Cassazione Penale, Sez. 2, 10 aprile 2009, n. 15641 - Responsabilità amministrativa degli enti per fatti penalmente illeciti commessi dagli amministratori


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BARDOVAGNI Paolo - Presidente -
Dott. BARTOLINI Francesco - Consigliere -
Dott. MACCHIA Alberto - Consigliere -
Dott. DIOTALLEVI Giovanni - Consigliere -
Dott. RAGO Geppino - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
1) La F. SOC. COOP. A.R.L.;
avverso ORDINANZA del 01/12/2008 TRIB. LIBERTA' di BARI;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dr. BARTOLINI FRANCESCO;
sentite le conclusioni del P.G. PASSACANTANDO Guglielmo, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentiti i difensori avv. Lecis Ugo e avv. Francesco Paolo, del foro di Milano, che hanno chiesto l'annullamento dell'ordinanza impugnata.

Fatto


Con ordinanza del 18 aprile 2005, il GIP del Tribunale di Bari dispose nei confronti della cooperativa a responsabilità limitata "La F." e della società per azioni "D. s.p.a." la misura cautelare dell'interdizione per un anno dall'esercizio dell'attività, contestualmente sostituita con la nomina di un commissario giudiziale, per analoga durata, ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 45, sulla responsabilità amministrativa degli enti per fatti penalmente illeciti commessi dagli amministratori.
Il provvedimento fu emesso nel contesto di un procedimento riguardante una associazione delinquenziale volta alla commissione di reati per l'aggiudicazione di appalti pubblici di servizi di pulizia ed ausiliariato, banditi, in particolare, da comuni e da aziende sanitarie pugliesi. Nell'ordinanza si rilevava l'esistenza di un complesso sistema di corruzione che, con la complicità di funzionar della Pubblica Amministrazione, aveva consentito alle due società di aggiudicarsi lucrosi appalti e di ottenerne illecitamente la prosecuzione senza l'osservanza delle regole vigenti a garanzia della trasparenza dell'azione amministrativa; avendo dovuto, a titolo di scambio per i favori ottenuti, assentire a richieste clientelari provenienti dai funzionari corrotti, quali quelle di fornire lavoro a persone a costoro vicine. E nella stessa vicenda si rilevavano indizi gravi di responsabilità delle società in relazione ai reati di truffa aggravata, ai danni dello Stato, e di corruzione, commessi nell'interesse delle dette società da soggetti aventi in esse funzioni di rappresentanza, di amministrazione e di gestione, anche di fatto.
Su impugnazione dei difensori, il Tribunale di Bari, in funzione di giudice del riesame, confermò nella sostanza il provvedimento, che venne modificato quanto alla durata della misura cautelare (ridotta a sei mesi) e quanto a riferibilità della responsabilità amministrativa delle due società ai soli reati di corruzione.
La Corte di Cassazione, con sentenza 23 giugno 2006, n. 32627, annullò senza rinvio l'ordinanza del Tribunale nella parte relativa alla s.p.a. "D." ed annullò con rinvio la medesima ordinanza nella parte riguardante la cooperativa "La F.". Nel frattempo, in data 27 luglio 2005, il GIP del Tribunale di Bari aveva revocato la misura interdittiva ma con lo stesso provvedimento aveva ordinato alla società di adottare i modelli organizzativi predisposti dal commissario giudiziale, di risarcire il danno arrecato alle pubbliche amministrazioni appaltanti e di restituire il profitto illecito conseguito, con incarico al commissario giudiziale di verificare l'effettivo adempimento delle prescrizioni. Nella sentenza di annullamento con rinvio, concernente la cooperativa "La F.", la Corte di Cassazione affermò che nonostante questa revoca permaneva un interesse della società ad impugnare il provvedimento cautelare;
e che, comunque, non è consentito al giudice, nel revocare la misura cautelare interdittiva, di imporre ad un ente l'adozione coattiva di modelli organizzativi.
Il rinvio al Tribunale di Bari ha trovato ragione nella ravvisata omessa motivazione occorrente a dar conto della sussistenza dei gravi indizi di responsabilità della società cooperativa in via amministrativa per fatti di reato perpetrati da soggetti aventi con essa relazioni apicali o comunque rispondenti a quelle richieste dalla legge. Il Tribunale del riesame, si è osservato nella sentenza, aveva fatto riferimento e rinvio all'ordinanza con la quale era stata ristretta la libertà di alcuni soggetti in allora indagati, senza svolgere osservazioni autonome a proposito della situazione riguardante la società. Una siffatta motivazione per relationem ai gravi indizi di colpevolezza per reato non si giustificava, si è affermato, in un procedimento a carico di persone giuridiche. E, nel caso specifico, se una motivazione siffatta poteva fornire indicazione dei gravi indizi riferiti ai reati presupposti, essa aveva poi condotto a trascurare: la trattazione dell'interesse e del vantaggio conseguito dall'ente in conseguenza dei fatti di reato;
il ruolo ricoperto in concreto dai vari soggetti gestori o dipendenti della società e, quindi, il modello di imputazione della responsabilità all'ente; l'eventualità che i detti soggetti potessero avere perseguito un interesse esclusivamente personale; il requisito costituito dall'essere stato conseguito un profitto di rilevante entità o dall'essere stata perpetrata una serie reiterata di reati. Una ulteriore ragione di vizio di motivazione nell'ordinanza impugnata è stata ravvisata nell'avere il Tribunale sostenuto che l'interesse della cooperativa "La F." sarebbe derivato anche dai reati commessi a vantaggio della "D. s.p.a.", che è stata descritta come società facente capo allo stesso gruppo dirigenziale della cooperativa e da questa, sostanzialmente, controllata. Ha osservato la Corte che di questo rapporto tra le due società non esisteva alcuna contestazione nei capi di imputazione dei reati presupposti e che del detto rapporto non era stata fornita alcuna allegazione o dimostrazione.
La sentenza del giudice di legittimità ha rinviato per una nuova deliberazione al Tribunale di Bari, con un sintetico dispositivo che deve essere integrato quanto meno da quella che è la conclusione finale che si legge nella decisione: "In conclusione, l'ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Bari per un nuovo esame relativo ai gravi indizi, da compiere tenendo conto dei principi innanzi indicati. Lo stesso giudice all'esito di questo esame valuterà, se del caso, la sussistenza attuale delle esigenze cautelari".
Il Tribunale di Bari, in sede di rinvio, ha affermato che già, sugli aspetti indicati nella sentenza rescindente, era stato motivato e nel suo provvedimento ha richiamato i punti della precedente ordinanza nei quali erano stati esaminati gli aspetti concernenti i ruoli ricoperti dai vari imputati nell'ambito della società cooperativa;
l'interesse ed i vantaggi ottenuti da questa, che si era imposta in situazione di dominanza sul mercato; la ricorrenza dei gravi indizi di responsabilità e delle esigenze cautelari, rimaste nonostante i mutamenti nei vertici amministrativi della società; ed, infine, l'esistenza di un rapporto stretto tra la cooperativa e la "D. s.p.a.", che consentiva di riferire ad utilità della cooperativa anche i reati commessi nella gestione della società per azioni.
Il Tribunale ha conseguentemente rigettato l'appello proposto avverso l'originaria ordinanza del GIP. Ha proposto ricorso per Cassazione il difensore della cooperativa "La F.", oggi incorporata nella società cooperativa per azioni "La Cascina".
I motivi di impugnazione si risolvono, essenzialmente, nel rilievo per cui il giudice del rinvio non avrebbe adempiuto al ruolo demandatogli con la sentenza di annullamento. Il Tribunale, si rileva, ha criticato la sentenza della Corte di Cassazione; non ha compiuto un nuovo esame sulle questioni indicategli ma ha richiamato il contenuto del provvedimento precedente, che era stato annullato;
non si è uniformato alle questioni di diritto decise dalla sentenza rescindente, posto che di nuovo ha adottato una motivazione per relationem, non ha argomentato relativamente alla sussistenza di un rapporto qualificato tra l'ente e i diversi autori dei reati presupposti nè ha posto in luce il preteso interesse della cooperativa; infine, lo stesso tribunale ha insistito nel trarre elementi di ricorrenza di un tale interesse dalle asserite relazioni tra la cooperativa e la "D. s.p.a.", in inosservanza del divieto espresso contenuto al riguardo nella sentenza di legittimità.
Si chiede, dunque, l'annullamento dell'ordinanza impugnata.
All'udienza dinanzi alla Corte il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso. I difensori hanno preliminarmente chiesto un differimento del giudizio per consentire la riunione del procedimento a quello riguardante tale M.P., M. D. e R.P., già amministratori o gestori della società cooperativa La F.. La Corte ha disatteso l'istanza, trattandosi, nella presente sede, di verificare unicamente se il giudice del rinvio ha correttamente applicato l'art. 627 c.p.p..


Diritto

 

1). Il giudice di rinvio, dispone l'art. 627 c.p.p., decide con gli stessi poteri che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata e si uniforma alla sentenza della Corte di Cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa. Il procedimento penale ritorna, in sostanza, al grado ed alla fase in cui si trovava nel momento in cui fu pronunciato l'atto oggetto dell'annullamento; e quanto avvenuto posteriormente è privo di effetti e come se non fosse esistito, essendo questa la conseguenza giuridica nella quale si risolve l'annullamento. Con un fondamento di ragione si osserva nel ricorso che il Tribunale di Bari, giudice del rinvio, si è diffuso nella difesa della pronuncia annullata dalla Corte di Cassazione invece di affrontare direttamente le questioni deferitegli con il provvedimento di annullamento. Ed in effetti, la lettura dell'ordinanza barese 1 dicembre 2008 rivela che, dopo una puntualizzazione dei principi che ispirano il D.Lgs. n. 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti per i reati commessi dagli amministratori, il tribunale è sceso a svolgere una sorta di autogiustificazione del tutto estranea alla situazione ed al suo ruolo. Questo aspetto è stato colto dalla diligente difesa che ne fa l'argomento principale della propria critica. Reputa tuttavia la Corte che il provvedimento impugnato possa essere verificato espungendone quanto gli è superfluo ed avendo per obiettivo il solo controllo oggettivo della sua rispondenza al compito che al tribunale era stato assegnato.
2). La sentenza di annullamento 23 giugno 2006, n. 3267, demandava al giudice del rinvio un nuovo esame relativo ai gravi indizi di responsabilità della società cooperativa La F., nei cui confronti era stata disposta una misura cautelare interdittiva.
I gravi indizi costituivano, e costituiscono, il presupposto principale per l'applicazione della misura e il giudice di merito, in sede di riesame, non aveva esposto adeguatamente le ragioni in base alle quali aveva ritenuto la sussistenza di siffatti indizi, in quanto la sua motivazione di conferma della misura era riferita ai soli gravi indizi di colpevolezza degli amministratori per i reati ad essi addebitati: La Corte osservò, nella sentenza citata (paragrafo 8), che l'inadeguata valutazione riguardava un apprezzamento, da farsi, particolarmente complesso, in quanto il D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 45 subordina l'applicazione delle misure cautelari interdittive:
- alla sussistenza dei fatti reato che costituiscono il presupposto della responsabilità dell'ente;
- alla sussistenza dell'interesse o del vantaggio derivato all'ente da quei reati;
- al ruolo ricoperto in concreto dai soggetti indicati nel D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 5, comma 1, lett. a) e b) (modello di imputazione che differenzia i soggetti in posizione apicale da quelli in posizione diversa: artt. 6 e 7 del decreto);
- al fatto che i detti soggetti non abbiano agito nell'esclusivo interesse proprio o di terzi;
- all'avere l'ente conseguito un profitto di rilevante entità ovvero, in alternativa, all'avere l'ente reiterato nel tempo gli illeciti.
Tanto precisato, la Corte muoveva al provvedimento in allora impugnato un triplice e specifico appunto.
Essa rilevava:
a) che nella vicenda esaminata il giudice del riesame, nel rispondere alle doglianze difensive, non aveva correttamente valutato il rapporto qualificato dell'ente con i diversi autori dei reati (punto 8.1 della sentenza);
b) che in relazione al requisito dell'interesse o vantaggio della società aveva erroneamente tenuto conto delle utilità conseguite attraverso la società "D. s.p.a." senza che risultassero i collegamenti di questa con la cooperativa La F. (punto 8.2);
c) e che non aveva pronunciato in ordine al requisito negativo costituito dall'interesse esclusivo degli autori del reato, in forza del quale la responsabilità dell'ente è esclusa perchè viene meno la possibilità di una qualsiasi rimproverabilità nei suoi confronti (punto 8.3).
Così ricostruito l'antefatto nei suoi termini essenziali, l'ordinanza del giudice del rinvio può essere esaminata nel suo contenuto sostanziale, tenuto conto delle osservazioni svolte nel ricorso.
3 - a). Un punto può darsi per sufficientemente certo, indipendentemente dai richiami più o meno espliciti effettuati nelle motivazioni dei giudici di merito. La responsabilità amministrativa della società cooperativa La F. risulta univocamente collegata alla responsabilità penale di soggetti chiamati a rispondere di reati di corruzione perpetrati nelle loro vesti di amministratori, legali o di fatto, della società stessa. Tanto si desume dal contenuto delle imputazioni penali e tanto era chiarito con una motivazione che, proprio perchè fondata su questo assunto e stesa per relationem alla ordinanza applicativa delle misure restrittive delle libertà personali, è stata considerata idonea a dimostrare la sussistenza dei reati presupposto ma diversa da quella che ancora poi occorre per dimostrare i gravi indizi di colpevolezza in via amministrativa per l'ente. Il punto è comunque sviluppato, anche se con una ingiustificata vena polemica, nell'ordinanza impugnata a pag.
10, n paragrafo 2), ove si ricordano le qualifiche assunte, spesso senza una formale investitura, dai vari soggetti imputati dei delitti di corruzione e si menzionano chiaramente i collegamenti di costoro con la società cooperativa Non a torto l'ordinanza affermava che la stessa lettura dei capi di imputazione riportati nel provvedimento di applicazione della misura cautelare nei confronti delle persone fisiche dava ragione dei fatti illeciti in addebito e dei rapporti tra i soggetti autori di essi e la cooperativa. E, in ogni caso, la stessa ordinanza impugnata si diffonde nel richiamare il contenuto di quei capi di imputazione ed il contenuto di quei rapporti, con una esposizione che può effettivamente essere considerata esaustiva e pienamente rispondente alle richieste della sentenza rescindente (pagg. 12 e 13 ord. imp.).
3 - b). La stessa sentenza di annullamento riconosceva che nella vicenda di specie era sussistente il requisito costituito dall'entità rilevante del profitto conseguito dalla cooperativa (paragrafo 6). Pur depurato della quota pertinente alla "D. s.p.a.", essa affermava, il valore reale degli appalti, acquisiti dalla società e di cui alla tabella riassuntiva a pag. 38 dell'ordinanza del tribunale del riesame, rivelava di per sè l'esistito provento rilevante, determinato, per di più, dalla posizione di quasi monopolio raggiunta sul mercato pugliese degli appalti di pulizia e ausiliariato. Anche sulla questione concernente il requisito suddetto, pertanto, esiste in atti una risposta, autorevole e sufficiente a smentire le osservazioni critiche di parte ricorrente. E' vero che la nuova ordinanza del Tribunale di Bari, oggi impugnata, è tornata a disquisire sui proventi ricavati attraverso la società asseritamente collegata o controllata "D. s.p.a.", contro l'esplicito divieto giunto dalla sentenza rescindente. Ma deve peraltro riconoscersi che la sussistenza di un profitto rilevante comunque emergeva già dalle premesse svolte nella sentenza annullatrice; e che quanto riguarda i rapporti tra La F. e la "D. s.p.a." rappresenta un quid pluris che non vizia il quadro dei riferimenti e, se mai, aggiunge ad esso circostanze superflue, tralasciabili senza alcuna ripercussione sul nocciolo essenziale del problema risolto.
3-c). Il requisito rappresentato dal non avere agito i soggetti autori dei reati presupposti per un fine esclusivamente personale o comunque estraneo a quelli istituzionali dell'ente è, nella ratio ispiratrice del D.Lgs. n. 231 del 2001, rivolto ad evitare che l'ente venga coinvolto nelle azioni illecite degli amministratori e soggetti equiparati in qualità di responsabile di questi illeciti mentre in realtà può risultarne soltanto una vittima: circostanza che si verifica quando l'ente è utilizzato come schermo dietro al quale agiscono soggetti che utilizzano la compagine sociale come semplice strumento per fini personali. Nella vicenda che riguarda La F. la necessità di una motivazione sul punto trovava specifica ragione nell'accertata attività di taluni dei soggetti in posizione di agire per essa volta ad impiegare a profitto personale le utilità conseguite in base agli appalti ottenuti dalla cooperativa. Su questo punto la sentenza di annullamento addebitava al tribunale del riesame una incertezza ed una equivocità espositiva, colte nel non avere adeguatamente chiarito se la società era stata sfruttata a vantaggio personale degli amministratori, se essa fosse stata addirittura una creatura fittizia, se fosse rimasta vittima di soggetti criminali o se essa stessa avesse natura illecita. Sul punto il giudice del rinvio non si è particolarmente diffuso ma ha ricordato (paragrafo 3, pag. 10) che già dall'ordinanza applicativa della misura interdittiva si comprendeva come ogni azione delittuosa costitutiva dei reati presupposto era preordinata all'aggiudicazione "pilotata" di milionari appalti a favore della "La F.", in ciò dovendosi cogliere la finalizzazione della condotta degli autori di quei reati al perseguimento di un interesse diretto della cooperativa, riuscita a conquistare con tali metodi illegali una posizione di quasi monopolio sul mercato pugliese di un certo tipo di appalti. E, sotto un profilo logico, se, come faceva la stessa sentenza di annullamento, si riconosce che la cooperativa ha conseguito dalle attività delittuose di pochi un profitto di rilevante entità, implicitamente si ammette che un profitto per la cooperativa è esistito e che dunque chi agiva ha fatto realizzare alla cooperativa un vantaggio di essa e non un vantaggio a lui personale ed esclusivo.
4) La più volte ricordata sentenza di annullamento demandava al giudice del rinvio altresì la valutazione di attuale sussistenza delle esigenze cautelari. In realtà, questa disposizione della Corte andava oltre l'opportunità del caso, dato che la misura interdittiva era da tempo caduta e che l'unico interesse ravvisato a discuterne in giudizio concerneva gli allora presupposti per ordinarla. In ogni caso, l'ordinanza del tribunale del rinvio ha risposto sul punto (paragrafi 6, 7, 8 ord.) ed al riguardo non sono stati proposti motivi di ricorso.
In definitiva, una volta sfrondata dalle considerazioni dovute a risentimenti puerili e ricondotta sul piano del mero diritto, l'ordinanza oggetto della presente impugnazione va riconosciuta esente da vizi ed errori motivazionali. Il ricorso va rigettato, con conseguente accollo delle spese processuali alla ricorrente.

P.Q.M.


Visti il D.Lgs. n. 231 del 2001; gli artt. 615 e 616 c.p.p.; rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 5 marzo 2009.
Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2009