Incontro di studio, organizzato dall'Osservatorio Olympus in collaborazione con Or.S.A Ferrovie su:

Innovazioni nel trasporto ferroviario e sicurezza sul lavoro: l'applicazione del D.M. n. 388/2003 al personale a bordo treno

(Urbino, 17 novembre 2007)



Luciano Angelini

Riflessioni sulla gestione delle procedure di pronto soccorso aziendale per gli operatori a bordo treno

 

1. Premessa. Non posso e non voglio esimermi, ancor prima di iniziare questo intervento di presentazione della ricerca sulle procedure di pronto soccorso aziendale per gli operatori a bordo treno svolta nell’ambito del gruppo Olympus, dall’esprimere pubblica soddisfazione e gratitudine.

Innanzitutto, come condirettore di Olympus, sono molto soddisfatto perché il nostro Osservatorio realizza oggi, con la presentazione di questa ricerca, un’altra delle sue tante vocazioni: e cioè, quella di aiutare coloro che, per ruolo istituzionale o per funzione sociale sono chiamati ad applicare le norme giuridiche a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, a comprendere con maggiore chiarezza quali siano le rationes dei singoli provvedimenti e come agire in modo sempre più efficace.

In veste di relatore, che ha il compito di presentare il lavoro svolto – dal prof. Paolo Pascucci, dall’Avv. Manuela Marini e da chi vi parla – sono altresì molto soddisfatto perché oggi non siamo qui soltanto per compiere un atto formale, in sé comunque rilevante, di divulgazione degli esiti di una ricerca, ma siamo qui soprattutto per tentare di spingerci oltre nello sforzo di comprensione e di approfondimento dei molti temi che nel nostro lavoro abbiamo toccato, grazie al contributo di persone che per autorevolezza, competenza, professionalità, conoscenza ed interessi rappresentati, sono in grado di ampliare ed arricchire lo spettro delle riflessioni da noi compiute.

Dalla soddisfazione, alla gratitudine: sono grato, in primis, a coloro che, avendo aderito al nostro invito di partecipare alla tavola rotonda, daranno un contributo essenziale ad una validazione, ovviamente anche critica, del lavoro di ricerca che è stato fin qui realizzato; sono altresì grato a coloro che hanno lavorato con grande impegno nell’organizzare questa giornata di studio – mi sia consentito citare in particolare la dott.ssa Arianna Arganese e il Sig. Fabio Riberti, ma anche la dott. ssa Alessandra Cupparoni, il dott. Marco Bosco, la dott.ssa Michela Bramucci e il dott. Francesco Celli - ed infine, sono grato a tutti voi che siete venuti ad Urbino in questo sabato novembrino ad ascoltarci e che, se ce ne sarà il tempo, auspico fin d’ora possiate intervenire con sollecitazioni e domande.

Per quanto mi riguarda cercherò di rispettare rigorosamente il tempo concessomi: eviterò, dunque, di riproporvi integralmente il Paper che abbiamo preparato e che è stato inserito nelle cartelline, limitandomi a selezionarne i passaggi che considero più qualificanti, anche al fine del loro approfondimento in sede di tavola rotonda.

(3) 2. Il caso. La ricerca, sollecitataci da Orsa Ferrovie, riguarda l’applicazione, nei confronti dei lavoratori, macchinisti ed agenti che operano a bordo dei treni, del d.m. 15 luglio 2003, n. 388, entrato formalmente in vigore il 3 febbraio 2005, recante disposizioni in materia di pronto soccorso[1]. Secondo ORSA-Ferrovie, la questione, già di per sé molto delicata, dell’applicazione di tale decreto ad una realtà complessa e variegata qual è quella delle imprese ferroviarie italiane, si è ulteriormente complicata a seguito della decisione di Rete ferrovie italiane (RFI), gestore dell’infrastruttura, di consentire l’introduzione di modifiche alla tradizionale composizione – quella che prevede la presenza di due macchinisti in cabina - ed alle mansioni degli equipaggi, modifiche meglio note come moduli ad “agente unico” e ad “agente solo”.

(4) L’introduzione del sistema di esercizio ad “agente unico” prevede l’eliminazione, a determinate condizioni, del secondo macchinista da parte delle imprese ferroviarie. In cabina di guida, con funzione di secondo agente, è prevista la presenza permanente dell’agente di accompagnamento, cioè il capotreno, con obbligo di coadiuvare il macchinista nel rispetto dei segnali e nel controllo della velocità. Tale modulo di equipaggio, riducendo le condizioni di sicurezza operativa, ha indotto le parti a definirne un utilizzo limitato, con orari di lavoro e di guida contenuti (rispetto ai normali standard di esercizio), ad esempio escludendone l’utilizzo nel periodo notturno.

(5) L’introduzione del modulo di condotta ad “agente solo” contempla un’ulteriore modifica agli equipaggi: nei convogli attrezzati con sistema di controllo della marcia del treno (SCMT), esso comporta la presenza di un solo operatore in cabina di guida e la possibilità di allontanamento del capotreno per svolgere le normali mansioni di sua competenza su tutto il convoglio.

(6) Pur con differenze non irrilevanti sotto il profilo prevenzionale, entrambe le descritte modalità di equipaggio a bordo treno realizzano moduli di condotta con un solo agente in grado di guidare effettivamente il treno. Nell’ipotesi di un suo malore, il capotreno non è abilitato a sostituirsi al macchinista, ma dovrà necessariamente limitarsi a provocare l’arresto del convoglio e ad attivare le procedure di emergenza.

(7) In queste situazioni, Orsa chiede di tenere nella dovuta considerazione che la rete ferroviaria italiana attraversa tratti di linea inaccessibili ai comuni mezzi di soccorso; che in caso di arresto del treno in galleria i dispositivi di comunicazione in dotazione al personale di macchina (PDM) molto spesso non sono in condizione di ricevere né trasmettere alcun segnale, dunque non consentono di comunicare con alcun presidio a terra; che in caso di malore dell’unico agente abilitato alla guida, il capotreno non sempre ha ricevuto un’adeguata formazione che gli consenta di prestare un primo efficace soccorso.

(8) Sempre secondo ORSA-Ferrovie, le imprese ferroviarie non avrebbero provveduto ad individuare i lavoratori da formare quali addetti al pronto soccorso, né avrebbero assicurato efficaci misure di raccordo con il Servizio sanitario nazionale. Al contrario, esse avrebbero assimilato i macchinisti a “lavoratori isolati”, operando così una inaccettabile riduzione dei presidi sanitari a bordo treno per sostituirli con il “pacchetto di medicazione” da assegnare individualmente ai singoli lavoratori.

(9) 3. Le fonti applicabili. E’ fuori di dubbio che alle imprese ferroviarie si applichino integralmente le disposizioni in materia di salute e sicurezza dei lavoratori dettate nel nostro ordinamento dal d.lgs. n. 626 del 1994. Diversamente dal trasporto aereonavale, per il quale il legislatore ha emanato una disciplina specifica, quello ferroviario è stato infatti assoggettato alla disciplina comune[2]. Il che non significa che non si debba prestare la massima attenzione alla particolare natura del servizio di trasporto ferroviario ed alle sue oggettive specificità, soprattutto per le conseguenze rilevanti che possono determinarsi sull’applicazione delle garanzie preordinate ad assicurare gli standard di sicurezza della circolazione ferroviaria. Inoltre, non ci si potrà limitare a considerare i soli lavoratori, ma si dovrà tenere in debito conto anche degli utenti del trasporto ferroviario cui occorre garantire – anche attraverso un sistema efficiente di gestione della sicurezza interna delle imprese ferroviarie – condizioni di elevata tutela e protezione.

(10) Una breve riflessione – anche perché immagino che durante la tavola rotonda si avrà modo di ritornare ampiamente su questi aspetti – sul fatto che molti adempimenti imposti alle imprese ferroviarie sono assistiti da sanzioni penali.

Oggetto della tutela penale è il bene giuridico della pubblica incolumità nell’esercizio del servizio di pubblico trasporto ferroviario. Nella maggior parte dei casi, come rilevano le massime giurisprudenziali, la colpa dei responsabili di incidenti o disastri ferroviari finisce per identificarsi sia nella negligente inosservanza di prescrizioni regolamentari vincolanti sia nella mancata adozione di cautele destinate a contenere i rischi dell’attività entro limiti socialmente tollerabili[3]. Tuttavia, in molti casi, la ratio delle sentenze dei giudici sembra orientata a definire “un modello circolare di prevenzione, in cui ogni obbligo, ogni comportamento si lega con quello degli altri soggetti tenuti alla prevenzione”, quasi che all’errore umano del singolo, causa cronologicamente finale dell’evento dannoso, sia possibile cercare di porre rimedio proprio attraverso la definizione strategica di quel complesso di misure organizzative che formano il “sistema di prevenzione aziendale” [4].

4. I principi del sistema prevenzionale di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nel diritto comunitario

(11) E’ a tutti noto che la definizione del nostro modello di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è avvenuta in conformità ai principi ed ai contenuti della direttiva “quadro” n. 89/391/CE, principi e contenuti che si richiamano all’eliminazione dei fattori di rischio e di incidente, all’informazione, alla consultazione, alla partecipazione equilibrata, alla formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti, in coerenza con gli orientamenti espressi dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Convenzione n. 155/1981 e Raccomandazione n. 164/1981 dell’OIL, relative alla sicurezza, alla salute dei lavoratori e all’ambiente di lavoro, nonché Convenzione n. 161/1985 sui servizi per la salute nel lavoro). La direttiva definisce altresì ruoli ed obblighi rispettivi dei datori di lavoro e dei lavoratori, disponendo l’istituzione di specifici servizi di prevenzione, protezione ed emergenza sul luogo di lavoro[5].

(12) La direttiva interviene espressamente anche in materia di pronto soccorso (art. 8.1). Essa prevede che il datore di lavoro prenda tutte le misure necessarie, adeguate alla natura delle attività ed alle dimensioni dell’impresa e/o dello stabilimento, e tenga conto delle altre persone presenti, organizzando i necessari rapporti con servizi esterni, in particolare in materia di pronto soccorso e di assistenza medica di emergenza.

Nella stessa disposizione, al successivo punto 2, al datore di lavoro viene chiesto di designare i lavoratori incaricati di applicare le misure di pronto soccorso previste, assicurandosi che siano adeguatamente formati, presenti in numero sufficiente e dotati di attrezzatura adeguata, in considerazione delle dimensioni e dei rischi specifici dell’impresa.

Da richiamare sono anche i principi contenuti nella direttiva 04/49/CE, relativa alla sicurezza delle ferrovie comunitarie, soprattutto là dove si chiede di disciplinare i tempi di guida e di riposo dei macchinisti e di tutto il personale viaggiante, considerato il forte impatto che ciò può determinare sui livelli di sicurezza dell’intero sistema ferroviario (20° considerando): incidenti ed inconvenienti di vario genere determinati da condizioni lavorative non adeguatamente valutate potrebbero essere precursori significativi di incidenti gravi, o comunque creare situazioni di emergenza da governare con molta attenzione per evitare tutte le conseguenze che potrebbero altrimenti derivarne (23° considerando)[6].

4.1. I principi del sistema prevenzionale di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nell’ordinamento nazionale: il d.lgs. n. 626 del 1994

(13) I principi ed i contenuti della citata direttiva 89/391/CE, (nonché di un nutrito numero di altre importanti direttive comunitarie), sono stati attuati nell’ordinamento italiano con il d.lgs. n. 626 del 1994, ampiamente e ripetutamente integrato e modificato nel corso degli anni, il quale ha delineato in modo compiuto un sistema gestionale interno alle aziende per assicurare un’efficace tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.

Rispetto al sistema previgente[7], nel quale era il legislatore ad assumersi il compito e la responsabilità di individuare e valutare i rischi connessi al processo produttivo, il d.lgs. n. 626 del 1994 responsabilizza il datore di lavoro, al quale spetta il compito di adeguare il sistema prevenzionale fissato per legge alle specifiche peculiarità della propria azienda.

Il “nuovo” metodo si basa sulla programmazione degli interventi e sulla loro rigorosa attuazione, grazie all’utilizzo di una tecnologia adeguata al tipo di lavorazione ed al supporto offerto da personale esperto ed opportunamente formato. Un metodo che non si fonda sulla imposizione di nuovi adempimenti specifici, bensì sull’individuazione di obblighi di carattere generale – individuazione e valutazione dei rischi; individuazione ed attuazione dei rimedi più idonei ad eliminarli o ridurli; limitazione delle conseguenze potenzialmente dannose dei sinistri attraverso una efficiente gestione delle emergenze (tra cui, rientra il pronto soccorso) –, sulla riaffermazione degli obiettivi di tutela già delineati nell’ art. 2087 c.c., sulla previsione di nuove procedure di approccio al problema della sicurezza che siano rispondenti a corretti principi di programmazione e di organizzazione.

Una caratteristica importante del modello è che tutti gli adempimenti imposti (al datore di lavoro, ma non soltanto a lui) presentano un alto tasso di elasticità, esigendo energie e risorse direttamente proporzionate alla rilevanza dei rischi individuati nello specifico ambiente lavorativo. Pertanto, saranno la valutazione dei rischi ed il conseguente piano di sicurezza, elaborati ai sensi dell’ art. 4 del d.lgs. n. 626 del 1994, a definire l’entità e la qualità degli interventi da adottare, adeguati e tarati sulle specifiche caratteristiche aziendali e sui rischi da fronteggiare[8].

Beninteso, il sistema delineato dal d.lgs. n. 626 del 1994 non richiede all’imprenditore alcun impegno eccezionale e tanto meno sproporzionato; piuttosto, egli è chiamato ad affrontare il problema sicurezza con la stessa serietà organizzativa con cui dovrebbe risolvere ogni altra problematica aziendale, cioè attraverso procedure di razionalizzazione e di ottimizzazione organizzativa, così da concorrere in modo qualificato ad elevare il sistema-qualità dell’intera azienda.

(14) Peraltro, pur imperniate sul datore di lavoro, l’efficacia del sistema aziendale prevenzionale dipende non poco anche dal “ruolo attivo” assegnato al lavoratore. Ciò traspare limpidamente dal dettato dell’ art. 5 del d. lgs. n. 626/94 – norma chiave del modello di gestione partecipativa della sicurezza voluta dal legislatore comunitario – là dove recita (comma 1) che “ciascun lavoratore deve prendersi cura della propria sicurezza e della propria salute e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione ed alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”.

Il fatto che ciascun lavoratore, individualmente, abbia un esplicito “dovere di fare” implica un’attenzione specifica, un comportamento più consapevole ed impegnato rispetto alla tutela della salute e sicurezza nell’ambito aziendale. L’utilizzo, in particolare, dell’espressione “prendersi cura” evoca un concetto più impegnativo della semplice osservanza delle disposizioni aziendali e comporta una forte attenzione alle conseguenze che possono derivare dal proprio comportamento.

Stando così le cose, come è stato autorevolmente ribadito in dottrina[9], sarebbe irragionevole sostenere che l’incremento dei doveri e, più in generale, del livello di impegno richiesto al lavoratore non sia preceduto ed accompagnato dalle necessarie basi conoscitive in ordine all’organizzazione della sicurezza individuale e collettiva[10]. Di tale esigenza il legislatore si era reso ben conto: la portata degli obblighi posti a carico del lavoratore e la verifica del loro adempimento vanno infatti valutati “conformemente alla sua formazione alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”; se formazione, istruzioni e mezzi ricevuti sono carenti, la responsabilità del lavoratore potrà scemare fino a risultare inconsistente.

Peraltro, informazioni, istruzioni e mezzi insufficienti finiscono per incidere negativamente anche su un altro precetto posto in capo al lavoratore (art. 5, comma 2, lett. h)[11]: egli deve contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti ed ai preposti, “all’adempimento di tutti gli obblighi imposti dall’autorità competente o comunque necessari per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori durante il lavoro”.

Al di là dei molti profili che meriterebbero di essere presi in considerazione, è a tutti evidente come i lavoratori siano più che legittimati a pretendere che il datore di lavoro assolva tutti quegli obblighi che costituiscono una fase preliminare e necessaria rispetto ai doveri loro spettanti. Nel caso dell’esercizio del trasporto ferroviario, nello specifico per il macchinista o per il capotreno, vi è certamente quello di prendersi cura anche delle altre persone sulle quali possono ricadere gli effetti delle rispettive azioni o omissioni, dunque anche dei passeggeri trasportati[12].

4.2. Unità produttiva e luogo di lavoro

Ribadita l’applicazione del sistema delineato dal d.lgs. n. 626 del 1994 a tutte le imprese ferroviarie, va dato atto dell’esistenza di una questione interpretativa assai controversa, relativa alla qualificazione del treno sia come luogo di lavoro sia come unità produttiva.

(15) Sulla nozione di unità produttiva in materia di salute e sicurezza dei lavoratori, la dottrina ha messo in evidenza come essa debba essere correttamente identificata nell’ articolazione aziendale nell’ambito della quale vanno valutati i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori e, conseguentemente, adempiuti svariati obblighi di prevenzione posti a carico del datore di lavoro e degli altri responsabili della sicurezza, inclusi i lavoratori[13]. La stessa definizione di unità produttiva contenuta nel d.lgs. n. 626 del 1994 (“agli effetti delle disposizioni” di cui al decreto, si intende per “unità produttiva lo stabilimento o struttura finalizzata alla produzione di beni o servizi, dotata di autonomia finanziaria e tecnico-funzionale”: art. 2, comma 1, lett. i, così modificato dal d.lgs. n. 242 del 1996) riveste chiaramente un’accezione “topografica”.

(16) Nello specifico delle imprese ferroviarie, una tale accezione si rivela utile a ben valutare che un treno (materialmente inteso come un convoglio ferroviario composto dal c.d. materiale rotabile), nel momento in cui, muovendosi su di una determinata tratta, si configura come necessario “strumento” atto ad erogare il servizio pubblico essenziale di trasporto previsto per tale tratta, non può che essere a tutti gli effetti parte integrante dell’unità produttiva che eroga e gestisce il servizio di trasporto nell’ambito considerato. Il fatto che il treno faccia parte integrante dell’unità produttiva non significa né che il treno (nel complesso) né che il locomotore (nello specifico) costituiscano di per sé un’unità produttiva autonoma, ma neppure che essi possano essere considerati luogo di lavoro isolato solo perché distanti dall’ubicazione dell’azienda o dell’unità produttiva di cui fanno parte, come sembra, invece, ritenere il Coordinamento delle Regioni, Gruppo di lavoro Trenitalia, nelle sue Linee Guida per l’applicazione del decreto 15 luglio 2003, n. 388 per Trenitalia e per le imprese ferroviarie dell’ottobre 2006 (Punto n. 2). Non aggiungo altro sul punto, ma credo ci sia un qualche fraintendimento che andrebbe definitivamente chiarito sulla nozione funzionale, passatemi l’espressione, o meglio ancora, sulla ratio del concetto di lavoratore isolato, cioè di un lavoratore che, materialmente impossibilitato ad utilizzare i dispositivi di sicurezza predisposti in azienda, viene dotato di propri strumenti di protezione individuali, di cui è responsabile e di cui deve avere cura.

Al di là di questo, la nostra convinzione è che il treno non possa essere considerato un luogo isolato, bensì parte integrante dell’unità produttiva che gestisce il servizio di trasporto (erogato necessariamente anche tramite quel treno); la conseguenza è che i lavoratori che prestano la propria attività a bordo del treno sono assoggettati a tutte le norme protettive previste dall’attuale disciplina legislativa in tema di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. Per altro verso, quegli stessi lavoratori andranno computati nell’organico dell’unità produttiva a cui oggettivamente afferiscono.

(17) Ai fini dell’applicazione della disciplina in tema di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, la nozione di unità produttiva “interagisce” necessariamente con l’altrettanto controversa nozione di luogo di lavoro[14], soprattutto quando, come nel caso qui analizzato, il luogo di lavoro sia un mezzo di trasporto[15].

Senza poter meglio qui argomentare, valutata in una prospettiva sistemica, tutta la regolazione nazionale ed europea non lascia dubbi in merito alla conclusione che i mezzi di trasporto debbano essere soggetti alla valutazione dei rischi.

Peraltro, sembra esserci una apparente contraddizione tra l’ampia nozione di luogo di lavoro dettata dall’ art. 30, co. 1, del d.lgs. n. 626 del 1994, in cui appare intuitivo farvi rientrare senza difficoltà anche la prestazione resa a bordo del treno, e l’esclusione delle disposizioni dettate dal Titolo II del d.lgs. n. 626 del 1994 esplicitamente prevista per i mezzi di trasporto dall’ art. 30, comma 2, lett. a.

Il senso da attribuire al combinato disposto di tali commi non può che essere quello di riconoscere che, sebbene il mezzo di trasporto sia innegabilmente un luogo di lavoro, tuttavia a tale specifico luogo di lavoro, per le peculiarità che lo distinguono, non devono essere applicate le disposizioni dettate dal titolo II del d.lgs. n. 626 del 1994, destinate come sono a stabilimenti od edifici.

Del resto, non è ipotizzabile che, nel caso di un luogo di lavoro coincidente con un mezzo di trasporto, non sia applicabile alcuna disciplina in tema di sicurezza sul lavoro; così, ferma restando l’“esenzione” prevista dal suddetto art. 30, comma 2, d.lgs. n. 626 del 1994, ben dovranno nel caso di specie applicarsi tutte le altre norme di tutela della salute e sicurezza previste dal d.lgs. n. 626 del 1994, fra cui non solo quelle generali di cui al Titolo I, ma anche tutte quelle specifiche, come ad esempio quelle contenute nel Titolo III, riferite alle attrezzature di lavoro, intendendosi per tali “qualsiasi macchina, apparecchio, utensile od impianto destinato ad essere usato durante il lavoro”(art. 34, d.lgs. n. 626 del 1994)[16].

(18) 5. Le disposizioni specifiche del d.lgs. n. 626 del 1994 in materia di pronto soccorso

Nell’ambito delle prescrizioni generali di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori indicate all’ art. 3 del d.lgs. n. 626 del 1994 rientra anche la valutazione delle misure di emergenza da attuare in caso di pronto soccorso, indicate congiuntamente alle misure da adottare in caso di lotta antincendio, di evacuazione dei lavoratori e di pericolo grave ed immediato (art. 3, comma 1, lett. p). In estrema sintesi, il modello prevenzionale disegnato nel d.lgs. n. 626 del 1994 dispone che:

a) il datore di lavoro designi preventivamente i lavoratori (che non si possono rifiutare) incaricati dell’attuazione delle misure di pronto soccorso (art. 4, comma 5, lett. a) e organizzi i necessari rapporti con i servizi pubblici competenti (art. 12, comma 1, lett. a);

(19) b) il datore di lavoro valuti i rischi connessi alle attività lavorative svolte e prenda i provvedimenti necessari in materia di pronto soccorso e di assistenza medica di emergenza, tenendo conto anche delle altre eventuali persone presenti sui luoghi di lavoro (artt. 4 e 15, comma 1);

c) Il medico competente collabori con il datore di lavoro alla predisposizione del servizio (art. 17, comma 1, lett. i);

(20)d)il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza sia consultato in merito alla designazione ed alla formazione degli incaricati (art. 19, comma 1, lett. c).

Per l’esatta comprensione del modello delineato dal legislatore, è altresì opportuno rimarcare che, ai fini degli adempimenti di cui all’art. 4, comma 5, del d.lgs. n. 626 del 1994, (19) le disposizioni sul pronto soccorso aziendale sono dettate nell’ambito del Capo III del Titolo I, insieme a quelle sulla prevenzione incendi e sulla evacuazione dei lavoratori. Ancora più in particolare, prevenzione incendi, evacuazione dei lavoratori e pronto soccorso condividono alcune disposizioni comuni – disposte nell’art. 12 – cui si aggiungono, distinte per articoli, discipline specifiche per ciascuna delle possibili situazioni di emergenza da gestire.

Attraverso il Capo III del Titolo I, il legislatore del 1994 impone al datore di lavoro l’obbligo di pianificare, all’interno del proprio sistema di sicurezza aziendale, la gestione delle c.d. emergenze, comprendendovi tutte le attività lavorative in cui si possano manifestare eventi di rischio superiori alle possibilità di contenimento e non altrimenti prevenibili[17]. Il datore di lavoro dovrà dunque redigere un piano di emergenza, e darne opportuna informazione ai lavoratori[18].

Valutati gli eventi di rischio che possono dar luogo a situazioni di emergenza, il piano deve prevedere l’insieme delle misure, delle azioni e delle procedure da porre in essere per fronteggiare e ridurre i possibili danni che potrebbero derivarne per la salute e sicurezza dei lavoratori e di tutte le persone che possano essere più o meno direttamente coinvolte. Si tratta di uno strumento di azione da adattare alle diverse realtà lavorative, capace di indicare riferimenti precisi per verificare, organizzare e gestire la situazione, con l’obiettivo di ridurre i pericoli alle persone, prestare soccorso, circoscrivere e contenere adeguatamente l’evento[19].

(21) Il legislatore non ha peraltro rinunciato ad individuare quali siano i compiti che il datore di lavoro deve assolvere per adottare correttamente un piano di emergenza, e cioè: organizzare i necessari rapporti con i servizi pubblici competenti; designare preventivamente, in considerazione delle dimensioni dell’azienda e dei rischi specifici che ne caratterizzano l’attività, i lavoratori incaricati di attuare le misure, predisponendo la loro adeguata formazione; informare i lavoratori che possono essere coinvolti; programmare gli interventi ed assumere tutti i provvedimenti necessari affinché qualsiasi lavoratore, in caso di pericolo grave ed immediato per la propria sicurezza o per la sicurezza di altre persone, possa opportunamente decidere come intervenire[20].

Ricondotta formalmente nell’ambito della pianificazione delle emergenze, la disciplina dettata dall’ art. 15 del d.lgs. n. 626/1994 in materia di pronto soccorso pone in capo al datore di lavoro l’obbligo di prendere tutti i provvedimenti necessari. Rispetto all’adempimento di tale obbligo, il datore di lavoro deve tenere conto della natura dell’attività e delle dimensioni dell’azienda o dell’unità produttiva, sentire il medico competente, valutare attentamente la presenza di altre persone sui luoghi di lavoro e stabilire i necessari rapporti con i servizi esterni[21]. Inoltre, nel caso non intenda provvedervi personalmente, il datore di lavoro potrà delegare lo svolgimento effettivo delle attività di pronto soccorso designando uno o più lavoratori.

L’obbligo di valutare e predisporre le misure è sì posto in capo al datore di lavoro, ma il legislatore non rinuncia a fissare alcuni elementi di fondamentale importanza che ne condizionano l’attività di valutazione e di decisione del datore di lavoro e che possono sicuramente favorire la definizione di un modello aziendale adeguato ed efficace. La natura dell’attività, le dimensioni dell’azienda, le persone presenti sui luoghi di lavoro, il rapporto con i servizi esterni, il coinvolgimento del medico competente costituiscono dunque termini di confronto essenziali che l’interprete dovrà utilizzare per verificare se le disposizioni dettate dalle aziende in materia di pronto soccorso rispondano a quanto imposto dal legislatore.

(22) In verità, il legislatore è andato oltre, nel comprensibile tentativo di definire in modo ancora più stringente i contorni di un sistema di sicurezza interno all’azienda che abbia tutti i crismi per poter raggiungere gli obiettivi di tutela che si prefigge: il terzo comma del citato art. 15 dispone espressamente che le caratteristiche minime delle attrezzature di pronto soccorso, i requisiti del personale addetto e la sua formazione sono individuati in relazione alla natura dell’attività, al numero dei lavoratori occupati ed ai fattori di rischio con apposito decreto ministeriale.

Il senso della disposizione è chiaro: il decreto fissa alcune caratteristiche “minime” del modello di gestione delle procedure di pronto soccorso aziendale, relativamente alle attrezzature di pronto soccorso, ai requisiti del personale addetto e alla sua formazione: caratteristiche minime che non esimono il datore di lavoro da un’attenta valutazione della situazione aziendale e dalla conseguente definizione di altre misure aggiuntive se necessarie a raggiungere gli obiettivi di tutela chiaramente indicati dal legislatore nel primo comma. E ciò va fatto soprattutto nelle ipotesi in cui l’azienda abbia molti dipendenti, l’attività svolta sia particolarmente rischiosa per la salute e la sicurezza, e molte persone (oltre ai lavoratori) siano presenti sui “luoghi di lavoro” (passeggeri a bordo treno). Detto altrimenti, pur essendo obbligatorio, il rispetto puntuale della disciplina dettata nel decreto non esaurisce di per sé il “pacchetto” di adempimenti che incombono sul datore di lavoro relativamente alla predisposizione delle misure relative al pronto soccorso aziendale.

(23) 6. Il d.m. 15 luglio 2003, n. 388

In attuazione del citato comma 3 dell’art. 15 del d.lgs. n. 626 del 1994, è stato emanato il d.m. 15 luglio 2003, n. 388 (regolamento recante disposizioni sul pronto soccorso aziendale). Come previsto, esso fissa i principi che regolano l’organizzazione del pronto soccorso aziendale, stabiliscono la dotazione minima dei presidi sanitari indispensabili per prestare le prime cure ai lavoratori feriti o colpiti da malore improvviso e le modalità di impiego da parte degli addetti.

Rispetto ai precetti del d.m. n. 388 del 2003, il datore di lavoro è tenuto ad intraprendere una serie di azioni tra loro funzionalmente concatenate che comportano:

- l’identificazione della classificazione dell’azienda;

- le comunicazioni alle ASL ove richieste;

- l’installazione di cassette di pronto soccorso e/o di pacchetti di medicazione;

- la messa a disposizione di strumenti di comunicazione;

- la formazione degli addetti al pronto soccorso;

- l’eventuale organizzazione di un vero e proprio servizio di pronto soccorso interno.

(24) Per quanto riguarda la prima delle azioni indicate, ovvero la classificazione delle aziende, l’art. 1, co. 1, del d.m. n. 388/2003 dispone che le aziende e/o le unità produttive siano classificate in tre distinti gruppi, tenuto conto della tipologia di attività svolta, del numero dei lavoratori occupati e dei fattori di rischio.

Ai fini di tale classificazione, particolare rilievo è dato alla figura del medico competente, il quale va sentito, ove previsto, e al raccordo con le ASL territorialmente competenti, cui il datore di lavoro deve comunicare se l’azienda o l’unità produttiva rientra tra quelle del gruppo A[22].

Appartengono al gruppo A, a prescindere dal numero di lavoratori, le aziende o unità produttive con attività industriali, soggette all’obbligo di dichiarazione o notifica (di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 334 del 1999), centrali termoelettriche, impianti e laboratori nucleari (di cui agli artt. 7, 28 e 33 del d.lgs. n. 230 del 1995), aziende estrattive ed altre attività minerarie definite dal d.lgs. n. 626 del 1994, lavori in sotterraneo di cui al D.P.R. n. 320 del 1956, aziende per la fabbricazione di esplosivi, polveri e munizioni.

Allo stesso gruppo appartengono le aziende o unità produttive con oltre cinque lavoratori riconducibili ai gruppi tariffari INAIL, con indice infortunistico di inabilità permanente superiore a quattro. Sono incluse nel gruppo A, le aziende o unità produttive del comparto dell’agricoltura con oltre cinque lavoratori a tempo indeterminato.

Le aziende o unità produttive con tre o più lavoratori che non rientrano nel gruppo A appartengono al gruppo B.

Sono classificate nel gruppo C le aziende o unità produttive con meno di tre lavoratori che non rientrano nel gruppo A.

La classificazione delle aziende è determinante anche ai fini dell’installazione di cassette di pronto soccorso o di pacchetti di medicazione[23]; infatti, ai sensi dell’art. 2 del d.m. n. 388 del 2003, le aziende o unità produttive di gruppo A e B devono poter disporre di una cassetta di pronto soccorso, mentre nelle aziende o unità produttive di gruppo C, il datore deve garantire (soltanto) la dotazione del pacchetto di medicazione. Cassette di pronto soccorso e pacchetti di medicazione presente presso ciascun luogo di lavoro, devono essere adeguatamente custoditi e facilmente individuabili[24].

Indipendentemente dalla classificazione, tutte le aziende o unità produttive devono altresì possedere un idoneo mezzo di comunicazione in grado di attivare rapidamente il sistema di emergenza del Servizio sanitario nazionale.

Come già detto, al di là del rispetto delle disposizioni minimali del d. m. n. 388 del 2003, il datore di lavoro, in ogni caso, deve individuare e rendere disponibili le attrezzature minime di equipaggiamento ed i dispositivi di protezione individuale per gli addetti al primo intervento interno ed al pronto soccorso: attrezzature e dispositivi che devono essere appropriati rispetto ai rischi specifici connessi all’attività lavorativa dell’azienda, mantenuti in condizioni di efficienza e di pronto impiego e custoditi in luogo idoneo e facilmente accessibile (art. 4, d. m. n. 388 del 2003). Un’obbligazione di “risultato” che la pur rigorosa osservanza delle disposizioni del decreto ministeriale potrebbe non consentire di soddisfare.

Un’attenzione particolare è quella che il legislatore dedica alla formazione. Gli addetti al pronto soccorso, formalmente designati ai sensi dell’ art. 12, comma 1, lett. b, del d.lgs. n. 626 del 1994 e senza che il d.m. n. 388 del 2003 preveda alcunché rispetto al loro numero, devono essere adeguatamente formati con istruzione teorica e pratica. La formazione deve essere impartita da personale medico qualificato, in collaborazione, ove possibile, con il sistema di emergenza del Servizio sanitario nazionale.

L’importanza di tale formazione si può comprendere pensando al fatto che gli addetti al pronto soccorso prestano aiuto immediato ai lavoratori che hanno subito un infortunio o patito un malore durante lo svolgimento dell’attività lavorativa e che spesso i primi ed immediati soccorsi sono fondamentali per salvare la vita dell’infortunato[25].

Il d.m. n. 388 del 2003 prevede una durata minima della formazione di 16 ore per le aziende del gruppo A e di 12 ore per le aziende dei gruppi B e C: moduli, obiettivi didattici e contenuti minimi non presentano variazioni e contemplano anche la trattazione dei rischi specifici dell’attività svolta. Il corso deve essere ripetuto con cadenza triennale, almeno per quanto attiene alla capacità di intervento pratico.

7. Applicazione ed osservanza delle disposizioni per il pronto soccorso nelle imprese ferroviarie: le “normative interne”

Descritte le norme che l’ordinamento detta in materia di pronto soccorso, occorre passare a riflettere sulle disposizioni interne al sistema delle imprese ferroviarie, disposizioni che anche se non destinate a tal fine, possono tuttavia incidere, positivamente o negativamente, sulle tutele assicurabili ai lavoratori a bordo treno in caso di malore del conducente.

(25) Per fare questo, va preliminarmente ricordato che il modulo tradizionale di condotta dei treni prevede la presenza contemporanea in cabina di guida di due macchinisti responsabili in ordine alla circolazione ed al rispetto delle norme regolamentari. I due macchinisti sono tenuti a svolgere il servizio assegnato e le operazioni inerenti la preparazione ed il controllo del mezzo, nonché le operazioni amministrative ed adottano le decisioni tecniche concernenti il servizio da svolgere. Il secondo conduttore vigila sull’operatività del primo, controlla la corretta individuazione e il rispetto della segnaletica in ordine a condizioni di pericolo lungo linea, verifica la presenza cosciente del macchinista alla guida del treno.

Nel caso di improvvisa mancanza o malore del macchinista, ai sensi dell’ art. 40, comma 23, dell’Istruzione per il servizio del personale di condotta delle locomotive (IPCL), il treno verrà condotto dall’aiuto macchinista sino alla prima stazione utile[26]. L’Istruzione precisa che tale malore “deve considerarsi come caso di guasto di locomotiva”. Mi limito a constatare che si tratta di un accostamento fra eventi radicalmente diversi tra loro, che determinano entrambi l’arresto del treno in linea, ma che tale arresto ha una causa ben distinta e che le misure da adottare per intervenire non possono non essere specifiche e diverse.

(26) Successivamente, con disposizione della direzione tecnica di RFI n. 35 del 22/11/2002, che modifica l’ articolo 3 dell’Istruzione per il servizio del personale di condotta delle locomotive (IPCL), è stata prevista la possibilità di effettuare la conduzione del treno con un solo agente addetto alla condotta (AU).

Questa modifica nella composizione dell’equipaggio di bordo è condizionata al rispetto di alcuni essenziali requisiti:

- che i mezzi di trazione – locomotive e carrozze pilota – siano dotati di apparecchiatura radiotelefonica per il collegamento terra-treno/bordo-bordo (allegato XIII dell’IPCL);

- che la cabina di guida sia dotata di intercomunicante con il comparto viaggiatori;

- che sia funzionante il freno continuo su tutto il treno;

- che siano previste idonee limitazioni rispetto agli ordinari tempi di guida e di lavoro, secondo turni dedicati che ne garantiscano le peculiari condizioni di svolgimento (articolo 12, comma 4).

(27) Si condiziona inoltre l’utilizzazione dell’agente unico di macchina alla presenza permanente del capotreno in cabina di guida in sostituzione del secondo macchinista (articolo 3, comma 1, IPCL), fatte sempre salve specifiche eccezioni che ne consentono l’assenza (articolo 3 bis, comma 1, IPCL). Come precisato anche dal Ministero, sulle tratte della rete principale non ancora servite da apparati di sicurezza (SCMT), il modulo di condotta può essere ad agente unico a condizione che il secondo agente (capotreno abilitato) sia vincolato al suo posto in cabina di guida durante la marcia del treno e non si allontani per svolgere i compiti commerciali, i quali potranno invece essere svolti soltanto a “treno fermo”, prima della partenza dello stesso o durante le fermate.

Ora, a seguito delle modifiche alla modularizzazione organizzativa degli equipaggi a bordo treno che hanno introdotto l’agente unico, quanto previsto dall’ art. 40, comma 23, dell’Istruzione per il servizio del personale di condotta delle locomotive (IPCL) in termini di garanzie per il macchinista bisognoso di assistenza è oggettivamente inattuabile; non è in effetti possibile che il treno possa essere condotto sino alla prima stazione utile dal capotreno in quanto egli non è abilitato alla conduzione, neppure in ipotesi di emergenza.

(28) Si potrebbero, in questo caso, richiamare l’applicabilità di procedure come, ad esempio, sono quelle previste da Trenitalia nella Scheda tecnica n. 172 (facente parte del manuale dell’agente di accompagnamento dei treni), la quale prevede che se il macchinista unico avverte malore, il capotreno che lo assiste in cabina deve:

- verificare la presenza di un medico a bordo treno;

- in assenza del medico, verificare la presenza di un macchinista a bordo treno abilitato al mezzo di trazione (locomotiva) per condurre il treno in un’opportuna stazione per le cure del caso;

- in assenza di un medico o di un macchinista a bordo treno, chiedere l’invio di una locomotiva di soccorso o l’invio con altro treno di un macchinista abilitato, “se possibile”.

Ora, confrontate con i rigorosi principi contenuti nel d.lgs. n. 626 del 1994 e nel d.m. n. 388 del 2003, non sembra che procedure di questo tipo siano in grado di garantire un accettabile livello di tutela per i macchinisti impiegati ad agente unico.

(29) L’introduzione del modello di conduzione del treno ad Agente unico rappresenta una significativa “modifica del processo organizzativo e produttivo ” che, comportando una oggettiva alterazione dei rischi lavorativi, impone necessariamente – ex art. 4, comma 7, d.lgs. n. 626 del 1994 – di rielaborare la valutazione ed il relativo documento di cui allo stesso art. 4, commi 1 e 2. Si tratta di un obbligo che trova poi ulteriore conferma nella previsione di cui al comma 5, lett. b, dello stesso art. 4 d.lgs. n. 626 del 1994, che impone al datore di lavoro ad aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi rilevanti ai fini della salute e della sicurezza del lavoro.

Né, per quanto concerne gli aspetti qui in questione, va trascurato che la norma da ultimo menzionata (art. 4. co. 5), alla lett. q), prevede che le misure per fronteggiare le emergenze debbono essere adeguate, tra l’altro, “al numero delle persone presenti”: il che, a ben guardare, non comporta soltanto un adeguamento delle misure di emergenza in senso “quantitativo/proporzionale”, vale a dire in relazione al numero dei soggetti da proteggere, ma anche una attenta considerazione di come le misure di emergenza possano essere davvero efficaci là dove – come nel caso in esame – il numero di coloro che le possono realizzare sia inevitabilmente così esiguo (soltanto il macchinista ed il capotreno). Peraltro, la situazione finisce oggettivamente per aggravarsi, sotto il profilo dei rischi in seguito all’introduzione del modulo di condotta ad “agente solo”, che vede la presenza in cabina del “solo” agente abilitato alla guida, mentre il capotreno è impegnato, normalmente, a svolgere le mansioni di sua spettanza su tutto il convoglio.

(30) Un’ulteriore criticità riguarda la disponibilità di un mezzo di comunicazione idoneo ai fini dell’invio della richiesta di soccorso – apparecchiatura radiotelefonica di comunicazione per il collegamento terra-treno/bordo-bordo – disponibilità espressamente richiesta come condizione legittimante l’utilizzazione dell’Agente unico, e indicata nell’ art. 3 dell’IPCL (come modificato dalla disposizione n. 35 del 22/11/2002).[27].

L’art 4 della disposizione n. 27 del 7/6/2006 di RFI (avente ad oggetto norme di esercizio per il collegamento via radio terra-trenobordo-bordo e terra-terra, telefonia mobile), dispone che le cabine di guida devono essere attrezzate con terminali GSM-R, rete esclusivamente dedicata e non accessibile (per ora) ad operatori esterni[28].

Quand’anche fosse attivo su tutte le linee ferroviarie, il sistema GSM-R potrebbe non garantire tempi “fisiologicamente accettabili” (come invece prescrive il d.m. n. 388 del 2003) per prestare assistenza all’unico macchinista addetto alla condotta del treno eventualmente colto da malore. Infatti, nell’eventualità di infortunio o malore del macchinista, nei casi in cui si tratti dell’unico agente abilitato alla condotta del treno, il convoglio resterebbe comunque bloccato senza possibilità di avvicinarsi alla prima stazione utile per gli interventi di emergenza.

Se poi – come è possibile – il treno rimanesse bloccato su di un tratto di linea ferroviaria inaccessibile ai comuni mezzi di soccorso, i tempi dell’intervento di soccorso potrebbero risultare assolutamente incompatibili con il diritto alla tutela della salute del lavoratore coinvolto (si pensi a quei tratti di linea ferroviaria, non certo infrequenti specialmente nelle zone appenniniche, che attraversino zone impervie in cui non esistano strade o su cui non possa atterrare un’eliambulanza).

(31) Un’ennesima criticità concerne la formazione da assicurare ai lavoratori. Sul punto, il d.m. n. 388 del 2003 nulla dice circa il numero di addetti da formare ed adibire al pronto soccorso. Per il Coordinamento tecnico delle Regioni, tale silenzio comporta che “il datore di lavoro debba prevedere la formazione di un numero di lavoratori tale da garantire la copertura di tutti i turni di lavoro e che a tale copertura sia addetto un numero di persone formate che garantisca l’effettiva efficienza e funzionalità del sistema di emergenza in funzione dei rischi specifici valutati per ciascuna azienda o unità produttiva” [29]. Si tratta, dunque, di un obbligo di risultato, cui si aggiunge l’auspicio, espresso dallo stesso Coordinamento, che nell’ambito dei corsi che dovranno essere organizzati, sia dato maggior spazio possibile agli interventi di primo soccorso realmente effettuabili da personale non sanitario.

Nel caso degli equipaggi a bordo treno è evidente come sia i macchinisti sia i capitreno debbano necessariamente effettuare i corsi previsti, dovendo essere posti, ciascuno, nelle condizioni di prestare soccorso all’altro. Per quanto riguarda il capotreno, poi, questi dovrebbe essere in grado di intervenire anche a tutela dei passeggeri. Tale esigenza comporterebbe la possibilità per il capotreno di allontanarsi dalla cabina di guida: nei casi di emergenza passeggeri, dunque, la composizione dell’equipaggio ad agente unico si trasformerebbe necessariamente nella modalità ad agente solo: anche di ciò, occorrerebbe tenere conto nell’ambito delle procedure di valutazione dei rischi e delle misure da adottare.

(13) 8. Tutela dei lavoratori e strategie organizzative

Come già più volte ribadito, a fronte ad ogni significativa modifica del processo organizzativo e produttivo che incida sulle condizioni di sicurezza e di salute dei lavoratori, si deve operare una rielaborazione dell’originario documento di valutazione dei rischi che tenga conto dei riflessi inevitabili che tali modifiche hanno sulla gestione della sicurezza. In particolare, occorre garantire la reale attuazione di quell’organizzazione modulata degli interventi prevista, nel caso del pronto soccorso, sia dagli artt. 12 e 15 del d.lgs. n. 626 del 1994, sia dal d.m. n. 388 del 2003, arrivando alla predisposizione di un vero e proprio “protocollo articolato” nel quale indicare attribuzioni, ruoli e procedure (il “chi”, il “cosa”, il “come”)[30].

Qualunque modifica del processo produttivo che alteri i livelli di sicurezza operativa (ad esempio per l’insorgenza di nuovi e rilevanti rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori) senza che sia stata preventivamente realizzata la “procedimentalizzazione partecipata” con i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, il medico competente, l’ RSPP, espone il datore di lavoro alle sanzioni previste dal d.lgs. n. 626 del 1994.

(32) Tale contesto è ben compreso da tutti gli attori del sistema ferroviario, come si evince chiaramente anche dai contenuti della contrattazione collettiva. Mi riferisco, per fare un esempio, al Protocollo stipulato il 23 giugno 2005 da FS, Trenitalia e Organizzazioni sindacali, in cui si contempla la possibilità di modificare gli attuali equipaggi (2 macchinisti o 1 macchinista + 1 capotreno) soltanto previo accordo stipulato tra le parti: cito testualmente “In relazione al grado di avanzamento dei piani di attrezzaggio …, le parti condividono che costituirà comunque oggetto di negoziazione la transizione verso nuove organizzazioni dell’equipaggio sulle linee attrezzate in esercizio con sistema SCMT o SSC. In relazione a ciò verranno esaminate le problematiche relative a: soccorso all’equipaggio in caso di malore; orario di lavoro; formazione e aggiornamento professionale; logistica di sostegno agli equipaggi (alberghi, dormitori, ecc.)”.

Tutto ciò sembra portare ad una conclusione, su cui credo si rifletterà ampiamente durante i lavori della tavola rotonda: e cioè che il modulo tradizionale di conduzione dei treni, quello con 2 macchinisti, appare di per sé il più efficace per sopperire alle possibili conseguenze di un malore del macchinista; ciò almeno fino a che i moduli di guida con un solo agente non siano “accompagnati” dalla individuazione di adeguate misure di tutela preventiva per i maggiori rischi che comportano per la salute e sicurezza.

(33) In tal senso si è sostanzialmente espresso anche il Coordinamento tecnico delle Regioni del 6/7/2004 (punto 3) ove, con specifico riferimento al dispositivo “Vigilante”, si sottolinea che “in caso di malore del macchinista l’assenza di altro operatore abilitato alla conduzione di treni determinerebbe la impossibilità di spostare il convoglio e quindi di recare soccorso al macchinista medesimo in tempi rapidi, nel caso in cui il convoglio fosse fermo in una località isolata, oltre che di spostare il treno, qualora lo stesso si trovasse in zona pericolosa (ad esempio all’interno di una galleria)”[31].

(34) Dunque, almeno in determinate circostanze, soltanto la presenza di un secondo agente abilitato a condurre il treno fino alla prima stazione utile, potrebbe davvero scongiurare il rischio che, in caso di infortunio o malore dell’unico macchinista alla guida, il treno resti bloccato e impossibilitato a raggiungere o ad essere raggiunto dai mezzi di soccorso del Servizio sanitario nazionale.

La conseguenza corretta che può e deve trarsene non è che una organizzazione degli equipaggi a bordo treno diversa da quella tradizionale (a 2 macchinisti) sia inattuabile alla luce dell’attuale disciplina sul primo soccorso; ma che, l’introduzione dell’agente unico o dell’agente solo, richiede siano attentamente valutati i rischi aggiuntivi che ne derivano (nel nostro caso, per le procedure di primo soccorso) e che siano conseguentemente adottate tutte le misure idonee ad eliminarli o a ridurli in modo congruo[32].

Per fare qualche esempio, a titolo puramente indicativo, nell’ottica di predisporre misure “articolate” di gestione dell’emergenza (il malore dell’unico macchinista addetto alla conduzione del treno è sempre un’emergenza) che prevedano il “chi”, il “cosa”, il “come” dell’azione di gestione, non potrà non tenersi in debito conto:

- che nei luoghi di lavoro, un intervento in caso di infortunio o malore si configura come un “primo soccorso” e richiede, in quanto tale, una formazione del soccorritore quantomeno sufficiente a garantirne l’efficacia;

- che il capotreno, come lo stesso macchinista, deve ricevere la formazione adeguata a garantire in “tempi fisiologicamente accettabili” un primo reciproco soccorso, tenendo conto che potrebbe essere necessario offrire assistenza anche ai viaggiatori;

- che è assolutamente fondamentale (pur se potrebbe non essere sufficiente) la messa a disposizione di un sistema di comunicazione che attivi il sistema di allarme e possa servire a gestire l’intera fase dell’emergenza .

9. Considerazioni conclusive

Accingendomi a concludere, il primo dato che credo meriti a questo punto richiamare dall’insieme delle argomentazioni che ho cercato di riproporre e che sono state oggetto della nostra ricerca, è che il rispetto della disciplina prevenzionistica non implica la rinuncia preventiva ad alcuna modifica organizzativa del processo produttivo o del servizio erogato che dovesse rendersi necessaria per esigenze di produttività e di maggiore efficienza, ma piuttosto che una tale modifica va attentamente valutata alla luce delle ripercussioni che si possono produrre in termini di maggiori rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori e, nel caso del trasporto ferroviario, anche dei passeggeri.

Correttamente collocata in questa prospettiva, la questione del primo soccorso del macchinista, nella situazione dell’agente unico e in quella ancor più delicata dell’agente solo addetto alla conduzione del treno, non è che una delle molte problematiche che esigono di essere attentamente gestite secondo i principi e le norme che governano il sistema di prevenzione aziendale nel nostro ordinamento giuridico, come delineato dal d. lgs. n. 626/94.

(35) Altro dato fondamentale da richiamare è che non esistono soluzioni a “prescindere” dal particolare contesto organizzativo aziendale cui ci si riferisce[33]; è il legislatore che ha deciso di lasciare alla razionale e ragionevole discrezionalità di tutti gli attori del sistema di gestione della sicurezza aziendale – ovviamente, senza confonderne poteri e connesse responsabilità, tanto diverse tra loro – la valutazione delle conseguenze relative a modifiche organizzative e produttive e l’individuazione delle misure da adottare per farvi fronte, misure che comunque non possono determinare arretramenti delle condizioni di sicurezza e di tutela della salute dei lavoratori[34].

(36) Una ragionevole e razionale discrezionalità di individuazione ed attuazione delle misure che può considerarsi tale, dunque senza sconfinare nell’arbitrarietà o nell’omissione, soltanto se esercitata coerentemente con i principi generali di prevenzione (art. 3 del d.lgs. n. 626 del 1994), entro le linee (generali e specifiche) dell’intero quadro legislativo costituito dalle misure già previste o dai principi-guida ampiamente illustrati, senza dimenticare il valore conformante rappresentato dalla “norma di chiusura dell’intero sistema”, e cioè l’art. 2087 c.c.[35].

Punti di riferimento importanti per il corretto esercizio di una tale discrezionalità, tra i tanti forniti dalla normativa prevenzionistica, sono ad esempio quelli offerti dall’art. 4, comma 2 (individuazione e programmazione delle misure da inserire nel “piano di sicurezza”, conseguenti alla valutazione dei rischi, e ritenute opportune per migliorare le condizioni di tutela); dall’art. 4, co. 5, lett. b (adozione delle misure e loro aggiornamento in relazione al mutamento di vari fattori) e art. 4, co. 5 lett. q); dall’art. 12, comma 1, lett. e; dall’art. 35, commi 2 e 4 del d.lgs. n. 626 del 1994.

Sull’azione prevenzionale da intraprendere, diversi sono i termini utilizzati dal legislatore per qualificarla: prevale il riferimento a misure “adeguate”, anche se viene a volte utilizzato in alternativa quello di misure “idonee”, “appropriate”, “efficaci”, “atte a”, sottolineandone la natura inequivocabilmente teleologica, cioè con riguardo allo scopo specifico da perseguire[36].

A volte il concetto di adeguatezza è risolto con riferimento ai parametri di legge (ad esempio per le macchine, i componenti, le attrezzature e i dispositivi di protezione individuale). Nella maggior parte dei casi, però, l’adeguamento è posto in relazione allo sviluppo tecnologico: in queste ipotesi entra in gioco l’interpretazione del noto principio della massima sicurezza tecnologicamente possibile (art. 2087 cc.). Infatti, (37) è il principio della massima sicurezza tecnologicamente possibile – immanente in tutta la legislazione degli anni cinquanta, confermato anche dal 14° considerando, in combinazione con l’art 6, comma 1, secondo periodo della direttiva 89/391/CE, attuato compiutamente dalle qui più volte citate disposizioni del d.lgs. n. 626 del 1994 – che impone al datore di lavoro di programmare l’adozione di misure di sicurezza “progredite” rispetto allo stato delle conoscenze tecnologiche del momento.

Sulla portata sostanziale di questo principio nessun effetto riduttivo può essere determinato da criteri di fattibilità economica o produttiva, o dall’inerzia o dalla tolleranza degli organi ispettivi, assodata l’indiscutibile subordinazione del fattore economico-produttivo alla tutela della salute che emerge nitidamente anche sul piano costituzionale (cfr. artt. 32 e 41 Cost.). Ovviamente, il dovere di sicurezza che ne deriva, una volta attuato attraverso il ricorso a tutti gli strumenti previsti e prevedibili, non può escludere la permanenza di una certa soglia di rischio che non è possibile ridurre, nonostante l’utilizzo delle tecnologie più innovative[37].

In conclusione, dopo quanto argomento, rispetto al caso che ha dato inizio alla nostra ricerca, alla luce delle riflessioni compiute, ci sembra di poter consigliare, qualora non si sia già provveduto in tal senso, di procedere:

(38) - alla valutazione dei maggiori rischi che l’adozione delle diverse forme di equipaggio a bordo treno può comportare per le procedure di primo soccorso del macchinista che abbia subito un malore o un infortunio tale da impedirgli di continuare la guida.

Tale valutazione va compiuta con la partecipazione attiva di tutti i soggetti del sistema di prevenzione aziendale, in particolare con la consultazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e con il contributo assolutamente determinante del medico competente, tenendo conto, tra l’altro, per quanto concerna la circolazione ferroviaria, della tipologia del servizio, della pericolosità della tratta, dei mezzi di comunicazione installati, della turnazione, del lavoro notturno;

(39) - all’adeguamento del piano di sicurezza e delle misure prevenzionali che dovranno essere adottate per affrontare le situazioni di emergenza (ex artt. 12-15 del d.lgs. n. 626 del 1994), con particolare attenzione all’individuazione del personale addetto alla messa in atto delle procedure predisposte.

- all’organizzazione di una formazione idonea, in materia di pronto soccorso, degli equipaggi a bordo treno, che riguardi sia i macchinisti sia i capitreno, non dimenticando di assicurare la presenza sui luoghi di lavoro dei necessari presidi sanitari, anche per garantire una altrettanto doverosa tutela dell’utenza.

(40) La complessità delle valutazioni sui rischi organizzativi e la difficoltà di individuare le misure più adeguate, l’ampiezza degli adempimenti e la notevole rilevanza delle responsabilità civili e penali che incombono sui datori di lavoro, le legittime richieste di una circolazione ferroviaria sempre più sicura, il progressivo costante miglioramento delle tutele dei lavoratori e degli utenti del servizio di trasporto ferroviario, sono tutti fattori che inducono a ritenere che un efficace sistema di relazioni sindacali, attraverso un percorso di costruttiva concertazione, nel rispetto delle reciproche funzioni e competenze, può rappresentare un utile strumento per concorrere alla definizione ed alla attuazione delle disposizioni sulla tutela della salute e sicurezza di tutti i lavoratori, e dei macchinisti in particolare, nell’ambito dell’articolata realtà delle nostre imprese ferroviarie.

Grazie per la vostra cortese attenzione!



[1] Per precisione, occorre ricordare che l’espressione “pronto soccorso” utilizzata nei testi legislativi e regolamentari sta ad indicare più propriamente un “primo soccorso”, assicurato direttamente da lavoratori privi di specifiche competenze sanitarie, laddove il vero e proprio “pronto soccorso” non può non essere gestito che dai sanitari (medici ed infermieri).

[2] In tal senso, il legislatore si era chiaramente pronunciato già con la legge 26 aprile 1974, n. 191: fatte salve le specifiche disposizioni nella stessa dettate, all’art. 1, per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle attività tipicamente industriali nonché nelle attività proprie dell’esercizio ferroviario ed in quelle ad esso strettamente connesse svolte dall’Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato, si dovevano applicare (fatta eccezione per esclusioni espressamente indicate) le norme di cui ai d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, d.P.R. 19 marzo 1956, n. 302, d.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, d.P.R. 20 marzo 1956, n. 320, d.P.R. 20 marzo 1956, n. 321, d.P.R. 20 marzo 1956, n. 322, d.P.R. 20 marzo 1956, n. 323. Analoga osservanza è imposta anche alle imprese appaltatrici di opere o servizi ferroviari, quando l’opera o il servizio appaltato venga eseguito in ambito ferroviario.

[3] V. ad esempio Cass., sez. IV pen., 4 aprile 1990, n. 7817, secondo la quale “risponde del delitto di pericolo di disastro ferroviario colposo e, se ne deriva la morte di persone, anche del delitto di omicidio colposo, l’aiuto macchinista che, in violazione delle prescrizioni regolamentari vincolanti per il personale di condotta delle locomotive, si allontani dalla cabina di guida senza assoluta ed imprescindibile urgenza, dopo l’avvistamento del primo segnale verde, così ponendosi nella condizione di non poter cooperare con il macchinista nelle successive evenienze di guida”.

[4] Deidda, L’errore umano: dalla cultura della colpa alla cultura della prevenzione. Il rapporto tra inchiesta giudiziaria ed inchiesta tecnica, relazione presentata in occasione del Convegno su L’errore umano: dalla cultura della colpa alla cultura della prevenzione, Urbino, 11 maggio 2007.

[5] I contenuti della direttiva 89/391/CE si muovono in perfetta coerenza con i principi e gli orientamenti espressi dall’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), anzitutto quelli relativi all’approccio “globale” e “multidisciplinare” alla prevenzione. Cfr. Arrigo, La tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori nell’ordinamento comunitario, in Rusciano, Natullo (a cura di), Ambiente e sicurezza del lavoro, Torino, 2007, p. 15.

[6] Si tratta di una direttiva relativa alla sicurezza delle ferrovie comunitarie e recante modifica della direttiva 95/18/CE relativa alle licenze delle imprese ferroviarie e della direttiva 01/14/CE relativa alla ripartizione della capacità di infrastruttura ferroviaria, all’imposizione dei diritti per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria e alla certificazione di sicurezza (“Direttiva sulla sicurezza delle ferrovie”).

[7] Il riferimento, in particolare, è alla complessa decretazione degli anni cinquanta in materia di salute e igiene sul lavoro.

[8] Sicuramente, la valutazione dei rischi è l’elemento che più di ogni altro caratterizza l’aspetto prevenzionale del sistema di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro: grazie ad un costante monitoraggio delle condizioni aziendali, vengono individuate le azioni di prevenzione e ne viene pianificata l’attuazione. Si tratta di una valutazione non astratta che deve tradursi in un documento scritto in cui si programmano le misure di intervento più opportune: un documento da conservare in azienda e consegnato al RLS, come previsto dalle circolari del Ministero del lavoro nn. 40 e 68 del 2000 ed ora anche dalla recentissima legge n. 123 del 2007, da aggiornare a fronte di significative modifiche del processo produttivo e, soprattutto, da integrare con l’eventuale documentazione attestante la valutazione di rischi particolari (lavoratrici madri, giovani lavoratori, lavoro ai videoterminali, protezione da agenti chimici). Valutazione dei rischi e documento di valutazione, almeno funzionalmente, si configurano come momenti inscindibili di un unico fondamentale obbligo cui il datore di lavoro è tenuto, obbligo che può essere ritualmente assolto con il coinvolgimento e la collaborazione di tutte le figure aziendali che svolgono un ruolo determinante nell’ambito del sistema prevenzionale, come prevede puntualmente e dettagliatamente l’art. 4 del d.lgs. n. 626 del 1994.

[9] Cfr. Del Punta, Diritti e obblighi del lavoratore: informazione e formazione, in Montuschi (a cura di), Ambiente, salute e sicurezza. Per una gestione integrata dei rischi da lavoro, Torino, 1997, p. 158.

[10] Cfr. Arganese, Riflessioni sul diritto/dovere di informazione e formazione dei lavoratori nella prospettiva del nuovo testo unico ed alcune proposte di intervento, in Pascucci (a cura di), Il Testo Unico sulla sicurezza del lavoro, Atti del convegno di studi giuridici sul disegno di legge delega approvato dal Consiglio dei Ministri il 13 aprile 2007, Roma, 2007, p. 111 e ss.

[11] La violazione da parte del lavoratore degli obblighi posti a suo carico dall’ art. 5, comma 2, d. lgs. n. 626/94 è sanzionata penalmente ai sensi dell’ art. 93, comma 1, lett. a, così come modificato dal d.lgs. n. 758 del 1994. Inoltre, il mancato adempimento delle disposizioni in esame può dare luogo anche all’irrogazione di sanzioni disciplinari che possono giungere fino al licenziamento del lavoratore. L’obbligo generale di sicurezza di cui al primo comma, invece, non è assistito da sanzione penale, ma sarebbe errato attribuirgli un valore esclusivamente programmatico, in quanto funge da rilevante criterio interpretativo per gli obblighi particolari di cui al secondo comma.

[12] La Cassazione ribadisce che “chiunque, anche estraneo, possa essere soggetto al rischio ambientale sul luogo di lavoro, deve poter usufruire di adeguata protezione” (Cass., sez. IV pen., 12 gennaio 1990); inoltre, “il rischio derivante dallo svolgimento di un’attività lavorativa, cui sono esposti i terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro, deve essere coperto da chi organizza il lavoro” (Cass., sez. IV pen., 4 maggio 1993).

[13] Cfr. Tursi, voce Unità produttiva, in Dig. IV ed., Disc. priv., Sez. Comm., XVI, Torino, 1999, p. 294 ss.

[14] Nel contesto della normativa prevenzionistica, l’espressione luogo di lavoro è quanto mai ampia, essendo atta a comprendere non solo il posto di lavoro in cui si svolge la prestazione lavorativa, ma altresì tutti gli ambienti interni ed esterni funzionalmente connessi all’azienda o all’unità produttiva, in quanto accessibili al lavoratore. L’ art. 30, comma 1, d.lgs. n. 626 del 1994, infatti recita: “Ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui al presente titolo si intendono per luoghi di lavoro: a) i luoghi destinati a contenere posti di lavoro, ubicati all’interno dell’azienda ovvero dell’unità produttiva, nonché ogni altro luogo nell’area della medesima azienda ovvero unità produttiva o comunque accessibile per il lavoro”.

[15] Nel titolo III del d.lgs. n. 626 del 1994, viene data attuazione alla direttiva n. 89/655/CE, ovvero alla seconda direttiva particolare emanata ai sensi dell’art. 16.1 della direttiva quadro 89/391/CE. Tale direttiva è stata modificata, inizialmente, con la direttiva n. 96/63/CE (attuata con il d.lgs. 4 agosto 1999, n. 359) e, successivamente, dalla direttiva n. 01/45/CE, in attuazione della quale è stato emanato il d.lgs. 8 luglio 2003, n. 235 (in vigore dal 19 luglio 2005).

[16] Opportunamente integrate con le prescrizioni infortunistiche contenute nel d.P.R. n. 547 del 1955 (art. 41 ss.), le disposizioni del Titolo III del d.lgs. n. 626 del 1994 individuano alcuni importanti obblighi generali che datori e lavoratori sono tenuti ad osservare nell’utilizzo delle attrezzature di lavoro, che sono tali in quanto siano effettivamente usate per lo svolgimento dell’attività lavorativa. Per completezza di ragionamento, occorre rilevare come, rispetto alla direttiva comunitaria, siano mancanti le definizioni di lavoratore esposto (qualsiasi lavoratore che si trovi interamente o in parte in una zona pericolosa) e di operatore (il lavoratore incaricato dell’uso di una attrezzatura di lavoro).

[17] Indicazioni legislative in merito ad una possibile gestione ed organizzazione delle emergenze risalgono al d.m. 31 luglio 1934 sull’impiego e sulla manipolazione degli oli minerali. Successivamente, intervengono in argomento, l’art. 48 del d.P.R. n. 185 del 1964 sull’uso pacifico dell’energia nucleare e l’art. 5 del d.P.R. n. 175 del 1988 che esplicitamente parla dell’obbligo di predisporre piani di emergenza in capo ai gestori di impianti o attività a rischio di incidente rilevante.

[18] Il piano di emergenza non è un documento riservato alla sola direzione aziendale, ma deve essere noto ai lavoratori, soprattutto a quelli chiamati a svolgere un ruolo attivo all’interno della gestione delle emergenze. Meglio ancora, sarebbe importante predisporre una sua adeguata e capillare diffusione, ed eventualmente discussione, all’interno dell’azienda, così da favorire una forte collaborazione da parte di tutto il personale, anche al fine di verificare la reale fattiva applicabilità delle misure in esso indicate.

[19] Per dimensionare adeguatamente le misure contenute in un piano di emergenza e definirne il necessario livello di complessità occorre anche studiare e valutare le possibili conseguenze degli eventi incidentali, che vanno dunque differentemente considerati in ragione della loro potenziale gravità.

[20] A questo proposito, va evidenziato che, ai sensi dell’art. 14 d.lgs. n. 626 del 1994, il lavoratore che, in caso di pericolo grave, immediato e che non può essere evitato, si allontana dal posto di lavoro ovvero da una zona pericolosa, non può subire pregiudizio alcuno e deve essere protetto da qualsiasi conseguenza dannosa; allo stesso modo, il lavoratore che, sempre in caso di pericolo grave ed immediato e nell’impossibilità di contattare il superiore gerarchico, prende misure per evitare le conseguenze di tale pericolo, non può subire pregiudizio per tale azione, a meno che non abbia commesso una grave negligenza. Non si devono, infatti, dimenticare gli obblighi che derivano al lavoratore dall’applicazione dell’ art. 5 d.lgs. n. 626 del 1994, e quelli che sono connessi alla specifica posizione di garanzia dallo stesso assunta, per designazione del datore di lavoro, per l’attuazione delle misure di cui all’ art. 4, comma 5, lett. a. Va altresì ricordato che tutti i comportamenti che il datore deve tenere per la corretta redazione del piano qui richiamati, in caso di inadempienza, sono penalmente sanzionati con arresto o ammenda.

[21] L’inadempimento di tali obblighi è sanzionato con la pena dell’arresto o dell’ammenda, diversamente articolata nel caso di responsabilità dei datori di lavoro e dei dirigenti oppure dei preposti.

[22] Il datore di lavoro, qualora la sua azienda rientri nel gruppo A, invia comunicazione all'Azienda unità sanitaria locale territorialmente competente per la predisposizione degli interventi di emergenza. Ai fini della classificazione delle aziende, ovvero delle unità produttive, la circolare del Ministero della salute 3 giugno 2004, precisando preliminarmente che il d.lgs. n. 626 del 1994 definisce le unità produttive come “stabilimento o struttura finalizzata alla produzione di beni o servizi, dotata di autonomia finanziaria e tecnico-funzionale”, osserva come sia necessario considerare tutti i lavoratori dell’azienda; se l’azienda o l’unità produttiva svolge attività lavorative comprese in gruppi diversi, per identificare la categoria di appartenenza, il datore di lavoro deve riferirsi all’attività con indice più elevato.

[23] Gli Allegati I e II del d.m. n. 388 del 2003 individuano i contenuti minimi sia della cassetta di pronto soccorso sia del pacchetto di medicazione; in tal modo risultano superate le precedenti disposizioni stabilite nel decreto ministeriale 28 luglio 1958.

[24] Come dispone l’art. 32 del d.P.R. n. 303 del 1956, il datore di lavoro deve assicurarsi periodicamente della perfetta efficienza dei presidi. Non si deve mai dimenticare che, trattandosi di dotazioni minime, peraltro differenti dal punto di vista qualitativo e quantitativo, i presidi ivi contenuti devono essere integrati in relazione ai rischi presenti e alle dimensioni dell’azienda o unità produttiva. L’integrazione dei materiali sanitari contenuti nella cassetta di medicazione è effettuata a cura del datore su indicazione del medico competente (ove previsto) e del sistema di emergenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale; in ogni caso, il datore deve costantemente garantire la completezza ed il corretto stato d’uso dei presidi contenuti. Anche in relazione al pacchetto di medicazione, il medico competente collabora con il datore per assicurare costantemente la completezza ed il corretto stato d’uso dei presidi ivi contenuti.

[25] La formazione dovrà tendere ad aiutare i lavoratori designati a svolgere un ruolo di “attesa attiva”, limitandosi ad evitare l’aggravarsi dei danni già eventualmente instaurati, rinunciando ad atteggiamenti eccessivamente “interventistici”, fatta eccezione per quanto concerne problemi oculari, ferite, emorragie, ustioni, arresto cardio-respiratorio e perdita di conoscenza.

[26] L’articolo 40, comma 23, dell’IPCL, recita che “L’improvvisa mancanza o il malore del macchinista che non possa essere sostituito deve considerarsi come caso di guasto di locomotiva per cui occorre soccorso. Se il fatto avviene in linea, il treno può essere condotto fino alla prossima stazione dall’aiuto macchinista di qualifica, purché questi si dichiari capace di farlo, coadiuvato da un agente del treno in eventuali mansioni di fatica”.

[27] Trattasi di apparecchiatura che, utilizzando come veicolo di trasmissione il filo della linea aerea dell’alta tensione, garantiva un contatto costante treno-terra, tanto da assicurare in ogni possibile frangente di lanciare un segnale di prudenza generalizzato in caso di pericolo, segnale che imponeva a tutti i treni circolanti una restrizione di velocità (marcia a vista e velocità massima di 30 km/h).

[28] Il GSM-R – dove R sta per Railway – è uno standard di cui il gestore dell’infrastruttura, RFI, è proprietario. Sull’importanza di garantire un sistema di comunicazione efficiente, soprattutto all’interno delle gallerie ferroviarie, idoneo a garantire la comunicazione radio tra il personale a bordo dei treni e tra questo ed il centro di controllo, vedi il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 28 ottobre 2005 (“Sicurezza nelle gallerie ferroviarie”). Cfr. anche il Piano di sicurezza 2007 di Trenitalia.

[29] Coordinamento tecnico interregionale della prevenzione nei luoghi di lavoro, Primi indirizzi applicativi del Decreto ministeriale 15 luglio 2003 n. 388.

[30] Cfr., Coordinamento tecnico interregionale della prevenzione nei luoghi di lavoro, Primi indirizzi applicativi del Decreto ministeriale 15 luglio 2003 n. 388.

[31] Il contrasto tra la situazione descritta e quanto previsto dall’articolo 15 del d.lgs. n. 626 del 1994 che impone al datore di lavoro di adottare i provvedimenti necessari in tema di pronto soccorso e di emergenza sanitaria è evidente. V. amplius la Relazione del Coordinamento tecnico interregionale della prevenzione nei luoghi di lavoro sullo studio del VACMA.

[33] Il sistema costruito sui decreti degli anni cinquanta, fondati su un modello prevenzionale quasi integralmente oggettivo, si basava sulla regola di una prevalente tassatività (ed inderogabilità) delle misure prescelte dal legislatore, che provvedeva in anticipo ad una valutazione generale della pericolosità in modo uniforme per tutte le aziende. La tassatività rimane tuttora per le misure “vecchie” e per quelle che vengono individuate dalla normativa attuale come le c.d. norme tecniche, nonché per le prescrizioni minime.

[34] Nel suo ampio concetto, per misura prevenzionale deve intendersi qualsiasi attività che abbia come fine la sicurezza dei lavoratori, come, ad esempio, l’informazione e la formazione dei lavoratori, l’uso dei mezzi di protezione, i principi dell’art. 3 del decreto. Esse sono altresì suscettibili di varie classificazioni: tecniche (apprestamenti materiali, macchine, componenti di sicurezza, ponteggi, opere provvisionali, impianti attrezzature, dispositivi di protezione individuale, strutturazione dei posti di lavoro, misure igieniche), organizzative e gestionali (ritmi e carichi di lavoro, metodologie produttive, controlli, divieti), procedurali (modalità lavorative, piani di sicurezza) collettive e individuali, oggettive (macchine attrezzature, ambienti, dispositivi) e soggettive (allontanamento dei lavoratori esposti al rischio, controllo sanitario, formazione ed istruzioni, vigilanza e controlli).

[35] In dottrina, cfr. Montuschi, La sicurezza nei luoghi di lavoro, ovvero l’arte del possibile, in Lav. dir., 1995, p. 413 ss., e Romei, in Montuschi (a cura di), Ambiente, salute e sicurezza, cit., p. 96.

[36] L’aggettivo idoneo, con i sinonimi di appropriato, adatto, adeguato, ricorreva anche nella normativa pregressa (ad esempio negli artt. 124, 138, 379 e ss. del d.P.R. n. 547 del 1955, e negli artt. 5, 7, 10, 11, 13 del d.P.R. n. 164 del 1956).

[37] In giurisprudenza cfr.: Corte cost., 25 luglio 1996, n. 312, in Mass. giur lav., 1996, p. 503; Corte cost., 27 aprile 1988, n. 475, in Mass. giur. lav., 1988, p. 621; Cass. pen., 11 aprile 1992, n. 4488, in Dir. prat. lav., 1992, p. 1769. In dottrina cfr. Natullo, La massima sicurezza tecnologica, in Dir. prat. lav., 1997, p. 817; Marando, Il sistema vigente del diritto della sicurezza del lavoro, Milano, 2006, p. 213 ss.