Cassazione Penale, Sez. 4, 06 marzo 2013, n. 10319 - Autista deceduto schiacciato da un cancello metallico uscito dalle guide


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCO Carlo G. - Presidente -

Dott. D'ISA Claudio - Consigliere -

Dott. CIAMPI Francesco - Consigliere -

Dott. VITELLI CASELLA Luca - rel. Consigliere -

Dott. DOVERE Salvatore - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza



sul ricorso proposto da:

1) P.P. N. IL (Omissis);

2) C.B.F. N. IL (Omissis);

3) G.C. N. IL (Omissis);

4) G.M. N. IL (Omissis);

avverso la sentenza n. 15277/2008 CORTE APPELLO di TORINO, del 03/05/2011;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/07/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA VITELLI CASELLA;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Baglione Tindari che ha concluso per l'annullamento con rinvio senza prescrizione, riguardo alle contravvenzioni per il rigetto nel resto.

Udito per le parti civili l'avv. Angelo Colucci del foro di Roma che ha concluso per la conferma della sentenza della Corte di appello di Torino.

Udito per i ricorrenti G.C. e G.M. l'avv. Rimo Casarotti del foro di Novara che ha chiesto l'accoglimento del ricorso del ricorso.

Fatto



Con sentenza in data 5 maggio 2011, la Corte d'appello di Torino confermava la sentenza emessa il 23 aprile 2007 dal Tribunale di Novara - Sezione staccata di Borgomanero che dichiarò gli imputati G.C.. G.M.. C.B.F. e, P.P. colpevoli del delitto di cui all'art. 113, art. 589 cod. pen., commi 1 e 2 commesso in (Omissis) ai danni di C.I.: lavoratore subordinato alle dipendenze della s.n.c. Fratelli G. con mansione di autista, deceduto perchè schiacciato sotto il cancello metallico di accesso all'area del cantiere - del peso di kg. 567,8 - uscito dalle guide di scorrimento.

Ai predetti Imputati, per quanto in questa sede rileva, veniva contestato di aver cagionato l'evento a titolo di cooperazione colposa,versando essi sia in colpa generica che in colpa specifica.

In particolare si addebitava:

- ai datori di lavoro G.C. e G.M., nel ruolo di appaltatori dei lavori di scavo e di trasporto, la violazione dell'art. 2087 cod. civ. e dell'art. 226, commi 1 e 2, D.P.R. n. 547 del 1955, art. 374, comma 1, nonchè dell'art. 21, comma 1, lett. c) e D.Lgs. n. 626, art. 22, commi 1 e 2 e del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 9, comma 1, lett. c bis) in relazione al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, commi 1 e 2, lett. b): per aver consentito al dipendente di accedere al cantiere ove erano in corso lavori loro appaltati dai committenti, attraverso un cancello scorrevole privo di sistemi di fermo e quindi fonte di pericolo in quanto costruito e mantenuto non in buono stato di stabilità e di efficienza,non apponendovi apposito cartello di divieto di transito; per non aver informato il dipendente dei rischi specifici cui era esposto nel servirsi di detto cancello; per aver altresì redatto un piano operativo di sicurezza -POS - privo della valutazione del rischio relativo all'accesso al cantiere e conseguentemente all'individuazione delle misure di prevenzione e di protezione;

- a C.B.F.: appaltatore della costruzione del cancello, la violazione del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 7, comma 1, art. 14, comma 12, art. 374, comma 1; D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 6, comma 3, per aver installato e montato il cancello scorrevole privo dei sistemi di fermo e quindi non in stato di stabilità e di efficienza in relazione alle condizioni d'uso ed alle necessità di sicurezza sul lavoro;

- a P.P. in veste di coordinatore in fase di esecuzione dei lavori relativi al cantiere e di responsabile della sicurezza sui luoghi di lavoro e della esecuzione dei lavori, la violazione (capo A) del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5, comma 1, lett. a), nonchè dell'art. 5, comma 1, lett. b) in relazione all'art. 12, comma 1, lett. a) e b); art. 2, comma 2, lett. c) e lett. c), art. 3, comma 1, lett. a), comma 2, lett. a) D.P.R. n. 222 del 2003, per non aver adeguato il piano di sicurezza e di coordinamento (PSC) ed il fascicolo di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 4, comma 1, lett. b), in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, ai rischi conseguenti al sopravvenuto accesso al cantiere attraverso il cancello de quo e per non aver quindi verificato l'idoneità del piano operativo di sicurezza della s.n.c. F.lli G. rispetto alla valutazione del rischio attinente all'accesso al cantiere e conseguentemente alla individuazione delle relative misure di prevenzione e di protezione.

Per l'effetto gli imputati, concesse loro le attenuanti generiche dichiarate equivalenti alla contestata aggravante, venivano condannati alle rispettive pene ritenute di giustizia nonchè, in solido, al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separata sede.

Sulla base di quanto rimasto accertato in punto fatto ovverosia della esistenza di un cancello in metallo di accesso al cantiere (anzichè in legno, come previsto dal piano di sicurezza e di coordinamento), risultato non fissato alla guida sulla quale scorreva ed gli appositi sostegni, con sufficiente aderenza, ma privo dei relativi fermi a fine corsa, la Corte d'appello ha ravvisato la responsabilità di M. e G.C. (quali committenti) e del P. (responsabile per la sicurezza) in conseguenza dell'omessa indicazione, nel POS (dai predetti sottoscritto) dello specifico rischio insito nei difetti di costruzione e di manutenzione del cancello di ingresso. La responsabilità del C. B. F. è stata affermata in dipendenza della incompleta installazione del cancello (sospesa nel periodo estivo), in quanto non dotato di un sistema di sicurezza atto ad impedirne la fuoriuscita dalle guide o la caduta senzachè di tale incompleta installazione e dei rischi e dei pericoli insiti nel suo scorrimento il C. B. F. stesso si fosse dato carico di dare adeguata contezza a chi si sarebbe servito del manufatto, tant'è vero che non esistevano segnali di divieto d'accesso al cantiere nel periodo estivo. Il C., incaricato di prelevare dal cantiere uno dei mezzi da scavo che avrebbe dovuto caricare sull'autocarro, provvide ad aprire il cancello facendolo scorrere sulla guida ed ignorandone la pericolosità per la mancanza dei fermi di fine corsa. Questo - della lunghezza di dieci metri e del peso di quasi mezza tonnellata - non incontrando dispositivo di sostegno e di arresti a metà ed a fine corsa, si ripiegò dal lato interno del cantiere. La vittima, a questo punto, molto verosimilmente tentò improvvisamente di impedirne la caduta, finendo schiacciato sotto lo stesso cancello.

Tutti gli imputati ricorrono per cassazione, per tramite dei rispettivi difensori.

La difesa degli imputati G.M. e G.C., con il ricorso cumulativamente proposto, articola quattro distinti motivi. Si duole, con i primi due motivi, del vizio di motivazione nonchè di quello per violazione di legge in punto alla ricostruzione della dinamica dell'incidente, per avere la Corte distrettuale illogicamente affermato che sarebbe stato necessario, per la vittima, aprire interamente il cancello onde farvi accedere il lungo autocarro e per non aver stigmatizzato la condotta dell'imputato M.M. (poi assolto) che, prima dell'arrivo dei Carabinieri e dell'ambulanza, aveva provveduto a modificare ad arte il teatro dell'incidente, rimuovendo il cadavere e spostando il cancello di guisa da indurre ad una incompleta ricostruzione del fatto.

Denunzia, con la terza censura, la nullità della sentenza per la mancata assunzione di una prova decisiva, ritualmente richiesta ex art. 603 cod. proc. pen., avente ad oggetto sia l'espletamento di consulenza tecnica finalizzata ad acclarare le esatte modalità dell'incidente sia l'escussione dei testi accorsi, nell'imminenza del fatto, a richiesta del M..

Con il quarto motivo lamenta l'erronea applicazione delle norme di legge in materia di nesso di causalità. Secondo il difensore, l'evento sarebbe l'esclusiva conseguenza di un fatto imprevisto ed imprevedibile, tale da determinare l'interruzione del nesso eziologico tra le condotte e le omissioni ascritte agli imputati, non ricorrendo la pericolosità intrinseca del manufatto, ma unicamente quella derivante da un suo utilizzo abnorme ed eccezionale - dovuto alla condotta della vittima che aprì il cancello per oltre quattro metri peraltro sospingendolo in modo tanto violento ed inutile da farlo uscire dalla guida e ribaltare - tant'è vero che mai si erano verificate in precedenza problematiche di sorta.

La difesa dell'imputato deduce quattro censure, così riassunte. Con la prima e con la seconda censura lamenta vizi motivazionali nonchè di violazione di legge per avere la Corte d'appello omesso di pronunziarsi in punto alla mancata declaratoria di prevalenza delle attenuanti generiche sulla contestata aggravante e per avere quindi implicitamente confermato il giudizio di equivalenza, formulato dal Giudice di prime cure,richiamando per relationem l'apparato argomentativo della sentenza di primo grado che sul punto, al pari che in ordine all'applicazione dell'art. 133 cod. pen., risultava del tutto priva di motivazione.

Con il terzo motivo censura il ricorrente la sentenza impugnata per vizio di violazione di legge e per vizio della motivazione in punto alla ritenuta ricorrenza del nesso di causalità. Era invero imprevedibile per il C. B. F. (al quale la ditta Maiolo e Vacca aveva commissionato la realizzazione del cancello scorrevole in metallo) sia che la ditta G., datrice di lavoro della vittima utilizzasse il cancello senza metterlo in sicurezza, risultandone l'impiego pericoloso in quanto privo dei fermi in cemento, come comunicato dal C. B. F. agli originari committenti sia che il responsabile per la sicurezza P. consentisse l'accesso al cantiere anche attraverso detto manufatto, benchè incompleto, oltrechè attraverso quello in legno previsto nel piano di sicurezza.

Secondo il ricorrente pertanto, siffatti comportamenti omissivi dei G. e del P. avrebbero dovuto condurre la Corte distrettuale, all'esito di un apprezzamento conforme al disposto dell'art. 41 cod. pen., comma 2, ad escludere il nesso eziologico tra le omissioni ascritte al ricorrente stesso e l'evento. L'assunzione dell'obbligo di prevenire e di intervenire per evitare l'evento - cui era obbligato il P. - avrebbe prodotto l'effetto di interrompere il preteso nesso di causalità. Con il quarto motivo denunzia il ricorrente, sotto altro profilo, un ulteriore vizio motivazionale in punto al nesso di causalità. In termini contraddittori,la Corte distrettuale, da un lato ha affermato che una condotta successiva a quella del C. B. F., tenuta dagli imputati M. e V. era priva di rilevanza causale, attesa l'imprevedibilità della condotta del P. e dei G. (appaltatori); dall'altro ha invece attribuito efficacia causale alla condotta più remota del C. B. F. rispetto a quella dei committenti: M. e V., per esser l'evento previsto e prevedibile. Il P. articola tre motivi per violazione di legge e per vizio motivazionale, così sintetizzati.

Con i primi due (da trattarsi congiuntamente perchè concernenti il tema della responsabilità) censura il ricorrente l'erronea valutazione degli elementi di prova che avrebbe condotto la Corte d'appello a ritenere applicabile, nella concreta fattispecie, l'impianto precettivo dettato dal D.Lgs. n. 494 del 1996,in difetto del primo presupposto costituito dalla pluralità delle imprese operanti nel cantiere, in esso invero operando la sola ditta G. non essendo peraltro prevista in futuro la presenza di più imprese.

Al P. fu quindi conferito un incarico di fatto ineseguibile perchè durante tutto il tempo di svolgimento delle operazioni e delle attività autorizzate con apposita DIA, non vi era alcuno da coordinare. Secondo il difensore non appariva neppure configurabile una responsabilità del P. per aver egli omesso di svolgere sul cantiere un'alta sorveglianza posto che il cancello, fino alla chiusura del cantiere in data 30 luglio 2004, non aveva presentato difetti di funzionamento per aver operato in condizioni di sicurezza grazie ad un fermo di fine corsa realizzato in legno, tant'è vero che successivi accertamenti ebbero a dimostrare che la fuoriuscita dalle guide non fu dovuta all'inidoneità del fermo, ma all'assenza di esso. Poichè l'evento si era verificato dopo la data del 30 luglio 2004, allorchè il cantiere era chiuso ed inaccessibile a chicchessia (come dimostrato dal verbale redatto il 30 luglio 2004 dallo stesso P., già prodotto agli atti) illogicamente e contraddittoria mente la Corte distrettuale avrebbe confermato la condanna in primo grado del P. quando invece la responsabilità colposa dell'evento risaliva esclusivamente alla ditta G. che non avrebbe dovuto far accedere al cantiere un proprio dipendente senza adottare le cautele del caso a tutela della sua incolumità, se non previa autorizzazione dello stesso CSE P.. Con il terzo motivo eccepisce il ricorrente la estinzione per prescrizione del reato di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5, comma 1, lett. a), sopravvenuta anteriormente alla pronunzia in grado d'appello, invocando conseguentemente la rideterminazione della pena.

Diritto



I ricorsi sono infondati e devono quindi esser respinti (eccezion fatta per l'eccepita estinzione per prescrizione della contravvenzione sub A, ascritta al solo P.) con il conseguente onere del pagamento delle spese processuali ex art. 616 cod. proc. pen., da porsi a carico di: C.B.F., G. C. e G.M. nonchè con la condanna di tutti i ricorrenti in solido, alla rifusione, in favore delle costituite parti civili, delle spese del presente giudizio, come in dispositivo liquidate.

Imputati G.C. e G.M..

Le prime due censure dedotte sono inammissibili. I ricorrenti, attraverso la deduzione di vizi motivazionali e di violazione di legge meramente apparenti intendono in realtà indurre questa Corte ad una non consentita "rivisitazione" dell'apprezzamento delle risultanze di fatto, condiviso dai Giudici di merito circa la ricostruzione della dinamica dell'infortunio occorso al C..

Trattasi di tipica questione di fatto esclusivamente rimessa alla fase del giudizio di merito ed ovviamente insindacabile in questa sede, ove congruamente motivata, come nella fattispecie, in coerenza con le risultanze. La Corte d'appello ho logicamente spiegato che l'operaio, per accedere all'interno del cantiere con "un grosso autocarro con lungo rimorchio (visibile nella foto n. 12 in atti)" si era visto costretto ad aprire l'intero varco di accesso dovendo far compiere all'autocarro con rimorchio una manovra di accesso non rettilinea, ma obliqua,eseguendo una curva. Priva di significativa rilevanza appare, in relazione alla posizione degli imputati, la circostanza che il ribaltamento del pesante cancello si sia prodotto verso l'interno del cantiere (a causa della fuoriuscita dello stesso dalle guide di scorrimento inferiori e superiori, in mancanza del fermo di fine corsa) investendo inopinatamente l'operaio che, aperto un piccolo varco, ebbe poi a sospingere il cancello "da qualche metro più avanti".

Infondato è altresì il terzo motivo. Ineccepibilmente la Corte distrettuale,ricostruito l'accaduto nei termini testè riferiti, ha escluso ricorresse l'assoluta necessità di far luogo alla richiesta di parziale rinnovazione del dibattimento, già disponendo essa di tutti gli elementi indispensabili per giungere alla decisione, apparendo peraltro intuitivamente comprensibile che il pesante cancello fosse stato rimosso ancor prima dell'arrivo dell'ambulanza, nel tentativo di apprestare i primi soccorsi.

Circa la quarta ed ultima censura dedotta, osserva il Collegio che i Giudici di seconda istanza hanno correttamente applicato la normativa in tema di responsabilità colposa conseguente ai delitti commissivi mediante omissione. Le plurime omissioni colpose risalenti ad entrambi gli imputati (in veste di datori di lavori del C.), loro specificamente contestate nel capo di imputazione in premessa riportato attengono in particolare alla mancata informazione dello stato di pericolosità insito nel funzionamento del pesante cancello scorrevole, a cagione dell'incompleta ultimazione: circostanza non oggetto di aggiornamento del POS; alla mancata formazione del dipendente circa le modalità di apertura dello stesso in presenza di rischi per la propria incolumità in ragione del rilevante peso dello stesso e dunque in via generale alla violazione di quanto prescritto dall'art. 2087 cod. civ.. Era invero del tutto prevedibile, come sottolineato dalla Corte distrettuale, che il C. dovesse procedere ad aprire per intero il cancello (peraltro privo di cartelli che ne indicassero la pericolosità) onde far accedere all'interno del cantiere, per via obliqua, il lungo autocarro con rimorchio sul quale trasportare l'escavatore da prelevare, essendo il dipendente del tutto all'oscuro dell'incompleta realizzazione del manufatto. Ne discende che nessun rilievo scriminante della colpa può conseguire dal fatto che mai in precedenza si erano verificati incidenti di sorta nell'impiego del cancello. Nè la condotta della vittima - per aver aperto per l'intero varco in cancello al fine di poter accedere con autocarro e rimorchio nel cantiere - ha avuto l'effetto di interrompere il nesso eziologico tra le omissioni ascritte di datori di lavoro e l'evento (indiscutibilmente evitabile in presenza delle plurime condotte positive imposte agli imputati e dagli stessi omesse) non rivestendo essa assolutamente fatto abnorme ed imprevedibile, rientrando nelle mansioni demandate all'operaio, a queste ontologicamente connessa.

Imputato C.B.F..

I primi due primi motivi dedotti risultano inaccoglibili. La "conferma integrale della sentenza appellata " (cfr. fg. 15 della sentenza impugnata) conduce necessariamente ed implicitamente all'integrale richiamo per relationem della motivazione di quella di primo grado anche in punto alla determinazione del trattamento sanzionatorio ed al giudizio di bilanciamento effettuato dal Tribunale ex art. 69 cod. pen. (cfr. fg. 28 sentenza di primo grado), di guisa che il riconoscimento delle attenuanti generiche al C. B. F. in termini di equivalenza all'aggravante contestata appare implicitamente ed esaustivamente giustificata dal rilevante grado della colpa per avere egli,quale installatore del cancello, contribuito "in modo determinante a creare la situazione di pericolo durata più giorni" e poi sfociata nell'infortunio mortale. Ex art. 133 cod. pen., sulla base alle medesime ed ineccepibili considerazioni, i Giudici di merito si sono poi indotti a determinare per lo stesso imputato, quale pena congrua e proporzionata, quella in UN anno e mesi SEI di reclusione: misura pari a quella stabilita per G.C., ma superiore a quella irrogata agli altri imputati. Le censure sub 3 suo 4 (da trattarsi congiuntamente concernendo il medesimo tema del nesso di causalità e della corresponsabilità del ricorrente a titolo di colpa) appaiono anch'esse infondate. La Corte distrettuale ha invero condiviso l'acclarata ricostruzione della dinamica dell'incidente, dovuto alla caduta del cancello dalla parte interna del cantiere a causa del montaggio incompleto risalente al C. B. F.; ciò non solo per l'omessa costruzione dei plinti in cemento che avrebbero dovuto fungere da ineliminabili fermi. Peraltro la consapevolezza dell'imputato della intrinseca pericolosità dell'utilizzazione del cancello (tanto da averne informato i committenti M. e V.) benchè non completato, previa apposizione di un fermo in legno (come riferito dal teste M., dipendente dell'impresa G.) vale pacificamente a comprovare la sussistenza dell'addebito colposo contestatogli,in termini di generica imprudenza e negligenza oltrechè di specifica violazione di prescrizioni antinfortunistiche,come riportate nel capo di imputazione, ferme ed incontestabili quindi sia l'implicita prevedibilità delle conseguenze pericolose che ne sarebbero potute derivare a chi avesse usato detto cancello sia l'evitabilità dell'evento ove fosse stata posta in essere la condotta attiva omessa,specificamente finalizzata ad impedirne l'apertura fino al completamento del manufatto a regola d'arte mediante la realizzazione non solo delle opere in cemento, ma anche dell'istallazione dei supporti di scorrimento e del serraggio dei bulloni pertinenti al numerosi rulli di scorrimento, cui accenna la sentenza di primo grado. Nè pare possa farsi questione della sussistenza, nei termini contestati, del nesso di causalità - ex post evidenziato - tra l'omessa adozione della condotta positiva imposta dalla posizione di garanzia rivestita dall'installatore (a tutela dell'incolumità non solo dei dipendenti della ditta appaltatrice, ma di chicchessia si fosse trovato ad utilizzare il cancello) avente fonte sia nel contratto d'appalto finalizzato alla realizzazione del manufatto sia nella incompleta attività di installazione dello stesso, a sua volte fonte di pericolo.

Nè pare al Collegio che la Corte d'appello, nel confermare la penale responsabilità del C. B. F., sia incorsa nel lamentato vizio di contraddittorietà della motivazione in punto all'esclusione della rilevanza causale della condotta degli imputati M. e V., "successiva a quella del C. B. F." sul rilievo che tale condotta avrebbe interrotto il nesso di causalità, riducendo il comportamento anteriore del C. B. F. a mera occasione dell'evento. Emerge invero dall'apparato argomentativo della sentenza impugnata (cfr. fgl. 8 e segg.) che si è ritenuto "meritevole di approvazione " l'apprezzamento delle specifiche risultanze che aveva indotto il Tribunale ad assolvere gli imputati M. e V., quali committenti, per difetto di prova della sussistenza dei profili di colpa specifica e generica loro contestati (cfr. fgl. 19 della sentenza di primo grado) di guisa che la doglianza appare infondata non avendo la Corte d'appello (al pari del Giudice di prime cure) neppure posto in dubbio l'efficienza causale della condotta dei predetti imputati, mandati assolti invece per difetto di prova certa della colpa.

Imputato P.P..

Infondate vanno giudicate le prime due censure in punto responsabilità. Dalia motivazione della sentenza impugnata (cfr. fgl.14) si evince,innanzitutto, quale dato di fatto oggetto di specifico apprezzamento, (evidentemente non diversamente "rivisitarle" in questa sede) che "più imprese appaltataci operavano sul cantiere M. e V." e che "una molteplicità di imprese "risultavano" incaricate "di operare nell'area della committente società Maiolo e Vacca. Lo stesso ricorrente - evidentemente contraddicendosi - ammette peraltro in ricorso (cfr. fgl. 6) che "la presenza di più operatori" nel cantiere risultava prevista e necessaria, "per tabulas", nella nuova fase di interventi che avrebbero interessato l'area de qua nell'autunno ai fini della "posa del prefabbricato" una volta ottenuto il permesso a costruire. Da ciò quindi la sussistenza della ragion d'essere della presenza del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione (CSE): ruolo che il P. era tenuto a svolgere per la durata di tutti lavori di ampliamento del capannone con annessa tettoia, con gli obblighi previsti dal D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 2, lett. f) e art. 5, comma 1, a nulla rilevando (come ritenuto dal Tribunale nella sentenza di primo grado - fgl. 23) che egli avesse disposto la sospensione dei lavori per la mancanza del permesso a costruire tant'è vero che in data 30 luglio 2004 ebbe ad effettuare altro sopralluogo sul cantiere. Deve quindi affermarsi che i Giudici di merito, ad onta delle infondate obiezioni dedotte, hanno ineccepibilmente evidenziato, in coerenza con le risultanze istruttorie, che allo stesso debbano farsi risalire i profili contestati di colpa generica e specifica attesochè l'imputato, in violazione in particolare della posizione di garanzia di cui era investito quale coordinatore per l'esecuzione dei lavori, ha cooperato con gli altri imputati alla determinazione dell'evento. Invero rileva il Collegio che non poteva mettersi in dubbio che il P. (per effetto dei precisi obblighi assunti con la nomina a CSE) non fosse perfettamente a conoscenza (anche prima della data di sospensione dei lavori, come dimostrato dai verbali dei numerosi sopralluoghi da lui stesso redatti previo accesso al cantiere) dello stato di intrinseca pericolosità e di precaria stabilità del cancello,comunque utilizzato per l'accesso al cantiere benchè privo del fermo di fine corsa. Ciononostante, come contestato al capo A della imputazione e come peraltro dimostrato documentalmente (cfr. sentenza di primo grado fgl. 24), nel Piano di sicurezza in fase di progettazione neppure si accennava al cancello scorrevole in acciaio (causa del mortale infortunio) attraverso il quale ordinariamente si accedeva al cantiere. Nè risultavano integrazioni di detto piano di sicurezza di guisa che - del tutto pacificamente -deve concludersi che il rischio per l'incolumità dei lavoratori dei terzi, derivante delle descritte condizioni del cancello, non era stato minimamente valutato e che pertanto l'evento - del tutto prevedibile visto che l'impresa G. comunque disponeva delle chiavi di accesso al cantiere e, quale appaltatrice, aveva del tutto legittimamente incaricato il dipendente di recarsi a prelevare un escavatore - si sarebbe potuto evitare ove il P. avesse adempiuto ai suoi obblighi. Deve invece trovare accoglimento il terzo motivo di ricorso. La contravvenzione ascritta al P. sub A D.Lgs. 14 agosto 1996 n. 494, ex art. 5, lett. a), art. 21, comma 2, lett. a) accertata in (Omissis) (punita con pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda) risulta ormai estinta per maturata prescrizione, venuto a definitivo compimento in data 11 febbraio 2009, il termine massimo di anni quattro e mesi sei (come previsto dalla previgente e più favorevole normativa dettata dall'art. 157, comma 1 n. 5 e comma 2, art. 160 cod. pen., comma 3). Ne consegue, ex art. 620 cod. proc. pen., lett. l) che deve procedersi all'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti del P., sul punto ed alla conseguente eliminazione della pena di Euro 2.000,00 di ammenda già irrogata allo stesso imputato, con doppia statuizione conforme di merito.

Il ricorso va rigettato nel resto seguono le pronunzie a favore delle parti civili come da dispositivo.

P.Q.M.



Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di P.P., limitatamente alla contravvenzione di cui al capo A (art. 5, comma 1, lett. a) e art. 21 D.Lgs. n. 494 del 1996), perchè il reato è estinto per prescrizione.

Rigetta il ricorso del P., nel resto eliminando la pena di Euro 2000,00 di ammenda.

Rigetta gli altri ricorsi e condanna i ricorrenti C.B. F. G.C. e G.M. al pagamento delle spese processuali.

Condanna tutti i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese in favore della parti civili che liquida in complessivi Euro 1.350,00 oltre accessori come per legge.