• Amianto

Morte di un lavoratore per tumore contratto a seguito di inalazione di polveri di amianto - Nesso causale


 


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giusep - Presidente -
Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere -
Dott. VISCONTI Sergio - Consigliere -
Dott. BRICCHETTI Renato - Consigliere -
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI GENOVA e dalle parti civili Z.A., Z.N. e G.V.;
avverso la sentenza pronunciata in data 10 marzo 2005 dalla Corte di appello di Genova;
nel procedimento contro:
O.P., nato a (OMISSIS) e D.N. M., nato a (OMISSIS);
udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Renato BRICCHETTI;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del S. Procuratore Generale Dott. FEBBRARO Giuseppe, che ha chiesto rigettarsi i ricorsi;
udito il difensore di fiducia della parte civile Z.A., avv. PETRETTI Alessio di Roma.

FattoDiritto

1. Con sentenza in data 13 marzo 2003 il Tribunale di Chiavari assolveva "perchè il fatto non sussiste" O.P., D. N.M. e F.R. dall'accusa (art. 589 c.p.) di avere, nella qualità di direttori, succedutisi nel tempo (il primo dal 1 gennaio 1972 al 31 dicembre 1976; il secondo dal 1 gennaio 1977 al 30 settembre 1981; il terzo dal 1 ottobre 1981 al 31 ottobre 1982), dello stabilimento di (OMISSIS) della F., per colpa consistita nella violazione del D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, artt. 19 e 21, cagionato il decesso di Z.B..
Questi aveva svolto, dal febbraio 1954 al febbraio 1990, la propria attività lavorativa (con mansioni di scaldachiodi dal 13 febbraio 1954 al 31 luglio 1958; come fabbro allestimento dall'8 gennaio 1958 al 28 febbraio 1990) in ambiente con elevata concentrazione di polvere di amianto; aveva così contratto asbestosi e mesotelioma pleurico, a causa dei quali era deceduto il 31 ottobre 1996.

2. Agli imputati era stato addebitato:
- di non aver adottato i provvedimenti idonei ad impedire la formazione delle polveri o a ridurne lo sviluppo e la diffusione nell'ambiente di lavoro (in particolare sistemi di aspirazione, raccolta ed umidificazione);
- di non avere fatto eseguire le lavorazioni pericolose o insalubri (come la coibentazione, il montaggio e la saldatura) in luoghi esterni.
Il Tribunale, peraltro, aveva ritenuto che non fosse possibile stabilire con la necessaria certezza l'esistenza di un rapporto di causalità tra le condotte omissive anzidette e l'evento. Aveva, poi, rilevato:
- che non era dato stabilirsi quando fosse stata inalata dal lavoratore la dose letale di fibre (anche se poteva dirsi "probabile" che l'inglobamento fosse avvenuto negli anni 50);
che dall'inizio dell'esposizione al manifestarsi del male poteva intercorrere anche un tempo lunghissimo (addirittura di trenta o più anni);
- che il mesotelioma non dipendeva dalla quantità di fibre inalate;
- che, in ogni caso, l'ulteriore esposizione era priva di efficienza nello sviluppo della malattia.

3. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Genova, in parziale riforma della sentenza impugnata, assolveva O. e D.N. per "non aver commesso il fatto" e dichiarava non doversi procedere nei confronti del F. nel frattempo deceduto.
I giudici di appello riconoscevano la sussistenza delle condotte colpose addebitate e ritenevano configurabile il rapporto di causalità tra l'esposizione alle fibre di amianto e l'insorgenza della malattia che aveva determinato il decesso.
Affermavano, peraltro, che non era possibile individuare il momento di insorgenza della malattia; anche l'inalazione di una sola fibra (la cd. dose killer) poteva dare avvio ad un processo patogenetico inarrestabile, con conseguente irrilevanza causale delle successive esposizioni.

4. Avverso l'anzidetta sentenza hanno proposto ricorsi per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Genova e le parti civili G.V., A. e Z.N..

4.1. Il Procuratore generale rileva che la Corte di appello non aveva "preso in considerazione e confutato" le argomentazioni formulate nei motivi di appello, segnatamente:
- che l'esposizione massiccia e continuativa alle polveri di amianto, per tutto il periodo indicato in imputazione, aveva avuto "efficacia causale nella produzione della malattia e dell'evento mortale";
- che, fino al momento dell'induzione della malattia, l'adozione delle cautele omesse avrebbe eliminato o ridotto l'esposizione alle polveri e, quindi, il rischio di insorgenza della malattia;
che, in ogni caso, nessun periodo di esposizione poteva essere considerato irrilevante sotto il profilo causale.

4.2. Motivi analoghi hanno formulato anche le parti civili. Motivi della decisione.

5. Il ricorso delle parti civili è, tuttavia, inammissibile perchè risulta sottoscritto personalmente dagli interessati, anzichè da difensore iscritto nell'albo speciale, munito di specifico mandato, secondo il disposto dell'art. 613 c.p.p., comma 1.
E l'unica deroga a tale disposizione generale - come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. 27 giugno 2001, Petrantoni) è quella prevista dall'art. 571 c.p.p., comma 1, che riconosce al solo imputato la facoltà di proporre personalmente l'impugnazione.

6. Il ricorso del Procuratore generale è fondato.
I giudici di appello hanno effettivamente omesso di valutare i motivi suindicati, non tenendo conto che l'evento è ciò che accade hic et nunc e che una condotta è causale rispetto ad un accadimento prodottosi in concreto quando essa anticipa significativamente quell'esito (quando cioè, senza la condotta considerata, quello stesso esito si sarebbe verificato in un momento apprezzabilmente successivo o con una intensità lesiva inferiore).
In particolare, la Corte territoriale non ha valutato se l'inalazione prolungata, benchè non necessaria per l'induzione, avesse accelerato il processo di latenza (recte, abbreviato i tempi) conclusosi con la morte del lavoratore.
Sul punto la motivazione della Corte territoriale si ravvisa generica (limitandosi ad asserire che il periodo di esposizione "ulteriore" era privo di efficacia nello sviluppo della malattia) e non risponde adeguatamente alle specifiche censure mosse nel gravame, che meritavano un maggiore approfondimento.
A questo rilievo dovrà dare risposta il giudice del rinvio, non senza prima aver fatto chiarezza (che manca nella sentenza impugnata) su tempi e modi dell'esposizione medesima.

7. In accoglimento del ricorso del Procuratore Generale la sentenza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Genova.
Segue, infine, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna delle ricorrenti parti civili in solido al pagamento delle spese del procedimento e, ciascuna, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che si stima equo fissare in Euro 300,00 (trecento/00).

P.Q.M.

In accoglimento del ricorso del Procuratore Generale annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Genova. Dichiara inammissibile il ricorso delle parti civili che condanna al pagamento in solido delle spese processuali e della somma di Euro 300,00 (trecento/00) ciascuna a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 22 maggio 2007.
Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2007