Corte di Appello dell'Aquila, Sez. Lav., 16 gennaio 2013 - Condotta mobbizzante e mancata dimostrazione dell'intento persecutorio


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE DI APPELLO DI L'AQUILA

SEZIONE PER LE CONTROVERSIE DI LAVORO E PREVIDENZA


La Corte di Appello di L'Aquila, Sezione Lavoro e Previdenza, composta dai seguenti magistrati:

- Dr.ssa Rita SANNITE - Presidente

- Dr.ssa Silvia Rita FABRIZIO - Consigliere

- Dr. Luigi SANTINI - Consigliere relatore

all'udienza di discussione in data 13 Dicembre 2012, ha pronunciato la seguente

SENTENZA


nella causa civile di secondo grado promossa con ricorso depositato in data 12.04.2012, e vertente

TRA

C.F., nata a C. il (...), residente in F.M. (C.), rappresentata e difesa dall'Avv.Paola Zulli del Foro di Lanciano, elettivamente domiciliato/a in L'Aquila, via Fuori Porta Napoli n.14/bis, presso lo studio dell'Avv. Augusto Di Sano, come da procura in atti

APPELLANTE

E

Comune di Francavilla al Mare, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avv.Diego De Carolis, elettivamente domiciliato/a in L'Aquila, via Porta Napoli n.69/A, presso lo studio dell'Avv.Giorgia Ballestrazzi, come da procura in atti

APPELLATO

OGGETTO: appello avverso la sentenza n.879/2011 emessa dal Tribunale di Chieti, in funzione di giudice del lavoro, in data 06.10.2011.

FattoDiritto



L'appellante C.F. ha proposto gravame avverso la sentenza indicata in epigrafe, con la quale era stato respinto il suo ricorso tendente ad ottenere la condanna del Comune di Francavilla al Mare al risarcimento dei danni da mobbing.nella misura di Euro.237.398,57, assumendo l'esistenza di plurimi comportamenti vessatori perpetrati dall'amministrazione in suo danno.

A fondamento dell'impugnazione, ha censurato la decisione gravata per aver operato una errata valutazione degli elementi probatori in atti, ed ha riproposto le medesime argomentazioni contenute del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado in riferimento a: 1) dequalificazione professionale rispetto al profilo posseduto, trasferimenti illegittimi non giustificati da obiettive ragioni organizzative; 2)imposizione di enormi carichi di lavoro; 3) svuotamento delle mansioni insieme all(...) prolungata attribuzione di compiti; 4) comportamenti discriminatori e persecutori. H(...) altresì lamentato l'omessa motivazione del primo giudice in merito al proprio stato d(...) salute, come risultante dalle certificazioni mediche in atti. Ha quindi concluso come i(...) epigrafe.

Il Comune di Francavilla al Mare ha resistito all'appello, del quale ha chiesto i rigetto, assumendone l'infondatezza in fatto ed in diritto.

L'appello non è fondato e, conseguentemente, va respinto.

Con un unico (articolato) motivo di gravame, l'appellante C.F. censura la sentenza impugnata, assumendo la sussistenza di un disegno vessatorio datoriale, di cui sostiene l'illegittimità ed il carattere discriminatorio, volto a produrre nei suoi confronti una dequalificazione professionale ed una situazione lavorativa penalizzante. Secondo l'appellante, i comportamenti datoriali (analiticamente descritti nella sentenza gravata) sarebbero stati, per sistematicità e vessatorietà, specificamente finalizzati al suo danneggiamento professionale, psicologico e sociale, in quanto espressione di un disegno datoriale caratterizzato da intenti ritorsivi e intimidatori, tale da integrare gli estremi del "c.d. mobbing" o "bossing", fonte di danni alla salute del lavoratore.

E' noto che il mobbing sul posto di lavoro consiste in un complesso di condotte, il cui nome deriva dall'inglese "to mob" (assalire, aggredire), mutuato dall'etologia, per descrivere "una situazione lavorativa di conflittualità sistematica, persistente ed incostante progresso in cui una o più persone vengono fatte oggetto di azioni ad alto contenuto persecutorio da parte di uno o più aggressori in posizione superiore,inferiore o di parità, con lo scopo di causare alla vittima danni di vario tipo o gravità. Il mobbizzato si trova nell'impossibilità di reagire adeguatamente a tali attacchi e a lungo andare accusa disturbi psicosomatici, relazionali e dell'umore che possono portare anche a invalidità psicofisiche permanenti di vario genere e percentualizzazione".

Per potersi parlare di mobbing occorre una pluralità di atti, posti in essere da più persone e prolungati per almeno un certo periodo di tempo ed aventi un minimum standard oggettivo di nocività. Il mobbing aziendale, per cui potrebbe sussistere la responsabilità contrattuale del datore di lavoro, è quindi collettivo e comprende l'insieme di atti ciascuno dei quali è formalmente legittimo ed apparentemente inoffensivo; inoltre deve essere posto con dolo specifico quale volontà di nuocere, o infastidire, o svilire un compagno di lavoro, ai fini dell'allontanamento del mobbizzato dall'impresa.

Gli elementi caratterizzanti il mobbing sono quindi:

- l'aggressione o la vessazione psicologica della vittima;

- la potenzialità lesiva della condotta;

- la durata nel tempo dei comportamenti vessatori ;

- la ripetizione e/o reiterazione delle azioni ostili, che le rende sistematiche ;

- l'andamento progressivo della persecuzione psicologica, con l'individuazione disei fasi di sviluppo del fenomeno;

- il dolo specifico .

Nessun dubbio sussiste sull'applicabilità della figura del "mobbing" anche al settore dell'impiego pubblico (v.Tribunale Tempio Pausania, 10 luglio 2003 - F.A.N. c. Com. Loiri Porto S. Paolo; Tribunale di Forlì 28 gennaio 2005 - Riccardi c. M.I.U.R.), in particolare dopo la contrattualizzazione del rapporto di lavoro e la devoluzione conseguente al giudice del lavoro delle relative controversie. Non si deve infatti dimenticare che la tutela costituzionale del lavoro è estesa dall'art. 35 Costituzione a tutte le forme dello stesso, quindi anche alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. Pur venendo a mancare l'aggancio con l'art. 41 della Costituzione, normalmente utilizzato per il lavoro privato per una lettura costituzionalmente orientata della problematica (riferendosi tale articolo solo all'iniziativa economica privata), sul punto può sopperire l'art. 97 Costituzione e la regola generale del buon andamento e dell'imparzialità dell'amministrazione, concetti in evidente contrasto con il fenomeno del mobbing ed incompatibili con lo stesso.

Questi i principi generali che governano la materia.

Tutto ciò premesso, l'appellante C.F. lamenta di aver subito, nel periodo dal mese di marzo 2002 al giugno 2004, vessazioni e prevaricazioni concretizzatesi nei seguenti comportamenti ritenuti "mobbizzanti":

1) trasferimenti illegittimi non giustificati da obiettive ragioni organizzative;

2) de qualificazione professionale rispetto al profilo posseduto;

3) imposizione di eccessivi carichi di lavoro;

4) svuotamento delle mansioni;

5) comportamenti discriminatori e persecutori.

Passando all'analisi del materiale probatorio in atti, possono farsi le seguenti considerazioni in punto di fatto:

1) non si riscontra in atti prova di un uso abnorme del potere conformativo datoriale (in particolare dello ius variandi), né risultano attuate iniziative disciplinari. La sottoposizione al potere organizzativo e disciplinare del datore di lavoro costituisce del resto una delle caratteristiche intrinseche della subordinazione e non sembra che nella fattispecie si sia fatto un uso spregiudicato di tale potere.

Dalla documentazione in atti emerge che l'appellante, già in servizio presso l'Ufficio Protocollo, è stata trasferita all'Ufficio Segreteria - Atti Deliberativi, con decorrenza 01/03/2002, con ordine di servizio n.4284 del 07/02/2002. Con successivo ordine di servizio n.17261 del 27/06/2002, la C. è stata di nuovo trasferita all'Ufficio Protocollo, con decorrenza 01/07/2002 (l'assegnazione è stata poi confermata con ordine di servizio n.21241 del 06/08/2002). In tutti gli ordini di servizio cui si è fatto riferimento, è stato espressamente precisato che i trasferimenti erano disposti "fermi restando la categoria e la posizione economica attualmente attribuite". Non si comprende pertanto quale sia il contenuto vessatorio attribuito dalla lavoratrice a tali provvedimenti di mobilità interna, dal momento che la dipendente è rimasta assegnata all'Ufficio Segreteria - Atti Deliberativi per soli quattro mesi ed è poi tornata nell'Ufficio Protocollo, ove aveva lavorato per anni.

Ad ogni buon conto, pur volendo accedere alla tesi attorea secondo cui tali trasferimenti avrebbero di fatto penalizzato la lavoratrice, non sembra che la condotta datoriale abbia avuto quel carattere di sistematicità necessario per attribuirle valenza mobbizzante, né tanto meno risulta minimamente dimostrata la sussistenza di una volontà vessatoria e prevaricatrice, caratterizzata dal dolo specifico di nuocere alla dipendente. Al contrario, dalla prova testimoniale è emerso che i ripetuti trasferimenti in questione "venivano effettuati per garantire i servizi e le loro funzionalità negli uffici"(cfr. deposizione testimoniale teste E.C.). Il che si pone in evidente contrasto con l'assunto attoreo di una volontà persecutoria del datore di lavoro attuata attraverso un uso spregiudicato del potere organizzatorio.

Per quanto sopra, a tutto voler concedere, deve ritenersi che il comportamento della amministrazione convenuta, in riferimento ai denunciati trasferimenti, non è univocamente dimostrativo di un uso distorto dello ius variandi.

2) Quanto alla lamentata dequalificazione professionale, rileva il Collegio che non risulta minimamente dimostrato che la C., in conseguenza dei suddetti trasferimenti, sia stata assegnata a compiti di contenuto professionale inferiore. Né la parte appellante ha avuto cura di allegare e dimostrare che le mansioni lavorative assegnate le abbiano impedito la piena utilizzazione e l'eventuale arricchimento del patrimonio professionale acquisito nella fase pregressa del rapporto, determinando, al contrario, uno svilimento delle conoscenze e delle abilità professionali precedentemente acquisite. In ogni caso, non vi è in atti prova alcuna della ricorrenza di una condotta datoriale specificamente finalizzata alla penalizzazione della lavoratrice, attuata mediante pretestuosa attribuzione di compiti dequalificanti. Vi è anzi in atti prova del contrario, come si desume dalla circostanza che, con istanza in data 26/01/2004, la C., sul presupposto di aver svolto da tempo mansioni addirittura ascrivibili ad una categoria superiore, ha espressamente richiesto "il riconoscimento delle mansioni effettivamente svolte, sia ai fini giuridici che economici, a far data dal 06/08/2002".

3) In ordine alla lamentata esistenza di un disegno datoriale volto a relegare la C. in una situazione di isolamento lavorativo, caratterizzata dalla necessità di dover affrontare da sola un carico eccessivo di lavoro, non risulta neanche allegato che vi sia stato un "input" aziendale volto ad emarginare la lavoratrice, né è stata dimostrata la ricorrenza di un comportamento coordinato e collettivo del datore di lavoro e del personale dipendente della società convenuta volto ad emarginare la C. o dal quale sia effettivamente derivata una situazione di penalizzazione lavorativa. Va inoltre considerato che, come emerso dalla prova testimoniale, la circostanza che l'appellante si sia ritrovata da sola a curare gli adempimenti del settore di appartenenza (...) verosimilmente da ascrivere ad una cronica carenza di personale, diffusa in tutti gli uffici comunali (cfr. deposizioni testimoniali testi R.C. ed E.C., sulla cui attendibilità non vi è ragionevole motivo di dubitare);

4) Quanto al denunciato svuotamento delle mansioni che si sarebbe verificato (...) seguito del trasferimento della C., a sua domanda, presso la Sezione 5a (Servizi Demografici) a far data dal 01/05/2004, deve rilevarsi che tale situazione, pur censurabile, è conseguita al riconoscimento della superiore posizione giuridica corrispondente alla categoria "D" (il che esclude la supposta valenza discriminatori della condotta datoriale) ed ha comunque avuto una durata estremamente breve, da momento che la lavoratrice, con determina n.1034 del 12/05/2004 è stata trasferita, sua domanda e con effetto immediato, alla Sezione 3a (Ufficio Cultura, Pubblica Istruzione, Sport, Turismo, Mu.Mi., Asili Nido, Biblioteca).

5) Da ultimo, non è dato comprendere quale valenza discriminatoria e persecutoria possa aver avuto il comportamento (pur sgradevole) del Sindaco che, nel corso di una riunione sindacale tenutasi in data 25/01/2005, ha assunto un atteggiamento di aperta contrapposizione nei confronti della C., pronunciando una frase ritenuta offensiva, in considerazione della relazione di quest'ultima con un assessore comunale ("può chiedere all'Assessore che ha in casa e si deve prendere il dolce e pure l'amaro").Trattasi di un atteggiamento di conflittualità interpersonale, sicuramente censurabile, ma non certo illegittimo, non ravvisandosi in esso alcuna valenza intimidatoria e vessatoria.

Fatte tali considerazioni, deve osservarsi che, in termini di ripartizione dell'onere della prova in materia di mobbing, stante la natura contrattuale dell'illecito, grava sul lavoratore l'onere di provare tutta la serie di circostanze e accadimenti storici, poiché occorre necessariamente che sia dimostrato dal prestatore di lavoro l'intento persecutorio che avrebbe permeato le condotte datoriali (cfr. Cass. 6 marzo 2006, n. 4774).

Occorre a questo punto prendere in considerazione quei parametri oggettivi che trasformano un normale conflitto interpersonale sul posto di lavoro in una vera e propria situazione di mobbing (cfr. Harald Ege "La Valutazione del Danno Peritale da Mobbing").

Veniamo al caso di specie, sulla base dei quanto emerge dalla documentazione in atti:

1) ambiente lavorativo: nessun dubbio può porsi sulla sussistenza del primo parametro, atteso che la vicenda conflittuale che ha visto protagonista la C. è stata indubbiamente ambientata in un contesto lavorativo;

2) frequenza: il conflitto è scaturito dai due provvedimenti di mobilità interna di cui agli ordini di servizio n.4284 del 07/02/2002 (trasferimento all'Ufficio Segreteria) e n.17261 del 27/06/2002 (ritorno all'Ufficio Protocollo). Il successivo episodio è da individuare nella assegnazione all'Ufficio Servizi Demografici (sez.5a) e nella successiva assegnazione alla sez.3a, entrambe avvenute a domanda della lavoratrice nel periodo aprile-maggio 2004. Trattasi quindi due episodi circoscritti a due periodi ben delimitati; non è quindi dimostrato un disegno persistente ed ininterrotto, con azioni ostili sistematiche e continuative, in modo tale da determinare l'insorgenza di una percezione interna costante di degradamento, umiliazione, imbarazzo, incapacità e sottovalutazione. Il secondo parametro è quindi oggettivamente non presente;

3) durata: il conflitto è iniziato nel mese di febbraio 2002 ed è proseguito, stando alla prospettazione attorea, sino al dicembre 2005 (epoca del "comando"presso la provincia di Chieti), ed è quindi durato ben più di sei mesi; esso è però circoscritto, come si è detto, a due periodi ben delimitati (febbraio-giugno 2002 ed aprile-maggio 2004);

4) tipi di azioni: non risultano dimostrati attacchi ai contatti umani e alla possibilità di comunicare, isolamento sistematico, mutamenti nelle mansioni lavorative (salvo che per il periodo dal mese di febbraio al giugno 2002, in cui non è tuttavia dimostrata un oggettiva situazione di demansionamento), attacchi alla reputazione, violenze e minacce di violenza;

5) dislivello tra gli antagonisti: il parametro è pacificamente sussistente, dal momento che è sicuramente rinvenibile un dislivello di potere tra i protagonisti, con la conseguenza che la lavoratrice si è venuta a trovare in una posizione di svantaggio;

6) andamento secondo fasi successive: si è detto che le fasi dell'evoluzione della situazione di mobbing, individuate dalla psicologia del lavoro per descrivere il fenomeno, sono sei. Un conflitto può essere definito mobbizzante se ha raggiunto almeno la seconda fase. Nel caso di specie, a parere del(...) giudicante, si è raggiunta al massimo la prima fase. Infatti:

- La pre-fase (condizione zero), nel caso in esame, è individuabile nei primi conflitti innescatisi dopo il primo trasferimento del febbraio 2002;

- la prima fase (conflitto mirato) può essere collocata nel conflitto interpersonale determinatosi con l'amministrazione a seguito dell'esercizio reiterato dello ius variandi (ritorno all'Ufficio Protocollo nel giugno 2002);

- la seconda fase (inizio del mobbing), a parere del giudicante, non è stata raggiunta, non essendo stato dimostrata la ricorrenza di un disegno datoriale persistente ed ininterrotto, con azioni prevaricatrici sistematiche e continuative, in modo tale da determinare l'insorgenza nel lavoratore di una percezione interna costante di degradamento, umiliazione, imbarazzo, incapacità e sottovalutazione;

- la terza fase (primi sintomi psico-somatici) potrebbe essere individuata ne(...) "disturbi psichici passeggeri" che la C. riferisce di aver accusato da 2003. Senonchè tale allegazione, nel ricollegare tale patologia a situazioni lavorative "riferite" dalla stessa lavoratrice, risulta del tutto sfornita di prova non avendo l'appellante fornito attendibile dimostrazione dell'esistenza di una diretta derivazione eziologica tra le condotte lamentate e la patologia suddetta;

- la quarta fase (errori ed abusi dell'amministrazione del personale) non è individuabile;

- l'ingresso nella quinta fase (serio aggravamento della salute psico-fìsica della vittima) non è provato;

- la sesta fase (esclusione dal mondo del lavoro) non si è verificata;

7) intento persecutorio, il richiesto dolo specifico non risulta minimamente dimostrato, non essendo ricostruibile, sulla base della documentazione in atti e della prova testimoniale espletata in prime cure, un univoco quadro vessatorio e persecutorio nei confronti della lavoratrice.

Alla luce delle considerazioni che precedono, deve dunque concludersi che nella fattispecie non ricorrono contestualmente tutti e sette i parametri che consentono di inquadrare la fattispecie in esame nel fenomeno del c.d. mobbing verticale (o bossing).Non sembra infatti raggiunta la prova, gravante sull'attore, che la lavoratrice sia mai stata adibita al lavoro in condizioni ambientali disagevoli e penalizzanti. In conclusione, dalla documentazione in atti non emerge tranquillante dimostrazione dell'esistenza di condotte mobbizzanti poste in essere dal Comune di Francavilla al Mare nei confronti di C.F., connotate dal richiesto intento persecutorio. I comportamenti denunciati, infatti, non appaiono connotati dal richiesto dolo specifico, non essendo ricostruibile, sulla base della documentazione allegata al ricorso, un univoco quadro vessatorio e persecutorio nei confronti della dipendente. La fattispecie, pertanto, non rientra nel fenomeno del mobbing, ma realizza un mero conflitto interpersonale tra lavoratore e controparte datoriale.

Alla luce delle considerazioni che precedono, pertanto, l'appello deve essere respinto e la sentenza impugnata integralmente confermata.

Le spese del grado seguono la regola generale della soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.


La Corte di Appello di L'Aquila, Sezione Lavoro e Previdenza, definitivamente pronunciando sull'appello proposto avverso la sentenza n.879/2011 emessa dal Tribunale di Chieti, in funzione di giudice del lavoro, in data 06.10.2011, contrariis reiectis, così decide:

- rigetta l'appello;

- condanna l'appellante a rifondere al Comune di Francavilla al Mare le spese del grado, che si liquidano in complessivi Euro.3.960,00, oltre I.V.A. e C.A.P..