Responsabilità del direttore di una scuola elementare, di un preside della scuola media e di un sindaco per il delitto di lesioni personali colpose in danno di un alunno di scuola elementare feritosi mentre tentava di spostare una porta di pallamano verso il fondo della palestra durante una lezione di educazione fisica: i primi due, quali dirigenti scolastici, non adottarono infatti misure tecniche ed organizzative dirette ad evitare la presenza di porte di pallamano non ancorate al suolo e non impedirono che tale attrezzo fosse utilizzato in condizioni non adatte.
Il terzo per non aver formulato il parere obbligatorio in ordine alla sicurezza dei locali dopo le modifiche apportare nel 1997 a tre pareti della palestra che avevano comportato il distacco delle porte dal terreno - Sussiste.


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANCINI Franco - Presidente -
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere -
Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere -
Dott. SARNO Giulio - Consigliere -
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) S.V., N. IL (OMISSIS);
2) G.D., N. IL (OMISSIS);
3) Z.A., N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 30/06/2006 CORTE APPELLO di TRENTO;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. IANNIELLO ANTONIO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Consolo Santi che ha concluso per l'annullamento limitatamente al diniego della non mensione a S. e con cessione del beneficio.
Rigetto nel resto.
Uditi i difensori Avv. Scodanibbio Paolo sost. proc., avv. Rupisi Francesco, sost. proc., avv. (Ndr: testo originale non comprensibile) Ludovico sost. proc..




Fatto

Il 10 aprile 2000 intorno alle ore 14.30, all'interno della palestra della scuola media "(OMISSIS)" del Comune di (OMISSIS), durante una lezione di educazione motoria alla quale erano interessati gli alunni della quinta classe della scuola elementare, il piccolo B.A. era rimasto ferito mentre spostava con due compagni una porta di pallamano verso il fondo della palestra dove si trovava l'insegnante.
Nel compiere tale operazione, la porta si era rovesciata e aveva colpito alla testa il bambino che aveva riportato lesioni della durata superiore a quaranta giorni, con postumi permanenti consistenti in ipoacusia e cefalee periodiche.
Dagli accertamenti svolti dai carabinieri, era emerso che originariamente la porta era impiantata al pavimento con appositi bulloni filettati, da tempo rimossi, tanto che era invalsa l'abitudine di spostare l'attrezzo da un punto all'altro della palestra secondo le necessità dei vari utilizzatori, che erano non solo gli alunni delle elementari, ma anche quelli delle scuole medie e varie associazioni sportive che frequentavano la palestra. La rimozione delle porte dai punti fissi di ancoraggio era avvenuta nel 1997, in occasione dell'allestimento nella palestra di tre nuove pareti in roccia artificiale, senza che, secondo l'accusa, l'ente proprietario (il Comune) avesse fornito l'obbligatorio parere circa l'adeguatezza dei locali scolastici dopo le modifiche apportate.
Era stata quindi promossa azione penale (per il reato di cui all'art. 590 c.p., comma 3, per inosservanza di norme antinfortunistiche, in particolare, dell'art. 2087 c.c. e del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35, comma 2) nei confronti del direttore della scuola elementare S.V. e del preside della scuola media di Spiazzo G.D. perchè, quali dirigenti scolastici, non avevano adottato misure tecniche ed organizzative dirette ad evitare la presenza di porte di pallamano non ancorate al suolo all'interno della palestra durante le lezioni di educazione motoria e per non aver impedito che tale attrezzo potesse essere utilizzato per operazioni o in condizioni non adatte, così creando i presupposti per il verificarsi dell'incidente occorso al B..
Anche il sindaco del Comune di Spiazzo al tempo dei fatti, Z. A., era stato imputato del reato di cui agli artt. 590 c.p. in relazione al D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 2, comma 1, lett. b) e art. 35, comma 2, per non aver formulato il parere obbligatorio in ordine alla sicurezza dei locali dopo le modifiche strutturali apportate nel 1997, indicando le misure tecniche ed organizzative idonee a ridurre al minimo i rischi connessi con l'uso delle porte di pallamano - quali ad esempio la custodia dell'edificio per garantire che le attrezzature delle palestre venissero conservate adeguatamente senza pericolo per gli altri -, così creando i presupposti per il verificarsi dell'incidente.
Con sentenza del 2 maggio 2003, il Tribunale di Trento - sezione distaccata di Tione - aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati per difetto di querela, ritenendo insussistente l'ipotesi aggravata di cui all'art. 590 c.p., comma 3, comportante la procedibilità d'ufficio, in ragione della inapplicabilità agli alunni di una scuola delle norme antinfortunistiche dettate dalla legge a tutela del lavoro dipendente.
Su ricorso diretto per cassazione del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trento, questa Corte, con sentenza in data 10 novembre 2005, depositata il 31 marzo 2006, ha annullato con rinvio alla Corte d'appello di Trento la sentenza impugnata, affermando il principio secondo cui l'aggravante di cui all'art. 530 c.p., comma 3, è applicabile anche in assenza della qualità di dipendente nel soggetto colpito dall'evento dannoso, purchè sussista un legame causale tra la violazione delle norme antinfortunistiche e tale evento.
Conseguentemente, nel caso in esame, qualificando "luogo di lavoro" anche la palestra scolastica (ai fini del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 35, alla luce dell'art. 1, comma 2 del citato decreto legislativo - che estende l'ambito di applicazione della relativa disciplina anche agli "istituti di istruzione e di educazione di ogni ordine e grado") e "attrezzatura di lavoro" (come definita dall'art. 34 D.Lgs. citato) anche le porte di pallamano della scuola, questa Corte ha concluso nel senso che la fattispecie delittuosa contestata agli imputati è riconducibile all'art. 590 c.p., comma 3 e pertanto è perseguibile anche in assenza di querela.
Fermo restando il compito del giudice di rinvio "di verificare la concreta sussistenza, nei confronti di ciascun imputato, di responsabilità penali in ordine all'incidente patito dal B.".
Infine, con sentenza in data 30 giugno 2006 la Corte d'appello di Trento, giudicando in sede di rinvio da questa Corte, ha dichiarato gli imputati colpevoli dei reati loro contestati, condannandoli ciascuno alla multa di Euro 200,00 e concedendo solo a G. e a Z. il beneficio della non menzione.
Avverso tale sentenza propongono ora ricorso per Cassazione gli imputati, chiedendone l'annullamento.
In particolare, S.V. deduce:
1 - la violazione dell'art. 569 c.p.p., comma 4, con riferimento alla L. 20 febbraio 2006 n. 46, per avere questa Corte individuato il giudice di rinvio nella Corte d'appello anzichè nel Tribunale. Con l'applicazione della regola del rinvio alla Corte territoriale stabilita dall'art. 569 c.p.p., ult. comma, in caso di ricorso diretto per cassazione, si consentirebbe infatti al P.M. di istaurare un giudizio di appello su di una sentenza di proscioglimento che la L. n. 46 del 2006 ha escluso. Con la conseguente illegittimità costituzionale della norma processuale ora indicata, ove ritenuta applicabile anche al caso in esame;
2 - l'erronea applicazione della legge (D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35) per aver ritenuto responsabile l'imputato, che riveste la funzione di direttore della suola elementare, mentre la palestra è del Comune e la gestione della stessa è affidata alla scuola media.
In tali condizioni, l'imputato, privo di alcun potere di gestione e di spesa in ordine alla palestra, non avrebbe infatti potuto adottare alcuna concreta misura di cautela;
3 - il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del nesso di causalità tra l'omissione imputata al ricorrente e l'evento lesivo;
4 - la violazione di legge per aver ritenuto la sussistenza della sua responsabilità, in violazione degli artt. 42 c.p. e/o 43 c.p.;
5 - il vizio di motivazione in ordine alle questioni di legittimità costituzionale proposte;
6 - il vizio di motivazione per la mancata concessione dei benefici di legge nonostante egli fosse gravato unicamente da un lontanissimo precedente (del 1965) relativo ad una fattispecie contravvenzionali ormai depenalizzata (inosservanza limiti massimi di velocità).
G.D., a mezzo del proprio difensore, deduce a sua volta:
a - la violazione o l'erronea applicazione dell'art. 569 c.p.p., comma 4, art. 593 c.p.p. a seguito delle modifiche apportate al codice dalla L. 20 febbraio 2006. n. 46;
b - la violazione o l'erronea applicazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35, comma 2.
Il ricorrente rileva infatti di non essere il datore di lavoro dell'insegnate di ginnastica della scuola elementare, essendo il preside della scuola media e quindi di non essere tenuto all'osservanza delle norme antinfortunistiche nei confronti di tale insegnante;
c) il vizio di motivazione sulla qualificazione del ricorrente come datore di lavoro, nonostante egli non avesse i poteri in ordine alla fornitura, la manutenzione e la gestione della palestra, che spettavano al Comune;
d) la violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 5, che pone a carico del lavoratore il dovere di prendersi cura della sicurezza delle altre persone presenti sul luogo di lavoro;
e) la carenza di motivazione in ordine al nesso di causalità tra la sua condotta omissiva e l'evento, in quanto la sequenza causale sarebbe stata interrotta dall'imprevedibile comportamento dell'insegnante che aveva inopinatamente richiesto ai bambini a lui affidati di spostare la porta di pallamano.
f) la violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 48, del titolo 5 e all. 6^ e la carenza di motivazione nell'individuazione della colpa specifica ivi presa in considerazione;
g) la violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994 art. 4, comma 12 e il difetto di motivazione sul punto;
h) la violazione di legge e la carenza di motivazione in ordine all'esistenza dell'elemento soggettivo della colpa.
Infine Z.A. deduce, a mezzo del proprio difensore, a sostegno del ricorso:
A) l'erronea applicazione della legge in ordine all'affermazione di una posizione di garanzia del sindaco - in realtà inesistente - e rilevante ex art. 40 c.p., comma 2 e 1, lett. b), D.Lgs. n. 626 del 1994, e art. 35, comma 2.
Secondo i giudici, il Comune dopo i lavori delle pareti, avrebbe dovuto fornire il proprio parere obbligatorio sull'adeguatezza dei locali.
Obietta il ricorrente che si tratta (L. 11 gennaio 1996 n. 23, art. 3, comma 3) di parere da esprimere anteriormente all'allestimento e all'impianto di materiale didattico e scientifico e non dopo interventi di manutenzione di locali in cui era già istallato materiale didattico.
Inoltre l'art. 70 della Legge provinciale di Trento si limita a stabilire l'obbligo del Comune di acquisto, messa a disposizione, e manutenzione di arredi e attrezzature d'ufficio per le scuole e non anche per le palestre.
Ne conseguirebbe che l'omissione del parere non ha nulla a che fare con la causazione dell'incidente.
B - ancora l'erronea applicazione della legge e la carenza assoluta di motivazione per non aver considerato il fatto che l'affidamento del complesso scolastico alla scuola media, rendeva quest'ultima custode della struttura e quindi, ex art. 2051 c.c., responsabile del corretto utilizzo delle attrezzature (cita Cass. civ. 10 agosto 2004 n. 15429 e Cass. pen. 27 maggio 2003 n. 34620) e qui si tratterebbe appunto di improprio utilizzo dell'attrezzatura sportiva;
C - in via subordinata, l'erronea applicazione della legge (in particolare del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 107 e T.U. leggi regionali sull'ordinamento dei Comuni della Regione Trentino-Alto Adige approvato con D.P. Reg. 1 febbraio 2005 n. 3/L) e carenza di motivazione sul punto. Secondo il ricorrente, infatti, alla luce di tali disposizioni, anche qualora dovesse ritenersi sussistente in capo al Comune la posizione di garanzia indicata, essa graverebbe, comunque, non sul sindaco ma sul dirigente responsabile del servizio tecnico comunale.
D) l'erronea applicazione della legge in ordine alla ritenuta sussistenza del nesso di causalità tra l'omissione del parere di adeguatezza dei locali e la verificazione dell'infortunio.
Del resto, la stessa sentenza darebbe atto dell'assunzione di una autonoma posizione di garanzia da parte del preside della scuola media che si era attribuito i compiti di responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
Infine era stato il comportamento dell'insegnante di educazione fisica che, disattendendo il divieto assoluto del preside di utilizzare le porte e organizzando gli alunni in due gruppi, uno fuori e uno dentro della palestra, sarebbe stata la causa diretta imprevedibile di per sè sufficiente a determinare l'evento.
All'udienza del 10 luglio 2007, le parti presenti hanno concluso come in epigrafe indicato.




Diritto

1 - Devono ritenersi comunque infondati i motivi di cui ai nn. 1) e 5) del ricorso S. e alla lett. a) del ricorso G..
A parte ogni altra considerazione (la censura appare rivolta contro una pronuncia operata dalla Corte territoriale in esecuzione del rinvio ad essa disposto da questa Corte), la questione appare ormai superata dall'intervenuta sentenza in data 6 febbraio 2007 n. 26, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 1, nella parte in cui, sostituendo l'art. 593 c.p.p., aveva escluso il potere del Pubblico Ministero di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall'art. 603 c.p.p., comma 2, nonchè della citata L. n. 46 del 2006, art. 10, comma 2, nella parte in cui aveva previsto che l'appello proposto dal P.M. contro una sentenza di proscioglimento prima dell'entrata in vigore della medesima legge dovesse essere dichiarato inammissibile.
Considerato infatti che a norma della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 30, comma 3 "le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione", con salvezza delle sole situazioni giuridiche già esaurite e ritenuto che nel caso in esame non può ritenersi esaurita, con il ricorso del P.M., la fase della impugnazione avverso la sentenza citata del Tribunale di Trento, stante l'unitarietà della fase che ha inizio con la proposizione del gravame e che si esaurisce con la decisione di esso, eventualmente in sede di rinvio, le censure in parola non hanno comunque più ragion d'essere.
2 - Anche i motivi di cui al n. 2) del ricorso S. e b) e c) del ricorso G. sono infondati.
Sia al primo ricorrente, quale datore di lavoro dell'insegnante di ginnastica che utilizzava la palestra della scuola media per le lezioni di educazione motoria degli alunni della scuola elementare, che al secondo, quale datore di lavoro degli insegnanti, inservienti etc. della scuola media frequentanti la palestra, la sentenza muove infatti il rimprovero di non avere operato in modo da impedire che le attrezzature della palestra potessero essere utilizzate in situazioni di non sicurezza.
Rimprovero concernente un comportamento che prescinde dalla titolarità dell'effettivo potere di gestione della palestra e di disposizione delle relative attrezzature, con i correlati oneri finanziari, in quanto estrinsecabile per ambedue gli imputati nel divieto di usare quella palestra o nella disposizione di usarla a determinate condizioni (ad es. con le porte accantonate anche in luoghi sicuri) e per il preside della scuola media anche in dirette disposizioni per la conservazione in sicurezza delle porte e per l'utilizzazione degli inservienti per l'eventuale loro spostamento.
Il comportamento omesso è stato correttamente ritenuto dalla Corte territoriale come dovuto dai ricorrenti nei confronti dei dipendenti delle rispettive scuole che frequentavano la palestra, alla stregua del D.Lgs. 19 settembre 1994 n. 626, art. 35, comma 2 e più in generale dell'art. 2087 cod. civ..
La prima norma infatti prescrive che "il datore di lavoro attua tutte le misure tecniche ed organizzative adeguate per ridurre al minimo i rischi connessi all'uso delle attrezzature di lavoro da parte dei lavoratori e per impedire che dette attrezzature possano essere utilizzate per operazioni e secondo condizioni per le quali non sono adatte.
Con la seconda norma viene stabilito, più in generale, che "l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del prestatore".
Alla stregua di tali disposizioni, essendo pacifico che al direttore didattico è attribuita la qualità di datore di lavoro anche nei confronti dell'insegnate di ginnastica della scuola e al preside della scuola media la medesima qualifica nei confronti del personale della scuola che frequenta la palestra e non essendo più contestabile la qualificazione di quest'ultima come "luogo di lavoro" e delle porte di pallamano come "attrezzature di lavoro", il comportamento dovuto per legge era pertanto rappresentato, congiuntamente o alternativamente per i due imputati, quantomeno dalla emissione del divieto di uso della palestra nelle condizioni esistenti o nell'adozione di misure di propria pertinenza e disponibilità per eliminare il pericolo rappresentato dalla sopravvenuta mobilità delle porte di pallamano (la sentenza impugnata fa al riguardo riferimento esemplificativo alla possibile individuazione di uno o più addetti competenti alla relativa movimentazione, alla segregazione delle porte, al ripristino di un sistema di ancoraggio fisso delle stesse etc).
Si tratta inoltre di un comportamento la cui omissione è stata correttamente valutata, nell'ambito di un giudizio controfattuale, uno degli antecedenti necessari dell'evento dannoso prodottosi ai danni del bambino B., quindi legato a quest'ultimo da rapporto logico-giuridico di causalità, valutato in concreto dai giudici sulla base di un sapere scientifico che, in quanto sostanzialmente comune, non necessitava nel caso in esame di ulteriori dimostrazioni o spiegazioni (sull'argomento, cfr., in una più ampia prospettiva, Cass. S.U. 11 settembre 2002 n. 30328).
Ne consegue che oltre a quelli indicati anche il terzo motivo del primo ricorso non ha fondamento concreto.
3 - Per quanto riguarda la posizione del Sindaco Z., la Corte territoriale ha sostanzialmente ritenuto che il Comune e per esso il suo sindaco pro tempore avesse omesso di adottare cautele a lui imposte dalla legge per evitare il tipo di evento poi prodottosi.
Ed invero, secondo la L. 11 gennaio 1996, n. 23, art. 3, commi 1 e 2, il Comune è tenuto alla fornitura e alla manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici da destinare a sede di scuole elementari nonchè alle relative spese di arredamento.
Inoltre, secondo il comma 3 dell'art. 3 cit., "per l'allestimento e l'impianto di materiale didattico e scientifico che implichi il rispetto delle norme sulla sicurezza e sull'adeguamento degli impianti, l'ente locale competente è tenuto a dare alle scuole parere obbligatorio preventivo sull'adeguatezza dei locali ovvero ad assumere formale impegno ad adeguare tali locali contestualmente all'impianto delle attrezzature".
Alla luce di tale normativa, i giudici di merito hanno accertato che l'omissione del parere dovuto da parte del sindaco in sede di rifacimento di tre pareti della palestra, lavori che avevano comportato il distacco delle porte di pallamano, di tal che l'intera operazione era avvenuta al di fuori del "doveroso controllo e provvedimento adeguativo dell'autorità competente, che, se fosse intervenuto e avesse preso atto della necessità di disancorare le porte rendendole mobili o avrebbe dovuto opporsi alla istallazione delle pareti o avrebbe dovuto assumere stabili misure di sicurezza per evitare i prevedibili pericoli (come il ricovero delle porte in spazi adeguati ed il loro spostamento solo a cura di personale addetto), queste ultime possibili anche in seguito..".
A giudizio della Corte territoriale tale doverosa attività avrebbe sicuramente impedito il verificarsi dell'evento, ponendosi pertanto l'omissione della stessa come condizione necessaria dell'evento.
Il ricorrente ritiene che il parere richiesto dalla norma di legge citata attenga unicamente alla idoneità dei locali prima della istallazione negli stessi delle attrezzature ad opera di coloro che gestiscono tali locali.
Ma il formulare un parere sull'adeguatezza dei locali ai fini dell'allestimento e l'impianto di materiale didattico e scientifico che implichi il rispetto delle norme sulla sicurezza e sull'adeguamento degli impianti non può prescindere dalla conoscenza delle caratteristiche del materiale da allestire e impiantare e quindi estendersi alla adeguatezza dei locali in rapporto a tali caratteristiche, in particolare quanto al rispetto delle norme sulla sicurezza.
Tanto ciè è vero che ove i locali dovessero risultare non idonei, sul piano della sicurezza, rispetto all'impianto di determinate attrezzature il comune è tenuto, secondo la norma citata, ad assumere formale impegno ad adeguare i locali alle esigenze di sicurezza connesse all'impianto delle attrezzature.
La doverosità di tali comportamenti assume poi una particolare evidenza ove si tratti non del primo impianto ma di un reimpianto a seguito di una modifica strutturale dei locali ad opera del Comune, poichè in tal caso (che corrisponde a quello in esame) il Comune è a perfetta conoscenza delle concrete necessità strutturali connesse all'allestimento di quelle specifiche attrezzature, potendo così nel parere e poi successivamente, quale titolare comunque dei locali, degli attrezzi e tenuto alla manutenzione sia degli uni che degli altri, porre in essere le cautele necessarie ad evitare i rischi alla sicurezza nel senso indicato nella sentenza impugnata.
Quanto alla sussistenza di un nesso di causalità tra l'omissione così accertata e l'evento naturalistico prodottosi a danno di B.A. valgono poi le considerazioni già svolte con riguardo agli altri due imputati.
La posizione delle rispettive condizioni dell'evento assume autonomo rilievo sul piano della conseguente produzione dello stesso.
Un tale nesso di causalità non può essere poi escluso in ragione del fatto che l'edificio era stata affidato in comodato alla scuola media, con conseguente obbligo di custodia in capo a quest'ultima, con le conseguenze di cui all'art. 2051 cod. civ. quanto alla responsabilità in ordine al corretto utilizzo delle attrezzature.
Il fatto di non aver fatto corretto uso delle attrezzature non esclude infatti dalla sequenza causale il fatto, che viceversa con esso concorre, di avere operato modifiche strutturali senza adottare le misure di cautela che, prevenendo il rischio di infortuni, avrebbero inciso anche sulla possibilità di un non corretto uso delle attrezzature.
Appaiono pertanto infondati i motivi sub A), B) e la prima e la seconda parte sub D) del ricorso di Z.A..
4 - Il ricorrente G. col motivo sub e) nonchè il sindaco Z. con l'ultima parte del motivo sub D) deducono peraltro che il nesso di causalità sarebbe stato interrotto dal comportamento imprevedibile dell'insegnante di ginnastica, che aveva chiesto ai piccoli alunni di spostare le porte di pallamano, ponendo così in essere un comportamento sopravvenuto da solo sufficiente a provocare l'evento, rilevante ai sensi dell'art. 41 c.p., comma 2.
L'assunto è sostenuto con la deduzione da parte dello Z. della esistenza di una disposizione del preside G., di divieto assoluto di utilizzare le porte di pallamano e con quella, comune ai due imputati, secondo cui il comportamento dell'insegnante sarebbe stato altamente imprudente e imprevedibile.
Sotto un diverso profilo il ricorrente G. deduce, col motivo sub d) che il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 5, pone a carico dello stesso lavoratore il dovere di prendersi cura delle altre persone presenti sul luogo di lavoro.
In proposito i giudici di merito non hanno creduto alla esistenza di un divieto assoluto di movimentazione delle porte da parte del preside, sia perchè il teste citato dal Sindaco Z. (ma non dal Preside G.) aveva riferito di un divieto assoluto del Preside di utilizzare le porte e non di movimentarle (che non è necessariamente compreso nel precedente divieto), sia perchè era risultato pacifico agli atti, come già rilevato nella parte narrativa, che da tempo era invalsa l'abitudine, evidentemente nota e non adeguatamente contrastata, di spostare l'attrezzo in questione secondo le necessità dei vari utilizzatori della palestra.
Quanto poi al fatto riferibile all'insegnante dell'alunno infortunato, evidentemente i giudici di merito non hanno ritenuto di aderire alle teorie dell'imprevedibilità o dell'eccezionalità del fatto successivo al fine di restringere l'ambito della causalità necessaria, interpretando la norma relativa al fatto da solo sufficiente a determinare l'evento (art. 41 c.p., comma 2) come riferita esclusivamente all'accadimento che non costituisca il logico sviluppo delle condizioni precedenti, ma si ponga come assolutamente autonomo nella produzione dell'evento (l'esempio classico è quello della vittima di un tentativo di omicidio che, ricoverato in ospedale, muore a causa di un incendio, mentre non interromperebbe il nesso causale l'errore medico nella successiva cura del ferito).
In ogni caso, anche a voler aderire alle teorie dell'imprevedibilità o dell'eccezionalità (o dell'abnormità o inopinabilità, come si esprime il ricorrente G.), siffatte ipotesi non appaiono ricorrere nel caso di specie alla stregua del contesto dei rischi accertato e descritto nella sentenza, essendosi viceversa valutato il comportamento imprudente dell'insegnante come prevedibile, quantomeno in ragione del fatto che era comune a molti utilizzatori della palestra, quindi sicuramente noto e pertanto e comunque) concorrente con quello degli imputati nella produzione dell'evento dannoso.
5 - Sulla base di quanto argomentato relativamente al contenuto degli obblighi gravanti sui due imputati di cui al precedente n. 2), risulta altresì non fondato il quarto motivo del ricorso S. nonchè l'ottavo del ricorso G., non apparendo rilevanti, al fine di escludere la responsabilità per colpa degli imputati, il fatto che l'immobile in cui è situata la palestra e la relativa attrezzatura fossero di proprietà del Comune - tenuto anche alla istallazione di quest'ultime e alla manutenzione del complesso -, che la gestione della palestra fosse affidata alla scuola media, che l'utilizzo del locale da parte della scuola elementare fosse temporaneo e, infine, che la palestra fosse utilizzata, su autorizzazione del Preside della scuola media, anche da associazioni esterne.
Il G. deduce peraltro col motivo sub f) la carenza di motivazione della sentenza in ordine alla individuazione nel caso in esame del rapporto istituito dalla normativa citata (D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 48 e titolo 5) tra l'attività di movimentazione manuale del carichi e i rischi specifici che tale normativa è diretta a prevenire, tutti non verificatisi nel caso considerato.
Anche questa obiezione è infondata, la normativa diretta a prevenire rischi specifici non escludendo l'operatività di norme di tutela da altri rischi derivanti dalle medesime attività, alla stregua di altre norme di più ampio contenuto, quali quelle indicate nel capo di imputazione.
6 - Il ricorrente G. richiama, nel settimo motivo, la disciplina di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 12, alla stregua del quale "gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari ad assicurare, ai sensi del presente decreto, la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso alle P.A. o a pubblici uffici, ivi comprese le istituzioni scolastiche o educative, restano a carico dell'amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura e manutenzione.
In tal caso gli obblighi previsti dal presente decreto, relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti, da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all'amministrazione competente o al soggetto che ne ha l'obbligo giuridico".
Il ricorrente deduce al riguardo che dall'istruttoria era emerso che del mancato ancoraggio delle porte di pallamano al pavimento della palestra era stata fatta segnalazione verbale al Comune responsabile della manutenzione dello stabile e che ciononostante la Corte territoriale non aveva tenuto conto di tale comportamento rispondente alla legge.
In proposito si rileva che la Corte ha tenuto viceversa conto di tale deduzione non ritenendola sufficiente ad escludere la responsabilità dell'imputato in ragione del carattere informale e interlocutorio della segnalazione indicata.
In ogni caso, trattasi di deduzione irrilevante, ove si tenga conto del comportamento rimproverato all'imputato e da lui esigibile, a prescindere dai possibili successivi interventi di manutenzione da parte del Comune, in particolare quanto alla interdizione dell'uso della palestra nelle condizioni indicate o nell'emanazione di un esplicito formale divieto di movimentazione delle porte rivolto agli utilizzatori della palestra o di disposizioni volte ad assicurare la movimentazione controllata delle stesse, come indicato nella sentenza impugnata.
7 - Con riferimento al motivo subordinato di cui alla lett. C) del ricorso Z., si rileva che le leggi citate sono ambedue successive all'epoca dei fatti. Esse comunque, pur affermando in linea di principio la fondamentale distinzione tra poteri di indirizzo politico-amministrativo, attribuiti al Sindaco e all'organo politico in genere e poteri di gestione, anche con efficacia esterna, attribuibili ai dirigenti del Comune, rinviano ad atti di normazione ulteriore (statuti e regolamenti) la specificazione del contenuto e dei limiti di tali ultime attribuzioni.
In mancanza di una tale specificazione, non può non valere il principio generale secondo il quale per escludere la responsabilità dell'organo in cui si concentrano i poteri della persona giuridica, pubblica o privata, è necessaria una delega in forma espressa di funzioni in favore di funzionari e dirigenti, che garantisca al delegato autonomia anche finanziaria nella gestione (Cass. 26 maggio 2003 n. 22931; v. inoltre, Cass. 7 ottobre 2004 n. 39268, che nel settore pubblico ritiene necessaria la forma scritta della delega), fermo comunque il potere di controllo, con le connesse responsabilità, da parte dell'organo delegante (cfr. Cass. 1 luglio 2004 n. 28674).
Alla luce di tali regole, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto irrilevante la mera produzione da parte del ricorrente della pianta organica del Comune, dalla quale non è dato rilevare il livello di autonomia dei singoli dirigenti e funzionari.
Anche tale motivo appare pertanto fondato.
8 - Infine, appare viceversa parzialmente fondato l'ultimo subordinato motivo del ricorso S., col quale questi lamenta la mancata concessione dei benefici di legge.
La censura è inammissibile quanto alla sospensione condizionale della pena, della quale non è stato dedotto che sia stata richiesta in appello.
Quanto al beneficio della non menzione, si comprende dalla sentenza che viene riconosciuto agli altri due imputati e non al S., in quanto solo i primi due sono incensurati.
Risulta peraltro dagli atti che l'unico precedente penale relativo al S. risale al 1965 e si riferisce ad una violazione del codice della strada ormai depenalizzato (inosservanza dei limiti massimi di velocità).
Ne consegue che il mancato riconoscimento del beneficio non può trovare giustificazione in tale precedente.
E poichè emerge dagli atti che quest'ultimo costituisce l'unica ragione del mancato riconoscimento, in quanto la Corte non istituisce sul piano della gravità del fatto, della personalità degli imputati, delle prospettive di una loro possibile ricaduta nel reato etc, alcuna differenziazione significativa tra le relative posizioni, la sentenza impugnata può essere sul punto annullata senza rinvio, provvedendosi direttamente in questa sede, ai sensi dell'art. 620 c.p.p., lett. 1) all'attribuzione del beneficio.
Concludendo, alla luce delle considerazioni esposte la sentenza impugnata va annullata limitatamente al diniego a S.V. del beneficio della non menzione, che si concede. Nel resto i ricorsi vanni)respinti e i ricorrenti G. e Z. vanno condannati, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento, in solido delle spese processuali.



P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al diniego a S.V. del beneficio della non menzione, che concede. Rigetta nel resto i ricorsi e condanna in solido Z. A. e G.D. al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 10 luglio 2007.
Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2007