in relazione al credito vantato. E' stato possibile porre in atto questa complessa strategia in quanto i fratelli R., R.R., R.L. e Ri.Fi., hanno potuto gestire di fatto sia le società confiscate, grazie anche alle condotte distratte degli amministratori giudiziari, sia il Consorzio Se.Tra e le società che ad esso facevano capo, tutte amministrate da persone di fiducia dei R..
E' evidente come non emerga alcun contributo fornito dal V. per la riuscita del piano attribuito ai R., anche in considerazione del fatto che l'indagato non risulta avere mai svolto il ruolo di prestanome e che non sono stati indicati elementi da cui desumere che i beni costituenti l'Impresa individuale del V. siano riferibile in qualche modo ai fratelli R..


P.Q.M.

Dichiara Inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 16 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2012