Tribunale di Milano, GUP D'Arcangelo, 03 gennaio 2011 - Contenuto dei modelli di organizzazione e gestione





REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO
SEZIONE GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI


IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI

nella persona del giudice dott. Fabrizio D'Arcangelo all'esito della udienza camerale del 3.11.2010 ha pronunziato la seguente

S E N T E N Z A



nel giudizio abbreviato di primo grado nei confronti di
(X) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso il difensore di fiducia ... difesa di fiducia da ...

I M P U T A T A
a) ai sensi dell'art. 5 lett. a), 25 ter lett. c), r) ed s), D.Lgs. n. 231/01 per il reato contestato ai capi a),
b) e c) - da intendersi qui integralmente trascritti - dei reati commessi nell'interesse dell'ente da (A) a.d. e (B) direttore generale nella loro qualità di soggetti svolgenti funzioni di rappresentanza, amministrazione e direzione di (X), come specificato nel già richiamato capo a) in relazione ai seguenti delitti presupposto contestati a
(A) in concorso con (B) (il secondo limitatamente alla prima fattispecie) b) del delitto previsto dall'art. 81 cpv., 110 c.p., 2638 commi 1, 2 e 3 c.c. perché, in qualità di amministratore delegato dal 2004 al giugno del 2008 (A) e di direttore generale nonché responsabile dell'Area Finanza (nel cui ambito era riconducibile la responsabilità riguardante l'operatività in contratti derivati) dal novembre del 2005 fino al giugno del 2008 (B), di (X) S.p.A., società quotata alla borsa di Milano, al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni di vigilanza di Banca Italia e CONSOB al cui controllo la società era sottoposta per legge, rappresentava in occasione della richiesta a Banca Italia di autorizzazione alla negoziazione per conto proprio di strumenti finanziari cd derivati datata 3.11.2006 e nella nota integrativa al bilancio dell'esercizio chiuso il 31.12.2006 fatti non conformi al vero in ordine alle caratteristiche di tali strumenti finanziari e in ordine alla organizzazione della banca circa la predisposizione di un assetto organizzativo idoneo a garantire gli investitori sulla natura e sui rischi delle operazioni. In particolare rappresentava agli organi di vigilanza gli IRS (contratti derivati) conclusi come operazioni con esclusive finalità di copertura dei rischi della clientela, senza evidenziare le componenti c.d. esotiche che introducevano nei contratti fattori di elevata rischiosità, che li rendevano del tutto inadatti alle predette finalità di copertura. In tal modo impedendo nei fatti a Banca Italia di valutare gli elementi di rischiosità ed instabilità della Banca (patrimoniali, legali e reputazionali) conseguenti alla suddetta operatività. In Milano nel 2006 e fino al maggio 2007.
- a1) perché nell'ambito delle segnalazioni trimestrali di vigilanza alla Banca d'Italia relative alla concentrazione dei rischi, previste in base alla legge (artt. 51, 53 TUB circolare n. 229 del 21.4.1999), riferite al primo e al secondo trimestre 2005, trasmesse da (X) S.p.A. quale capogruppo del Gruppo (X) (comprendente . S.p.A., . S.p.A., . S.p.A.) esponeva fatti materiali non rispondenti al vero sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria del Gruppo, ovvero allo stesso fine occultava con altri mezzi fraudolenti fatti che avrebbe dovuto comunicare, in particolare nella comunicazione riferita al 31.3.2005:
- con riguardo all'esposizione del "Gruppo (X)" verso il "Gruppo segnalava unicamente che l'esposizione verso ... S.r.l. (appartenente al menzionato Gruppo...) ammontava a €. 124 milioni, pari al 23,89% del patrimonio di vigilanza, mentre ometteva di segnalare tra i grandi rischi riferiti al medesimo Gruppo ... le esposizioni della controllata ... verso ... S.p.A. per €. 100 milioni, verso ... S.r.l. per €. 28,5 mln., verso ... S.r.l. per €.45 mln. (tutti soggetti da ricondurre al menzionato Gruppo (Y)), nonché ometteva di aggregare in un'unica segnalazione riferita al Gruppo (Y) le esposizioni di (X) e ... verso ... S.r.l. e ... S.r.l.(anch'essa da ricondurre al menzionato Gruppo), talché veniva occultato che l'esposizione complessiva del Gruppo (X) verso il Gruppo (Y) ammontava a €. 30,5 mln pari al 63,7% del patrimonio di vigilanza (o comunque oltre il limite consentito del 25%)
- con riguardo all'esposizione del Gruppo (X) verso ... S.p.A. ("Gruppo (Z)") segnalava che la stessa ammontava a €. 69,7 mln. pari al 13,43 % del patrimonio di vigilanza, ponderando il rischio nella misura del 50% come consentito per leasing su immobili di tipo residenziale (mentre trattandosi di leasing su immobili di tipo commerciale la prescritta ponderazione è pari al 100% del rischio), ometteva di aggregare le esposizioni di (X) e delle controllate ... (per €.90 mln.) e ... (per €.83 mln.) verso ... S.p.A. e ... S.r.l. (appartenenti al Gruppo (Z)), nonché ometteva di segnalare tra i grandi rischi riferiti al medesimo Gruppo (Z) le esposizioni per complessivi €. 60 mln. della controllata ... verso ... S.p.A., ... S.r.l. e ... S.r.l. (tutte da ricondurre al Gruppo (Z)); talché veniva occultato che l'esposizione complessiva del Gruppo (X) verso il Gruppo (Z) ammontava a €. 282,5 mln. pari al 54,4% del patrimonio di vigilanza (o comunque oltre il limite consentito del 25% ); nella comunicazione riferita al 31.6.2005
- non segnalava alcuna posizione di rischio verso il Gruppo (Z) benché l'esposizione del Gruppo (X) verso detto Gruppo (Z) ammontasse ad €. 282 mln. pari al 35,8% del patrimonio di vigilanza (o comunque oltre il limite consentito del 25%), omettendo di aggregare in un'unica segnalazione di rischio l'esposizione di (X) e delle controllate ... e ... verso le seguenti società del Gruppo (Z): ...
S.p.A., ... S.r.l., ... S.r.l., ... S.p.A.;
- segnalava che l'esposizione del Gruppo (X) verso il Gruppo (Y) ammontava a €.151 milioni, pari al 19,2% del patrimonio di vigilanza, omettendo di segnalare tra i grandi rischi riferiti al medesimo Gruppo (Y) le esposizioni della controllata ... verso (Y) S.r.l. per €. 28,5 mln. e verso ... S.r.l. per €.244.000, talché veniva occultato che l'esposizione complessiva del Gruppo (X) verso il Gruppo (Y) ammontava a €. 179,724 mln. pari al 22,7% del patrimonio di vigilanza.
Con l'aggravante, con riferimento alla prima fattispecie contestata, dell'essere commesso il fatto in relazione ad una società quotata nel mercato regolamentato. In Milano il 31.3.2005 e 31.6.2005. (A) in concorso con (B)
c) del delitto previsto dagli artt. 110 c.p., 2622 comma 3 c.c. perché, in concorso tra loro, nelle rispettive qualità indicate al capo A), con l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per gli altri un ingiusto profitto, esponendo nel bilancio d'esercizio al 31.12.2006 e nella nota integrativa allo stesso bilancio fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazione, ovvero omettendo informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari sulla predetta situazione, cagionavano un danno patrimoniale alla società, ai soci e ai creditori; segnatamente
- nella nota integrativa al bilancio d'esercizio e al bilancio consolidato al 31.12.2006, fornivano un quadro non veritiero della operatività in derivati, riferendo che la società gestiva "nel proprio portafoglio di negoziazione solamente contratti derivati con i quali offre un servizio di copertura dal rischio di tasso alla propria clientela" senza l'assunzione di rischio di mercato, mentre si trattava in realtà di attività di negoziazione in conto proprio con assunzione per la maggior parte dei contratti di derivati di carattere speculativo privi di finalità di copertura (con assunzione diretta di rischi di controparte e legali);
- non indicavano - nella tabella allegata alla nota integrativa denominata "Portafoglio di negoziazione di vigilanza", in cui venivano ripartiti i derivati per tipologia - la presenza di opzioni di tipo "esotico" che invece caratterizzavano in misura del tutto prevalente l'attività in derivati della banca,
- non fornivano comunque le informazioni necessarie per la comprensione dei rischi collegati all'operatività in derivati,
- non operavano una congrua valutazione del rischio di credito nella determinazione del valore dei contratti derivati non quotati OTC con "fair value" positivo stipulati con la clientela, indicati per un ammontare di €. 233,3 mln., effettuando accantonamenti per svalutazione forfettaria di €. 8,3 mln. a fronte di una perdita effettiva stimabile quantomeno, sulla base di evidenze all'epoca disponibili, nella misura di €. 62,4 mln.;
- contabilizzavano nella voce 40 "commissioni attive" del conto economico ricavi per €. 185 mln. derivanti dall'incasso di cd. "up front" (ovvero indennizzi una tantum) corrisposti dalle banche cd. "prodotto" al momento della stipulazione di contratti derivati di valore negativo per la società, anche in sostituzione di contratti precedenti, così fornendo la falsa rappresentazione di ricavi già realizzati derivanti da attività di intermediazione in conto terzi anziché di origine valutativa e comunque frutto di una negoziazione in conto proprio (quindi da appostarsi alla voce 80 "risultato netto dell'attività di negoziazione" del conto economico);
- affermavano falsamente che "attività e passività, costi e ricavi non vengono compensati tra loro" mentre in realtà venivano effettuate nel conto commissioni attive compensazioni tra "up front" ricevuti e costi sostenuti per ristrutturazioni (cd. "unwinding") ed estinzione di derivati per l'importo complessivo di circa €. 58 mln., così non facendo emergere le relative perdite di negoziazione;
in tal modo alteravano in modo sensibile la rappresentazione economica, patrimoniale e finanziaria della società, in particolare occultando l'effettivo ammontare del rischio di controparte relativo ai contratti derivati con fair value positivo - appostando una svalutazione forfettaria di €.8,3 mln. a fronte di una perdita stimata dai CT del PM in misura prudenziale in €.62,4 mln. (con la semestrale al giugno del 2007 il rischio di controparte è stato valutato in €. 847) con pari riduzione del risultato netto di negoziazione, determinavano una variazione del risultato economico d'esercizio al lordo delle imposte superiore al 5% (utile dell'operatività corrente al lordo dell'imposte indicato in €. 166.031.169 in luogo di €. 103.600.000) e del patrimonio netto superiore all' 1%. (attività finanziarie detenute per la negoziazione indicate in €.455.149.111 in luogo di €. 393.000.000). con conseguente danno patrimoniale, reputazionale e legale; in particolare l'emergere delle occultate criticità costringeva (X), in tempo successivo ma assai prossimo all'approvazione del bilancio 2006, a rivalutare il rischio di credito con riguardo ai contratti derivati stipulati con la clientela portandolo da €.8,3 mln. a circa €. 600 mln. (comunicato B.I. del 8.6.2007) e a provvedere alla chiusura di contratti derivati con esborso nei confronti delle banche controparti di circa €. 610 mln. (comunicato B.I. del 29.6.2007).

(A) in concorso con (B)
d) del delitto di cui all'art. 185 D.L.vo 58 del 1998, perché diffondevano notizie false sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società, concretamente idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo ufficiale del titolo azionario - quotato sul Mercato telematico di Borsa Italiana S.p.A., prezzo cresciuto nella misura del 564% dal 9.6.2005, data di prima negoziazione, al 17.4.2007 data di approvazione del bilancio 2006, passando da €. 10,88 a quello di €. 52,28 (con correlativi ingenti benefici per l'A.D. (A), assegnatario di opzioni per 715.000 azioni, esercitabili tra il 2008 ed il 2010 al prezzo di €.9,3 l'una) -diffusione di informazioni false realizzata mediante le condotte descritte ai capi che precedono, ed in particolare attraverso la costante pubblicazione, nel periodo sopra indicato con comunicati rivolti al pubblico e sulla stampa, notizie in ordine all'incremento elevato dei ricavi e degli utili di (X), ed occultando il correlativo ed ingente rischio di credito, così fornendo al mercato una falsa rappresentazione dell'origine di parte rilevante
tali ricavi, rivenenti dall'operatività in derivati (72% dell'utile aziendale nel 2006); in particolare veniva reiteratamente evidenziato l'incremento dei ricavi, degli utili e delle commissioni nette, il contenimento e l'attenta gestione dei rischi, ed in genere la corretta gestione sociale coi comunicati di seguito indicati: 10.3.2006 - "Il C.d.A. di B.I. approva il progetto di bilancio consolidato al 31.12.2005 ed il nuovo piano industriale 2006/2008", 12.4.2006 "L'assemblea degli azionisti approva il bilancio di B.I. al 31.12.2005", 5.5.2006 -"Il C.d.A. di B.I. approva la relazione trimestrale al 31.3.2006", 28.7.2006 "Riunito il C.d.A. di B.I.", 8.9.2006 "Gruppo B.I., approvata la semestrale al 31.6.2006, 27.10.2006 "B.I.: riunito il C.d.A.. Approvata la relazione al 30.9.2006", 15.1.2007 "B.I. incrementa la nuova produzione al 31.12.2006", 16.3.2006 "Il C.d.A. approva il progetto di Bilancio Consolidato al 31.12.2006", 16.4.2007 "L'assemblea approva il bilancio di B.I. al 31.12.2006", 17.4.2007 "B.I. incrementa la nuova produzione al 31.3.2007", 11.5.2007 "Il C.d.A approva la relazione consolidata. Utile netto a 54,1 mln. di euro al
31.3.2007".
Con condotta continuata in Milano ed altrove fino al marzo del 2007.

CONCLUSIONI DELLE PARTI

L'Ufficio del Pubblico Ministero, nella persona dei dr. Roberto Pellicano e dr. Mauro Clerici, chiedeva procedersi alla declaratoria della responsabilità da reato dell'ente ed, esclusa la ricorrenza dei casi di riduzione della sanzione pecuniaria enunciati dall'art. 12 del D.Lgs. n. 231/01, alla condanna dello stesso alla sanzione pecuniaria di 1.500 (mille-cinquecento) quote; la Pubblica Accusa chiedeva altresì la confisca, anche per equivalente, del profitto del reato individuato in 100 (cento) milioni di euro, fatte salve le restituzioni ai soggetti danneggiati.
La Difesa di (X) S.p.A. chiedeva, in via principale, pronunciarsi sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste ed, in subordine, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 D.Lgs. 231/01 per contrasto con le disposizione di cui agli artt. 24 comma 1, 25 comma 2 e 27 commi 1 e 2 Cost., chiedeva di sospendere il processo e di rimettete alla Corte Costituzionale gli atti.

 

FattoDiritto



In data 16.3.2010 il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Milano chiedeva al Giudice dell'Udienza Preliminare emettersi decreto dispositivo del giudizio, tra l'altro, nei confronti di (A), in qualità di Amministratore Delegato dal 2004 al giugno del 2008 di (X) S.p.A., e di (B), in qualità di Direttore Generale nonché Responsabile dell'Area Finanza della medesima banca dal novembre del 2005 fino al giugno del 2008, per i delitti di manipolazione del mercato, di ostacolo alle funzioni di vigilanza e di false comunicazioni sociali. Al contempo la Pubblica Accusa contestava a (X) S.p.A. la responsabilità da reato ai sensi dell'art. 25 ter lett. c), r) e s) D.Lgs. n. 231/01 per gli illeciti amministrativi derivanti dai predetti delitti posti in essere, nell'interesse della società, da (A)
e da (B).
Alla udienza del 24.5.2010 l'Avv. ... in qualità di procuratore speciale chiedeva che il procedimento nei confronti di (X) S.p.A. fosse definito nelle forme del rito abbreviato ed il Giudice, letto l'art. 38 D.Lgs. 231/01, disponeva la separazione di tale posizione dalla originaria regiudicanda e dava lettura ai sensi degli artt. 438 c.p.p. e 62 D.Lgs. 231/01 dell'ordinanza di trasformazione del rito. Alla udienza del 9.6.2010 le parti discutevano in ordine alla questione della ammissibilità della costituzione di parte civile nel rito ex D.Lgs. 231/01 e, con ordinanza letta alla udienza dell'11.6.2010, il Giudice dichiarava la inammissibilità delle costituzioni di parte civile depositate dagli azionisti nei confronti di (X) S.p.A.
Alla udienza del 21.7.2010, le parti procedevano alla discussione e rassegnavano le conclusioni indicate in epigrafe.
Alla udienza del 3.11.2010, dopo aver assunto le repliche, il Giudice dava lettura del dispositivo della presente sentenza.



Nel sistema sanzionatorio delineato dal D.Lgs. 231/01 l'illecito dell'ente è strutturato su una fattispecie complessa costituita sul piano oggettivo da due elementi essenziali: la realizzazione di un reato presupposto ("espressamente" previsto nel catalogo delineato nella sezione III del capo I del D.Lgs. 231/01) da parte di un soggetto che abbia un rapporto qualificato con la persona giuridica e la commissione del reato nell'interesse o a vantaggio dell'ente stesso.
A questi elementi si aggiunge l'elemento "soggettivo" della colpa di organizzazione diversamente connotato a seconda che il delitto presupposto sia stato commesso da un soggetto in posizione apicale (art. 6 D.Lgs. 231/01) o sottoposto all'altrui vigilanza e direzione (art. 7 D.Lgs. 231/01). Si procederà, pertanto, di seguito ad esaminare i singoli elementi della fattispecie di responsabilità da reato dell'ente alla stregua del paradigma delineato dal legislatore per le ipotesi in cui il delitto presupposto sia commesso da soggetti apicali.
Nel caso di specie, infatti, i delitti presupposti di manipolazione del mercato, di ostacolo alle funzioni di vigilanza e di false comunicazioni sociali sono stati commessi da (A), in qualità di Amministratore Delegato dal 2004 al giugno del 2008 di (X) S.p.A., e da (B), nella duplice veste di Direttore Generale e di Responsabile dell'Area Finanza della medesima banca dal novembre del 2005 fino al giugno del 2008, e, pertanto, da soggetti che inequivocabilmente rivestivano funzioni di rappresentanza, di amministrazione e di direzione dell'ente nel senso accolto dall'art. 5 D.Lgs. 231/01.

Ancorché la difesa di (X) S.p.A. non abbia contestato i delitti presupposti (come emerge dalle conclusioni rassegnate alla udienza 21.6.2010 e dalla memoria depositata in tale sede) si procederà, dopo aver delibato le eccezioni processuali formulate, preliminarmente ed in via incidentale alla disamina della sussistenza di tali delitti e della loro commissione da parte di soggetti in posizione apicale nell'organigramma della banca.
La integrazione, nei suoi estremi soggettivi ed oggettivi, del delitto presupposto da parte di soggetti aventi un rapporto qualificato con l'ente costituisce, infatti, un elemento costitutivo dell'illecito amministrativo dipendente da reato al pari degli elementi dell'interesse e del vantaggio. La non contestazione da parte della difesa di (X) S.p.A. non elide, pertanto, la necessità di una verifica probatoria completa della sussistenza dei delitti contestati dalla Pubblica Accusa a (A) e ad
(B).
Parimenti non esime da una accurata disamina in tale sede della sussistenza dei delitti presupposti la circostanza che ad (B) con sentenza emessa dal Giudice dell'Udienza Preliminare in data 3.11.2010 (medio tempore divenuta irrevocabile) sia stata applicata la pena sospesa di due anni di reclusione e di euro 12.000 di multa per i delitti indicati in epigrafe, in quanto la sentenza di patteggiamento, pur essendo equiparata ad una pronuncia di condanna, non contiene il riconoscimento né il completo accertamento della colpevolezza dell'imputato (ex plurimis: Cass. 25.3.1998, n. 6, Giangrasso, Rv. 210872; Cass. 27.10.1999, n. 20, Fraccari, Rv.214640) e, pertanto, non può fare stato nel giudizio di responsabilità contro l'ente.

I) Le censure formulate dalla difesa in ordine alla indeterminatezza del capo di imputazione. La difesa di (X) S.p.A. in limine litis ha dedotto la nullità della contestazione formulata nei confronti dell'ente, in ragione della sua indeterminatezza e genericità.
Seconda la difesa istante la imputazione enucleata dalla Pubblica Accusa, infatti, si risolverebbe in "nulla più che un richiamo alle norme di legge assunte violate" senza indicare la condotta illecita ascritta all'ente.
"Il capo di imputazione omette invero di fornire qualunque indicazione di condotta in merito alla
colpa concretamente attribuibile all'ente" ed, in particolare, "nessun cenno è fatto al modello di gestione ed organizzazione adottato dalla Banca, nessun all'idoneità (o meno) dello stesso a prevenire delitti del tipo di quelli (che si ritiene essere stati) posti in essere..."; parimenti risulterebbe assolutamente assente la indicazione di "quale mai avrebbe dovuto (e potuto) essere il comportamento alternativo lecito esigibile e sulla scorta di quale regola cautelare che dovrebbe essere precisamente identificata e contestata".

L'eccezione è inammissibile prima ancora che integralmente infondata. La giurisprudenza di legittimità ha reiteratamente statuito che l'imputato del giudizio abbreviato incondizionato non può eccepire il vizio di genericità e indeterminatezza dell'imputazione, perché la richiesta incondizionata di giudizio abbreviato implica necessariamente l'accettazione dell'imputazione formulata dall'accusa (ex plurimis: Cass. 20.5.2009, n.32363, F., Rv. 245191; Cass. 20.2.2009, n.23771, Bilardi ed altri, Rv.245252).
La configurazione della richiesta incondizionata di giudizio abbreviato come un "diritto potestativo" dell'imputato ha come conseguenza che la scelta di essere giudicato allo stato degli atti, cioè in base a tutti gli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, comporta altresì l'accettazione necessaria della stessa imputazione formulata dall'accusa. In sostanza, la richiesta di cui all'art. 438 c.p.p. non può che riguardare anche l'imputazione contenuta nell'atto attraverso il quale il pubblico ministero ha esercitato l'azione penale. Ciò è confermato anche dalla disciplina sulle nuove contestazioni nel giudizio abbreviato, secondo cui dinanzi alle modifiche dell'imputazione ex art. 423 comma 1 c.p.p. l'imputato può chiedere che il procedimento prosegua nelle forme ordinarie, rinunciando così al rito speciale: questa regola evidenzia come l'opzione unilaterale di essere giudicato con un rito a prova contratta comprenda anche l'accettazione della stessa imputazione dalla quale l'imputato dovrà difendersi nel giudizio speciale, tanto è vero che la sua modificazione, anche relativa all'ipotesi in cui il fatto contestato risulti diverso da come descritto nell'imputazione, giustifica il ripensamento sulla iniziale richiesta e la conseguente revoca del provvedimento con cui il giudice aveva disposto il giudizio abbreviato. In questo modo, attraverso la disposizione contenuta nell'art. 441-bis c.p.p. si è riconosciuto a favore dell'imputato una sorta di affidamento sulla stabilità dell'accusa, garantendolo dai rischi di modifiche della contestazione originaria, in relazione alla quale ha deciso di richiedere il rito speciale.
Pertanto, una volta che sia stato introdotto il giudizio abbreviato sull'istanza dell'imputato, senza che vi sia stata alcuna modificazione dell'accusa da parte del pubblico ministero e senza che il giudice abbia rilevato vizi nella formulazione dell'imputazione, non residua all'imputato spazio per contestare l'imputazione stessa. D'altra parte, se ritiene l'accusa indeterminata e generica l'imputato non sceglierà il giudizio abbreviato, potendo in seguito eccepire la nullità dell'eventuale decreto di citazione a giudizio ai sensi dell'art. 429, comma secondo, c.p.p.
L'imputato, del resto, può già nell'udienza preliminare, prima di esternare la sue determinazioni in ordine all'accesso ai riti speciali, contestare l'imputazione che reputa carente nell'enunciazione del fatto e chiedere al giudice che solleciti il Pubblico Ministero a correggere ed integrare l'accusa (Cass., SS.UU., 20.12.2007, n.5307, P.M. in proc. Battistella, Rv.238239).
Peraltro la carenza o genericità dell'enunciazione del fatto, che l'art. 429, comma 1, lett. c) e comma 2, sanziona con la nullità, non integra una nullità di ordine generale, ma rientra nella categoria delle "nullità relative" previste dall'art. 181 c.p.p. (Cass., 21.9.1996, n. 9969, Pieroni, Rv. 206623; Cass., 25.3.2010, n. 20739, Di Bella, Rv. 207590) e la richiesta del rito speciale opera un effetto sanante della nullità ai sensi dell'art. 183 c.p.p. (ex plurimis: Cass., SS.UU., 26.9.2006, n.39298, Cieslinsky e altri, Rv. 234835), in quanto nel giudizio abbreviato può essere eccepito il solo vizio di nullità assoluta (Cass., 6.11.2000, n. 663, Palena, Rv. 217832).
Nessuna menomazione o pregiudizio del diritto di difesa di (X) S.p.A. è, peraltro, ravvisabile nel caso di specie, atteso che l'ente imputato ha potuto apprendere adeguatamente le contestazioni elevate dall'esame degli atti ed ha potuto compiutamente difendersi.
La difesa ha infatti svolto argomentate censure in ordine alla insussistenza dell'interesse o del
vantaggio della Banca nelle condotte criminose ascritte al (A) ed al (B), ha contestato in radice la sussistenza della colpa di organizzazione della Banca stessa, ha ampiamente argomentato (anche mediante il deposito di una memoria redatta dal Prof. Paolo Gualtieri e depositata in 19.7.2010) la adeguatezza delle scelte organizzative dell'ente al fine di scongiurare la commissione dei delitti contestati (sostenendo la inesigibilità di una diversa condotta organizzativa) ed ha, da ultimo, eccepito la illegittimità costituzionale dell'art. 6 D.Lgs. 231/01 per contrasto con gli artt. 24, comma primo, 25, comma secondo, e 27, commi primo e secondo, della Costituzione. In data 4.10.2010 la difesa ha, inoltre, depositato una ulteriore memoria intesa a contestare la fondatezza della richiesta di confisca formulata dalla pubblica accusa alla udienza del 21.6.2010.
La difesa, pertanto, ha contestato nel merito la sussistenza di tutti gli elementi di fattispecie, senza dimostrare di aver subito alcuna deminutio delle proprie facoltà di intervento e di interlocuzione.

Le censure mosse dalla difesa si rivelano, peraltro, giuridicamente infondate. La regola di responsabilità da reato degli enti è strutturata in modo tale che il tema della colpa di organizzazione, declinato secondo il paradigma dei modelli di gestione ed organizzazione, per gli illeciti commessi da soggetti in posizione apicale costituisca solo una causa di esonero da responsabilità (e, pertanto, un fatto estintivo) e non già un elemento della fattispecie ascrittiva della responsabilità (un fatto costitutivo).
Il D.Lgs. 231/01 all'art. 5 delinea, sotto il profilo dei criteri soggettivi di ascrizione della responsabilità, un sistema a due livelli; quello dei soggetti in posizione apicale (lett. a) e quello dei soggetti "sottoposti alla direzione o alla vigilanza" di uno dei soggetti apicali (lett. b). Qualora il delitto presupposto sia commesso da soggetti in posizione apicale, nel disegno del legislatore, la sussistenza dell'interesse (considerato dal punto di vista soggettivo) o del vantaggio (considerato dal punto di vista oggettivo) è sufficiente all'integrazione della responsabilità fino a quando sussiste l'immedesimazione organica tra dirigente apicale ed ente. Quest'ultimo non risponde allorquando il fatto è commesso dal singolo "nell'interesse esclusivo proprio o di terzi" (art. 5.2), non riconducibile neppure parzialmente all'interesse dell'ente, ossia nel caso in cui non sia più possibile configurare la suddetta immedesimazione.
Ad eccezione dell'ipotesi ora menzionata (art. 5.2) per non rispondere per quanto ha commesso il suo rappresentante l'ente deve provare di avere adottato le misure necessarie ad impedire la commissione di reati del tipo di quello realizzato.
Originano da questi assunti le inversioni dell'onere della prova e le previsioni probatorie di cui all'art. 6 D.Lgs. 231/01 e, specificamente, la necessità che l'ente fornisca innanzitutto "la prova che l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a tal fine" (D.Lgs. cit., art. 6, lett. a). In giurisprudenza è, peraltro, incontroverso che nella ipotesi di reato commesso da soggetto in posizione apicale è l'ente che deve fornire la prova della sua assenza di coinvolgimento e, pertanto, la prova della adeguata organizzazione e vigilanza si atteggia a vera e propria causa di esonero rispetto ad una fattispecie di responsabilità già di per sé integrata (ex plurimis: Cass. 20.12.2005, n. 3615, Jolly Mediterraneo s.r.l., rv.232957; Cass. 9.7.2009, n.36083, Mussoni ed altri, Rv.244256). Parimenti in dottrina si è evidenziato come la peculiare strutturazione della fattispecie, fondata sull'inversione dell'onere della prova, comporta la inapplicabilità della regola di giudizio di cui all'art. 530, comma secondo, c.p.p. in relazione ai modelli organizzativi.
L'assoluzione, pertanto, si impone solo in caso di dubbio sulla commissione del reato da parte dei vertici nell'interesse o a vantaggio dell'ente, ma non in caso di dubbio sulla idoneità o efficace implementazione dei modelli organizzativi.
Ne consegue, a differenza da quanto opinato dalla difesa, che la estraneità dei modelli organizzativi alla fattispecie ascrittiva di responsabilità dell'ente nel caso di reato presupposto commesso da apicali rende ultroneo (o, comunque, certamente non doveroso) il riferimento nel capo di imputazione "alla colpa concretamente attribuibile all'ente", al "modello di gestione ed organizzazione adottato dalla Banca", "all'idoneità (o meno) dello stesso a prevenire delitti del tipo
di quelli (che si ritiene essere stati) posti in essere...", né tanto meno al "comportamento alternativo lecito esigibile e sulla scorta di quale regola cautelare che dovrebbe essere precisamente identificata e contestata".
Il capo di imputazione delineato dalla Pubblica Accusa enuncia, ancorché in forma brachiologica, tutti gli elementi necessari perché in relazione a tale contestazione possa svolgersi pienamente la difesa. La censura di indeterminatezza del capo di imputazione deve essere, pertanto, disattesa.

II) La operatività in derivati OTC (Over The Counter) di (X).
A partire dal 2003 (X) ha iniziato una intensa attività di negoziazione pareggiata di prodotti derivati over the counter su tassi di interessi.
I contratti derivati stipulati erano interest rate swap (IRS); la complessità della struttura di tali strumenti finanziari era, tuttavia, del tutto inadatta per la finalità di copertura dei rischi sui tassi di interesse connessi ai contratti di leasing o ad altri contratti di finanziamento.
In particolare, a fronte di ogni strumento derivato sottoscritto con la clientela, la Banca stipulava nella stessa giornata un contratto speculare avente le medesime caratteristiche (c.d derivati mirrored) con controparti bancarie, generalmente internazionali (c.d. Banche prodotto), a copertura del rischio di mercato da essa sopportato ed in modo che ciascuna posizione risultasse pareggiata
(aff. 030008).
La Banca, tuttavia, nel corso degli esercizi ha modificato la tipologia dei contratti derivati acquistati dalle banche prodotto e venduti alla clientela, passando da strutture più semplici a strutture estremamente complesse (aff. 030023).
Una quota significativa dei contratti derivati offerti da (X) alla clientela prevedeva l'inserimento nel regolamento negoziale di leve e barriere che influenzavano sensibilmente l'andamento degli strumenti (esaltando la reattività ai mutamenti dei fattori di rischio) e, quindi, il relativo valore del mark to market (MTM) .
Tale effetto in alcuni casi era ulteriormente ampliato da un "fattore memoria" che trascinava nei trimestri successivi l'impatto negativo dell'eventuale superamento di una barriera. In particolare il tasso di interesse dovuto dalla clientela, in presenza di barriere e leve, poteva subire degli incrementi molto rilevanti.

Di regola tali contratti prevedevano un periodo iniziale (solitamente della durata di un anno) nel quale veniva generato un differenziale di tassi di interesse a vantaggio del cliente. Tuttavia, al superamento di determinate soglie, il cliente era tenuto a corrispondere un tasso di interesse molto più alto di quello ricevuto dalla banca e di quello presente sul mercato.
Entrambi i contratti conclusi, sia quelli con le Banche prodotto che con la clientela erano di tipo not par . Con tale espressione si designano i contratti in cui le prestazioni delle due controparti, tenendo anche conto delle previsioni sull'andamento futuro dell'attività a cui è connesso il derivato, non hanno il medesimo valore economico. In tali casi, la parte a favore della quale sono prevedibili maggiori flussi di pagamento e che, quindi, si trova nella posizione contrattuale più favorevole, al fine di compensare il maggior onere e rischio corso dall'altra, versa a quest'ultima un importo anticipato in un'unica soluzione, c.d. upfront.
II rapporto contrattuale tra (X) e le Banche prodotto vedeva la prima in una posizione svantaggiosa;
in ragione di ciò (X) conseguiva l'incasso di importi upfront, versatile una tantum da queste.
I contratti offerti dalla (X) alle proprie imprese clienti (tutte piccolo o medie imprese) presentavano valori nozionali sproporzionati rispetto alle loro dimensioni operative ed economico-patrimoniale. Inoltre avevano una struttura complessa, a causa dell'inserimento di leve e barriere che influenzavano tendenzialmente a favore della Banca l'andamento di tali strumenti e, quindi, il relativo valore del debito per il cliente e del credito per la Banca, valorizzato con il sistema del mark to market.
In ragione di tali meccanismi negoziali, la clientela rivestiva una posizione contrattuale maggiormente onerosa rispetto a quella di (X); ed, infatti, a fronte di un iniziale periodo
(solitamente della durata di un anno) in cui si generavano differenziali di interesse a vantaggio del cliente, l'opzione da questi sottoscritta per i periodi successivi tendeva a connotarsi secondo valori fortemente negativi, nel caso di spostamenti significativi verso l'alto nella curva dei tassi (quali quelli registrati negli ultimi anni). Ciò comportava una crescita dell'esposizione debitoria del cliente nei confronti di (X) soprattutto a fronte dell'aumento dei detti differenziali, durante gli ultimi anni di durata del contratto.
La Banca, nonostante la propria posizione di vantaggio, nei contratti stipulati con la clientela, non riversava a quest'ultima, la cui posizione nell'ambito del contratto not par era più sfavorevole, gli importi upfront ricevuti dalle Banche prodotto.
(X), peraltro, di fronte ad apposite richieste pervenute dai clienti, generalmente motivate da modificazioni delle attese sull'andamento delle curve dei rendimenti, procedeva allo scioglimento anticipato (c.d. unwinding), rispetto alla scadenza naturale, di molti di questi contratti, senza, tuttavia, percepire alcunché a titolo di costo di uscita (pur essendo previste commissioni di uscita nei relativi contratti).
Al contempo e di conseguenza, (X) chiudeva i contratti speculari in essere con le proprie controparti bancarie, pagando loro gli elevati costi per lo scioglimento anticipato.
Al fine di non scontarne gli effetti negativi sul proprio conto economico, (X) sostituiva i rapporti negoziali sciolti anticipatamente con nuovi contratti derivati, nei quali assumeva nei confronti delle banche prodotto una posizione economica ancora più rischiosa e svantaggiosa rispetto a quella in precedenza detenuta. In tal modo, secondo il meccanismo descritto, (X) conseguiva dalle proprie controparti bancarie importi upfront ancora più ingenti, mediante i quali compensava il mancato versamento, da parte della propria clientela corporate, dei costi connessi allo scioglimento anticipato dei contratti in questione.
Allo stesso tempo, la banca stipulava nuovi contratti, disegnati in modo conforme ai precedenti, sia con i clienti già acquisiti (che avevano risolto il proprio rapporto anticipatamente), sia con clienti recenti, consentendo loro di incassare flussi netti positivi, solo quanto ai primi periodi. La Banca ha, peraltro, pressoché sistematicamente lasciato indenni i clienti delle perdite originate dalla chiusura dei contratti che presentavano un'evoluzione negativa del mark to market. Tale fenomeno ha assunto proporzioni significative nel 2006, generando costi di chiusura dei contratti derivati per oltre Euro 44 mln., il cui onere è stato compensato con gli up front ricevuti dalle swap house per la stipula di nuovi contratti derivati (aff. 050336).

Secondo le enunciazioni del bilancio al 31.12.2006 (X) negoziava con la propria clientela articolata in forma societaria (c.d. clientela corporate) contratti derivati OTC, al fine di fornire loro, una copertura al rischio di tasso, cui erano esposti in ragione di precedenti finanziamenti ricevuti dalla Banca nelle forme di contratti di leasing o in altre forme.
Secondo la Consob, tuttavia, "in considerazione delle loro caratteristiche tali derivati sembrerebbero rientrare, per la clientela, nella categoria di strumenti speculativi e non di copertura o gestione del rischio. Per di più si tratta di strumenti finanziari non quotati, gestiti da un numero ristretto di operatori e quindi scarsamente liquidi, con possibili effetti discorsivi sui relativi prezzi" (aff.
030023).
La Consob nella relazione n.7069522 del 28.7.2007 evidenziava, inoltre, che l'operatività connessa all'area dei derivati ha comportato un rilevante effetto positivo sui margini della banca, in quanto rappresentava al 31.12.2006 il 27,3% del risultato netto della gestione finanziaria (24,3% al 31.12.2005) (aff. 030005). Al contempo, tuttavia, la Consob ha rilevato contabilizzazioni improprie nelle negoziazioni di contratti derivati ed ha evidenziato gravi criticità nella esposizioni del bilancio di tale operatività in derivati.
Secondo i consulenti della Pubblica Accusa, dott. Piernicola Carollo e dott. Ciro Nicolosi, "(X) a fronte di un incremento immediato dei ricavi d'esercizio vedeva aumentare la sua esposizione al rischio di controparte La clientela per un verso continuava a incassare flussi finanziari positivi alle scadenze contrattuali ma non risultava, almeno formalmente, messa a conoscenza della reale natura
della ristrutturazione e dell'aggravio della posizione che essa comportava" (aff. 111035).

Nella relazione del Prof. Paolo Gualtieri "Analisi di alcune operazioni in derivati" (depositata in allegato alla querela ... del 9.8.2007) si rileva che (X) aveva sviluppato negli ultimi esercizi una rilevante attività in derivati con la clientela corporate, ponendosi esclusivamente nella posizione di mero intermediario. La Banca cioè perfezionava i contratti derivati con i propri clienti e immediatamente, nella medesima giornata, chiudeva la posizione con grandi banche internazionali quali controparti di mercato (aff. 070026 e ss.).
Soprattutto negli anni più recenti la Banca aveva concluso prevalentemente contratti derivati del tipo interest rate swap (IRS) strutturati, con caratteristiche "esotiche" in alcuni casi obiettivamente assai articolate.
La relazione, condotta unicamente mediante l'esame dei contratti stipulati e dei documenti contabili interni alla banca, nelle conclusioni (aff. 070210 e ss.) evidenziava che: "L'operatività in derivati tra (X) ed i dodici clienti che hanno generato oltre il 50% delle enormi perdite è completamente anomala.
L'entità dei valori nozionali dei contratti è sproporzionata rispetto alle dimensioni operative ed economico-patrimoniali delle imprese clienti, tutte piccole e medie aziende. Le caratteristiche tecniche dei contratti, tutti con strutture molto articolate, li rendono completamente inadatti per aiutare le imprese clienti di (X) a gestire nel modo migliore le proprie passività finanziarie: si tratta di IRS con strutture pay off estremamente complesse e macchinose tali da rendere i contratti non solo del tutto inutilizzabili per finalità di copertura dei rischi su tassi di interesse ma anche non adatti ad assumere posizioni di rischio direzionale sulle curve dei rendimenti.
Una ragionevole funzione economica di questi contratti è difficilmente individuabile.
Le strutture congegnate sono talmente curiose che senza dubbio sia i funzionari della banca coinvolti nelle operazioni sia i clienti hanno perfettamente compreso che quei contratti erano inservibili per la gestione delle passività finanziarie e in generale per la gestione dei rischi di tasso di interesse. Le modalità operative adottate sono inusuali e denotano scelte difficilmente spiegabili nell'interesse della banca e in una logica di servizio alla clientela c.d. corporate.
I contratti sono sempre not par , la qual cosa è certamente inusuale perché nell'attività di una banca come (X) dovrebbero essere di gran lunga prevalenti i contratti par.
La stipula di contratti not par ha consentito ad (X) di incassare dalle controparti di mercato elevati importi up front al prezzo però dell'assunzione di altrettanto elevati rischi nell'ambito dei contratti di swap.
I contratti tra (X) e le società clienti sono anch'essi tutti not par, con il cliente nella posizione più rischiosa e dunque con valore iniziale negativo. I clienti non hanno ricevuto, salvo in pochi casi (tra l'altro tra i più strani), importi up front; i contratti derivati sono però stati disegnati in modo che i clienti nei primi periodi di vigenza dei contratti ottenessero flussi netti positivi, cioè guadagnassero sempre.
I contratti sono sempre stati chiusi anticipatamente prima che divenisse applicabile la formula che avrebbe potuto determinare flussi netti negativi, cioè pagamenti, per i clienti, i quali quindi non hanno mai dovuto pagare nulla a (X).
La chiusura anticipata dei contratti comporta per il contraente che è nella posizione con valore economico negativo il pagamento del costo di chiusura anticipata che serve a pareggiare sotto il profilo economico le due posizioni contrattuali.
I clienti hanno chiuso anticipatamente i contratti tutte le volte che erano in una posizione con valore economico negativo però non hanno mai pagato a (X) nulla a titolo di costo di uscita dal contratto con valore negativo.
(X) al contrario per la chiusura anticipata dei corrispondenti contratti con le controparti di mercato (.) ha sempre pagato i relativi costi di chiusura.
(X), per evitare di avere un rilevante effetto negativo sul proprio conto economico a causa degli elevati costi di chiusura anticipata pagati alle controparti di mercato e non incassati dalle imprese
clienti, sostituiva i contratti chiusi anticipatamente con nuovi contratti derivati nei quali assumeva la posizione più rischiosa che aveva un valore economico negativo ancora più alto di quello del contratto chiuso ed in questo modo otteneva un importo up front sul nuovo contratto che più che compensava il costo di chiusura anticipata del vecchio contratto.
(X) concludeva con i clienti un nuovo contratto derivato identico ma di segno opposto a quello stipulato con le controparti di mercato ma ai clienti naturalmente non pagava up front non avendo da essi ricevuto l'ammontare del costo di chiusura anticipata del contratto.
Anche i nuovi contratti che sostituivano quelli vecchi erano disegnati in modo che i clienti nei primi periodi di durata incassassero flussi netti positivi e non dovessero pagare nulla a (X). Per questa operatività chiaramente non improntata al servizio alla clientela e per la quale è ben difficile individuare un beneficio per (X) sono state pagate ad alcuni procacciatori di affari commissioni elevatissime, totalmente fuori mercato e prive di qualunque collegamento con il servizio reso.
Gli effetti economici complessivi dell'operatività esaminata erano quindi stati i seguenti:
a) i clienti avevano incassato €. 10.981.928 a titolo di pagamento di differenziali di swap per effetto del meccanismo che prevedeva che i contratti nei primi periodi di vigenza generassero sempre flussi netti positivi a favore dei clienti e delle chiusure anticipate che intervenivano sempre prima che i clienti cominciassero a pagare qualche somma a (X).
b) i procacciatori avevano incassato €. 16.663.500 di commissioni.
c) (X) aveva incassato upfront per €. 173.805.350 ed aveva pagato costi di chiusura dei contratti per €. 404.916.147 e costi per i procacciatori di €. 16.663.500 ed aveva retrocesso upfront ai clienti per €. 1.051.750; quindi il risultato netto per (X) era stato enormemente negativo, per €. 248.826.071.

Le caratteristiche dell'operatività in strumenti derivati esaminata sono talmente anomale da renderla del tutto incompatibile con una normale attività di servizi finanziari alle imprese clienti e anche con una normale attività di gestione finanziaria di un portafoglio di strumenti derivati di una banca. E' totalmente da escludere l'ipotesi che i dirigenti e i funzionari di (X) coinvolti in queste operazioni potessero considerarle normali operazioni di IRS per la gestione delle passività finanziarie delle società clienti.
Parimenti è totalmente da escludere che i clienti ed i procacciatori non fossero consapevoli che a fronte degli enormi guadagni ottenuti vi fossero degli elevati rischi finanziari che avrebbero dovuto essere ripartiti tra le parti in gioco.
Sono assai numerosi gli elementi che inducono a fondatamente ipotizzare un accordo tra clienti, procacciatori ed alcuni dirigenti e funzionari della banca ai danni di (X). L'utilizzo di contratti derivati con caratteristiche tecniche molto complesse che rendono assai difficile determinare il valore economico, che comunque è molto incerto, potrebbe essere servito a conferire a questa operatività quel necessario grado di opacità all'interno ed all'esterno della banca. L'estremo tecnicismo necessario per valutare e gestire questi contratti derivati ha circoscritto in modo naturale il numero dei soggetti che potevano occuparsene all'interno della banca ed ha conferito ad essi notevoli gradi di libertà operativa per le obiettive difficoltà da parte degli addetti ad altre funzioni di comprendere pienamente i termini economici di questa operatività. L'inusuale ricorso a contratti not par è presumibilmente servito a generare elevati up front necessari da un lato ad incrementare i ricavi della banca dall'altro a creare le condizioni per pagare le enormi commissioni ai procacciatori.
La sorprendente scelta di disegnare i contratti in modo da far incassare ai clienti nei primi periodi di vigenza sempre flussi netti positivi; di chiudere i contratti anticipatamente sempre prima che i clienti dovessero cominciare a pagare somme alla banca; di non far pagare mai ai clienti i costi di chiusura dei contratti, farebbe ritenere che i clienti siano stati più che controparte una più o meno consapevole sponda per un'operatività organizzata per fini diversi dall'attività di servizio alla clientela.
A ben vedere l'attività sembrerebbe stata organizzata da parte di alcuni dirigenti e funzionari coinvolti in questa operatività in modo che i procacciatori fossero i maggiori beneficiari, i clienti fossero un sponda da compensare adeguatamente e la banca fosse il soggetto nel quale gestire, alla stregua di un sofisticato dealer di swap strutturati, le posizioni in derivati comprando e vendendo i contratti sul mercato finanziario. Ed infatti la Banca ha tenuto, praticamente sempre, per sé gli importi upfront, ha sostenuto tutti i costi di chiusura dei contratti senza mai richiederne il pagamento ai clienti e si è assunta tutti i rischi finanziati dell'operatività nell'errato convincimento da parte dei dirigenti e funzionari coinvolti in quest'attività di poter consentire a tutti di guadagnare gestendo abilmente pericolosi rischi di mercato e accettando dunque di correre questi straordinari rischi senza ottenerne neppure la piena compensazione economica a causa dei pagamenti effettuati a beneficio dei procacciatori e dei clienti.
La selezione di clienti non appartenenti a grandi gruppi industriali, spesso commercialisti e piccoli imprenditori che mostravano inclinazione per attività speculative, sembra coerente con l'ipotesi prospettata. Altrettanto coerente con questa ipotesi è la circostanza che molti di questi clienti abbiano utilizzato, per concludere i contratti derivati con (X), società veicolo di recente costituzione.
La documentazione preparatoria degli accordi contrattuali tra la banca e il cliente costituisce un'ulteriore elemento che rafforza la fondatezza dell'ipotesi configurata. Infatti le proposte formulate da (X) ai clienti esaminati portano quasi sempre una data immediatamente (uno o due giorni) antecedente la conclusione dei contratti, la qual cosa sembra più compatibile con uno scenario in cui sia stata predisposta la documentazione allo scopo di far apparire l'esistenza di un dialettica negoziale piuttosto che con una situazione di reale processo decisionale e negoziale che avrebbe necessariamente richiesto tempi più lunghi tra la proposta e la conclusione del contratto a causa dell'obiettiva difficoltà di valutazione degli effetti economici degli strumenti derivati in esame.
E, d'altra parte, la straordinaria omogeneità dei contratti e dei meccanismi operativi analizzati è tendenzialmente incompatibile con una effettiva attività di negoziazione che, se davvero realizzata, avrebbe condotto a delle più marcate differenziazioni economiche ed operative tra un cliente e l'altro.
In conclusione l'operatività in derivati esaminata sembra essere stato lo strumento tecnico per distrarre somme dalla banca piuttosto che una reale attività di gestione dei rischi finanziari della clientela".

III) Il delitto presupposto di falsità nelle comunicazioni sociali ai danni della società, dei soci e dei creditori.
La contestazione di false comunicazioni sociali formulata dal Pubblico Ministro nei confronti di (A) e di (B) risulta comprovata dai concordi rilievi operati dalla Banca d'Italia nella "Ispezione ai sensi del T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia", dalla Consob nella relazione n.7096128 del 26.10.2007 sui "Bilanci d'esercizio e consolidato al 31 dicembre 2006 di (X) S.p.A." e dai consulenti della Pubblica Accusa dott. Piernicola Carollo e dott. Ciro Nicolosi nel proprio elaborato peritale depositato in data 6.3.2008.
Tali fonti probatorie, infatti, concordemente evidenziano che la elevata rischiosità della operatività in derivati over the counter della banca, connotata da gravi anomalie e da diffuse criticità, è stata occultata in bilancio e che è stato indicato un fair value ai sensi dell'art. 2427 bis c.c. di tali strumenti finanziari scorretto alla stregua dei principi di bilancio all'epoca generalmente accolti. La Consob nella relazione n.7096128 sui "Bilanci d'esercizio e consolidato al 31 dicembre 2006 di (X) S.p.A." del 26.10.2007 ha evidenziato:
la non corretta valutazione e contabilizzazione! dei derivati Over The Counter sottoscritti con la clientela.
Codesta Banca negoziava derivati Over The Counter ("OTC") con la clientela stipulando contestualmente un contratto speculare con le controparti bancarie. Queste ultime riconoscevano una commissione upfront alla Banca che, tuttavia, non lo retrocedeva al cliente. La stipula di contratti speculari immunizzava (X) dai rischi di mercato ma la lasciava esposta al rischio di credito.
Al riguardo, nel calcolare il fair value, il Principio IAS 39 richiede di tener conto, tra l'altro, del rischio di credito definito come il rischio che una delle parti di uno strumento finanziario non adempia a una obbligazione e causi una perdita finanziaria all'altra parte.
Nel caso in questione, la Banca, a fronte di un fair value positivo dei derivati OTC sottoscritti con la clientela di Euro 233 milioni circa, ha effettuato accantonamenti per soli Euro 8,3 milioni. Inoltre, dalle verifiche svolte sono emersi dei profili di criticità in merito alle modalità di determinazione del rischio di credito.
Tale criticità afferiscono all'utilizzo della medesima procedura di impairment collettivo impiegata per le attività di leasing, senza effettuare alcuna considerazione relativamente alla tipologia di strumento derivato "speculativo", alla coerenza tra le caratteristiche contrattuali dei derivati e le esigenze finanziarie del cliente nonché alla situazione di solvibilità del cliente in relazione ai potenziali rischi derivanti da tale tipologia di strumenti. Va altresì rilevato che tale criticità è in gran parte imputabile al contesto in cui veniva svolta l'operatività in derivati OTC, caratterizzato da profili di opacità e connotato da gravi anomalie operative.
Inoltre, gli amministratori, all'atto dell'approvazione dei bilanci, avevano evidenze tangibili di anomalie e peculiarità emergenti dalle strutture dei derivati e dai rapporti della clientela, tra le quali si ricordano le rilevanti chiusure e ristrutturazioni dei contratti derivati swap "not par" operate nel corso del 2006, che avrebbero dovuto essere considerati per la corretta stima del rischio di credito ed il conseguente adeguato accantonamento.
il non corretto trattamento contabile! delle commissioni upfront riconosciute a (X) dalle Fabbriche Prodotto.
(X) ha contabilizzato nei propri bilanci 2006 le commissioni upfront incassate a fronte della stipula dei derivati OTC con le Fabbriche Prodotto nella voce 40 "Commissioni Attive" del Conto economico. Tale scelta deriva dal fatto che la banca ha considerato tali componenti attivi come una commissione di intermediazione tra le controparti bancarie e la propria clientela.
Tuttavia, le commissioni upfront sono risultate essere una sorta di indennizzo riconosciuto dalle controparti bancaria per le stipule dei contratti derivati swap "not par" svantaggiosi dal lato di (X).
Pertanto, la Banca avrebbe dovuto iscrivere tali componenti attivi nella voce 80 "Risultato Netto delle Attività di Negoziazione" e fornire al riguardo adeguata informativa.
la mancata informativa in bilancio sulla tipologia di derivati OTC e sui! rischi insiti (aff. 080011 e ss.).
Codesta Banca ha riportato nei propri bilanci 2006 che l'attività di negoziazione di strumenti derivati aveva come obiettivo l'offerta di un servizio complementare alla clientela, consistente nel collocamento di "contratti derivati di copertura tasso", senza l'assunzione di rischio di mercato da parte della Banca che, peraltro, non rimaneva immune al rischio di credito. Tuttavia la descrizione fornita nei bilanci su tale operatività ha messo in luce i fattori positivi quali la positiva contribuzione delle commissioni upfront all'utile di esercizio, ma, nel contempo, ha celato (riv231) i rischi e le criticità che la Banca stava sopportando a fronte di tali guadagni. In altri termini l'informativa fornita nei bilanci in merito all'operatività in derivati OTC è risultata fuorviante in quanto non è stata descritta correttamente la struttura di tali derivati OTC che non potevano essere qualificati come semplici strumenti di copertura del rischio di tasso di interesse. In effetti, si trattava per la gran parte, di strumenti caratterizzati da condizioni di "leve" e "barriere" e, come tali, altamente speculativi. Non sono stati, altresì, evidenziati gli oneri rilevanti connessi alle chiusure e ristrutturazioni dei contratti derivati swap "not par" stipulati con la clientela. Con riferimento alle commissioni attive incassate, sulla cui errata contabilizzazione si è già detto, l'informativa fornita non appare corretta in quanto non viene descritta la reale natura economica delle commissioni upfront riconosciute dalle controparti di mercato. Come sopra illustrato, tale commissione rappresenta, infatti, un indennizzo per la stipula di contratti "not par" e, pertanto, l'assunzione di rischi elevati.
Ciascuna delle censure sopra richiamate ha determinato, oltre alla violazione di specifici principi contabili internazionali, il mancato rispetto dei criteri generali per la redazione del bilancio stabiliti dai medesimi principi IAS/IFRS.
In ragioni di tali gravi anomalie "i bilanci 2006 di (X)", ha concluso la Consob, "non rappresentano fedelmente ed attendibilmente la situazione economico-patrimoniale della Società al 31 dicembre 2006, in quanto sono stati celati al fruitore dei bilanci stessi i reali rischi che la Banca stava sopportando. La rilevanza degli errori in merito all'operatività in derivati OTC e la significatività delle omissioni informative sull'operatività stessa e sui rischi derivanti dalla cartolarizzazione ITA/BEI determina una violazione dei requisiti di attendibilità e completezza dei bilanci 2006 di (X) e determina il mancato rispetto delle finalità informative del bilancio" (aff. 080013). La Banca d'Italia nella "Ispezione ai sensi del T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia", quanto alla rappresentazione nel bilancio 2006 delle operazioni in derivati con la clientela, ha rilevato che "a fronte di un mark-to-market positivo nei confronti- di clientela corporate pari a €. 233,3 mm, sono stati evidenziati "stanziamenti per rischio di controparte per €. 8,3 mln.", mentre nessun accantonamento si è ritenuto di effettuare a fronte dei rischi di reputazione e legali, che nei fatti avrebbero reso di difficile realizzazione il mark-to-market positivo, indifferenti al fatto che molti clienti sconfinavano.
La precisione del fair value rappresentato sconta le carenze nel sistema di pricing, come evidenziato dall'analisi, riferita al 31.12.2006, effettuata nel corso degli accertamenti su un insieme di 100 posizioni, che ha fatto emergere per circa il 35% dei casi uno scostamento superiore al 10% tra il mark-to-market calcolato in azienda e quello comunicato dalle controparti bancarie (per un errore complessivamente pari ad oltre €. 50 mln). (cost. n. 6, 2° e 3° co.)" (aff. 110026). Improprio, poi, il contenuto della nota integrativa circa la natura di copertura degli strumenti venduti alla clientela, così come l'appostazione tra le commissioni attive degli up-front incassati". "Evidentemente. il presidio del rischio di controparte era minato alla base sia da una insufficiente conoscenza dell'esposizione complessiva sia, soprattutto, da disfunzioni nei meccanismi di gestione, quale la mancata valutazione della sostenibilità dell'esposizione maturata e la mancata acquisizione di garanzie. In proposito, deve essere rilevato che l'azienda non è stata in grado di valutare, neppure in sede di redazione del bilancio 2006, quegli indicatori che avrebbero dovuto far prevedere le conseguenze poi manifestatesi. Si fa riferimento, per esempio: all'ammontare raggiunto dall'esposizione sui derivati OTC; alla circostanza che molti clienti già sconfinavano; a quanto rilevato dall'audit nel gennaio del 2007 sui rischi connessi alla dichiarazione di "operatore qualificato".
Con riferimento alla questione del rischio legale e reputazionale, le affermazioni dell'azienda circa la prevalenza della finalità di copertura dei contratti conclusi sono sconfessate dal fatto che, nella maggior parte dei casi (e quindi non solo con riferimento a specifici clienti) le formule di calcolo dei contratti presentavano una tale complessità da renderle incompatibili con il fine di semplice protezione. Gli IRS venduti infatti incorporavano stringhe di opzioni cap o floor collegate a trigger event, leve ed effetti memory. Inoltre, anche le frequenti ristrutturazioni possono essere lette in un'ottica speculativa in quanto tese a rinviare nel tempo l'esplicitazione della perdita confidando in eventi futuri più propizi.
I rischi legali e reputazionali sono stati poi amplificati da un'applicazione formalistica della normativa CONSOB sulla valutazione della qualità di "operatore qualificato" in capo alla clientela. Tale impostazione, che prescinde da un compiuto esame sull'effettivo possesso delle caratteristiche dichiarate, rischia di esporre la banca a rilevanti conseguenze patrimoniali derivanti da un contenzioso giudiziario di incerto esito, anche alla luce dell'affermarsi in giurisprudenza di una tendenza che svaluta il dato formale della sottoscrizione della dichiarazione in favore di analisi di natura più sostanziale sull'effettivo possesso delle qualità dichiarate. Ciò, tra l'altro, era stato segnalato agli organi aziendali anche dal Rapporto sull'Area presentato dal Servizio Internal Audit
nel gennaio 2007" (aff. 110027).
"Sia i sindaci sia il responsabile dell'Internal Audit hanno sottolineato i limiti del sistema informativo-contabile Tobs della RA Computers utilizzato dalla banca per valorizzare correttamente il mark-to-market, tanto che ne era stata decisa la sostituzione con la piattaforma Master Finance, entrata poi in funzione solo il 10 luglio u.s. Rileva inoltre il fatto che solo in corso d'ispezione l'azienda si è attivata per il monitoraggio almeno settimanale del mark-to-market effettivo, richiedendo alle banche d'investimento l'invio sistematico delle valutazioni. Peraltro, finché non è intervenuta tale modifica, la banca non aveva una corretta rappresentazione del rischio creditizio associato all'evoluzione del mark-to-market, atteso che il controllo avveniva uguagliando automaticamente la voce "utilizzato" all'entità della linea di credito in derivati. Infine, l'azienda non ha mai realizzato analisi di scenario sull'evoluzione del mark-to-market; solo nel mese di marzo 2007 è stato svolto uno stress test la cui efficacia, peraltro, scontava le richiamate limitazioni del sistema informativo-contabile.
Ciò posto, sulle rettifiche di valore riferite al rischio di controparte, l'importo stanziato dall'azienda scontava limiti di corretta quantificazione del rischio che, come già evidenziato, era stato sottostimato, per stessa ammissione dell'azienda, a causa sia di una insufficiente conoscenza dell'esposizione complessiva sia, soprattutto, di disfunzioni nei meccanismi di gestione, quale la mancata valutazione della sostenibilità dell'esposizione maturata e la mancata acquisizione di garanzie.
Anche il mancato accantonamento per rischi legali e reputazionali è addebitabile ad una sottostima della portata del problema, atteso che l'azienda ha riposto eccessiva fiducia nel rispetto meramente formale della normativa CONSOB sulla valutazione della professionalità della controparte, senza considerare la possibilità di contenziosi in materia come era pur stato ipotizzata dal rapporto sull'Area Finanza del Servizio Internal Audit del gennaio 2007. A riprova di tale superficiale atteggiamento valga ricordare che l'azienda ha istituito il prescritto registro reclami solo in corso d'
ispezione" (aff. 110028).

La Banca d'Italia, all'esito del contraddittorio attuato nel corso dell'attività ispettiva, in ordine al bilancio al 31.12.2006, ha inoltre osservato che: "non sono suscettibili di accoglimento le controdeduzioni prodotte dagli interessati, i quali hanno respinto gli addebiti mossi, asserendo la conformità del bilancio 2006 alle disposizioni che regolano la materia. Non sono, in primo luogo, accoglibili le argomentazioni tese a giustificare l'appostazione degli incassi per "upfront" tra le commissioni, incentrate sulla presunta natura di remunerazione del servizio reso alla clientela di tali corrispettivi, esenti, quindi, da rischi di mercato. In realtà l'inclusione degli upfront riconosciuti a (X) dalle fabbriche prodotto nella voce 40 "Commissioni Attive" del conto economico non è pertinente; dato che l'upfront costituisce una somma di denaro pagata a ristoro del disequilibrio finanziario della transazione nei casi di valore di mercato negativo al momento della stipula del contratto, esso non può rivestire natura di commissione e va, quindi, propriamente contabilizzato quale ricavo, nella voce 80 "Risultato netto di attività di negoziazione", specificatamente generato da un'attività di negoziazione in conto proprio. Sono, in secondo luogo, prive di efficacia esimente le considerazioni volte a riaffermare la correttezza del criterio adottato nell'ambito della procedura di approvazione del bilancio 2006, ai fini della riclassificazione dei costi di chiusura anticipata (unwinding), già impropriamente compensati con gli incassi per "upfront" ovvero contabilizzati in diminuzione della voce di ricavo "commissioni"; tali considerazioni risultano infondate alla luce del divieto posto dalle disposizioni in materia di forme tecniche di compensare fra loro i costi e i ricavi, salvo che ciò sia ammesso o richiesto dai principi contabili internazionali o dalle disposizioni stesse. In proposito, gli interessati, pur condividendo formalmente l'improprietà delle prassi contabili di compensare direttamente i costi di chiusura anticipata con gli incassi per upfront ovvero di registrare i menzionati costi in riduzione della voce di ricavo "commissioni attive", hanno consentito, attraverso l'utilizzo di un criterio arbitrario e non conforme alle disposizioni in materia, di registrare solo parte dei costi di chiusura anticipata effettivamente sostenuti e documentati (27,4 milioni a fronte di 44,6 milioni di euro), determinando un'indebita compensazione tra costi e ricavi per un importo di 17,2 milioni di euro.
Del pari, risultano del tutto infondate le osservazioni tese a sostenere, nel tentativo di sminuire la portata del rilievo, la non influenza sui saldi di bilancio delle errate rappresentazioni contabili. Tali argomentazioni, infatti, non considerano che obiettivo prioritario del bilancio è la rappresentazione, secondo criteri di veridicità e correttezza, dei rischi, del reddito e delle risorse patrimoniali dell'impresa, che è salvaguardata anche attraverso le regole per la rilevazione degli oneri e dei proventi.
In tale contesto, l'impropria qualificazione dei derivati OTC e la mancata enucleazione delle componenti incorporate nei contratti ha impedito di porre in evidenza il rischio effettivo, rilevante, sotteso alle operazioni concluse con la clientela (aff. 110035); l'inclusione dei proventi generati dall'attività tra le commissioni, anziché tra i risultati dell'attività di negoziazione, ha prodotto un'ulteriore, rilevante, distorsione dell'informativa ai terzi, impedendo la chiara comprensione della reale natura dell'operatività svolta e dei rischi a essa connessi. Né sembra condivisibile il richiamo a disfunzioni di carattere tecnico ovvero a difficoltà di valutazione derivanti dalla complessità delle strutture contrattuali, tenuto anche conto che le vigenti disposizioni richiedono specifici requisiti organizzativi e metodologie di valutazione dei profili di rischio nello svolgimento, da parte degli intermediari, di attività che si caratterizzano proprio per elementi di complessità e innovazione. Non presentano poi valore esimente le osservazioni volte a porre in luce il limitato numero dei contratti conclusi con finalità diverse, peraltro dichiarate non note, da quella di copertura del rischio di tasso in capo ai clienti; il tentativo di invocare il carattere eccezionale del fenomeno, richiamando esclusivamente il profilo numerico delle operazioni, è infatti palesemente contraddetto dall'elevato ammontare unitario e dal peso, in termini di volumi, corrispettivi e rischi, di tali operazioni sul totale.
Non risultano accoglibili anche le argomentazioni che tentano di ricondurre le imprecisioni nella determinazione del fair value a "normali scostamenti" nella stima del valore di contratti con strutture complesse, in quanto sia i sindaci sia la funzione di revisione interna hanno segnalato l'inadeguatezza dell'applicativo informativo utilizzato dalla banca nella valutazione ai prezzi di mercato, carenza, questa, alla quale la banca ha inteso inizialmente porre rimedio attraverso la richiesta alle controparti di mercato dei valori di riferimento, nelle more dell'adozione di un idoneo sistema informativo-contabile. Va inoltre considerato che gli interessati non hanno fornito alcuna indicazione in ordine ai modelli e alle tecniche di valutazione in concreto utilizzati per il calcolo del mark-to-market, limitandosi a sostenere genericamente la possibilità di generare valori differenti nella stima del fair value di contratti derivati aventi strutture complesse in funzione del tipo di simulatore utilizzato. La numerosità delle posizioni che hanno presentato una differenza tra il valore calcolato in azienda e quello comunicato dalle controparti bancarie, per un errore complessivamente pari a 50 milioni di euro, testimonia in realtà la scarsa propensione della banca a utilizzare criteri di valutazione ispirati a prudenza.
L'asserita regolarità delle contabilizzazioni effettuate contrasta poi con le dichiarazioni rese in merito al piano dei conti, che, all'epoca della chiusura del bilancio, non avrebbe contemplato un conto dedicato alla scritturazione delle perdite su operazioni in derivati. Tale affermazione testimonia, semmai, il ridotto grado di approfondimento riservato alla questione dai deducenti, i quali non si sono attivati per verificare se l'attività svolta nel comparto fosse regolare in tutti i suoi aspetti e non hanno rilevato la mancanza di strumenti adeguati per la conduzione e il controllo
dell'operatività" (aff. 110036).

I consulenti della Pubblica Accusa dott. Piernicola Carollo e dott. Ciro Nicolosi hanno, inoltre, esaminato, "con prevalente riferimento al bilancio d'esercizio 2006, l'operatività di (X) S.p.a. in strumenti derivati classificati nel portafoglio di negoziazione (di seguito "derivati", "strumenti derivati" o "contratti derivati"), cioè non classificati come derivati di copertura e quindi non realizzati allo scopo di coprire proprie posizioni di rischio non derivate". In particolare i consulenti hanno "constatato che gli importi di valore corrente più rilevante
riguardavano contratti molto complessi, molto volatili nei risultati, concentrati su un numero di clienti relativamente contenuto e stipulati, sul versante banche d'affari, con primarie controparti estere. Tali contratti spesso erano decorrelati (per importo o caratteristiche dei derivati o totale assenza di operazioni bancarie) con la tipica operatività bancaria di (X) (leasing e mutui) e avevano natura evidentemente speculativa: non fornivano copertura alla clientela dal rischio di aumento o di volatilità dei tassi d'interesse (di fatto, invece, in molti casi la banca con i contrati stipulati acquistava dalla clientela retail tale copertura e la vendeva alle controparti istituzionali) e anzi amplificavano tali rischi mediante multipli, barriere ed effetti memoria.
Tale negoziazione esponeva la banca ai rischi finanziari tipici dell'operatività in derivati (rischi di credito/controparte e di mercato), ma la complessità dell'operatività svolta, le modalità di effettuazione, le carenze di strumenti informatici e di strutture di controllo hanno poi amplificato notevolmente altri rischi connessi all'attività bancaria e finanziaria (operativi, in particolare legali, e reputazionali). Lo schema utilizzato dalla banca (vendita di derivati alla clientela e acquisto di derivati speculari dalle controparti bancarie) era atto ad eliminare il rischio di mercato, in quanto le minusvalenze prodotte dai derivati con le banche erano compensate dalle plusvalenze prodotte dai derivati stipulati con la clientela e viceversa; ma tale schema lasciava pienamente esposta la banca al rischio di credito relativo al valore negativo per i clienti che i contratti derivati potevano assumere e di fatto hanno assunto nel tempo. Al 31/12/2006 i contratti derivati di negoziazione che presentavano una valore positivo, quindi esposti al rischio di credito, avevano in gran parte come controparte clientela retail di standing non elevato (.)
Il fenomeno della sostituzione dei contratti derivati in essere con la clientela retail (e specularmente di quelli con le controparti bancarie) con altri contratti derivati era frequente; ma, salvo casi sporadici, non risulta che il cliente fosse informato del valore negativo del contratto, neppure al momento di detta sostituzione. Sembra evidente che la finalità delle ristrutturazioni fosse quella di generare up-front positivi e quindi redditività per la banca e, nel contempo, di gestire la posizione negativa del cliente rimandando il momento di una sua eventuale presa di coscienza (.). In ordine al quesito n. 3 (riguardante "correttezza e conformità ai principi dell'ordinamento giuridico ed ai principi contabili vigenti del trattamento contabile e di bilancio adottato in concreto da (X) in ordine agli up-front, ai costi di mediazione ed ai costi di chiusura di contratti derivati ristrutturati (c.d. unwinding)") si segnala, innanzitutto, che nella voce 40 "commissioni attive" del conto economico sono stati registrati ricavi attribuiti ad "altri servizi: per attività su strumenti finanziari derivati OTC". La scelta contabile adottata non appare coerente con le caratteristiche dell'operatività in derivati di (XX) alla luce della normativa di riferimento. Gli effetti in conto economico della negoziazione in conto proprio di derivati, consistono a) nelle variazioni del fair value dei derivati stessi che vengono rilevate, nell'esercizio in cui si verificano, sotto forma di plusvalenze (nel caso di variazioni positive) o di minusvalenze (in caso di variazioni negative); b) negli utili o perdite da negoziazione pari rispettivamente alla differenza positiva o negativa tra il prezzo di chiusura (o cessione) del contratto e il valore dello stesso contratto risultante nel bilancio dell'esercizio precedente (le minusvalenze, le plusvalenze, gli utili e le perdite sono le componenti della voce 80 "risultato netto dell'attività di negoziazione" del conto economico).
(X) non ha svolto nel corso del 2006 servizi legati alla sua operatività in derivati atti a generare commissioni attive; tale cifra appostata in conto economico fa riferimento agli up-front ad essa corrisposti dalle controparti bancarie al momento della stipula dei contratti derivati, anche in sostituzione di contratti precedenti. L'incasso di un up-front, come visto, rappresenta il ristoro necessario a riequilibrare la posizioni contrattuale alla stipula di un contratto derivato; in altre parole è la manifestazione numeraria relativa all'apertura di una posizione passiva iscritta in bilancio (valore negativo del derivato - voce 40 del passivo) ( ). La rilevazione di ricavi quali le commissioni attive fornisce una informazione errata al lettore del bilancio, soprattutto se non accompagnata da una corretta ed esaustiva informativa in nota integrativa sul tipo di operatività svolta dalla banca (cosa non avvenuta). In altre parole la scelta adottata induce nel lettore del conto
economico la rappresentazione di un'attività di intermediazione in conto terzi, o di collocamento, priva pertanto di rischi di credito e di mercato, in cui i ricavi commissionali sono pienamente realizzati e non di origine valutativa, come invece erano; né le informazioni riportate dalla banca in nota integrativa bastano a rettificare tale erronea immagine.
In sintesi, una corretta contabilizzazione degli up-front avrebbe invece fatto emergere, in luogo delle commissioni attive, maggiori plusvalenze, testimoniando così il carattere valutativo del risultato conseguito.
La banca procedeva, in sede di sostituzione (c.d. unwinding) dei contratti alla clientela, a compensare l'up-front dovuto dalle controparti bancarie con il costo di chiusura (fair value a quella data) del contratto sostituito. Dal punto di vista contabile la banca contabilizzava solo l'up-front netto tra le commissioni attive procedendo così a una compensazione. Questa compensazione, pur non modificando il risultato netto dell'attività di negoziazione, non faceva emergere le perdite di negoziazione che restavano latenti nelle minusvalenze. In altre parole la chiusura di un contratto minusvalente va registrata tra le perdite di negoziazione. Lo stesso deve avvenire dal lato cliente, laddove la chiusura di un contratto plusvalente con la contestuale sua sostituzione deve far emergere un utile da negoziazione ( ). Ancor più scorretta la compensazione, che pur avveniva, attraverso sostituzioni di contratti non contestuali o addirittura tra contratti riferiti a clienti diversi ( ). Si fa notare inoltre che nel conto commissioni attive venivano inoltre fatti transitare gli up-front (pur di importo limitato) pagati alla clientela, rappresentando questa un'ulteriore compensazione non consentita.
Alla luce delle spiccata tendenza di (X) ad effettuare una scorretta compensazione tra poste diverse non si comprende l'affermazione fatta dalla banca nel suo bilancio circa l'applicazione del principio generale che vieta appunto le compensazioni ("attività e passività, costi e ricavi non vengono compensati tra loro...").
Analizzando le sostituzioni è emerso inoltre che in diversi casi (cfr. Report dell'Audit del 28 giugno 2007), contratti derivati con valore positivo per la banca sono stati cancellati da parte dell'Ufficio Financial Banking (su richiesta dei clienti) senza alcuna delibera dell'organo competente. Delle perdite generate dalla chiusura dei contratti neppure sarebbe stata data comunicazione ai responsabili delle scritturazioni contabili. Le perdite generate da questi comportamenti, se imputabili alla scorrettezza/infedeltà di dipendenti, possono considerarsi manifestazione di rischi operativi e dovrebbero sostanziarsi contabilmente in insussistenze dell'attivo. Di contro, se la motivazione di fondo delle cancellazioni viene fatta risalire al deterioramento del valore del derivato per la clientela, tale da rendere di fatto impossibile l'adempimento del contratto (situazione più facilmente percepibile dall'Ufficio Financial Banking che curava i rapporti con i principali clienti), le cancellazioni dovrebbero dare luogo contabilmente a perdite su crediti (convenzionalmente rilevabili tra le perdite su attività di negoziazione).
Il modo di operare della banca, che scontava tra l'altro grossi limiti organizzativi circa le procedure e i sistemi valutativi necessari per la valutazione di rischi complessi che i derivati comportavano, ha presentato inoltre altri due limiti:
a) ha portato a considerare inesistente il rischio di controparte (a meno della rettifica forfetaria minimale operata dalla banca e, come si argomenterà dopo, largamente insufficiente);
b) ha dato per scontato che i principi contabili internazionali consentano la valutazione di uno strumento finanziario secondo i parametri del mercato (quello rappresentato dalle controparti bancarie) più conveniente a cui la banca possa accedere. Tale assunto, che consente di far emergere una componente economica positiva di origine valutativa, numerariamente pari all'ammontare incassato degli up-front, già al momento della stipula del contratto (che, quindi, è già minusvalente per la controparte retail), è pacifico quando si opera in mercati attivi ovvero con strumenti finanziari quotati; non lo è quando si opera in strumenti non quotati in particolare con riferimento al rischio di controparte, come nel caso di (X). In tali ultime circostanze, fermo restando che un utile alla stipula del contratto non può emergere, si dibatte se possa emergere in sede di valutazione successiva e non invece sospeso come una sorta di risconto. La scelta di spalmare tale componente lungo tutta la
durata del contratto derivato sarebbe stata più adatta a rappresentare la sostanza dell'operatività svolta dalla banca.
Ciò detto, la circostanza meritava un ben altro dettaglio informativo a corredo delle tavole di nota integrativa. Lo stesso IFRS 7 § 28 chiede un'informazione di dettaglio sulla scelte contabili adottate in proposito( ).
Dall'analisi condotta emerge che gli utili transitati in conto economico e relativi all'operatività in esame, sono utili di natura valutativa e non effettivamente realizzati. La loro realizzazione discende dall'adempimento nel tempo delle prestazioni previste nel contratto da parte della clientela. La corretta determinazione degli utili al 31.12.2006 è legata, oltre che dell'andamento dei parametri finanziari considerati, alla modalità di stima del rischio di controparte con particolare riferimento ai clienti retail a cui si riferiva il grosso dell'esposizione in derivati (fair value positivo). Risulta inadeguato il processo valutativo condotto dalla banca rispetto al fenomeno da valutare. E, indubbiamente, i mark to market positivi per la banca, a carico dei clienti, presentavano peculiarità significative e addirittura allarmanti. Si citano, in particolare, la crescita dell'aggregato, che evidenziava ben più che una fisiologica lievitazione (più 100 % dal 2005 al 2006), nonché, proprio attorno alla chiusura dell'esercizio 2006, due pesanti campanelli d'allarme: uno sistemico, come l'aumento rilevante dei tassi d'interesse (quelli a tre mesi, tra l'inizio e la fine del 2006, sono aumentati di quasi il 50 % passando dal 2,5 % al 3,7 %), l'altro endogeno, costituito dall'emergere delle carenze organizzative del settore, segnatamente in termini di strumenti informativi e di strutture di controllo, nonché di specifiche anomalie comportamentali (compensazioni che hanno portato all'aggiustamento di bilancio 2006, limitato peraltro a taluni casi specifici emersi). Nonostante ciò, non sembra essere stato fatto un controllo attento, per quanto elementare, della recuperabilità dei più vistosi valori mark to market. Invero sarebbe stato sufficiente riscontrarne una almeno teorica recuperabilità, pur senza particolari approfondimenti e con dati disponibili in azienda, sulla base del fido deliberato e della consistenza patrimoniale dei clienti interessati. La banca ha registrato costi per "altri servizi: per attività su strumenti finanziari derivati OTC" nella voce 50 "commissioni passive". Tra le commissioni passive spiccano i costi per servizi di mediazione acquisiti da (X) da soggetti terzi. Si tratta di un costo sostenuto effettivamente dalla banca, a fronte di servizi che dovrebbero consistere nella presentazione alla banca di clienti interessati all'acquisto di prodotti bancari come appunto i derivati. I costi di mediazione, calcolati in proporzione variabile rispetto sia agli up-front sia al nozionale ad ogni stipula di contratto (anche nei casi di ristrutturazione), erano spesati immediatamente in conto economico. In argomento si osserva solo che nessuna informazione di dettaglio è stata data in nota integrativa sulla rilevante dipendenza di (X) dalla funzione svolta dai mediatori, specificatamente quanto all'attività svolta in derivati.
Circa la congruità delle informazioni fornite da (X) in nota integrativa sull'operatività in derivati, si rilevano incompletezze e contraddizioni. L'affermazione "nella voce di conto economico 'risultato netto dell'attività di negoziazione' sono allocate tutte le componenti reddituali relative agli strumenti derivati di negoziazione" non risponde ai comportamenti contabili in precedenza esposti. Inoltre la banca comunica che "relativamente all'attività di collocamento sul mercato retail di contratti derivati di copertura tasso emessi da Fabbriche Prodotto operanti nel mercato corporate, la banca percepisce una componente commissionale che trova puntuale manifestazione nel conto economico nella voce 40 'Commissioni Attive'", fornendo un quadro distorto della sua attività, che non è di collocamento prodotti di terzi ma di negoziazione in conto proprio. Gran parte dei contratti venduti alla clientela, poi, sono risultati di carattere speculativo e non di copertura. Ciò inficia pure quanto, in tema di informazioni qualitative, la banca ha sostenuto nella sezione 2 - "Rischi di mercato": cioè che "gestisce nel proprio portafoglio di negoziazione solamente contratti derivati con quali offre un servizio di copertura dal rischio di tasso alla propria clientela" e che l'attività in di negoziazione di strumenti derivati ha come obiettivo l'offerta di un servizio complementare alla clientela senza l'assunzione di rischio di mercato da parte della banca. Ha precisato tuttavia che "l'attività però non è immune al rischio di credito, in quanto la banca si frappone tra la controparte
bancaria ed un proprio cliente. Tale rischio viene monitorato attraverso una procedura ad hoc che produce un flusso di reporting dedicato all'operatività in parola. Data la recente crescita dimensionale di questa operatività tale procedura è stata sviluppata nell'ultimo trimestre dell'anno, con completamento ad inizio 2007"; in sostanza, si afferma il sistema di monitoraggio e al tempo stesso se ne ammette, implicitamente, l'assenza nel 2006.
Per quanto riguarda la tabella A.1 "Portafoglio di negoziazione di vigilanza: valori nozionali di fine periodo e medi", che ripartisce i derivati per tipologia (IRS, basis swap, opzioni plain vanilla, opzioni esotiche ecc.), la banca non ha indicato la presenza di opzioni di tipo esotico, che invece caratterizzavano fortemente la sua operatività.
Nel complesso, quindi, il quadro informativo fornito da (X) circa la natura della sua operatività in derivati, pur se potrebbe consentire ad un lettore di bilancio con elevate competenze tecniche di notare delle incongruenze, non permette di cogliere la reale portata, in termini di rischi, dell'attività svolta.
Si segnala, infine, che la normativa di bilancio prevede che si indichi esplicitamente il ruolo svolto dalla banca nell'attività di negoziazione ("market maker", arbitraggista, attività in proprio, ecc.), oltre alle principali caratteristiche dei prodotti finanziari innovativi o complessi negoziati, se di importo rilevante; nel caso di modifiche significative nella condotta dell'attività di negoziazione, occorre descrivere i cambiamenti intervenuti e le relative motivazioni. La banca, invece, non ha fatto alcun cenno al riguardo, né, tanto meno, ha segnalato di essere stata autorizzata all'esercizio di attività di negoziazione in conto proprio solo a dicembre 2006.
In relazione al quesito n. 4 (riguardante "incidenza e quantificazione del trattamento contabile di cui al punto precedente sul risultato di esercizio dei bilancio 2006 di (XX)"), per quanto riguarda l'incidenza dello scorretto trattamento contabile degli up-front sul risultato di esercizio dei bilancio 2006 di (X), si è visto che esso non ha di per sé modificato il risultato finale bensì solo i risultati intermedi. La voce 60 "commissioni nette" si sarebbe contratta, per effetto delle minori commissioni attive (voce 40), a vantaggio di un incremento della voce 80 "risultato netto dell'attività di negoziazione". L'importo di questa variazione è quantificabile in 185 mln. e riduce il margine "commissioni nette" fino a farlo diventare negativo e pari a -61 mln. (da 124 mln.), dando quindi chiara percezione della dispendiosità del modello di business adottato dalla banca. Con riferimento invece ai costi per servizi di mediazione acquisiti da (X) da soggetti terzi per l'attività di presentazione della clientela, questi ammontano in circa 38 mln. per la sola attività in derivati (cfr. "Esposto alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano del 3/10/2007", pag. 3), pari a circa il 14 % del margine di intermediazione.
L'attività di unwinding ha falsato la ripartizione del risultato netto dell'attività di negoziazione tra plusvalenze/minusvalenze e utili/perdite (tabella 4.1, pag. 342 del bilancio di esercizio 2006). La sua quantificazione si può solo stimare per il fatto che buona parte delle compensazioni avveniva extracontabilmente. L'analisi del conto commissioni attive ha però fatto emergere che gli up-front dovuti dalle controparti bancarie ammontavano a ben 245 mln. e sono stati compensati in conto con costi di chiusura pari a 58 mln. Questa cifra può essere considerata una stima attendibile delle minusvalenze registrate nel risultato netto dell'attività di negoziazione in luogo della corretta registrazione di perdite.
Quanto ai citati fenomeni relativi a cancellazione di contratti senza delibera dell'organo competente, più volte verificatisi anche nei confronti dei medesimi clienti e solo in parte considerati nel bilancio 2006, due casi, pur concretizzatisi nel gennaio e nel marzo 2007, avrebbero dovuto impattare sul bilancio 2006 andandone a rettificare il risultato d'esercizio al lordo delle imposte per un importo di 5,8 mln. (in applicazione della disciplina prevista per i fatti intervenuti dopo la fine dell'esercizio e prima dell'approvazione del bilancio - cfr. IAS 10 § 8 e 9.b). Ciò non si sarebbe verificato perché la consapevolezza della perdita sarebbe stata acquisita, sembra, solo nel giugno 2007 (cfr. Rapporto dell'Audit del 28 giugno 2007). Tale episodi, comunque, danno la misura della inadeguatezza dei presidi a fronte dei rischi operativi.
Infine si espone una quantificazione minimale (stimata per difetto in relazione sia al campione esaminato sia ai criteri utilizzati, che non considerano, ad esempio, l'impatto sicuramente pesantissimo che un'eventuale richiesta di marginazione avrebbe avuto sulla liquidità dei clienti, e, per questa via, sulla solvibilità degli stessi anche nei casi di una consistenza patrimoniale di primo acchito adeguata) della svalutazione per rischio di controparte che doveva interessare i contratti derivati con fair value positivo, in applicazione di quanto esposto in chiusura del punto precedente. Una ricognizione sui primi 20 clienti verso i quali (X) era esposta per contratti derivati con mark to market positivi (tutti superiori a 2 mln.) - scevra di complessi tecnicismi ed effettuabile in poco tempo, sulla base di informazioni agevolmente disponibili - avrebbe consentito di rilevare l'ampia irrecuperabilità di tali valori (62,4 mln. su un totale di 150,6 mln.). La perdita stimata - si sottolinea - è di valore complessivo ancora modesto rispetto a quella successivamente maturata (svalutazione complessiva risultante dalle semestrale 2007 pari a 847 mln. su 920 mln.; svalutazione sui primi 20 clienti: circa 431 mln. su 469) a seguito dell'impatto devastante dell'evoluzione dei contratti, di evidente complessità e volatilità, sulla solvibilità dei clienti anche nei non frequenti casi nei quali la loro base patrimoniale non fosse sin dall'origine irrisoria. Era pertanto del tutto incongrua una rettifica forfetaria pari a 8,3 mln. (in assenza, si ricorda, di qualsiasi garanzia in termini di collateral). La detta svalutazione (62,4 mln), al lordo della svalutazione forfetaria fatta dalla banca, si sarebbe dovuta tradurre in una diminuzione del risultato netto di negoziazione (in termini di minori plusvalenze o maggiori minusvalenze), da -25 mln. a -87,4 mln. (peraltro se si tiene conto della corretta classificazione degli up-front, il risultato netto dell'attività di negoziazione sarebbe passato da 160 mln. a 97,6 mln.). L'utile dell'operatività corrente al lordo dell'imposte, per questo solo fattore, sarebbe dovuto calare da 166 mln. a 103,6 mln. Inoltre il valore delle attività finanziarie detenute per la negoziazione (voce 20 dell'attivo dello stato patrimoniale) sarebbe sceso da 455 mln. a 393 mln.
Una parziale ricostruzione delle voci di conto economico e stato patrimoniale, in funzione delle improprie appostazioni e valutazioni sopradescritte, viene qui di seguito sintetizzata schematicamente: (omissis)

Il Tribunale di Milano, Sezione VIII Civile, inoltre, con sentenza n. 5796/09 depositata in data 30.4.2009 (attualmente sottoposta a gravame) ha dichiarato, su impugnativa formulata della Consob ai sensi dell'art. 157, comma secondo, D.Lgs. n.58/98, la nullità della delibera dell'assemblea del 16.4.2007 di (X) S.p.A. con la quale è stato approvato il bilancio di esercizio al 31.12.2006 nonché il correlato bilancio consolidato di gruppo approvato dal C.d.A. il 16.3.2007 ed, in particolare, "la parte relativa alla contabilizzazione e valutazione degli strumenti finanziari "derivati IRS-OCT" strutturati, sottoscritti con la clientela, e quella relativa alla mancata informativa in bilancio sulla tipologia di tali "derivati IRS-OCT" e sui rischi insiti negli stessi".
Nella motivazione della sentenza il Tribunale ha rilevato, in particolare, la violazione dei canoni di verità e chiarezza enunciati dal comma secondo dell'art. 2423 c.c. e, segnatamente, la radicale inadeguatezza del criterio adottato per esporre in bilancio la operatività in derivati non negoziati sui mercati regolamentati (Over The Counter) di (X) S.p.A.
In particolare il Collegio giudicante ha evidenziato che la procedura di valutazione collettiva (identica a quella usata per i crediti derivanti dal leasing) era assolutamente inadeguata ad esprimere il rischio di controparte (quantificato nella somma di 8,3 mln. di euro a fronte di un potenziale credito verso la clientela per 233,3 mln.) in quanto i crediti in questione traevano origine da operazioni speculative ad alto rischio (e, pertanto, radicalmente differenti da normali crediti commerciali quali quelli nascenti da contratti di leasing) ed in quanto il 60% delle operazioni in questione era stato perfezionato con un ridotto numero di piccole o piccolissime imprese, di incerte capacità solutorie (pag.5 della sentenza del 30.4.2009).
Quanto alla violazione del canone di chiarezza, il Collegio ha censurato la circostanza che l'appostazione creditoria relativa ai contratti derivati fosse "evidenziata solo in una brevissima nota a pag. 288 del bilancio, nota infarcita di inesplicate sigle e di termini, in lingua diversa dall'italiano, senza idonea traduzione" (pag.5 della sentenza del 30.4.2009).

Nelle dichiarazioni rese in data 19.5.2010 in sede di presentazione spontanea innanzi al Pubblico Ministero (B) ha, peraltro, precisato "circa le comunicazioni sociali ammetto che in esse non veniva mai detto che si trattasi di prodotti speculativi, a proposito dei derivati. Ricordo anzi di aver avuto un dialogo con (A) in occasione della mia attività di reingegnerizzazione del processo della banca nel marzo o aprile del 2006. Feci presente all'A.D si trattava di prodotti derivati a leva non solo di copertura e che probabilmente avremmo dovuto commentarli in consiglio presentandoli come tali. (A) mi rispose: "non preoccuparti di cose che seguo direttamente con le banche d'affari e che sono di natura bancaria".
Prendo atto che nei bilanci di (X) veniva detto al mercato che i prodotti venduti erano di copertura come servizio ai clienti del leasing. Si tratta di dichiarazioni inveritiere: per ciò che riguarda il 2005 ritengo che l'informazione servisse a dare una immagine rassicurante al mercato senza evidenziare i rischi connessi a quella operatività".
Le dichiarazioni di (B) dimostrano come la mendace rappresentazione in bilancio della operatività in derivati costituisse espressione di un preciso disegno inteso a coonestare una redditività di (X) insussistente o, comunque, gravata da significativi rischi volutamente dissimulati. D'altra parte le indagini preliminari hanno dimostrato in modo inequivoco che la operatività in derivati della banca avveniva sotto il diretto controllo di (A) e di (B) che, all'epoca dei fatti, era il direttore generale ed il responsabile dell'Area Finanza di (X).

Tale ampio compendio probatorio dimostra come (A) ed (B) con l'intenzione di ingannare i soci ed il pubblico ed al fine di far conseguire alla stessa società un ingiusto profitto, abbiano esposto nel bilancio d'esercizio al 31.12.2006 e nella nota integrativa allo stesso bilancio fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazione ed abbiano omesso informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari sulla predetta situazione. Le dichiarazioni mendaci e le omissioni informative contenute nel bilancio hanno cagionato un danno patrimoniale alla società, ai soci e ai creditori. In particolar modo hanno indotto i creditori a sovrastimare il patrimonio di (X) S.p.A. e, pertanto, a non richiedere le garanzie necessarie alla luce della reale situazione patrimoniale e finanziaria della banca.
Parimenti la diffusione di false notizie in ordine alla redditività della società ha indotto i soci ad adottare scelte allocative dei titoli azionari di (X) S.p.A,. influenzate da una mendace informazione finanziaria. Del resto le azioni di (X) S.p.A., in seguito alla emersione in sede amministrativa e, di seguito, penale dei numerosi illeciti commessi da (A), hanno subito ingenti minusvalenze che ne hanno quasi azzerato il valore.
Le falsità delle comunicazioni sociali, inoltre, hanno cagionato un danno patrimoniale, reputazionale e legale per la stessa società; in particolare l'emergere delle criticità occultate ha costretto (X), in tempo successivo ma assai prossimo all'approvazione del bilancio 2006, a rivalutare il rischio di credito con riguardo ai contratti derivati stipulati con la clientela portandolo da €.8,3 mln. a circa €. 600 mln. (comunicato B.I. del 8.6.2007) ed a provvedere alla chiusura di contratti derivati con esborso nei confronti delle banche controparti di circa €. 610 mln. (comunicato B.I. del 29.6.2007).
La società ha, inoltre, subito ingenti danni di natura reputazionale in ragione del contenzioso insorto con la clientela in ragione degli stessi contratti derivati (peraltro stipulati in assenza della prescritta autorizzazione alla negoziazione in conto proprio rilasciata dalla Banca d'Italia ai sensi dell'art. 19 T.U.F.), del repentino crollo del valore delle azioni sul mercato e del conseguente downgrading della stessa banca da parte delle agenzie di rating.
Devono, pertanto, ritenersi adeguatamente comprovati nei limiti delibatori propri della presente sede gli estremi oggettivi del delitto di cui all'art. 2622 c.c. ed anche il superamento delle soglie quantitative di rilevanza penale previste dal comma settimo della medesima disposizione.
Nella valutazione condivisibile dei consulenti della Pubblica Accusa (non scalfita sul punto da alcuna censura della difesa), infatti, le falsità acclarate del bilancio hanno determinato una variazione del risultato economico d'esercizio al lordo delle imposte superiore al 5% (utile dell'operatività corrente al lordo dell'imposte indicato in €. 166.031.169 in luogo di €. 103.600.000) e del patrimonio netto superiore all'1% (attività finanziarie detenute per la negoziazione indicate in €.455.149.111 in luogo di €. 393.000.000).
Sussiste, inoltre, nei limiti delibatori propri della presente sede, il dolo del (A) e del (B), in quanto i medesimi erano pienamente consapevoli della reale natura della operatività in derivati OTC della banca (e dei gravi rischi insiti nella stessa) e, pertanto, del carattere mendace delle informazioni e delle contabilizzazioni riportate in bilancio.
Parimenti deve ritenersi comprovato il fine del (A) di conseguire un ingiusto profitto mediante le falsità esposte nel predetto bilancio, in quanto il medesimo era assegnatario di opzioni per 715.000 azioni, esercitabili tra il 2008 ed il 2010 al prezzo di €.9,3 l'una.
La finalizzazione di tale condotta delittuosa al perseguimento di un ingiusto profitto per (X) è, inoltre, dimostrata dai concordi rilievi operati dalla Banca d'Italia, dalla Consob, dai consulenti della Pubblica Accusa dott. Piernicola Carollo e dott. Ciro Nicolosi e dal consulente di (X) Prof. . in ordine ai rilevanti effetti positivi sui margini della banca e sul corso del titolo azionario determinati dall'operatività connessa all'area dei derivati (ed all'occultamento al mercato ed ai soci dei gravi rischi insiti nella medesima).

IV) Il delitto presupposto di manipolazione del mercato.
La Consob, nella propria relazione n. 7069522 del 26.7.2007 ha evidenziato che in data 14.6.2005 le azioni di (X) sono state ammesse alla quotazione sul Mercato Telematico azionario di Borsa Italiana S.p.a. (segmento ordinario classe 1) e, dal 19.9.2005, sono state inserite nel segmento Blue Chip. A decorrere dal 18 settembre 2005 (X) è entrata nell'indice MIB 30.
In data 21.2.2007 si è concluso con l'integrale sottoscrizione della n.7.958.364 azioni previste, per un controvalore complessivo di 299,2 milioni di euro, l'aumento di capitale deliberato dal Consiglio di Amministrazione in data 24.11.2006 e 11.1.2007, a seguito della delega conferitagli dall'Assemblea dei Soci del 9.11.2006 (aff. 030003).
Per effetto del sopra citato aumento, il capitale sociale di (X) sottoscritto e versato era pari a 472.276.693,56 euro, rappresentato da n. 91.526.491 azioni del valore nominale unitario di 5,16 euro.
La capitalizzazione di borsa al 13.7.2007 era pari a 1.675,9 milioni di euro. Inoltre, al 31.12.2006, il Gruppo (X) presentava titoli in circolazione (Voce 30 del passivo patrimoniale) per 8 miliardi di euro, di cui 1.227 milioni di obbligazioni quotate, 6.668 milioni di obbligazioni non quotate (di cui 319 mila euro di tipo subordinato) e 171 mila euro di altri titoli non quotati (di cui 149 mila euro subordinati) (aff. 030004).
Le straordinarie performance del titolo di (X), che in due anni ha quintuplicato il proprio valore, erano, tuttavia, come risulta ampiamente provato, sostenute in parte significativa ed enfatizzate dalla operatività in derivati OTC della banca stessa.

Gli elementi probatori acquisiti nel corso delle indagini preliminari evidenziano in modo convergente come (X) non abbia fornito in bilancio e nei comunicati diffusi le informazioni necessarie per la comprensione dei rischi di credito collegati alla operatività in strumenti finanziari e che abbia fornito una informativa fuorviante in merito agli importi upfront incassati; le descrizioni relative a questi ultimi, infatti, mentre da un lato pongono in luce il loro contributo all'utile di esercizio non spiegano la loro reale natura economica di indennizzo per la stipula di contratti not par ed occultano i rischi correlati al loro riconoscimento da parte delle banche prodotto. (A) ed (B), pertanto, hanno diffuso, notizie false sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società, concretamente idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo ufficiale del titolo azionario quotato sul Mercato telematico di Borsa Italiana S.p.A.
Tale condotta è consistita nella costante pubblicazione dal 10.3.2006 al 17.4.2007, con comunicati rivolti al pubblico e sulla stampa, notizie in ordine all'incremento elevato dei ricavi e degli utili di (X) che occultavano il correlativo ed ingente rischio di credito. In particolare nei comunicati indicati nella imputazione riportata in epigrafe veniva sistematicamente enfatizzato l'incremento dei ricavi, degli utili e delle commissioni nette, il contenimento e l'attenta gestione dei rischi, ed in genere la corretta gestione sociale, fornendo al mercato una falsa rappresentazione dell'origine di parte rilevante tali ricavi, rivenenti dall'operatività in derivati (72% dell'utile aziendale nel 2006).
Il carattere price sensitive delle informazioni mendaci diffuse al mercato risulta, del resto dimostrato dall'andamento del titolo della banca cresciuto nella misura del 564% dal 9.6.2005, data di prima negoziazione, al 17.4.2007 data di approvazione del bilancio 2006, passando da €. 10,88 a quello di €. 52,28.
Dalla quotazione del giugno 2005 e nel successivo biennio di vita borsistica, infatti, il titolo di (X) ha fatto registrare una performance sicuramente non comune; all'esordio sui mercati finanziari al titolo era stato attribuito un valore di circa 10 €. per azione e dopo circa 20 mesi di negoziazione, lo stesso veniva scambiato ad un prezzo di oltre 50 €. per azione, riuscendo quindi a registrare una variazione percentuale positiva di oltre il 500%.
La crescita in questi mesi è stata costante e repentina. A partire dal mese di aprile/maggio del 2007, tuttavia, il titolo azionario, a causa del coinvolgimento di (A) nelle vicende giudiziarie concernenti il caso (Z), ma soprattutto della emersione delle criticità e delle anomalie della gestione dei contratti derivati, ha iniziato una repentina discesa che ne ha ridimensionato notevolmente l'apprezzamento, portandolo, alla data del 24/07/2007, ad un valore pari a circa 16,00 € per azione. Sussiste, inoltre, nei limiti delibatori propri della presente sede il dolo del (A) e del (B), in quanto i medesimi erano pienamente consapevoli della reale natura della operatività in derivati OTC della banca (e, per converso, dei gravi rischi insiti nella stessa) e, pertanto, del carattere mendace delle comunicazioni propalate al mercato in ordine al contenimento ed all'attenta gestione dei rischi ed, in genere, in ordine alla corretta gestione sociale.

V) Il delitto presupposto di ostacolo alle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia. Il Pubblico Ministero ha contestato a (A), in qualità di amministratore delegato dal 2004 al giugno del 2008, ed a (B), in qualità di direttore generale nonché responsabile dell'Area Finanza (nel cui ambito era riconducibile la responsabilità riguardante l'operatività in contratti derivati), la commissione del delitto di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza di Banca Italia e di
CONSOB.
Gli imputati, secondo l'ipotesi di accusa, avrebbero infatti rappresentato in occasione della richiesta a Banca Italia di autorizzazione alla negoziazione per conto proprio di strumenti finanziari c.d. derivati datata 3.11.2006 e nella nota integrativa al bilancio dell'esercizio chiuso il 31.12.2006 fatti non conformi al vero in ordine alle caratteristiche di tali strumenti finanziari e in ordine alla organizzazione della banca circa la predisposizione di un assetto organizzativo idoneo a garantire gli investitori sulla natura e sui rischi delle operazioni.
In particolare gli imputati avrebbero rappresentato agli organi di vigilanza gli IRS (contratti derivati) conclusi come operazioni con esclusive finalità di copertura dei rischi della clientela, senza evidenziare le componenti c.d. esotiche che introducevano nei contratti fattori di elevata rischiosità, che li rendevano del tutto inadatti alle predette finalità di copertura. In tal modo impedendo nei fatti a Banca Italia di valutare gli elementi di rischiosità ed instabilità della BANCA (patrimoniali, legali e reputazionali) conseguenti alla suddetta operatività.
Tale prospettazione nei limiti delibatori propri della presente sede deve essere accolta.
Il compendio probatorio agli atti dimostra, in primo luogo, come la reale natura della operatività in derivati OTC di (X) fosse stata scientemente occultata alla Banca d'Italia.
All'esito del procedimento ispettivo, la stessa ha acclarato che "la rappresentazione di tale operatività sia all'Organo di Vigilanza sia nella Nota Integrativa al bilancio relativo all'anno 2006 non è stata effettuata correttamente; in particolare gli IRS sono stati segnalati come plain vanilla e non sono state evidenziate componenti incorporate come le opzioni "esotiche" o barrier (aff. 040414). La descritta operatività ha generato per (X) rischi di controparte e/o finanziari, che, in relazione all'aumento dei tassi di interesse di mercato, hanno contribuito a determinare un repentino crollo delle quotazioni delle azioni di (X) e il downgrading della società". "Le affermazioni dell'azienda circa la prevalenza della finalità di copertura dei contratti conclusi sono sconfessate dal fatto che, nella maggior parte dei casi (e quindi non solo con riferimento a specifici clienti) le formule di calcolo dei contratti presentavano una tale complessità da renderle incompatibili con il fine di semplice protezione. Gli IRS venduti infatti incorporavano stringhe di opzioni cap o floor collegate a trigger event, leve ed effetti memory. Inoltre, anche le frequenti ristrutturazioni possono essere lette in un'ottica speculativa in quanto tese a rinviare nel tempo l'esplicitazione della perdita confidando in eventi futuri più propizi" (aff. 110027). "Solo in data 3.11.2006 l'azienda ha richiesto l'autorizzazione ex art. 19 TUF per lo svolgimento di negoziazione in contro proprio, rilasciata dalla Banca d'Italia il successivo 13 dicembre (aff. 040414)".
In particolare la relazione del Prof. ... e la relazione n. 072900076 redatta dalla Consob evidenziano come la descrizione della operatività in derivati fornita da (X) nel bilancio al 31.12.2006 e nei flussi informativi alla Autorità di Vigilanza fosse radicalmente scorretta.
(X), infatti, asseriva di fornire alle Banche prodotto un servizio di mera intermediazione nel collocamento di strumenti derivati alla clientela, atteso che nella medesima giornata veniva concluso il contratto con il cliente e quello uguale, ma di segno opposto, con le c.d. fabbriche prodotto. Parimenti (X) indicava in bilancio gli upfront percepiti dalle controparti bancarie come "remunerazione del servizio reso al cliente e del rischio creditizio assunto". L'operatività in derivati OTC si configurava, tuttavia, come una negoziazione in conto proprio, in cui gli upfront riconosciuti a (X) dalle Banche prodotto rappresentavano l'indennizzo da queste corrisposto per l'acquisto di derivati rischiosi e complessi.
In altri termini l'attività svolta di (X) in derivati si rivelava essere assimilabile a quella di un dealer di swap strutturati, che opera in proprio assumendo posizioni di rischio con le controparti rispetto alla semplice attività di brokeraggio che la Banca ha illustrato nei propri bilanci (aff. 080812). I dealer, infatti, effettuano negoziazioni di strumenti finanziari per conto proprio, acquisendo strumenti che confluiscono nel loro portafoglio di proprietà e traendo da tali negoziazioni un profitto. Per converso i broker non detengono un proprio portafoglio di titoli in proprietà, in quanto alle negoziazione con il loro patrimonio, ma ricercano per la propria clientela controparti con cui negoziare. Il profitto lordo dei broker è dato dalle commissioni pagate dalla loro clientela per la predisposizione di negoziazioni con altri investitori.
Tale conclusione, difforme dalla illustrazione operata dalla (X) nel bilancio al 31.12.2006, trae, inoltre, conferma dalla documentazione acquisita dalla Consob presso il revisori dei conti; in questa, infatti, non si evince alcune legame diretto tra i contratti di segno opposto conclusi con le banche prodotto e la clientela e l'indicazione degli upfront non presenta alcun richiamo ad eventuali compensi per la presunta attività di intermediazione svolta da (X).
Nella relazione ispettiva e nei suoi allegati (che in tale sede devono intendersi richiamati per relationem) si acclara che anche nell'ambito delle segnalazioni trimestrali di vigilanza alla Banca d'Italia relative alla concentrazione dei rischi, previste in base alla legge (artt. 51, 53 TUB circolare n. 229 del 21.4.1999), riferite al primo e al secondo trimestre 2005, trasmesse da (X) S.p.A. quale capogruppo del Gruppo (X) (comprendente ... S.p.A., ... S.p.A., ... S.p.A.) erano esposti fatti materiali non rispondenti al vero sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria del Gruppo ovvero allo stesso fine erano occultati con altri mezzi fraudolenti fatti che avrebbe dovuto essere comunicati.
In particolare (X) nella comunicazione riferita al 31.3.2005:
- con riguardo all'esposizione del "Gruppo (XX)" verso il "Gruppo (Y)", segnalava unicamente che l'esposizione verso ... S.r.l. (appartenente al menzionato Gruppo (Y)) ammontava a €. 124 milioni, pari al 23,89% del patrimonio di vigilanza, mentre ometteva di segnalare tra i grandi rischi riferiti al medesimo Gruppo (Y) le esposizioni della controllata ... verso ... S.p.A. per €. 100 milioni, verso (Y) S.r.l. per €. 28,5 mln., verso ... S.r.l. per €.45 mln. (tutti soggetti da ricondurre al menzionato Gruppo (Y)), nonché ometteva di aggregare in un'unica segnalazione riferita al Gruppo (Y) le esposizioni di (X) e ... verso ... S.r.l. e ... S.r.l.(anch'essa da ricondurre al menzionato Gruppo), talché veniva occultato che l'esposizione complessiva del Gruppo (X) verso il Gruppo (Y) ammontava a €. 30,5 mln. pari al 63,7% del patrimonio di vigilanza (o comunque oltre il limite consentito del 25%)
- con riguardo all'esposizione del Gruppo (X) verso ... S.p.A. ("Gruppo (Z)") segnalava che la stessa ammontava a €. 69,7 mln. pari al 13,43 % del patrimonio di vigilanza, ponderando il rischio nella misura del 50% come consentito per leasing su immobili di tipo residenziale (mentre trattandosi di leasing su immobili di tipo commerciale la prescritta ponderazione è pari al 100% del rischio), ometteva di aggregare le esposizioni di (X) e delle controllate ... (per €.90 mln.) e ... (per €.83 mln.) verso ... S.p.A. e ... S.r.l. (appartenenti al Gruppo (Z)), nonché ometteva di segnalare tra i grandi rischi riferiti al medesimo Gruppo (Z) le esposizioni per complessivi €. 60 mln. della controllata ... verso ... S.p.A., . S.r.l. e . S.r.l. (tutte da ricondurre al Gruppo (Z)); talché veniva occultato che l'esposizione complessiva del Gruppo (X) verso il Gruppo (Z) ammontava a €. 282,5 mln. pari al 54,4% del patrimonio di vigilanza (o comunque oltre il limite consentito del 25% ); nella comunicazione riferita al 31.6.2005
- non segnalava alcuna posizione di rischio verso il Gruppo (Z) benché l'esposizione del Gruppo (X) verso detto Gruppo (Z) ammontasse ad €. 282 mln. pari al 35,8% del patrimonio di vigilanza (o comunque oltre il limite consentito del 25%), omettendo di aggregare in un'unica segnalazione di rischio l'esposizione di (X) e delle controllate ... , ... e ... verso le seguenti società del Gruppo (Z): .
S.p.A., ... S.r.l., ...S.r.l., ... S.p.A.;
- segnalava che l'esposizione del Gruppo (X) verso il Gruppo (Y) ammontava a €.151 milioni, pari al 19,2% del patrimonio di vigilanza, omettendo di segnalare tra i grandi rischi riferiti al medesimo Gruppo (Y)- Statuto le esposizioni della controllata ... verso (Y) S.r.l. per €. 28,5 mln. e verso ... S.r.l. per €.244.000, talché veniva occultato che l'esposizione complessiva del Gruppo (X) verso il Gruppo (Y) ammontava a €. 179,724 mln. pari al 22,7% del patrimonio di vigilanza.
Nelle dichiarazioni rese in data 19.5.2010 in sede di presentazione spontanea innanzi al Pubblico Ministero (B) ha ammesso "posso dire di essere stato consapevole che a Banca di Italia venivano comunicati flussi informativi non corretti con riferimento alle caratteristiche dei derivati conclusi da (XX). Con la precisazione che ciò era dovuto in parte alla inadeguatezza del sistema informatico, il quale partiva da AR Computer - convogliando poi i dati in Trend che è la piattaforma dedicata alle segnalazione cadenzate verso banca Italia".
Nella relazione redatta all'esito della ispezione della Banca d'Italia si evidenzia, inoltre, che "il flusso segnaletico risulta caratterizzato dalla presenza di errori e di omissioni di tipo sistematico" (aff. 010492).
"Il patrimonio di vigilanza al 31 dicembre 2006 era inferiore di € 75 mm all'ammontare necessario per fronteggiare il complesso dei rischi a livello consolidato.
Per gran parte del 2005 il sostegno finanziario nei confronti dei gruppi (Z) e (Y) ha ecceduto i limiti in materia di "grandi fidi" a livello consolidato, oltre che per gli errori di ponderazione già fatti rilevare da questo Istituto con relazione n. 851110 del 31.7.2006, per incompletezze nella definizione del relativo perimetro (mancata comprensione nel gruppo Amari, fino alla segnalazione di giugno, dell'esposizione verso la . s.r.l. e mancata aggregazione, in capo al gruppo (Z), fino a quella di settembre, degli affidamenti a ... S.p.A., ... S.r.l. e ...S.r.l.; cfr all. n. 5) nonché per l'indiretta assunzione di rischi (meglio descritti nell'all. n.3.3 e 3.4) (aff. 010472 e ss.) attraverso la controllata strumentale ... , dalla banca all'uopo finanziata. In particolare, al 31 marzo 2005 il rischio verso i menzionati soggetti economici si è attestato, rispettivamente, al 54,5% e al 61,9% del patrimonio di vigilanza a livello consolidato".
Con riferimento al gruppo (Z), la Banca d'Italia rilevava, inoltre, che "tale gruppo è stato sostenuto
oltre che con finanziamenti diretti, anche attraverso l'accordo concesso per la cessione dei contratti di leasing e per la vendita di cespiti a società lussemburghesi comprese nel raggruppamento . Queste ultime società, finanziate nonostante la mancanza di conoscenza degli effettivi soggetti economici sottostanti, celati dietro società offshore, sono risultate inadempienti e la banca ha accettato una ristrutturazione delle linee di credito concesse (aff. 010452)". "D'altra parte, la prassi di finanziare soggetti coperti da società fiduciarie è apparsa diffusa a livello di gruppo, con l'effetto di rendere opache le scelte allocative effettuate" (aff. 010481).
Si riportano di seguito le conclusioni rassegnate dai consulenti della Pubblica Accusa dott. Piernicola Carollo e dott. Ciro Nicolosi sui c.d. grandi rischi sopportati da (X) nel periodo oggetto di indagine.
"Il Gruppo (X) disponeva al 31.12.2004 di un patrimonio di vigilanza pari a 519,13 mln. a livello consolidato (allegato 3.c). Con riferimento al 31.3.2005 il Gruppo ha segnalato 3 posizioni di rischio che rientravano nei grandi rischi in quanto superiori al 10% del patrimonio di vigilanza (allegati 3.a e 3.d). La situazione relativa alla concentrazione dei rischi, così come segnalata, era pienamente nei limiti previsti dalla normativa in quanto ciascuna posizione di rischio (anche per effetto del fattore di ponderazione applicato dal Gruppo segnalante) era inferiore al 25% del patrimonio di vigilanza (limite individuale) e la somma delle 3 posizioni di rischio non superava di otto volte il patrimonio di vigilanza (limite globale). In particolare la situazione segnalata con riferimento alla data in esame era la seguente: (omissis)
La segnalazione inviata dal Gruppo (X) con riferimento al 31 marzo 2005 mostra una situazione perfettamente in linea con il limite individuale pari a 129,8 mln. (ovvero il 25% del patrimonio di vigilanza): nei confronti del gruppo (Z) (... s.p.a.) l'esposizione in rapporto al patrimonio di vigilanza (13,43%) era ben lontana dal limite, grazie alla presunta minor rischiosità di tali specifiche attività di rischio, alle quali (X) ha applicato una ponderazione favorevole del 50% (senza la quale vi sarebbe stato un supero di circa 10 mln.); nei confronti del cliente . s.r.l. (gruppo (Y)) l'esposizione cumulata delle diverse società del Gruppo (X) si era attestata al 23,89 %. In realtà la situazione relativa ai grandi rischi del Gruppo (X) nei confronti dei due citati gruppi clienti era diversa da quella segnalata alla Banca d'Italia. In base all'analisi delle risultanze dell'ispezione condotta dalla Banca d'Italia nonché degli approfondimenti successivamente condotti dai consulenti, risulta come il Gruppo (X) avesse ampiamente superato il limite individuale dettato dalla normativa sulla concentrazione dei rischi (25% del patrimonio di vigilanza). In particolare al 31 marzo 2005 nei confronti del gruppo (Y) l'esposizione complessiva aveva raggiunto il 63,7% del patrimonio di vigilanza in luogo del 23,9% segnalato, mentre nei confronti del gruppo (Z) l'esposizione era pari al 54,4% in luogo del 13,43%.
L'esposizione verso il cliente ... s.r.l., segnalato da (X) come non collegato ai due gruppi di clienti citati, risultava rientrare nei limiti dei grandi rischi. In realtà, a differenza di quanto rilevato dal Gruppo (X), il cliente considerato era parte del gruppo "(Y)". Si rimanda al paragrafo 5 (Attribuzione dell'esposizione "..." al gruppo (Y)) per un approfondimento della questione. 3.1.1 Esposizione creditizia verso il gruppo (Y) al 31.3.2005
Nella tabella che segue si chiarisce la composizione della reale esposizione del Gruppo (X) verso il gruppo (Y) al 31 marzo 2005:
(omissis)
La tabella mostra la composizione della posizione di rischio complessiva verso tutti i soggetti connessi al gruppo (Y) a prescindere dalla componente del Gruppo (X) (..., ... e (X)) effettivamente erogante. La posizione di rischio, pari a 330,5 mln. di euro, verso il gruppo (YY) era ampiamente superiore a quella segnalata all'Autorità di Vigilanza e superava il limite individuale posto dalla normativa prudenziale sulla concentrazione dei rischi. In sostanza l'esposizione così come ricostruita è il risultato dell'applicazione della normativa citata che impone il calcolo dei grandi rischi a livello di gruppo sia per quanto riguarda il soggetto segnalante (Gruppo (X)) sia con riferimento ai clienti prenditori, i quali ultimi, se connessi (dal punto di vista economico o
giuridico), devono essere considerati come un unico soggetto. Invece (X) ha omesso, da un lato, di segnalare tra i grandi rischi riferiti al gruppo (Y) le esposizioni facenti capo alla propria controllata ... (esposizione ... s.p.a. di importo pari a 100 mln., (YY) s.r.l. per 28,5 mln. e ... s.r.l. per 45 mln.), dall'altro, di aggregare in un'unica segnalazione riferita al gruppo (Y) le esposizioni verso soggetti (... s.r.l., ... s.r.l.) che a quel gruppo dovevano invece essere ricondotte (solo nella segnalazione del trimestre successivo il Gruppo (X) aggregava correttamente le posizioni di rischio ... s.r.l. e ... s.r.l., quando per effetto dell'incremento del patrimonio di vigilanza nel frattempo avvenuto, l'esposizione complessiva verso il gruppo (Y) non superava più il limite dei grandi rischi). Si veda la delibera nei confronti di ... assunta il 16.4.2004, che evidenzia la consapevolezza del Cda sul fatto che il cliente fosse controllato al 100% da ... e che questa facesse capo al gruppo (Y) (allegato 4, che contiene anche le delibere relative a ...). In altre parole le esposizioni in questione, che singolarmente rientravano nel limite individuale fissato dalla normativa, se correttamente aggregate e segnalate avrebbe mostrato un sostegno creditizio del Gruppo (X) al gruppo (Y) ben oltre il limite consentito e tale da assorbire il 63,7% del patrimonio di vigilanza del gruppo bancario alla data in questione. Una nota ulteriore meritano le operazioni di ... nei confronti di (Y) per 28,5 mln., ... e ... (rispettivamente di 45 mln. e 100 mln.) (cfr. estratto del rapporto ispettivo della Banca d'Italia del 27.6.2007, nonché le rispettive delibere del Cda, allegato 5). La prima operazione deriva da un versamento a favore di (Y) s.r.l. a titolo di caparra confirmatoria per l'acquisto al prezzo di 38,5 mln. di un immobile. Questa esposizione, pur non assumendo la veste contrattuale di un finanziamento, deve essere compresa nei grandi rischi perché, alla luce di quanto previsto nella normativa illustrata precedentemente, consiste in un'attività di rischio per cassa (ponderazione piena) riferibile ad una specifica controparte. Se poi si guarda alla sostanza contrattuale, l'operazione può essere assimilata ad un finanziamento, poiché assicurava un rendimento predefinito (8,3% su base annua) in caso di recesso, la cui facoltà era riservata ad entrambe le parti. Per le ultime due, si trattava di contratti di leasing con la capogruppo (X) per l'acquisto da società del gruppo (Y) di immobili, che un'altra componente dello stesso gruppo (... s.r.l.) si impegnava contestualmente a ricomprare a termine per valori maggiorati. In entrambi i casi cioè veniva assicurato a ... un rendimento predefinito. In termini di esposizione al rischio, le due operazioni sono da sostanziare in finanziamenti alle componenti del gruppo (YY). 3.1.2 Esposizione creditizia verso il gruppo (Z) al 31.3.2005
Nella tabella che segue si chiarisce la composizione della reale esposizione del Gruppo (X) verso il gruppo (Z) al 31 marzo 2005:
(omissis)
La tabella mostra come la posizione di rischio del Gruppo (X) verso il gruppo (Z) fosse pari a circa 282 mln., al di sopra del limite individuale fissato dalla normativa (si ricorda pari per (X) a 129 mln.), e diversa da quelle segnalata (circa 69 mln. per effetto della ponderazione al 50% applicata). Anche in questo caso la posizione di rischio è stata ricostruita applicando la regola citata che impone di aggregare ai fini della concentrazione dei rischi le esposizioni verso clienti connessi e di considerare le esposizioni di tutte le diverse componenti il Gruppo Bancario. Inoltre è stata utilizzata la corretta ponderazione (100%) dell'esposizione verso ... s.r.l. Il Gruppo (X) invece aveva mancato di considerare come un unico grande rischio le esposizioni verso ... s.r.l.( ) e ... s.r.l.( ), da ricondurre in realtà tutte al gruppo (Z). Inoltre aveva omesso di considerare l'esposizione della controllata ... verso ... s.p.a., ... s.r.l. e ... s.r.l. (pari a 60 mln.) nei grandi rischi a livello di gruppo (allegato 6). Si sottolinea che già la sola esposizione verso . s.r.l., se fosse stata correttamente ponderata, avrebbe superato il limite individuale. Il Gruppo (X) aveva considerato il leasing su immobili di tipo non residenziale (uffici e alberghi) alla stregua del leasing su immobili di tipo residenziale assoggettandolo alla più favorevole ponderazione prevista dalla disciplina sulla concentrazione dei rischi per la seconda tipologia di leasing. Questa errata ponderazione sarà fatta poi rilevare dalla Banca d'Italia al Gruppo (X) con un messaggio amministrativo n. 851110 del 31.07.2006 (allegato 9).
Si ricorda che la normativa prevedeva la più favorevole ponderazione del 50% solo per leasing
relativi ad immobili di tipo residenziale "abitati o destinati ad essere abitati dal debitore" e non con riguardo al leasing su immobili ad uso alberghiero od a uso uffici. A prescindere dalla ponderazione applicata, la posizione di rischio verso il gruppo (Z) al 31 marzo 2005 debordava comunque ampiamente il limite individuale assorbendo il 40,9% del patrimonio di vigilanza del Gruppo (X); ma ascendeva al 54,4% applicando la ponderazione corretta a ... s.p.a..
Per quanto riguarda l'esposizione di ... (60 mln.) verso ... s.r.l., ... s.r.l. e ... s.r.l., occorre riprendere quanto detto a proposito all'esposizione verso (Y) s.r.l. sotto forma di caparra confirmatoria. La controllata ... in data 19.1.2005 versa 60 mln. a titolo di acconto e caparra confirmatoria per l'acquisto di immobili a società del gruppo (Z) (... s.p.a., ... s.r.l. e ... s.r.l.). La consapevolezza della capogruppo (X) circa la connessione tra l'operazione e il gruppo (Z) emerge dalla richiesta fatta il 18.1.2005 da ... proprio alla controllante di un finanziamento di 60 mln. in "relazione alle operazioni poste in essere con il gruppo (Z)" (allegato 10). Questi acconti devono essere fatti rientrare tra le attività di rischio per cassa e come tali segnalati ai fini dei grandi rischi a livello consolidato: così non è stato. Per la descrizione complessiva dell'operazione e delle relative anomalie si rimanda al rapporto ispettivo della Banca d'Italia, e a due report dell'Audit di (X) nonché ai sub-allegati, materiale che per comodità di lettura è stato raggruppato (cfr. estratto del rapporto ispettivo della Banca d'Italia del 27.6.2007 contenente in sub-allegato il preliminare di compravendita tra ... e ... da una parte e il Gruppo ... dall'altra, nonché i rapporti dell'Audit del 5.6.2007 "Esame delle operazioni di finanziamento infragruppo" e del 20.8.2007 "Esame dell'operazione ... s.p.a. - Gruppo (Z)", tutto nel citato allegato 6 e nell'allegato 6b).
3.2 In sintesi, il gruppo (X) aveva un'esposizione nei confronti del gruppo (Z) al 31.3.2005 del tutto incompatibile con i limiti imposti dalla normativa sulla concentrazione dei rischi. La situazione è stata resa opaca dalla ripartizione dell'impegno finanziario verso il cliente gruppo (Z) tra ... , ... e (X): la mancata aggregazione a livello di gruppo (X) con la conseguente non veritiera segnalazione alla Banca d'Italia, oltre a violare la normativa prudenziale, ha di fatto impedito a questa ultima di percepire la reale rischiosità della posizione creditoria del gruppo (X). L'esposizione specifica verso IPI s.p.a. è stata ricondotta nei limiti di concentrazione attraverso una interpretazione distorta della normativa e del relativo favor verso finanziamenti connessi a immobili ad uso residenziale.
3.3 Segnalazione consolidata al 30.6.2005
Il Gruppo (X) disponeva al 30.06.2005 di un patrimonio di vigilanza pari a 787,6 mln. (allegato 3.c) e con riferimento a quella data il Gruppo ha segnalato 5 posizioni di rischio che rientravano nei grandi rischi in quanto superiori al 10% del patrimonio di vigilanza (allegati 3.b e 3.e). La situazione relativa alla concentrazione dei rischi, quindi, era segnalata come pienamente nei limiti previsti dalla normativa in quanto ciascuna posizione di rischio era inferiore al 25% del patrimonio di vigilanza (limite individuale) e la somma delle 5 posizioni di rischio non superava di otto volte il patrimonio di vigilanza (limite globale). In particolare la situazione segnalata con riferimento alla data in esame era la seguente: (omissis)
Il Gruppo (X), dato il patrimonio individuale (787,6 mln.), al 30.6.2005 segnalava una situazione di pieno rispetto della normativa sulla concentrazione dei rischi, anche, in particolare, quanto al limite del 25 % (pari a 196 mln.). L'esposizione verso ... S.p.a., che era stata segnalata con riferimento al 31.3.2005, pur mantenutasi invariata (139 mln.) non veniva segnalata tre mesi dopo, presumibilmente perché con l'applicazione - inesatta - di una ponderazione al 50% non rientrava più nella definizione di "grande rischio" (esposizione ponderata superiore al 10% del patrimonio di vigilanza). Anche con riferimento al gruppo (Y) la situazione rappresentata appariva rispettosa dei limiti, pur se, a differenza del marzo precedente, il Gruppo (X) aveva considerato anche l'esposizione verso ... s.r.l. di 32 mln. che portava l'esposizione complessiva a 151 mln. Infatti il limite individuale grazie all'aumento di capitale nel frattempo intercorso si era alzato come detto a 196 mln. dai precedenti 129 mln.
Tuttavia, la situazione descritta, segnalata alla Banca d'Italia con riferimento al 30 giugno 2005, anche in questo caso non fotografa la reale articolazione relativa ai grandi rischi del Gruppo (X) nei
confronti dei due citati gruppi clienti. Infatti il Gruppo (X) nei confronti del gruppo (Z) (che come già detto non comprendeva solo ... S.p.a.) aveva ampiamente superato il limite individuale (25%) dettato dalla normativa sulla concentrazione dei rischi: benché l'esposizione verso il cliente in questione avesse raggiunto il 35,8%, il Gruppo (X) non segnalava alcun grande rischio verso il gruppo (Z). Quanto al gruppo (Y) l'esposizione complessiva (179,7 mln.), pur non superando il limite del 25%, ammontava al 22,7% del patrimonio di vigilanza in luogo del 19,2% segnalato.
3.3.1 Esposizione creditizia verso il gruppo (Y) al 30.6.2005
Nella tabella che segue si chiarisce la composizione della reale esposizione del Gruppo (X) verso il
Gruppo . al 30 giugno 2005:
(omissis)
Il Gruppo (X) nella segnalazione in questione ha aggregato l'esposizione verso ... s.r.l. a quella verso ... s.r.l. appartenendo le due controparti allo stresso soggetto ((Y)); tale aggregazione, si ricorda, non era stata invece fatta nel trimestre precedente, quando ... s.r.l. era stato considerato come un cliente indipendente. Invece il gruppo bancario ha continuato a non considerare il sostegno dato dalla propria controllata ... allo stesso (Y). Come detto questa mancanza non ha portato al supero del limite individuale solo perché nel frattempo il patrimonio di vigilanza era aumentato. Resta fermo che anche nella segnalazione di giugno l'esposizione assunta da ... nei confronti di soggetti già ampiamente sostenuti dal Gruppo (X) non viene portata all'attenzione dell'Organo di Vigilanza. Tra l'altro si sottolinea che la società ... avrebbe dovuto svolgere solo attività di tipo strumentale limitandosi a gestire accessoriamene gli immobili del Gruppo (X) invece di procedere ad assumere posizioni rischiose nei confronti di controparti terze (si veda anche le "constatazioni" contenute nel citato rapporto ispettivo della Banca D'Italia del 27.6.2007, allegato 11).
3.3.2 Esposizione creditizia verso il gruppo (Z) al 30.6.2005
Nella tabella che segue si chiarisce la reale composizione dell'esposizione del Gruppo (X) verso il gruppo di clienti compresi nel gruppo (Z) alla data del 30 giugno 2005:
(omissis)
La tabella mostra come il limite individuale fissato dalla normativa sui grandi rischi a livello consolidato sia stato ampiamente superato. Infatti tale limite era pari a 197 mln. (25% patrimonio di vigilanza che a quella data ammontava a 787 mln.) mentre il sostegno finanziario nei confronti del gruppo (Z) si attestava a 282 mln. (35,8% del patrimonio di vigilanza). La segnalazione fatta alla Banca d'Italia al 30 giugno 2005 non ha fatto registrare tale superamento per l'effetto combinato di tre cause da imputare al Gruppo (X):
mancato! inserimento nel perimetro del gruppo (Z) delle controparti ... e ! assunzione non segnalata di rischi rappresentati dall'anticipo versato dalla controllata strumentale ... in occasione dell'operazione ... (da attribuire al gruppo (Z)) per contratti preliminari di compravendita di immobili assistiti da clausole che predefinivano un rendimento a fronte delle somme erogate da ... per l'ipotesi, poi concretizzatasi, di risoluzione del contratto; errata! ponderazione delle esposizioni verso ... e ... (50% invece che 100%). Si noti come la violazione della normativa su grandi rischi si manifesta a prescindere dalla ponderazione applicata alla esposizione verso ... e e cioè pur se tale ponderazione è stata considerata erroneamente pari al 50% invece che al 100% (trattandosi di immobili non di tipo residenziale ma destinati ad attività commerciali); infatti una eventuale corretta delimitazione del gruppo (Z) e la comunicazione del rischio indiretto (anticipo ...) avrebbe portato almeno alla segnalazione del grande rischio (10% del patrimonio di vigilanza); questo, pur rimanendo entro il limite individuale in quando ponderato al 50%, avrebbe fatto accendere un faro da parte dell'Autorità di Vigilanza sull'esposizione al rischio di credito del Gruppo (X) nei confronti del gruppo (Z). Ciò invece avviene solo con la segnalazione con riferimento al 30.09.2005 rispetto alla quale l'Autorità di Vigilanza sottolinea, chiedendo i dovuti chiarimenti, le significative differenze tra l'importo nominale delle esposizioni e quello ponderato indicato ai fini del rispetto dei limiti prudenziali (cfr. il messaggio amministrativo della Banca d'Italia n. 250475 del 2.3.2006 e relativa risposta di (X), cfr. allegato 12). Se poi colleghiamo l'esposizione segnalata al 30 giugno a quella
segnalata al 31 marzo, quando il limite individuale per il Gruppo (X) era molto più stringente per effetto del più ridotto patrimonio di vigilanza, si può notare come l'errore di ponderazione acquista un'altra rilevanza. Infatti al 31 marzo già l'esposizione verso la sola ., se correttamente ponderata, avrebbe comportato un supero del limite prudenziale (cfr. par. 3.2.1).
4. Evoluzione del rapporto con il gruppo (Z): il fondo ... Investment
L'esposizione nei confronti della ... s.p.a. (gruppo (Z)) è stata notevolmente ridotta nel mese di dicembre 2005 quando tre immobili a cui era riferita una quota parte del finanziamento per 134 mln. (immobili Como, Firenze, Palermo) sono stati ceduti a società veicolo lussemburghesi (montate dalla banca svizzera ...) facenti capo al fondo ... Investment (per le relative delibere del Cda, che fanno riferimento anche al subentro del fondo ... negli impegni di ... sempre del gruppo (Z) verso si veda l'allegato 13). L'operazione è oggetto di indagine da parte dell'Autorità Giudiziaria. Dalle informazioni acquisite sulla vicenda risulterebbe che il veicolo in realtà sia partecipato dalla .. Data questa premessa, va da sé che la riduzione dell'esposizione derivante dal passaggio degli immobili al fondo ... è stata mera apparenza. Per i dettagli dell'operazione si veda il rapporto ispettivo (allegato 14), che sottolinea l'impossibilità di risalire ai sottoscrittori del fondo ... nonostante la richiesta in tal senso avanzata da (X) su sollecitazione del gruppo ispettivo, nonché la segnalazione inviata il 23 gennaio 2009 da (X) all'Unità di Informazione Finanziaria della Banca d'Italia, che richiama, tra l'altro, le dichiarazioni effettuate dal (ZZ) che afferma il suo controllo diretto del fondo ... (allegato 15). In proposito si può solo osservare che risulta inusuale e non pienamente corretto dal punto di vista di una sana e prudente gestione che operazioni di finanziamento di tale ammontare possano essere consentite senza che i vertici aziendali abbiano contezza e apprezzamento dei prenditori finali della facilitazione.
5. Attribuzione dell'esposizione al gruppo (Y)
Il Gruppo (X) aveva un'esposizione, con riferimento sia al 31.3.2005 sia al 30.6.2005, verso ... pari a 178 mln., che, ponderata al 50%, rappresentava una posizione di rischio di 89 mln. Il Gruppo segnalava la posizione tra i "grandi rischi" (cfr. par. 3.1 e par. 3.2) senza collegarla ad alcuna altra posizione di rischio riferita ad altro cliente eventualmente connesso. La posizione quindi rientrava nei limiti di concentrazione. In realtà, come sarebbe emerso solo nel corso degli accertamenti ispettivi di Vigilanza, la società ... era da collegare al gruppo (Y) e quindi la posizione di rischio dei due clienti andava sommata. Ciò significa che l'ammontare del superamento dei limiti di concentrazione analizzato nei paragrafi precedenti sarebbe da considerare sottostimato appunto per la quota con conseguente superamento del limite di concentrazione per "(Y)" anche con riferimento al 30.6.2005. Si sottolinea però che gli elementi per effettuare il citato collegamento sembra fossero disponibili al Gruppo (X) solo dall'ottobre 2006. Per questo motivo nell'analisi precedente è stata tralasciata l'esposizione ... rispetto a quella complessiva del gruppo (Y). Malgrado ciò, come rilevato nel precedente paragrafo, le modalità che hanno caratterizzato la vicenda e, soprattutto, il ritardo con il quale si è preso atto dell'effettivo soggetto che controllava ... , confermano, oltre l'inadeguatezza della macchina organizzativa, l'evidente incongruità del comportamento degli organi di vertice di (X) nella gestione di finanziamenti di rilevantissimo importo (grandi rischi). Secondo la ricostruzione fatta da (X) in sede ispettiva e successivamente per i consulenti (allegato 16), fino al 10.10.2006 ... risultava posseduta al 99% da ... s.r.l. (il restante 1% apparteneva all'amministratore unico .). In quella data il titolo di diritto è mutato in intestazione fiduciaria. A quel punto il Gruppo (X) avrebbe dovuto approfondire l'effettiva natura del soggetto proprietario, cosa che non fu fatta se non in sede ispettiva nel giugno 2007. In quella occasione emerse che ... era controllata da ... s.r.l., società di ... (questo ultimo elemento noto al Gruppo (X) almeno dal giugno 2005, cfr. allegato 17) e quindi da ricondurre al gruppo (Y)".
6. Conclusioni
Il Gruppo bancario (X) disponeva con riferimento al 31.3.2005 e 30.6.2005 di un patrimonio di vigilanza pari rispettivamente a 519,13 mln. e 787,6 mln. A queste grandezze doveva commisurare, nel rispetto della normativa prudenziale fissata dalla Banca d'Italia, la sua politica di assunzione di rischi. In particolare il Gruppo (X) avrebbe dovuto rispettare il limite sulla concentrazione dei
rischi: l'esposizione verso un singolo cliente (o gruppo di clienti connessi) non doveva superare il 25% del patrimonio di vigilanza e cioè 129 mln. con riferimento a marzo e 196 mln. con riferimento a giugno 2005. Il rispetto di questi limiti non c'è stato né la reale situazione dei grandi rischi è stata comunicata all'Organo di Vigilanza.
Infatti, il Gruppo (X) ha fornito mezzi finanziari al gruppo (Y) per 330 mln. con riferimento al 31.3.2005, nonché al gruppo (Z) per 282 mln. al 31.3.2005 e al 30.6.2005. Il Gruppo (X) ha ripartito questo sostegno finanziario sia tra diversi soggetti economici evidentemente connessi fra di loro sia tra varie componenti operative del Gruppo bancario stesso: il mancato accorpamento e la non corretta ponderazione delle esposizioni, in violazione delle regole delle segnalazioni prudenziali, ha consentito di nascondere la reale situazione all'Organo di Vigilanza. Le segnalazioni di vigilanza su grandi rischi inviate alla Banca d'Italia, alla luce di quanto detto in precedenza, erano destituite di valore segnaletico e solo l'ispezione di vigilanza condotta nel primo semestre del 2007 ha permesso di ricostruire l'effettiva situazione del Gruppo Bancario, la cui eccessiva concentrazione di rischio nei confronti di soli due soggetti (ben oltre il patrimonio di vigilanza) è stata assunta in violazione di principi dettati a tutela della sana e prudente gestione. Tutto ciò è avvenuto in un clima di forte opacità e anche quando la situazione è rientrata, almeno apparentemente, nei limiti di concentrazione, dopo giugno 2005, ciò è avvenuto senza il rispetto del grado di prudenza e accortezza richiesto nel processo di erogazione di finanziamenti di peso assai elevato per l'equilibrio economico-finanziario della banca. Si fa riferimento sia alla riduzione dell'esposizione verso il gruppo (Z) mediante facilitazioni concesse al fondo subentrante in taluni immobili, sia alla ritardata presa d'atto che la forte esposizione verso ... doveva essere cumulata a quella verso il
gruppo (Y)".
Sussiste, inoltre, nei limiti delibatori propri della presente sede il dolo del (A) e del (B), in quanto, alla stregua del compendio probatorio diffusamente descritto, risulta che i medesimi erano pienamente consapevoli della reale natura della operatività in derivati OTC della banca (e della mancanza della prescritta autorizzazione della Banca d'Italia alla negoziazione in conto proprio di tali strumenti finanziari) e delle sistematiche lacune ed omissioni nei flussi informativi rivolti alle autorità di vigilanza.

VI) L'interesse ed il vantaggio di (X) S.p.A.
Il Pubblico Ministero ha sostenuto che i delitti di falsità nel bilancio, di manipolazione del mercato a mezzo dei comunicati stampa indicati nella imputazione di cui al capo c) ed il delitto di ostacolo alle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia sono stati commessi dal (A) e dal (B) nell'interesse o a vantaggio di (X) S.p.A.
Secondo la Pubblica Accusa, infatti, tale attività criminose non sono concepibili per loro natura al di fuori di un fine sociale e, peraltro, sono state commesse nell'interesse dell'ente (che, sul piano dogmatico, deve essere distinto dal dolo dell'agente e dal movente dell'azione criminosa). Nel caso di specie sarebbe, peraltro, ravvisabile anche il vantaggio dell'ente, atteso che le condotte di falsità nelle comunicazioni sociali contestate hanno liberato risorse per la società ed hanno consentito di aumentare i ricavi della banca.
Gli illeciti amministrativi dipendenti da reato di cui si controverte nel presente giudizio, da ultimo, non evidenziano alcun legame giuridicamente rilevante, se non di mera occasionalità, con le condotte di appropriazione indebita poste in essere ai danni della banca da (A) ed accertate in altro giudizio.

La difesa ha, invece, dedotto la insussistenza dell'interesse o del vantaggio di (X) S.p.A. nelle predette condotte delittuose, in quanto le stesse sarebbero state commesse nell'interesse esclusivo dei propri autori.
Nell'ambito del distinto procedimento penale N. ... è stato, infatti, contestato a (A) ed ad alcuni componenti del management di (X) di aver costituito una associazione a delinquere finalizzata alla commissione di plurimi delitti di appropriazione indebita e, segnatamente, di aver creato una vera e
propria "banca nella banca" al fine di esercitare una gestione occulta e parallela della banca medesima finalizzata all'esclusivo perseguimento dei soli interessi personali ed illeciti dei suoi compartecipi.
Secondo la difesa, pertanto, "a fronte di una situazione siffatta, nella quale (X) è stata pure già qualificata come persona offesa e danneggiata dal reato ed ammessa alla costituzione di parte civile, pare davvero impossibile poter comprendere come la stessa Banca possa. assumere la veste di "coimputata" con quegli stessi soggetti che l'hanno danneggiata e che sono chiamati a risponderne in un giudizio separato ma collegato".

Tale doglianze devono essere disattese in quanto integralmente infondate. La redazione del bilancio falso e la diffusione di false informazioni al mercato sono, infatti, state poste in essere da dirigenti apicali ( (A) ed (B)) nell'interesse di (X) S.p.A., in quanto sussiste un evidente nesso tra tali condotte e la cura dello scopo sociale (ancorché perseguita a mezzo di strumenti illeciti).
Nel periodo di cui si controverte il management di (X) S.p.A. ha perseguito politiche ispirate al conseguimento di rapidi ed ambiziosi ritorni economici ed intese a far registrare performance del titolo quotato sul Mercato telematico di Borsa Italiana S.p.A. estremamente significative. In particolare il valore del titolo è cresciuto nella misura del 564% dal 9.6.2005, data di prima negoziazione, al 17.4.2007, data di approvazione del bilancio 2006, passando da €. 10,88 a quello di €. 52,28.
La Banca d'Italia nella Ispezione ai sensi del T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia ha evidenziato che "(X) -individualmente e in qualità di capogruppo- ha perseguito una strategia di rapida espansione, diversificazione dei canali distributivi e delle attività, acquisizione di società, che ha favorito, in tempi brevi, ritorni economici tanto elevati e crescenti (ROE 2006: 18% l'individuale e 24,3% il consolidato) da indurre repentini progressi del valore del proprio titolo e della conseguente appetibilità sul mercato (+ 564% dalla quotazione al 16.4.2007, data di approvazione del bilancio 2006), nonché da favorire incrementi della dotazione patrimoniale e del correlato potenziale di crescita, attraverso il ricorso al mercato dei capitali (emissioni azionarie per €. 440 mln., di cui €.300 mln. Nel febbraio 2007, prestiti subordinati per €. 275 mln.) (aff.010462). Il significativo sviluppo, tuttavia, è stato perseguito adottando un modello di business sbilanciato verso attività non caratteristiche basato su componenti economiche non replicabili, attuato con prassi sovente discoste dai canoni di sana e prudente gestione e permeate da profili di opacità. La descritta evoluzione ha determinato ingenti rischi non apprezzati né gestiti tempestivamente ed efficacemente dall'azienda, che stanno incidendo in misura significativa e crescente sul patrimonio aziendale" (aff.010462).
In tale contesto, connotato dal perseguimento di spregiudicate politiche di sviluppo, risulta evidente come le false comunicazioni sociali siano state poste in essere dal (A) e dai dirigenti apicali della banca al fine di coonestare una solidità patrimoniale e finanziaria della banca invero insussistente e, comunque, minata da gravi deficit strutturali.
L'imponente sviluppo della redditività di (X) è, infatti, stato in parte cospicua ascrivibile alla operatività in derivati over the counter, che è risultata volta ad una ricerca immediata di margini e di crescita dei volumi e strutturalmente connotata dalla assunzione di elevati profili di rischio occultati al mercato e non adeguatamente garantiti dal patrimonio e dal capitale della banca. Lo stesso (B) ha ammesso che le false comunicazioni sociali costituivano una precisa scelta strategica "nell'ottica di aumentare la redditività della società". Nelle dichiarazioni rese in data 19.5.2010 in sede di presentazione spontanea innanzi al Pubblico Ministero (B) ha, infatti, precisato che "nei bilanci di (X) veniva detto al mercato che i prodotti [derivati] venduti erano di copertura come servizio ai clienti del leasing. Si tratta di dichiarazioni inveritiere: per ciò che riguarda il 2005 ritengo che l'informazione servisse a dare una immagine rassicurante al mercato senza evidenziare i rischi connessi a quella operatività".
Nell'interrogatorio del 31.1.2007 responsabile dell'Ufficio Financial Banking di (X), ha
dichiarato che "l'attività in derivati era incentivata in modo ossessivo attraverso la indicazione di obiettivi esasperati e ambiziosissimi. Mi ricordo in particolare che (A) in persona mi chiedeva tutti i trimestri una produttività non inferiore a 25 milioni di euro in termini di ricavi (up front meno commissioni) e che continuamente anche in modo aspro mi richiamava alla necessità di incrementare gli utili. Giornalmente mandavo report sulla produttività in derivati a . che so li trasmetteva a (A). Ricordo ad esempio una promozione che venne chiamata "vendemmia" il cui contenuto era quello di premiare l'ufficio FB se questi fosse riuscito a procurare utili per 20 milioni di euro circa in un tempo di una ventina di giorni; il che era all'evidenza una condizione quasi impossibile. Questo tipo di promozioni avevano un certo impatto sui dipendenti e influenzavano pesantemente la nostra determinazione di concludere derivati ad ogni condizione. Sono assolutamente consapevole che molti derivati conclusi non fossero di copertura dei rischi del cliente sul contratto principale, ma personalmente non ho mai taciuto la circostanza ai clienti ai quali ho avuto modo di illustrare i prodotti".
I consulenti della Pubblica Accusa dott. Piernicola Carollo e dott. Ciro Nicolosi hanno, inoltre, evidenziato nella loro consulenza sul bilancio di (X) che "sembra evidente che la finalità delle ristrutturazioni fosse quella di generare up-front positivi e quindi redditività per la banca e, nel contempo, di gestire la posizione negativa del cliente rimandando il momento di una sua eventuale presa di coscienza"; in questo contesto la scorretta appostazione in bilancio dei risultati della frenetica operatività della banca in derivati era intesa proprio a dissimulare i gravi rischi assunti dalla banca mediante tale forma di negoziazioni in proprio e la intervenuta alterazione dei coefficienti normativamente imposti di adeguatezza patrimoniale.
Nella relazione del Prof. ... "Analisi di alcune operazioni in derivati" (depositata in allegato alla querela ... del 9.8.2007) si rileva che "L'inusuale ricorso a contratti not par è presumibilmente servito a generare elevati up front necessari da un lato ad incrementare i ricavi della banca dall'altro a creare le condizioni per pagare le enormi commissioni ai procacciatori". Analogamente le condotte di sistematica diffusione di notizie mendaci al mercato sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società era finalizzata a provocare una sensibile alterazione del prezzo ufficiale del titolo azionario, attraverso la costante pubblicazione, nel periodo sopra indicato con comunicati rivolti al pubblico e sulla stampa, di informazioni in ordine all'incremento elevato dei ricavi e degli utili di (X); in particolare veniva reiteratamente enfatizzato l'incremento dei ricavi, degli utili e delle commissioni nette, il contenimento e l'attenta gestione dei rischi, ed in genere la corretta gestione sociale. Tali comunicati, tuttavia, occultavano il correlativo ed ingente rischio di credito, così fornendo al mercato una falsa rappresentazione dell'origine di parte rilevante tali ricavi, rivenenti dall'operatività in derivati (72% dell'utile aziendale nel 2006). Parimenti le condotte di ostacolo alle funzioni di vigilanza sono state poste in essere al fine di dissimulare le gravi irregolarità poste in essere dagli organi gestori (nella negoziazione in proprio di contratti derivati OTC in assenza di autorizzazione e nella scorretta segnalazione dei c.d grandi rischi) e continuare ad ostendere al mercato ed alla Consob ed alla Banca d'Italia condizioni patrimoniali e di gestione mendaci.

Tali condotte criminose hanno, inoltre, prodotto un indubbio vantaggio patrimoniale per la banca. La incongruità degli accantonamenti deliberati (8,3 mln. in chiusura di bilancio 2006), in presenza di strumenti finanziari ad alto livello di complessità e rischiosità, ha consentito alla banca di lucrare un indebito vantaggio patrimoniale.
Secondo la persuasiva valutazione dei consulenti della Pubblica Accusa, la congrua valutazione del rischio di credito nella determinazione del valore dei contratti derivati non quotati OTC con "fair value" positivo stipulati con la clientela (effettuando accantonamenti per svalutazione forfettaria di €. 8,3 mln. a fronte di una perdita effettiva stimabile quantomeno, sulla base di evidenze all'epoca disponibili, nella misura di €. 62,4 mln.), si sarebbe dovuta tradurre in una diminuzione del risultato netto di negoziazione (in termini di minori plusvalenze o maggiori minusvalenze), da -25 mln. a -87,4 mln. (peraltro se si tiene conto della corretta classificazione degli up-front, il risultato netto
dell'attività di negoziazione sarebbe passato da 160 mln. a 97,6 mln.). L'utile dell'operatività corrente al lordo dell'imposte, per questo solo fattore, sarebbe dovuto calare da 166 mln. a 103,6 mln. Inoltre il valore delle attività finanziarie detenute per la negoziazione (voce 20 dell'attivo dello stato patrimoniale) sarebbe sceso da 455 mln. a 393 mln.
Parimenti la sistematica diffusione al mercato di comunicati contenenti notizie false ha concretato un indebito sostegno per il titolo di (X) S.p.A. ed ha consentito alla Banca di palesare sul mercato una patrimonializzazione ed una redditività artificiose che la hanno indubbiamente avvantaggiata nei rapporti con gli azionisti, con i creditori ed i terzi. A titolo meramente esemplificativo si può, del resto, rilevare che, a seguito della emersione delle condotte criminose, l'agenzia di rating Fitch ha degradato il rating di (X) sia sul debito a lungo, che a breve termine (aff. 030042). D'altra parte il rilievo che alcuni membri del management della banca avessero costituito un sodalizio criminale dedito programmaticamente alla spoliazione della società non può certo assorbire ogni illecito in contestazione in tale ambito temporale e determinarne la imputazione ipso iure alla societas sceleris.
La circostanza che (A) ed i suoi sodali nella associazione a delinquere si siano avvalsi del ruolo funzionale svolto all'interno compagine societaria per porre in essere appropriazione indebite ai danni della banca non determina la insussistenza dell'interesse e del vantaggio di (X) S.p.A. alla commissione dei delitti di false comunicazioni sociali, di manipolazione del mercato e di ostacolo alle funzioni di vigilanza, atteso che sul piano fenomenico le due vicende, pur coeve, sono assolutamente autonome.
Gli illeciti di cui si controverte nel presente giudizio potevano, infatti, essere posti in essere anche in assenza delle condotte di appropriazione indebita ai danni della banca accertate in altro giudizio. D'altra parte (ad eccezione dell'Amministratore Delegato (A)) sono diversi gli autori delle condotte criminose perpetrate dalla associazione a delinquere e di quelle contestate quali delitti presupposti nel presente giudizio.
L'associazione a delinquere, infatti, per quanto è stato giudizialmente accertato, era composta dall'amministratore delegato (A), da ... (già responsabile dell'ufficio Financial Banking), ... (vice direttore generale business), . (responsabile relazioni esterne di (X)), e da alcuni mediatori, quali partecipi all'associazione come . (che operava attraverso le società . S.r.l., . S.r.l., . S.r.l. ed altre), . (che operava attraverso le società . S.r.l., . S.r.l.), . (che operava attraverso le società . S.r.l., . S.r.l., . S.r.l.), . (che operavano attraverso la società . S.r.l.). In particolare l'associazione era finalizzata a porre in essere plurime condotte di appropriazione indebite consistite nel dividere le ingenti provvigioni corrisposte da (X) S.p.A ai predetti mediatori a fronte di una inesistente attività di intermediazione per operazioni di ristrutturazione di Interest Rate Swap collocati alla clientela della banca.
Tali vicende sono, pertanto, indubbiamente distinte ed irrelate con gli illeciti dipendenti da reato di cui si controverte nel presente giudizio. Parimenti la circostanza che (A) abbia posto in essere le condotte criminose di false comunicazioni sociali, di manipolazione del mercato e di ostacolo alle funzioni di vigilanza al fine di palesare al mercato una redditività della banca enfatizzata e perpetuare le proprie illecite condotte appropriative evidenzia esclusivamente un collegamento teleologico tra i predetti reati nella sfera rappresentativa e volitiva del (A).
L'interesse rilevate ai sensi dell'art. 5 D.Lgs. 231/01 non può, del resto, coincidere con le soggettive intenzioni o rappresentazioni dell'agente poiché tale opzione interpretativa contraddice l'enunciato normativo che lo riferisce all'ente.

VII) La questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 D.Lgs. 231/01 formulata dalla difesa di (X)
S.p.A.
La difesa di (X) S.p.A. ha dedotto la illegittimità costituzionale dell'art. 6 D.Lgs. 231/01 per difetto di determinatezza e, pertanto, per contrasto con le disposizioni di cui agli artt. 24, comma primo, 25, comma secondo, e 27, commi primo e secondo, della Costituzione, invitando il giudice a sospendere il processo ed a rimettere gli atti alla Corte Costituzionale.
Secondo la difesa istante, infatti, "il D.Lgs. 231/01 si limita a postulare l'adozione e l'efficace attuazione di modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi", senza tuttavia offrire indicazione alcuna in ordine al contenuto o al grado di specificità che siffatti modelli devono soddisfare".
L'assenza nella esperienza giuridica italiana e nella prassi societaria di tali regole cautelari di condotta non consentirebbe all'ente che intenda conformarsi alle prescrizioni del D.Lgs. 231/01 di rinvenire adeguati parametri normativi o giurisprudenziali per orientare le proprie scelte organizzative.
Parimenti il giudice, tradizionalmente estraneo per formazione e per esperienza alla organizzazione di impresa ed alla governance aziendale, sarebbe privo di sicuri elementi di valutazione per riconoscere l'adeguatezza del modello dopo la realizzazione del reato e, pertanto, sarebbe inevitabilmente influenzato dalla distorsione cognitiva del "post hoc, ergo propter hoc".

La dedotta questione di legittimità costituzionale deve essere disattesa in quanto irrilevante nel caso di specie e, comunque, manifestamente infondata.
A tacere del rilievo che la questione dedotta si risolve più in una contestazione della filosofia sanzionatoria del D.Lgs. 231/01 che nel rilievo del contrasto della disposizione denunciata con la trama costituzionale, la censura proposta è irrilevante nel presente giudizio. La difesa di (X), infatti, non ha prodotto in giudizio i modelli organizzativi e si è limitata a contestare il deficit di tassatività della regola di responsabilità da reato degli enti che non consentirebbe all'ente di delineare con adeguata sicurezza una idonea compliance aziendale. L'adozione di un idoneo modello organizzativo e la sua efficace attuazione (qualora il delitto presupposto sia stato commesso da un soggetto in posizione apicale) costituiscono, tuttavia, non già elementi costitutivi della regola di responsabilità da reato degli enti, ma assumono esclusivamente valenza esimente (quali frammenti della più ampia prova liberatoria delineata dall'art. 6 D.Lgs. 231/01). Pertanto, l'ente che abbia omesso di adottare ed attuare il modello organizzativo e gestionale (o che non provi tali circostanze) non risponde per il reato commesso dal suo esponente in posizione apicale soltanto nell'ipotesi di cui all'art. 5, comma secondo, D.Lgs. 231/01 (Cass. 9.7.2009, n.36083, Mussoni ed altri, Rv.244256) ovvero se l'autore del reato ha agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi.
La censura di incostituzionalità formulata della difesa è, pertanto, irrilevante, in quanto la adozione e la effettiva implementazione dei modelli organizzativi non attiene al perfezionamento della fattispecie ascrittiva della responsabilità da reato dell'ente (integrata esclusivamente dalla commissione di un delitto presupposto nell'interesse o a vantaggio dell'ente da un soggetto in posizione apicale).
La banca, per converso, non ha addotto in giudizio elementi impeditivi o estintivi della fattispecie di responsabilità dell'ente, né ha censurato la mancata previsione nel disegno legislativo della impossibilità, nel caso di delitti presupposto commessi dagli apicali, della prova della insussistenza della c.d colpa di organizzazione al di là della prova liberatoria delineata dall'art. 6 D.Lgs. 231/01.

Le questione è, peraltro, anche manifestamente infondata.
La disciplina del D.Lgs. 231/01 mediante un "co-regolamentazione statale e privata" dei rischi derivanti dalla commissione di reati nell'attività degli enti.
Il legislatore, in altri termini, delinea un sistema di corporate compliance incentrato sul dovere di autocontrollo dell'ente e su un sistema di incentivi ad adempiere. La previsione innovativa di una "colpa di organizzazione" si ricollega, peraltro, ad una linea evolutiva dell'ordinamento, ove gli enti vengono progressivamente obbligati ad internalizzare le proprie inefficienze organizzative. La previsione dei modelli organizzativi si inserisce in realtà in un quadro sistematico coerente, già presente nel 2001 e successivamente precisatosi in modo ancor più nitido per effetto della recente riforma del diritto societario.
Sul versante del diritto delle società, infatti, si ricostruisce, argomentando dalle prescrizioni in tema
di adeguatezza organizzativa delle società, un esplicito dovere di adozione di misure idonee a prevenire il compimento di reati presupposto ed a scongiurare la insorgenza della responsabilità da reato dell'ente.
I modelli organizzativi, pertanto, vengono ascritti sistematicamente a quelle norme del diritto societario (ed in particolare al terzo ed al quinto comma dell'art. 2381 c.c. ed all'art. 2403 c.c.) che sanciscono il principio di adeguatezza nel governo societario. L'art. 2381, comma quinto, c.c. attribuisce agli organi delegati il compito di curare che l'assetto organizzativo amministrativo e contabile sia adeguato alla natura ed alle dimensioni dell'impresa ed al consiglio di amministrazione il compito di valutarne l'adeguatezza sulla base delle informazioni ricevute.
L'art. 2403, comma primo, c.c. stabilisce che il collegio sindacale vigila sull'osservanza delle legge e dello statuto nonché sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, con particolare riguardo alla adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento.
Una sentenza del Tribunale di Milano ha, del resto, evidenziato tali collegamenti sistematici, affermando una responsabilità civile degli amministratori "da inadeguatezza organizzativa" in caso di mancata adozione dei modelli ex D.Lgs. 231/01 (Trib. Milano, Sez. VIII civ., 13.2.2008, n.
1774).
L'agire in conformità a legge è, pertanto, sottratto alla discrezionalità dell'imprenditore ed il rischio di non conformità non può rientrare tra i rischi accettabili da parte degli amministratori. Stringenti doveri di predisposizione di assetti organizzativi e procedurali sono, inoltre, stabiliti per le società che esercitano attività bancaria da una pluralità di fonti primarie e sub primarie. Le Istruzioni di Vigilanza per le Banche emanate dalla Banca d'Italia contenevano un apposito capitolo dedicato al Sistema dei controlli interni, compiti del collegio sindacale, nel quale è nitidamente scolpita la centralità del sistema di controllo interno ed il rispetto della legge è considerato come una delle condizioni essenziali per la "competitività della banca, la sua stabilità di medio e lungo periodo, la possibilità stessa che sia garantita una gestione sana e prudente" (Titolo IV, Capitolo 11, p.1).
Le nuove disposizioni del Testo Unico della Finanza, inoltre, prevedono l'emanazione di un regolamento di Banca d'Italia e di Consob volto a disciplinare congiuntamente, tra l'altro, i requisiti generali di organizzazione, l'organizzazione amministrativa e contabile, compresa l'istituzione della funzione di controllo della conformità alle norme, la gestione del rischio dell'impresa e l'audit interno.
Sul piano autoregolamentare, inoltre, l'assetto dei controlli e la sua efficiente predisposizione costituiscono uno degli aspetti principali sui quali interviene il Codice di autodisciplina delle società quotate, che prevede, tra l'altro, l'adozione di un sistema di controllo interno inteso come "l'insieme delle regole, delle procedure e delle strutture organizzative volte a consentire, attraverso un adeguato processo di identificazione, misurazione, gestione e monitoraggio dei principali rischi, una conduzione dell'impresa sana, corretta e coerente con gli obiettivi prefissati".
II complesso di tale disciplina rende evidente la cornice sistematica in cui deve essere collocato il
dovere per le società di auto-organizzazione ed anche l'onere di adottare modelli organizzativi ex
D.Lgs. 231/01.
Parimenti nel disegno del legislatore la imposizione di precisi obblighi di autoorganizzazione fa assurgere a parametro normativo il principio, noto alle scienze aziendalistiche, per il quale soltanto un sistema integrato di operazioni coordinate consente di assicurare un risultato qualitativamente apprezzabile, in quanto al ridursi della discrezionalità nelle diverse fasi del processo, si riducono parimenti le possibilità di errore. Questo modello, applicato alla organizzazione aziendale nel suo complesso, presuppone che ogni fase dell'attività sia consacrata in un procedimento e che questo procedimento sia oggetto di una preventiva valutazione diretta ad accertarne l'adeguatezza e di continui controlli alla sua concreta applicazione. Significativamente nello stesso lessico del codice civile l'art. 2391-bis c.p.p. utilizza il sintagma "procedura", tradizionalmente estraneo a tale ambito normativo.
Il contenuto del dovere di auto-organizzazione dell'ente (e dell'onere di adottare modelli organizzativi ex D.Lgs. 231/01) è, inoltre, precisato da un ampio compendio di fonti normative primarie e sub primarie, da codici di autodisciplina e da guidelines emesse dalle associazioni di categoria che indicano il contenuto delle misure di prevenzione.
La colpa di organizzazione rilevante ai sensi del diritto punitivo degli enti è, del resto, colpa specifica (nei limiti in cui la assimilazione tra colpa della persona fisica e colpa di organizzazione sia predicabile) ovvero colpa dovuta alla violazione di disciplina positive. A titolo meramente esemplificativo possono, peraltro, rammentarsi alcune disposizioni che riguardano specificamente le contestazioni mosse a (X) e che costituiscono parametri normativi certi e giuridicamente vincolanti per l'adozione di efficaci modelli organizzativi con riferimento agli specifici delitti presupposti per cui si procede in tale sede.
Il testo vigente dell'art. 2428 c.c. impone, ad esempio, agli amministratori di indicare nella relazione al bilancio di esercizio anche"i principali rischi e incertezze cui la società è esposta" precisando altresì "in relazione all'uso da parte della società di strumenti finanziari e se rilevanti per la valutazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico dell'esercizio:
a) gli obiettivi e le politiche della società in materia di gestione del rischio finanziario, compresa la politica di copertura per ciascuna principale categoria di operazioni previste;
b) l'esposizione della società al rischio di prezzo, al rischio di credito, al rischio di liquidità e al rischio di variazione dei flussi finanziari".
Le Linee guida dell'Associazione Bancaria Italiana per l'adozione di modelli organizzativi sulla responsabilità amministrativa delle banche, edite nel febbraio 2004, con riferimento ai reati societari espressamente prevedono che "la banca, per essere destinataria di una disciplina speciale ad hoc, si pone comunque in una posizione privilegiata rispetto alle altre società.
La normativa speciale, infatti, impone la procedimentalizzazione dell'intera fase di formazione di tali documenti, rendendo il processo documentato e vigilato. Il bilancio non solo rappresenta il documento necessario a fornire le informazioni ai terzi in merito alla situazione patrimoniale e finanziaria ed al risultato della gestione svolta, ma costituisce altresì l'aggregato principale per la regolamentazione di vigilanza prudenziale. In altri termini, il bilancio di una banca costituisce allo stesso tempo "strumento di trasparenza informativa" e "strumento di vigilanza bancaria". Tale specifica funzione fa sì, appunto, che il bilancio delle banche sia soggetto a norme ulteriori, sia comunitarie che nazionali, che prevedono regole di contabilizzazione e criteri di valutazione del tutto particolari rispetto a quelli degli altri tipi di società. La peculiarità della disciplina del bilancio delle società bancaria si concretizza, infine, nelle attribuzioni conferite dalla legge al CICR ed alla Banca d'Italia - le cui Istruzioni in materia sono concepite come una sorta di "Testo Unico" per la compilazione dei bilanci delle banche - che provvedono ad assegnare una disciplina tecnica degli schemi e dei contenuti del bilancio. Ciò comporta che la banca possa limitarsi ad esplicitare, nel contesto di un documento a tal fine predisposto (modello organizzativo, codice etico, codice deontologico), i principi cui tutti i soggetti che operano per suo conto devono ispirarsi nell'esercizio delle proprie funzioni, di fatto ribadendo criteri già enucleabili dalle diverse prescrizioni normative".

E' parimenti obbligatoria, per tutti gli intermediari finanziari, l'adozione di modelli organizzativi e di un organismo di vigilanza che permetta di individuare, prevenire e gestire il rischio di commissione di fatti manipolativi del mercato; gli artt. 180 e ssg. T.u.f. impongono, tra l'altro, agli intermediari di "segnalare senza indugio alla Consob le operazioni che, in base a ragionevoli motivi, possono ritenersi configurare una violazione delle disposizioni" di cui al Titolo I-bis della Parte V del Testo Unico (così l'art. 187-nonies, comma primo, T.u.f. integrato dagli artt. 44 e ss. del Regolamento Mercati Consob).
La disciplina secondaria delinea, inoltre, una cornice di interventi sempre più incisivi sui doveri degli intermediati abilitati all'esercizio dei servizi di investimento, in ordine alla prevenzione e
gestione del rischio di inosservanza di leggi e regolamenti, codificati da organismi internazionali (documenti del Comitato di Basilea e dalla IOSCO), dalla disciplina comunitaria (Direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE per le banche e Direttive MIFID per i servizi di investimento) ed integrati da prescrizioni del legislatore nazionale adottate in attuazione di queste ultime (D.L. n.297/2006 e D.Lgs. n.164/2007).
Lo stesso consulente della difesa Prof. ... significativamente evidenzia nella memoria del 19.7.2010 "che l'ABI nel dettare linee guida.. .per la predisposizione dei modelli organizzativi ha affermato che è difficile individuare per le banche condotte tipiche che preludano o facilitino la commissione dei reati societari, poiché si tratta in molti casi di reati che costituiscono la violazione di regole procedimentali già tassativamente indicate dalle norme. Ciò rende ardua la proposizione di modalità di gestione del rischio che non risultino ripetitive di comportamenti già consolidati nella prassi bancaria ovvero derivanti dall'applicazione delle norme primarie e dalla regolamentazione di vigilanza vigenti".

In tale contesto normativo si rivela, pertanto, fallace l'asserto secondo il quale il contenuto dei modelli organizzativi sarebbe indeterminato, in quanto il legislatore agli artt. 6 e 7 del D.Lgs. 231/01 delinea un contenuto tipico degli stessi e ciascun ente può mutuare le prescrizioni organizzative di dettaglio dall'insieme della disciplina primaria e sub-primaria di settore, dagli atti di autoregolamentazione vigenti e dalle linee guida emanate dalle associazioni di settore. Parimenti il giudice chiamato a delibare la idoneità di un modello organizzativo deve far riferimento alla disciplina di un determinato settore con riferimento al tempo della condotta criminosa in contestazione e verificare quali cautele organizzative siano state adottate dall'ente per scongiurare un dato fatto criminoso e come le stesse in concreto siano state attuate con riferimento al miglior sapere tecnico disponibile all'epoca.
Il rischio paventato dalla difesa di (X) che il giudice retrospettivamente costruisca una regola cautelare non riconoscibile al momento del fatto come sussistente si rivela, pertanto, insussistente ove il sindacato giudiziale richiesto dal D.Lgs. 231/01 sui modelli di organizzazione e di prevenzione del rischio reato sia correttamente inteso.
Il modello cautelare idoneo è, infatti, (come si desume, sul piano metodologico, anche dal contenuto precettivo dell'art. 30 del D.Lgs. 9.4.2008 n. 81) quello forgiato dalle migliori conoscenze, consolidate e condivise nel momento storico in cui è commesso l'illecito, in ordine ai metodi di neutralizzazione o di minimizzazione del rischio tipico.
In tale prospettiva ermeneutica in cui acquista un rilievo estremamente significativo il canone della esigibilità della legalità organizzativa, il giudice è non già un produttore, bensì esclusivamente un consumatore di norme di organizzazione e, pertanto, la censura di incostituzionalità formulata dalla difesa di (X) deve essere disattesa.

VIII) L'assetto organizzativo di (X) S.p.A.
La difesa di (X) S.p.A. non ha prodotto in giudizio i modelli di organizzazione e gestione dell'ente, limitandosi, come ribadito nella memoria depositata in data 22.7.2010, a mettere "a disposizione dell'Ill.mo Signor Giudice copia del Modello Organizzativo ex d.lgs. 231/2001 di (X) in data 13 dicembre 2006, unitamente a copia del Codice Etico della medesima Banca in data 22 ottobre 2004 e dei regolamenti e delle procedure aziendali anche vigenti all'epoca dei fatti. E ciò lì e ove la S.V. Ill.ma ritenesse di doverli acquisire ai fini della propria decisione, ai sensi della disposizione di cui all'art. 441, comma 5, c.p.p.".
La prova della esimente di cui all'art. 6 D.Lgs. 231/01 non è, pertanto, stata raggiunta, atteso che sulla difesa incombe l'onere della prova non solo della idoneità del modello adottato, ma anche della sua efficace attuazione (Cass. 20.12.2005, n. 3615, Jolly Mediterraneo s.r.l., rv.232957; Cass. 9.7.2009, n.36083, Mussoni ed altri, Rv.244256) e tale onere (ritenuto non manifestamente illegittimo da C. Cass. 18.2.2010, n.27735, Scarafia ed altro, Rv.247666) non può ritenersi assolto mediante la mera allegazione della disponibilità alla produzione in giudizio dei modelli
organizzativi.
La difesa ha, peraltro, prodotto alla udienza del 21.7.2010, un parere "Le condotte esigibili ex D.Lgs. 231/2001 in relazione al reato di false comunicazioni sociali" sottoscritto dal Prof. che è, tuttavia, inammissibile e non può essere utilizzato in tale sede.
Tale parere, che si risolve in una consulenza tecnica in ordine alla adeguatezza della compliance aziendale di (X) ed alla inesigibilità di una diversa condotta organizzativa, è stato infatti prodotto dalla difesa nell'ambito della discussione e, pertanto, è stato acquisito successivamente alla ammissione del rito abbreviato (ed in violazione delle regole acquisitive della prova operanti in tale procedimento).

L'asserto difensivo secondo il quale l'esistenza di comportamenti fraudolenti da parte dei dirigenti apicali della banca avrebbe impedito al sistema di controllo interno di intercettare i tipici segnali di rischio della commissione degli illeciti (e, pertanto, sarebbe stata inesigibile in concreto una diversa condotta organizzativa dell'ente) è, inoltre, radicalmente infondato. Il compendio probatorio agli atti, del resto, dimostra con assoluto nitore come l'assetto organizzativo di (X) S.p.A. all'epoca dei fatti per cui si procede fosse gravemente lacunoso, connotato da ampie e diffuse disfunzioni e, pertanto, radicalmente inidoneo a prevenire la commissione di reati della specie di quelli verificatisi.
Le estese carenze dei sistemi di controllo interno e le evidenti disfunzioni del loro funzionamento non hanno, infatti, consentito di evidenziare alcuno degli evidenti elementi sintomatici del rischio di reato e, pertanto, non consentono di affermare fondatamente la estraneità di (X) rispetto agli illeciti posti in essere dai propri dirigenti apicali.

In relazione ai fatti accertati nell'ambito dell'attività di vigilanza ispettiva condotta ai sensi dell'art. 54 D.Lgs. 385/193 presso (X) S.p.A., la Banca D'Italia ha avviato una procedura sanzionatoria che ha determinato in data 14.5.2008 la irrogazione da parte del Direttorio in seduta collegiale di sanzioni amministrative nei confronti numerosi amministratori, dipendenti della banca e del soggetto incaricato della revisione contabile.

Secondo la Banca d'Italia nella Ispezione ai sensi del T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia, infatti, nell'ultimo triennio la banca aveva "radicalmente modificato la propria attività -riconvertendosi da società di leasing, dipendente dalla rete delle popolari socie, a banca multiprodotto e multicanale - senza realizzare un adeguamento delle strutture, soprattutto con riferimento all'assetto informativo-contabile, all'area finanza e al risk management. L'attività della (X), improntata al perseguimento di ambiziosi obiettivi reddituali, ha quindi sovente travalicato i limiti della sana e prudente gestione, anche a motivo di un sistema di governance caratterizzato da diffuse debolezze, che ha favorito l'emergere di indebite iniziative in molteplici settori di attività. Il modello di business è quindi risultato sbilanciato verso attività non caratteristiche, basato su componenti economiche non replicabili e comportanti ingenti rischi non apprezzati né gestiti tempestivamente ed efficacemente dall'azienda, che stanno incidendo in misura significativa e crescente sulla consistenza patrimoniale" (aff.010452).

L'accertamento ispettivo della Banca d'Italia ha condotto alla rilevazione di plurimi profili di criticità nel funzionamento degli organi amministrativi e direzionali della banca e, più in generale, nei suoi assetti organizzativi.
La Autorità di Vigilanza ha riscontrato, a fronte di un modello di business connotato da una marcata propensione alla crescita ed allo sviluppo, non è risultata adeguata l'organizzazione delle strutture interne con specifico riferimento al sistema informativo contabile, al controllo di gestione, al risk management, all'internal audit e, più in generale, ai presidi di controllo. "In sede ispettiva sono state, in particolare, riscontrate rilevanti criticità nel funzionamento degli organi amministrativi e direzionali e negli assetti organizzativi e condotte operative non improntate
a criteri di sana e prudente gestione che hanno esposto la banca a rilevanti rischi di perdite, incidendo sull'adeguatezza patrimoniale e sugli equilibri tecnici sia dell'azienda sia del gruppo bancario ad essa facente parte" (aff. 110004).
Le diffuse anomalie riscontrate hanno indotto la Banca d'Italia a richiedere "agli organi aziendali l'adozione di interventi urgenti e di ampia portata volti a ripristinare condizioni di sana e prudente gestione nella conduzione aziendale"; in particolare si sottolineava "la necessità che la ricapitalizzazione progettata dalla banca fosse attuata con la massima tempestività e fosse di ammontare idoneo a consentire la completa copertura dei rischi presenti nelle posizioni in strumenti finanziari derivati nei confronti della clientela e negli altri comparti di operatività" (aff. 271460). Veniva, inoltre, richiesto "l'integrale rinnovo degli organi aziendali in carica alla data del 31.12.2006 e la rivisitazione degli assetti della governance interna" (aff.110005). Al contempo, veniva imposto alla banca "il divieto, sino alla completa attuazione del piano di ristrutturazione, di aprire nuove dipendenze, di ampliare l'attuale articolazione del gruppo bancario mediante l'assunzione di partecipazioni di rilievo in altre società e di porre in essere nuove operazioni con la clientela in strumenti derivati finanziari strutturati o comunque che avessero caratteristiche diverse da quelle standard e non fossero circoscritte alle mere esigenze di copertura del rischio di tasso di interesse".

La relazione di vigilanza ispettiva condotta ai sensi dell'art. 54 D.Lgs. 385/93 (aff. 271458 e ss.) dalla Banca d'Italia (che presentava in data 9.6.2008 alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano una denuncia cui era allegata la relazione) si concludeva con un giudizio complessivamente sfavorevole sulla amministrazione della banca ed evidenziava, sotto molteplici profili, gravi anomalie e disfunzioni organizzative e gestionali.

La Banca D'Italia nel corso degli accertamenti ispettivi di vigilanza riscontrava "diffuse anomalie" ed una ampia gamma di illeciti amministrativi e tra gli altri (per quanto rileva specificamente in tale sede):
"carenze nell'organizzazione e nei controlli! interni da parte del Consiglio di Amministrazione (art. 53, 1° co. lett. d), D.Lgs. 385/93; tit. IV, cap 11, Istr. Di Vig.)";
"carenze! nell'organizzazione e nei controlli interni da parte dell'Amministratore Delegato (art. 53, 1° co. lett. d), D.Lgs. 385/93; tit. IV, cap 11, Istr. Di Vig.)";
"carenze nei controlli da parte del Collegio Sindacale (art. 53,! 1° co. lett. d), D.Lgs. 385/93; tit. IV, cap 11, Istr. Di Vig.)";
"carenze! nell'organizzazione e nei controlli interni da parte del Direttore Generale (art. 53, 1° co. lett. d), D.Lgs. 385/93; tit. IV, cap 11, Istr. Di Vig.)";
"carenze nei controlli interni da parte del Responsabile della funzione di! Auditing" (art. 53, 1° co. lett. d), D.Lgs. 385/93; tit. IV, cap 11, Istr. Di Vig.)";
"anomalie nell'operatività in derivati con la clientela da parte! del Consiglio di Amministrazione, del Collegio Sindacale, dell'Amministratore Delegato e del Direttore Generale" (art. 53, 1° co. lett. d), D.Lgs. 385/93; tit. IV, cap 11, Istr. Di Vig.; tit. III , cap. 2, Regolamento adottato con Provv. B.I. del 4.8.00; comunicato B.I. aprile 2006 in G.U. serie gen. n.93/06)";
"disfunzioni nella gestione del credito da parte del Consiglio! di Amministrazione e del Direttore Generale" (art. 53, 1° co. lett. d), D.Lgs. 385/93; tit. IV, cap 11, Istr. Di Vig.)"; "mancato rispetto delle! disposizioni in materia di forme tecniche con riferimento al bilancio 2006 da parte del Consiglio di Amministrazione, del Collegio Sindacale, dell'Amministratore Delegato e del Direttore Generale (art. 9 D.Lgs. 38/2005; art. 5 D.Lgs. 87/92; cap. 1 e 2 Circ. 262 del
22.12.2005);
"carenze nella! funzione di controllo contabile da parte dell'incaricato della revisione contabile di (X)" (art. 53, 1° co. lett. d), D.Lgs. 385/93; tit. IV, cap 11, Istr. Di Vig.)"; "inesatte segnalazioni all'Organo di Vigilanza da parte! del Consiglio di Amministrazione, del Collegio Sindacale, dell'Amministratore Delegato e del Direttore Generale (art. 521 D.Lgs. 385/93;
tit. VI, cap. 1, Istr. Di Vig.).

Nella relazione ispettiva, inoltre, venivano evidenziate numerose anomalie nelle procedure interne relative alla stipulazione dei contratti derivati OTC, che aveva avuto una espansione straordinaria dal 2004 al 2006, passando da un nozionale complessivo di 1,4 miliardi di euro a quello di 5,2 miliardi.
Anche la tipologia di derivati conclusi aveva avuto una evoluzione particolare: mentre nel 2004 erano principalmente venduti contratti semplici, nel 2006 il 90% del nozionale era rappresentato da strutture "esotiche". Di pari passo era andata la quantificazione degli up front incassati da (X), che era aumentata via via che l'espansione dei derivati complessi aveva preso il sopravvento (passata da 23 milioni del 2004 ai 131 del 2006).
Tuttavia, nella valutazione della Banca d'Italia, "l'attività si è sviluppata, oltre che in assenza di una chiara definizione delle responsabilità dei soggetti coinvolti, senza un minimale sistema dei controlli né il supporto dei necessari strumenti di valutazione dei rischi, di monitoraggio dell'evoluzione del portafoglio e di pricing, essenziali anche a fini di dialettica con le controparti
finanziarie" (aff. 110007)).
Nella relazione ispettiva si evidenziava che"la vendita di derivati è stata sviluppata senza alcun riguardo alla sostenibilità finanziaria ed ai rischi legali e di immagine. In particolare l'attività di intermediazione ha riguardato prodotti complessi (nella maggior parte dei casi corredati da barriere, fattori leva e combinazioni di opzioni che ne esaltano la reattività ai movimenti dei fattori di rischio), determinando strutture incoerenti con le finalità di copertura di oscillazioni del tasso di interesse di tali derivati, previsti negli accordi sottoscritti dalla clientela .. " In particolare, "era assente una chiara definizione del potere di coordinamento e controllo sulla struttura responsabile della negoziazione"ed "inoltre, l'efficacia dei controlli è stata gravemente compromessa dall'assenza di monitoraggio sull'evoluzione del mark-to-market, di riscontri sulle modalità di vendita dei derivati, di manuali operativi per la funzione contabile, nonché dal mancato esercizio delle necessarie funzioni di riscontro da parte del back/middle office. L'operatività in derivati scontava poi la mancanza di adeguati strumenti di pricing per le diverse tipologie di prodotti che la banca intermediava" (aff.271468).
"In tale contesto, i consiglieri di (X) non avevano fornito dimostrazione di essersi attivati per verificare che l'intermediazione in derivati avvenisse nel rispetto delle linee guida approvate dall'organo collegiale, ad esempio mediante specifiche richieste di approfondimento, integrazioni documentali, riferimenti aggiuntivi sulle operazioni più rilevanti, chiarimenti sulla compatibilità tra la tipologia, apparentemente ordinaria, delle operazioni concluse e i profitti elevati conseguiti, soprattutto ove si consideri che l'operatività della specie non rappresentava il core business della banca e del gruppo.
Ciò appariva tanto più grave in quanto non erano mancati segnali di anomalia, quali, ad esempio, la sottoscrizione di contratti per un elevato ammontare con un ristretto numero di clienti dalla modesta dimensione economico-patrimoniale, le frequenti ristrutturazioni, incoerenti con le finalità di protezione dei prodotti venduti, o le commissioni eccezionalmente elevate riconosciute ai mediatori, che avrebbero dovuto indurre i consiglieri a svolgere le doverose verifiche" (aff. 271468). "In realtà, il Consiglio di Amministrazione si era spogliato di ogni iniziativa sul tema dei derivati, lasciando che fossero l'ex Amministratore Delegato e la struttura da questi diretta ad occuparsi in modo esclusivo di tale attività. La stessa prassi di ristrutturare le operazioni in derivati lasciando indenni i clienti dai costi di unwinding senza alcuna formalizzazione del processo decisionale è indicativa di questo atteggiamento" (aff. 271471).

Quanto alla rappresentazione nel bilancio 2006 delle operazioni in derivati con la clientela, la Istituto di Vigilanza rilevava che "evidentemente... il presidio del rischio di controparte era minato alla base sia da una insufficiente conoscenza dell'esposizione complessiva sia, soprattutto, da disfunzioni nei meccanismi di gestione, quale la mancata valutazione della sostenibilità
dell'esposizione maturata e la mancata acquisizione di garanzie. In proposito, deve essere rilevato che l'azienda non è stata in grado di valutare, neppure in sede di redazione del bilancio 2006, quegli indicatori che avrebbero dovuto far prevedere le conseguenze poi manifestatesi. Si fa riferimento, per esempio: all'ammontare raggiunto dall'esposizione sui derivati OTC; alla circostanza che molti clienti già sconfinavano; a quanto rilevato dall'audit nel gennaio del 2007 sui rischi connessi alla dichiarazione di "operatore qualificato" (aff. 110026).

Sotto il profilo della inadeguatezza del contesto organizzativo e dei controlli interni, la Banca d'Italia ha icasticamente osservato che "Le criticità sopra riportate si inquadrano in un contesto caratterizzato da un sistema di governance nel quale, sul piano fattuale, ruoli e responsabilità degli organi coinvolti nella gestione non sono risultati chiaramente definiti.
E' mancato poi un valido sistema di contrappesi, come dimostrato, in primo luogo, dalle carenze e dall'inefficacia dell'azione del Collegio sindacale, testimoniate dalle numerose e rilevanti anomalie riscontrate in sede ispettiva. I processi operativi sono stati inadeguatamente regolamentati e basati su un sistema informativo-contabile non in grado di garantire valido presidio per la correttezza delle scritture, insufficienze non fatte oggetto di rilievi da parte della società di revisione. I controlli dell'internal auditing hanno svolto, nei fatti, un ruolo del tutto marginale" (aff.010463).

Quanto al profilo strettamente organizzativo, la Banca d'Italia rilevava che "gli accertamenti ispettivi hanno messo in luce difetti strutturali nel disegno organizzativo e nell'assetto dei controlli dai quali il Consiglio di Amministrazione, a causa della propria inerzia, si accorto solo il ritardo e quando ormai le disfunzioni erano emerse in tutta la loro gravità" (aff.1100011). Parimenti l'Organismo di Vigilanza ravvisava un "precario stato dei controlli" (aff. 110012) e rilevava che "pur tenuto conto della netta separazione di ruoli che l'ordinamento assegna agli organi amministrativi e a quelli di controllo, sono da rimarcare i poteri di indagine, evidentemente non attivati, che la normativa attribuisce al Collegio sindacale. I sindaci, difatti, sono tenuti ad esercitare una funzione di sorveglianza attiva e incisiva, estesa a tutti gli aspetti della gestione e anche ai singoli affari, verificando attraverso riscontri non formali, che le operazioni poste in essere non siano tali da arrecare pregiudizio alla situazione economica e patrimoniale della banca. Così pure, l'organo di controllo ha il dovere di valutare autonomamente il rispetto della regolarità della gestione e l'adeguatezza e l'efficienza del sistema dei controlli interni, estendendo anzi la propria attività di sorveglianza all'operato dell'Internal Auditing e dei revisori cui era stato affidato il controllo contabile.
Al contrario, in un contesto aziendale caratterizzato da un Consiglio di Amministrazione sostanzialmente inerte e sotto l'influenza dell'ex Amministratore Delegato, l'azione del Collegio Sindacale non è stata in grado di rilevare in maniera tempestiva le gravi disfunzioni organizzative e gestionali emerse a carico di (X) e ha mostrato scarsa incisività nel proporre soluzioni volte a rafforzare il sistema dei controlli interni.Le stesse prassi di ristrutturare le operazioni in derivati lasciando indenni i clienti dai costi di unwinding senza alcuna formalizzazione del processo decisionale, è indicativa dello stato di abbandono dei controlli sull'operato dell'ex Amministratore Delegato e del vertice operativo della banca, aggravata dal disordine contabile con cui le stesse operazioni venivano rappresentate in bilancio, utilizzando criteri peraltro arbitrari" (aff. 110019). "La inadeguatezza dell'assetto organizzativo e dei controlli interni ha inoltre favorito, nell'ambito delle segnalazioni di vigilanza, l'errata rappresentazione dell'operatività in derivati con la clientela"
(aff. 110021).

Ancora più nitidamente la Banca d'Italia rilevava che "con riferimento ai profili organizzativi, sono state rilevate carenze nell'analisi dei processi, nella pianificazione strategica, nel controllo di gestione.
Inefficacia sono risultati sia i controlli di linea, condizionati dalla scarsa articolazione della normativa e dalla contenuta presenza di riscontri automatici, sia i controlli a distanza, limitatati ad
un ridotto ambito di profili e penalizzati dall'assenza di idonei applicativi.
La funzione di controllo interno non ha esteso le proprie verifiche a funzioni cruciali, quali quella
contabile e l'area operativa leasing.
Il sistema informativo-contabile della Banca è risultato non adeguato a sostenere la crescente complessità operativa e non integrato con quello delle controllate; l'innesto sulla piattaforma originaria per il leasing di applicativi diversi per gestire ulteriori attività, quali derivati e tesoreria, ha generato significative anomalie contabili e segnaletiche" (aff. 050339).
"Le irregolarità descritte..., le indeterminatezze nell'assetto di governance, le carenze nelle funzioni di indirizzo e controllo sul conglomerato, le criticità nel sistema informativo contabile e nella pianificazione e controllo di gestione inducono ad esprimere un giudizio sfavorevole sul profilo. La funzione di controllo interno non ha esteso le proprie verifiche a funzioni cruciali quali quella contabile - priva peraltro di una regolamentazione operativa, necessaria anche per uniformare i comportamenti a livello di gruppo - e l'area operativa leasing; del tutto insufficiente, inoltre, la profondità delle verifiche condotte sull'area finanza. Carenti, poi: l'analisi dei processi, per la mancata evidenziazione di fonti di rischio e inadeguatezza dei relativi presidi; l'efficacia dei riscontri di linea, condizionata da scarsa articolazione della normativa e contenuta presenza di riscontri automatici; l'estensione dei controlli a distanza, limitati a un ridotto ambito di profili, anche per l'assenza di idonei applicativi Ancora da implementare validi strumenti per il monitoraggio dei rischi sottesi allo sviluppo delle reti esterne e dei nuovi business. Anche il sistema informativo-contabile evidenzia incoerenze con la crescente complessità operativa e societaria, inadeguatezze nelle procedure sezionali e incompleta integrazione con quelle delle controllate, essendo incentrato su una specifica piattaforma leasing (New SIL) sulla quale sono stati innestati -non senza forzature- applicativi per gestire derivati, tesoreria, contabilità, e alimentata in batch da una distinta procedura per i mutui (Sib 2000). Ne conseguono, tra l'altro, insufficienze sotto il profilo contabile e del censimento anagrafico (aff. 010481)" .

Con il report del 1.6.2007 trasmesso alla CONSOB, l'Internal Audit di (X) S.p.A. ha rilevato che l'operatività in derivati si fondava su prassi operative piuttosto che su regole codificate. Tale assetto aveva comportato l'instaurarsi di rapporti fiduciari tra le persone che avevano continuato a persistere nella prassi operativa pur in presenza di rivisitazioni dell'organigramma. Inoltre, in presenza di un piano dei conti carente sull'operatività in derivati, erano state effettuate contabilizzazioni improprie. Per quanto concerne la chiusura anticipata dei contratti derivati che presentavano una esposizione negativa per i clienti, da ultimo, l'Internal Audit evidenziava l'assenza di un sistema di deleghe codificato. Tale operatività era, peraltro, gestita da un unico soggetto . che aveva rassegnato le dimissioni in data 30 maggio 2007.
Secondo l'Internal Audit di (X), in altri termini, l'operatività in derivati, sino al marzo 2007, era basata su prassi operative, piuttosto che su procedure e regole codificate ed in assenza di adeguate procedure interne per una valutazione dei rischi connessi (aff. 030222). Nel Report del 7.8.2007, l'Internal Audit di (X) riepilogava le numerose anomalie riscontrate e riconducibili: al generale disordine nella contabilizzazione delle commissioni; alle reiterate correzioni riportate a penna da parte dell'Ufficio Financial Banking sulle fiches interne inviate al Middle Office e con le quali venivano attribuite commissioni ai diversi agenti; all'assenza di supporti cartacei giustificativi e/o di riferimenti oggettivi che fornissero certezza all'effettivo intervento dei mediatori; all'assenza di un solido e formalizzato processo che, sul tema, prevedesse controlli di primo e di secondo livello; all'unwinding (risoluzione anticipata) di operazioni IRS senza richiederne al cliente il pagamento dei costi di chiusura (tali costi venivano compensati con gli upfront di altre operazioni, con una registrazione contabile incompleta).

I consulenti della Pubblica Accusa hanno, inoltre, rilevato che "l'assetto organizzativo, in rapporto alle strategie perseguite e al tipo di operatività svolta, risultava inadeguato e confuso; era anche in via di evoluzione per il recente potenziamento o impianto ex novo, a cavallo delle fine del 2006, di
strutture (risk management) e organi collegiali a livello di esecutivo (comitati finanza e gestione rischi), variamente connessi con l'attività dell'area finanza. I sistemi operativi, in particolare quello informativo-contabile, erano lacunosi, comportando anche rilevanti aree di manualità. Tali lacune si palesavano, tra l'altro, nella mancanza di un monitoraggio attivo sulle posizioni che presentavano mark to market fortemente negativi per la clientela, assenza di un sistema di marginazione, mancanza di un monitoraggio dei contratti derivati agganciati a contratti di finanziamento. Inoltre gli applicativi utilizzati dalla banca non erano in grado di fornire i fair value (mark to market) dei contratti derivati strutturati. Per un'analisi di questi aspetti si rimanda alla relazione dell'audit di (X) del gennaio 2007".

Il compendio probatorio acquisito nel corso del giudizio dimostra, pertanto, in modo inequivoco come l'assetto organizzativo di (X) S.p.A. risultasse, in rapporto alle strategie perseguite e al tipo di operatività svolta, ampiamente lacunoso ed evidenziasse una palese inadeguatezza dei presidi a fronte dei rischi operativi assunti.
Non può, pertanto, essere accolta la deduzione difensiva secondo la quale gli illeciti accertati non sarebbero addebitabili all'ente, in quanto l'Amministratore Delegato ed i suoi sodali avrebbero aggirato in modo illegittimo la normativa ed i sistemi di controllo.
In un contesto caratterizzato da evidenti disfunzioni organizzative e da grave inefficacia del sistema dei controlli interni (pur a fronte della presenza di plurimi ed evidenti segnali di anomalia), (A) e (B) hanno potuto operare senza sottostare ad alcun tipo di vaglio o riscontro. Come rileva icasticamente la Banca d'Italia "gli accertamenti ispettivi hanno messo in luce una realtà aziendale in cui le carenze organizzative e le disfunzioni dei controlli non solo non sono state rilevate e corrette, ma hanno fornito l'occasione al management per porre in atto comportamenti opportunistici orientati al profitto più che all'obiettivo della sana e prudente gestione" (aff.110023). In altri termini non sono stati l'Amministratore Delegato ed il Direttore Generale ad eludere fraudolentemente il sistema dei controlli interni, bensì gli imputati hanno approfittato a fini illeciti di una situazione dei presidi interni a (X) S.p.A. connotata da diffusi elementi di opacità, dalla assoluta inadeguatezza dei controlli e dalla mancanza di una basilare dialettica interna (aff. 010481).
Non ricorre, pertanto, la figura della elusione fraudolenta del modello organizzativo, in quanto la stessa presuppone l'avvenuta adozione e l'efficace attuazione di un modello organizzativo e la costituzione di un organismo di vigilanza (circostanza non comprovata nel caso di specie). In altri termini non vi è prova di un disegno ingannatorio volto ad ostacolare i meccanismi di prevenzione, quanto di vaste aree di ineffettività dei già lacunosi controlli previsti. La elusione fraudolenta del modello organizzativo costituisce, del resto, solo un frammento della più ampia esimente tipizzata dall'art. 6, comma primo, D.Lgs. 231/01 che consente all'ente di dissociarsi dai propri apicali e che postula la prova che l'organo dirigente abbia adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione idoneo a prevenire i reati della specie di quello verificatosi, che sia stato affidato ad un organismo, dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza del modello e che non vi sia stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo.

IX) Le statuizioni condannatorie.
Alla stregua dei rilievi che precedono deve essere affermata la responsabilità amministrativa da reato di (X) S.p.A. per gli illeciti di cui agli artt. 25 ter lett. c), r) ed s) del D.Lgs. n. 231/01 in relazione ai delitti di delitti di falsità nel bilancio, di manipolazione del mercato a mezzo dei comunicati stampa indicati nella imputazione di cui al capo c) ed il delitto di ostacolo alle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia commessi dal (A) e dal (B) nell'interesse ed a vantaggio di (X) stessa.
Nel determinare il trattamento sanzionatorio la pena deve essere determinata in coincidenza dei massimi edittali in ragione della estrema gravità e del significativo disvalore degli illeciti per cui si
procede.
Nella determinazione del numero delle quote la pena deve essere commisurata in coincidenza del massimo edittale, in quanto tutti gli indici contemplati dal legislatore nella dosimetria della pena (la gravità del fatto, il grado della responsabilità dell'ente, l'attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti) dimostrano icasticamente come la condotta di (X) S.p.A. sia connotata da estrema gravità.
La gravità degli illeciti dipendenti da reato è indubbia, come è dimostrato icasticamente dalla platea estremamente ampia dei soggetti costituitisi parte civile nel procedimento penale pendente nei confronti delle persone fisiche e dall'elevata entità dei danni cagionati alle parti lese. Il danno cagionato agli azionisti è stato, peraltro, particolarmente diffuso, atteso che all'epoca dei fatti il flottante rappresentava il 41,817% dell'azionariato (aff. 030004), ed ingente. Dai report della Consob presenti in atti risulta che il prezzo ufficiale del titolo di (X), passando da euro 45,320 a euro 18311, ha maturato, nel periodo 1 gennaio-15 luglio 2007 una perdita complessiva del 60% (aff. 0300017). Ulteriori ribassi della quotazione, peraltro, si sono verificati anche successivamente a tale ambito temporale, determinando per gli azionisti ingenti perdite del proprio investimento. Per converso il vantaggio, già descritto supra, che (X) ha tratto dagli illeciti amministrativi accertati è stato certamente elevato.
Le condotte illecite poste in essere da (X), peraltro, si sono risolte nella sistematica violazione dei canoni di prudente gestione bancaria, degli obblighi di informazione nei confronti delle Autorità di vigilanza e nella diffusione al mercato di notizie mendaci e decettive.
Il grado della responsabilità dell'ente è parimenti elevatissimo: l'istruttoria ha dimostrato come gli illeciti amministrativi per cui si procede abbiano costituito diretta espressione della politica aziendale dell'ente nel periodo di riferimento e che l'assetto organizzativo di (X) era connotato da gravi lacune ed ampie aree di ineffettività.
La colpevolezza di organizzazione della banca ha, pertanto, consentito all'Amministratore Delegato ed al Direttore Generale di porre in essere gravissime condotte criminose senza incontrare alcun serio ostacolo nelle norme organizzative dell'ente.
L'attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze degli illeciti compiuti è, da ultimo, stata assolutamente carente, in quanto non risultano documentati risarcimenti, transazioni o offerte di riparazione pecuniaria alle parti lese dei reati.
Parimenti l'attività posta in essere a livello organizzativo prevenire la commissione di ulteriori illeciti è rimasta ignota in giudizio, in quanto la scelta di non produrre i modelli organizzativi non ha consentito di apprezzare se siano intervenute modifiche nella compliance aziendale a seguito dei gravi illeciti commessi e la congruità dei presidi instaurati a fronte dei rischi operativi assunti. Deve, inoltre, trovare applicazione nel caso di specie la disciplina della pluralità di illeciti di cui all'art. 21 D.Lgs. 231/01, in quanto gli stessi sono stati commessi all'interno del medesimo settore organizzativo della banca ed in medesimo arco temporale.
Alla stregua di tali rilievi la sanzione pecuniaria può essere determinata in 400 quote per gli illeciti di cui agli artt. 25 ter lett. c) ed s) ed in mille quote per l'illecito dipendente dal reato di manipolazione del mercato (che deve essere più propriamente qualificato in quello contemplato dall'art. 25-sexies D.Lgs. 231/01 in luogo di quello contestato dalla Pubblica Accusa di cui all'art. 25 ter lett. r) atteso che il delitto presupposto cui accede è quello di manipolazione del mercato di cui all'art. 185 D.L.vo 58 del 1998 e non già il delitto di aggiotaggio di cui all'art. 2637 c.c.). L'importo delle quote, in ragioni delle consistenti condizioni economiche e patrimoniali dell'ente (che è una società di capitali ammessa alla quotazione in borsa nel listino del MIB 30, che esercita attività bancaria a livello nazionale e che all'epoca dei fatti per cui si procede era il più importante operatore nel settore del leasing in Italia, aff. 030005) ed al fine di assicurare una adeguata efficacia alla sanzione pecuniaria, non può che essere determinato, ai sensi degli artt. 10, comma terzo, e 11, comma secondo, D.Lgs. 231/01 nella misura massima di €.1.549 per quota. Una determinazione dell'importo delle quote in misura inferiore, infatti, attesa la consistente patrimonializzazione del soggetto inciso non assumerebbe alcuna valida efficacia sanzionatoria.
La sanzione pecuniaria stimata complessivamente in 1800 quote deve, pertanto, essere determinata in euro 2.788.200; tale pena deve, da ultimo, essere ridotta per la diminuente per il rito abbreviato alla sanzione pecuniaria di €. 1.858.800.

X) Le statuizioni ablatorie.
Il Pubblico Ministero ha richiesto la confisca di 100 milioni di euro ai danni di (X), sostenendo che tale somma costituisce l'indebito vantaggio patrimoniale dei delitti accertati di false comunicazioni sociali e di manipolazione del mercato; in particolare 62,4 milioni corrisponderebbero alla mancata rettifica relativa al rischio di controparte connesso ai contratti in derivati (così come stimata dal consulenti tecnici della Pubblica Accusa dott. Piernicola Carollo e dott. Ciro Nicolosi nel proprio elaborato peritale depositato in data 6.3.2008), laddove la parte restante (forfettariamente indicata in 37,6 milioni di euro) riguarderebbe il reato di manipolazione informativa e rappresenterebbe la stima del significativo apprezzamento delle azioni di (X) nel periodo di riferimento anche in ragione dell'aumento del merito creditizio e del correlativo ridotto costo della raccolta del danaro in tale arco temporale.
La difesa della banca ha recisamente contestato la fondatezza della richiesta ex adverso formulata, ritenuta immotivata ed apodittica, a mezzo di una ampia memoria depositata in data 4.10.2010. Quanto alla confisca del profitto del reato di false comunicazioni sociali, la difesa di (X) ha contestato il metodo di quantificazione della adeguatezza della rettifica di controparte operata dai consulenti della Pubblica Accusa, che risentirebbe dell'adozione di una prospettiva ex post, laddove il giudizio sulla qualità del bilancio doveva essere espresso alla stregua delle informazioni disponibili all'epoca della sua approvazione. La difesa, inoltre, ha eccepito che la rettifica per rischio di controparte è una componente negativa di reddito di origine valutativa e, pertanto, non costituisce un costo certo, né ha manifestazione monetaria; la confisca, del resto, eventualmente andrebbe disposta dopo aver detratto l'imposta sul reddito d'impresa, in quanto diversamente lo Stato giungerebbe a percepire due volte il medesimo ammontare, prima a titolo di imposta e poi di sanzione. Da ultimo, il 40% dell'utile conseguito era stato attribuito ai soci e, pertanto, l'importo del profitto dovrebbe essere ulteriormente decurtato in tale percentuale.
Quanto alla confisca del profitto del reato di manipolazione informativa, la difesa, oltre a censurare la determinazione forfettaria dell'importo dell'asserito profitto del reato, ha dedotto che l'apprezzamento delle azioni non costituisce profitto diretto per la banca, in quanto il soggetto primariamente beneficiato è esclusivamente l'azionista, e che è indimostrato il nesso eziologico tra le condotte asserite illecite e la supposta riduzione del corso della raccolta per la banca.

L'istanza della Pubblica Accusa deve essere accolta nei limiti che di seguito si precisano.
L'art. 19 del D.Lgs. 231 sancisce che "nei confronti dell'ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato. Sono fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede" ed, al secondo comma, che "quando non è possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato".
Secondo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione il profitto del reato oggetto di confisca è costituito dal vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato presupposto (Cass., SS.UU., 16.4.2009, n.20506, P.M. in proc. Società Impregilo S.p.A. e altri, Rv.243198). La medesima sentenza ha, peraltro, affermato il carattere sanzionatorio di tale ipotesi di confisca, in quanto la confisca del profitto del reato prevista dagli artt. 9 e 19 D.Lgs. n. 231 del 2001 si configura come sanzione principale, obbligatoria ed autonoma rispetto alle altre previste a carico dell'ente, e si differenzia da quella configurata dall'art. 6, quinto comma, del medesimo decreto, applicabile solo nel caso difetti la responsabilità della persona giuridica, la quale costituisce invece uno strumento volto a ristabilire l'equilibrio economico alterato dal reato presupposto, i cui effetti sono comunque andati a vantaggio dell'ente.
Il carattere sanzionatorio di tale ipotesi di confisca comporta, pertanto, l'apprensione automatica del profitto del reato indipendentemente da valutazioni prognostiche in ordine alla pericolosità della res, bensì esclusivamente quale componente necessaria della condanna. Parimenti la confisca per equivalente di valore prevista dal comma secondo dell'art.19 D.Lgs. 231/01 consente di realizzare l'intervento ablativo anche quando non sia possibile l'apprensione del prezzo o del profitto del reato perché la natura del vantaggio acquisito non è tale da riflettersi visibilmente nella situazione patrimoniale dell'ente (risparmi di spese) oppure perché i beni illecitamente conseguiti non fanno più parte del suo patrimonio per effetto di consumo, occultamento o cessione a terzi.

Declinando tali principi di diritto nel caso di specie deve rilevarsi che la sistematica diffusione al mercato di comunicati contenenti notizie false ha concretato un indebito sostegno per il titolo di (X) S.p.A. (anche in un arco temporale in cui era in corso un aumento di capitale mediante appello al pubblico risparmio) ed ha consentito alla Banca di palesare sul mercato una patrimonializzazione ed una redditività artificiose che la hanno indubbiamente avvantaggiata nei rapporti con gli azionisti, con i creditori ed i terzi. A titolo meramente esemplificativo si può, del resto, rilevare che, a seguito della emersione delle condotte criminose, l'agenzia di rating Fitch ha degradato il rating di (X) sia sul debito a lungo, che a breve termine (aff. 030042).
Tali indebiti vantaggi lucrati da (X) non sono stati, tuttavia, adeguatamente determinati nel corso
del giudizio, né sono stati addotti elementi per una corretta stima di tale vantaggio.
Nel sistema delineato dal diritto punitivo degli enti per la confisca del profitto del reato, non vi è
spazio per la ablazione di profitti del reato determinati in via forfettaria o equitativa.
La richiesta formulata dalla Pubblica Accusa di confisca del profitto del delitto di manipolazione
informativa del mercato non può, pertanto, essere accolta in ragione della mancata determinazione e
determinabilità (allo stato delle acquisizioni) dell'entità del profitto indebitamente lucrato.

Quanto al delitto di false comunicazioni sociali, i consulenti della Pubblica Accusa hanno evidenziato che l'incidenza dello scorretto trattamento contabile degli up-front sul risultato di esercizio dei bilancio 2006 di (X) non ha di per sé modificato il risultato finale bensì solo i risultati intermedi. Parimenti l'attività di unwinding ha falsato la ripartizione del risultato netto dell'attività di negoziazione tra plusvalenze/minusvalenze e utili/perdite (tabella 4.1, pag. 342 del bilancio di esercizio 2006) e la sua quantificazione si può solo stimare per il fatto che buona parte delle compensazioni avveniva extracontabilmente. L'analisi del conto commissioni attive ha però fatto emergere che gli up-front dovuti dalle controparti bancarie ammontavano a ben 245 mln. e sono stati compensati in conto con costi di chiusura pari a 58 mln. Questa cifra può essere considerata una stima attendibile delle minusvalenze registrate nel risultato netto dell'attività di negoziazione in luogo della corretta registrazione di perdite.
I consulenti della Pubblica Accusa hanno, inoltre, acclarato che la cancellazione di contratti senza delibera dell'organo competente, più volte verificatasi anche nei confronti dei medesimi clienti e solo in parte considerati nel bilancio 2006, due casi, pur concretizzatisi nel gennaio e nel marzo 2007, avrebbero dovuto impattare sul bilancio 2006 andandone a rettificare il risultato d'esercizio al lordo delle imposte per un importo di 5,8 mln. (in applicazione della disciplina prevista per i fatti intervenuti dopo la fine dell'esercizio e prima dell'approvazione del bilancio - cfr. IAS 10 § 8 e 9.b). Tale accadimento, tuttavia, non si sarebbe verificato perché la consapevolezza della perdita sarebbe stata acquisita solo nel giugno 2007 (cfr. Rapporto dell'Audit del 28 giugno 2007).
II compendio probatorio diffusamente descritto ha, tuttavia, evidenziato una diretta incidenza sul risultato economico della società della scelta di sottostimare gli stanziamenti per rischi di controparte.
Secondo la persuasiva valutazione dei consulenti della Pubblica Accusa, la congrua valutazione del rischio di credito nella determinazione del valore dei contratti derivati non quotati OTC con "fair value" positivo stipulati con la clientela (effettuando accantonamenti per svalutazione forfettaria di €. 8,3 mln. a fronte di una perdita effettiva stimabile quantomeno, sulla base di evidenze all'epoca disponibili, nella misura di €. 62,4 mln.), si sarebbe dovuta tradurre in una diminuzione del risultato netto di negoziazione (in termini di minori plusvalenze o maggiori minusvalenze), da -25 mln. a -87,4 mln. (peraltro se si tiene conto della corretta classificazione degli up-front, il risultato netto dell'attività di negoziazione sarebbe passato da 160 mln. a 97,6 mln.). L'utile dell'operatività corrente al lordo dell'imposte, per questo solo fattore, sarebbe dovuto calare da 166 mln. a 103,6 mln. Inoltre il valore delle attività finanziarie detenute per la negoziazione (voce 20 dell'attivo dello stato patrimoniale) sarebbe sceso da 455 mln. a 393 mln.
(X) S.p.A. nel procedere al calcolo del fair value dei contratti derivati stipulati ha, pertanto, scientemente sottostimato il rischio di credito relativo alle controparti corporate (peraltro amplificato dalla estrema volatilità dei prodotti sottoscritti), in quanto non sono stati condotti i necessari approfondimenti sulla sostenibilità delle esposizioni da parte dei clienti. Tale asserto accusatorio risulta dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio dagli argomentati rilievi formulati dalla Consob, dalla Banca d'Italia e dai consulenti della Pubblica Accusa, che, peraltro, non sono stati né confutati, né scalfiti da alcuna censura di segno contrario.

La Banca d'Italia nella "Ispezione ai sensi del T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia", quanto alla rappresentazione nel bilancio 2006 delle operazioni in derivati con la clientela, ha rilevato che "a fronte di un mark-to-market positivo nei confronti- di clientela corporate pari a €. 233,3 mm, sono stati evidenziati "stanziamenti per rischio di controparte per €. 8,3 mln.", mentre nessun accantonamento si è ritenuto di effettuare a fronte dei rischi di reputazione e legali, che nei fatti avrebbero reso di difficile realizzazione il mark-to-market positivo, indifferenti al fatto che molti clienti sconfinavano.
La precisione del fair value rappresentato sconta le carenze nel sistema di pricing, come evidenziato dall'analisi, riferita al 31.12.2006, effettuata nel corso degli accertamenti su un insieme di 100 posizioni, che ha fatto emergere per circa il 35% dei casi uno scostamento superiore al 10% tra il mark-to-market calcolato in azienda e quello comunicato dalle controparti bancarie (per un errore complessivamente pari ad oltre €. 50 mln.). (cost. n. 6, 2° e 3° co.)" (aff. 110026).

La Consob ha evidenziato che la valutazione del rischio di credito e dell'eventuale perdita di valore delle attività finanziarie, ai fini di una conseguente svalutazione (c.d. procedura di impairment) è stata effettuata sulla base di procedure collettive già utilizzate nell'ambito dei contratti di leasing. Sulla base di tale modello è stata operata la rettifica di Euro 8,3 milioni dell'ammontare del credito esistente al 31.12.2006, pari ad Euro 233,3 milioni.
Tale procedura non teneva conto della specificità del singolo rapporto contrattuale in essere con il cliente, della sua solvibilità in relazione ai potenziali rischi derivanti dalla natura speculativa del contratto sottoscritto, ben diversi da quelli derivanti da un contratto di leasing, nonché dalla coerenza del contratto con le caratteristiche finanziarie personali del cliente.
L'attività istruttoria effettuata dalla Consob presso la . S.p.A., che pure aveva ritenuto tale metodologia di calcolo "sostanzialmente accettabile", faceva anche emergere:
una significativa! concentrazione del rischio di credito su pochi clienti, con le prime 69 posizioni determinanti un MTM positivo per (X) di Euro 149 milioni, rispetto al totale di Euro 233,3 milioni generato da più di 2200 clienti;
che n.5! contratti presentavano un rapporto MTM/nozionale superiore al 100% (MTM per Euro 7 milioni) e n.41 contratti un rapporto MTM/nozionale superiore al 50% (MTM pari ad Euro 61 milioni);
che le controparti contrattuali risultavano essere! alternativamente società veicolo di nuova costituzione o imprese medio piccole (società di persone o a responsabilità limitata), la cui situazione economica e patrimoniale non appariva adeguata in termini dimensionali rispetto agli impegni derivanti dalla stipula di tali contratti derivati;
che non emergevano! ulteriori garanzie a tutela del credito derivante dal MTM dei derivati. La inadeguatezza della rettifica operata nel bilancio si può desumere anche dal rilievo che all'atto della approvazione del bilancio, gli amministratori avevano avuto evidenze tangibili di problemi di solvibilità della clientela; secondo quanto comunicato dalla stessa (X) dalla Consob con note del 6 e del 26 agosto 2007, vi erano state nel corso dell'anno 2006 remissioni pari ad Euro 54 milioni, contabilizzate nella voce 80 del conto economico individuale "Risultato netto del'attività di negoziazione" per 27,4 milioni e nella voce 40 del contro economico individuale "Commissioni attive" per Euro 26,6 milioni a storno delle medesime "a motivo della correlazione tra le operazioni chiuse e quelle riferibili alle commissioni incassate".

Anche il Tribunale di Milano, Sezione VIII Civile, inoltre, con sentenza n. 5796/09 depositata in data 30.4.2009, ha rilevato che la procedura di valutazione collettiva (identica a quella usata per i crediti nascenti dal leasing) era assolutamente inadeguata ad esprimere il rischio di controparte (quantificato nella somma di 8,3 mln. di euro a fronte di un potenziale credito verso la clientela per 233,3 mln.) in quanto i crediti in questione traevano origine da operazioni speculative ad alto rischio (e, pertanto, radicalmente differenti da normali crediti commerciali quali quelli nascenti da contratti di leasing) ed in quanto il 60% delle operazioni in questione era stato perfezionato con un ridotto numero di piccole o piccolissime imprese, di incerte capacità solutorie (pag.5 della sentenza
del 30.4.2009).

La incongruità della rettifica per rischio di controparte ha, pertanto, avuto un impatto significativo sul risultato netto della gestione finanziaria, che ha consentito a (X) di acquisire utilità patrimoniali avvinte per legge da un vincolo di indisponibilità e di utilizzarle.
La Consob nella relazione n.7096128 ha evidenziato che i flussi economici dell'esercizio 2006 relativi all'attività su strumenti finanziari di negoziazione evidenziano un saldo commissionale positivo di Euro 143,7 milioni (+ 136 % rispetto al 2005) che, rettificato della perdita di negoziazione (24,7 milioni) e delle rettifiche per rischio di controparte (8,5 milioni), determina un risultato netto dell'operatività in derivati di negoziazione di Euro 110,8 milioni, pari al 27,3% del
risultato netto della Gestione Finanziaria (24,3% del 2005) (Aff. 030009).
Una quantificazione minimale (stimata per difetto in relazione sia al campione esaminato sia ai criteri utilizzati, che non considerano, ad esempio, l'impatto sicuramente pesantissimo che un'eventuale richiesta di marginazione avrebbe avuto sulla liquidità dei clienti, e, per questa via, sulla solvibilità degli stessi anche nei casi di una consistenza patrimoniale di primo acchito adeguata) della svalutazione per rischio di controparte che doveva interessare i contratti derivati con fair value positivo è stata operata dai consulenti della Pubblica Accusa.
Una ricognizione sui primi 20 clienti verso i quali (X) era esposta per contratti derivati con mark to market positivi (tutti superiori a 2 mln.) - scevra di complessi tecnicismi ed effettuabile in poco tempo, sulla base di informazioni agevolmente disponibili - avrebbe consentito di rilevare l'ampia irrecuperabilità di tali valori (62,4 mln. su un totale di 150,6 mln.). La perdita stimata - sottolineano i consulenti - è di valore complessivo ancora modesto rispetto a quella successivamente maturata (svalutazione complessiva risultante dalle semestrale 2007 pari a 847 mln. su 920 mln.; svalutazione sui primi 20 clienti: circa 431 mln. su 469) a seguito dell'impatto devastante dell'evoluzione dei contratti, di evidente complessità e volatilità, sulla solvibilità dei clienti anche nei non frequenti casi nei quali la loro base patrimoniale non fosse sin dall'origine irrisoria. Era pertanto del tutto incongrua una rettifica forfetaria pari a 8,3 mln. (in assenza, si ricorda, di qualsiasi garanzia in termini di collateral). La detta svalutazione (62,4 mln.), al lordo della svalutazione forfetaria fatta dalla banca, si sarebbe dovuta tradurre in una diminuzione del risultato netto di negoziazione (in termini di minori plusvalenze o maggiori minusvalenze), da -25 mln a -87,4 mln (peraltro se si tiene conto della corretta classificazione degli up-front, il risultato netto dell'attività di negoziazione sarebbe passato da 160 mln. a 97,6 mln.). L'utile dell'operatività corrente al lordo dell'imposte, per questo solo fattore, sarebbe dovuto calare da 166 mln. a 103,6 mln. Inoltre il
valore delle attività finanziarie detenute per la negoziazione (voce 20 dell'attivo dello stato patrimoniale) sarebbe sceso da 455 mln. a 393 mln.
Tali rilievi evidenziano come sottostimando lo stanziamento per rettifica di controparte si sia consentito alla Banca di evidenziare un utile maggiore di quello che si sarebbe verificato ove la rettifica operata fosse stata congrua sulla base delle cognizioni disponibili all'epoca dell'approvazione del bilancio.
In altri termini la dolosa indicazione di un inadeguato importo dello stanziamento per rettifica di controparte ha consentito alla banca di liberare risorse e, segnatamente, di svincolare somme destinate ex lege a garantire l'adeguatezza patrimoniale della banca e di operare una indebita appropriazione delle stesse.
La inadeguata rettifica per rischio di controparte, pertanto, ha consentito alla banca di lucrare (e di rendere liquida) una somma dell'importo corrispondente a quella che si sarebbe dovuta indicare in bilancio quale congrua rettifica per rischio di controparte e che sarebbe risultata vincolata ex lege e non altrimenti disponibile per l'ente.
L'entità del profitto conseguente al delitto di false comunicazioni sociali (e, segnatamente, alla indicazione di una incongrua rettifica per rischio di controparte) può, pertanto, essere determinato nella somma stimata, secondo criteri prudenziali, dai consulenti della Pubblica Accusa all'esito della ricostruzione delle voci di bilancio incise dal delitto per cui si procede (pagg.9-10 della consulenza tecnica depositata in data 6.3.2008).
Alla stregua dei rilievi che precedono deve, pertanto, essere disposta, ai sensi dell'art. 19, comma secondo, D.Lgs. 231/01 la confisca per equivalente della somma di euro 64.200.000,00 nei confronti di (X) S.p.A., oltre interessi legali dal 16.4.2007 (data di approvazione del bilancio al 31.12.2006) alla data dell'effettivo esborso (al fine di garantire una minimale attualizzazione di tale somma al momento della pronuncia giudiziale e di rendere indenne lo Stato dalla inflazione medio tempore registratasi).
I concordi rilievi sopra riportati della Banca d'Italia, della Consob e dei consulenti della Pubblica Accusa rendono evidente, inoltre, la infondatezza della doglianza secondo la quale la stima della adeguatezza della rettifica sarebbe viziata sul piano metodologico dall'adozione di una prospettiva ex post. La stima dei consulenti della Pubblica Accusa è, infatti, stata operata declinando correttamente il canone della prognosi postuma ed avvalendosi delle cognizioni sulla solvibilità delle controparti contrattuali dei derivati stipulati da (X) S.p.A. agevolmente disponibili all'epoca della approvazione del bilancio.
Nessun rilievo, del resto, può assumere nella determinazione dell'importo del profitto da confiscare l'assolvimento da parte della banca dell'onere fiscale.
Nella giurisprudenza di legittimità, infatti, la confiscabilità esclusivamente del c.d utile netto è stata riconosciuta esclusivamente "nell'attività d'impresa impegnata nella dinamica di un rapporto contrattuale a prestazioni corrispettive, in cui può essere difficile individuare e distinguere gli investimenti leciti da quelli illeciti" e con specifico riferimento ai c.d. reati in contratto (e, segnatamente, nella ipotesi di un appalto pubblico di opere e di servizi, pur acquisito a seguito di aggiudicazione inquinata da truffa) (Cass., SS.UU., 16.4.2009, n.20506, cit.). Al di fuori di tale ipotesi non può che ribadirsi, mutuando le icastiche espressioni delle Sezioni Unite, che "il crimine non rappresenta in alcun ordinamento un legittimo titolo di acquisto della proprietà o di altro diritto su un bene e il reo non può, quindi, rifarsi dei costi affrontati per la realizzazione del reato. Il diverso criterio del "profitto netto" finirebbe per riversare sullo Stato, come incisivamente è stato osservato, il rischio di esito negativo del reato ed il reo e, per lui, l'ente di riferimento si sottrarrebbero a qualunque rischio di perdita economica" (Cass., SS.UU., 16.4.2009, n.20506, cit.).
La approvazione di un bilancio falso, del resto, non concreta un reato in contratto e non evidenzia nella sua consumazione alcun profilo sinallagmatico.
La giurisprudenza di merito, del resto, ha ritenuto ammissibile lo scomputo degli oneri fiscali relativi al profitto illecitamente lucrato esclusivamente nelle ipotesi di somme già tassate alla fonte
(capital gains conseguenti alla commissione di delitti di manipolazione del mercato) in quanto in tale ipotesi la liquidazione delle plusvalenze illecitamente lucrate viene depurata a monte dalla trattenuta della imposta di legge; in tali casi, pertanto, non è possibile ricomprendere nel profitto suscettivo di ablazione anche quelle componenti del risultato economico derivante dal reato che mai sono entrate a far parte del patrimonio del reato, per essere state già stornate dall'istituto erogante ex lege 461/1997.
Nel caso di specie, tuttavia, l'assolvimento dell'onere fiscale è intervenuto solo in un momento successivo alla acquisizione indebita del profitto del reato e, pertanto, è questione irrilevante in tale sede. L'onere fiscale non è stato, peraltro, assolto mediante tassazione alla fonte in favore dell'ente indebitamente arricchitosi e, pertanto, la diversità della ratio non consente di applicare la medesima disciplina applicata in via giurisprudenziale per i capital gains.
Né può diversamente opinarsi in base al rilievo secondo il quale confiscare quella parte del profitto già sottoposta ad imposizione si tradurrebbe in una duplice ablazione da parte dello Stato, in quanto la causa giustificativa della ablazione è diversa nelle due ipotesi (nell'una caso sanzionatoria e nell'altro a titolo contributivo alla fiscalità generale) e, pertanto, non è ravvisabile alcun bis in idem rilevante ed apprezzabile sotto il profilo giuridico.
Assolutamente inconferente si rivela, inoltre, la circostanza che parte dell'utile indebitamente lucrato sia stato distribuito ai soci, in quanto questa destinazione costituisce un posterius della attività illecita che ha consentito all'ente di lucrare delle somme non stanziate per rischio di controparte. La distribuzione di parte dell'utile indebitamente lucrato ai soci, infatti, sul piano logico e giuridico, costituisce esclusivamente una modalità di disposizione di una utilità previamente acquisita in forma illecita.
Le censure avanzate dalla difesa in ordine alla infondatezza ed al ridimensionamento della richiesta di confisca del profitto dell'illecito dipendente dal reato di false comunicazioni sociali devono, pertanto, essere disattese in quanto si rivelano integralmente infondate.

 

P. Q. M.

Letti gli artt. 62 D.Lgs. 231/01, 442, 533, 535 c.p.p.
DICHIARA
(X) S.p.A. responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla medesima ascritti e riqualificato l'illecito contestato di cui all'art. 25 ter lett. r) in quello contemplato dall'art. 25-sexies D.Lgs. 231/01, applicata la disciplina della pluralità di illeciti di cui all'art. 21 D.Lgs. 231/01 e la riduzione di pena per il rito prescelto, la

CONDANNA

al pagamento della sanzione pecuniaria di €.1.858.800,00. Letto l'art. 19 D.Lgs. 231/01

ORDINA

la confisca della somma di euro 64.200.000,00 nei confronti di (X) S.p.A., oltre interessi legali dal 16.4.2007 (data di approvazione del bilancio al 31.12.2006) alla data dell'effettivo esborso. Letto l'art. 69 D.Lgs. 231/01

CONDANNA

(X) S.p.A. al pagamento delle spese processuali. Letto l'art. 544 c.p.p.

FISSA

in giorni sessanta il termine per il deposito della motivazione della sentenza.