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Lo stress da lavoro correlato per gli operatori della sicurezza

di Balduino Simone


Il D.Lgs. 81/2008, accettando la definizione di salute come “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un'assenza di malattia o d'infermità” doveva necessariamente occuparsi, oltre che della tutela da malattie fisiche, del disagio che si genera sul lavoro e per il lavoro, quando esso non soddisfa le aspettative del lavoratore o quando si materializza in attività svolte in contesti di emergenza e di pressione psicologica particolarmente “stressante”. Il termine stress, nel linguaggio corrente, esprime proprio il significato di criticità o difficoltà particolarmente forti. È usato in tutti i campi per definire condizioni di criticità. Con tale significato è stato utilizzato per esprimere le condizioni delle banche, per le quali è stato introdotto lo stress test. È noto, infatti che la crisi economica, in cui versano molti Paesi, espone le banche a possibili deficit di liquidità e di sostenibilità del credito. Per misurare lo “stato di salute” delle banche è stato simulato uno scenario di forte richiesta di liquidità e di scarsità di approvvigionamenti. Questa metodologia è significativa di quanto sia importante conoscere quale sia il punto di criticità massima sopportabile, oltre il quale c’è il collasso del sistema o delle persone, sottoposti a stress.
Ma, quando si parla di numeri è semplice fissare il limite oltre il quale non si può andare. Per il lavoro è molto più complesso definire il limite oltre il quale si determinano effetti negativi o possibile collasso della persona. Non si può contare solo sul gradimento perché alcuni lavori bisogna farli e non sempre nella vita si può scegliere il meglio. La saggezza vuole che quando il meglio non è possibile ci si accontenta del meno peggio.

Non esiste un lavoro completamente slegato dallo stress. Spesse volte anche i lavori più appaganti diventano stressanti per l’eccessivo amore, sino a diventare motivo di particolare affaticamento fisico o mentale. Ecco perché una completa liberazione dallo stress è solo la morte.

Il problema dello stress, quindi, non è stato “inventato” dal D.Lgs. 81/2008, né è nato adesso, anche se esistono tematiche di sempre maggiore attualità, come:
- le attese riposte nel lavoro;
- le possibilità e la capacità di sentirsi protagonisti dei risultati.
Questi fattori assumono significati universali ed il mondo del lavoro è sempre più impegnato ad elaborare modelli organizzativi che li affrontano e li risolvono, mentre persistono, purtroppo, sacche di resistenza o di degrado organizzativo, che li trascurano o li generano.
Un modello positivo, che affronta lo stress sviluppa una organizzazione che non impone lavori alienanti, come quelli del protagonista del film del 1938 – Tempi Moderni –, in cui il grande Chaplin, con la geniale sensibilità che ha contraddistinto il suo cinema, denunciava gli effetti devastanti di certi lavori ripetitivi, in cui l’uomo non doveva fare nulla di diverso da quello imposto dalla macchina e seguirne i ritmi sempre più frenetici.
La prima condizione di un modello organizzativo del lavoro, che prevenga i rischi dello stress è quello sancito all’articolo 17 del D.Lgs. 81/2008 che così recita: “nell’affidare i compiti ai lavoratori, tenere conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza.”

Questo principio trova autorevolissimo precedente nella Regola Benedettina che, parlando della distribuzione del lavoro, afferma: “... tutto si faccia con discrezione, tenendo conto dei più deboli …” (Regola di S. Benedetto cap. 48°, 9).

E il grande abate de Vogüé, che ha dedicato alla Regola di S. Benedetto, un’opera monumentale per intensità di ricerca e dimostrazione dell’attualità degli insegnamenti, così mirabilmente sintetizza l’azione a cui deve ispirarsi costantemente chi è a capo di una comunità: “… il prendere in considerazione la diversità dei bisogni e delle debolezze ....”.
Lo stress da lavoro correlato trova le cause più frequenti proprio in quei modelli organizzati che non tengono, o non riescono a tener conto, delle capacità, delle debolezze, delle aspettative, dei sogni degli addetti.
Ma la cosa più grave è che questi fattori non diventano oggetto di attenzione perché molti capi non sono stati formati al doversene far carico. Questa lacuna può essere colmata dalla previsione normativa del D.Lgs. 81/2008, che, inserendo lo stress da lavoro correlato tra i fattori di rischio, obbliga ogni datore di lavoro ed ogni dirigente a rilevarne la presenza e a determinarne le misure per superarlo.

Normativa di riferimento:
- Articolo 28 - Oggetto della valutazione dei rischi
1. La valutazione di cui all’articolo 17, comma 1, lett. a) anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell'accordo europeo dell'8 ottobre 2004, e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all'età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro.
1-bis. La valutazione dello stress lavoro-correlato di cui al comma 1 è effettuata nel rispetto delle indicazioni di cui all’articolo 6, comma 8, lettera m-quater), e il relativo obbligo decorre dalla elaborazione delle predette indicazioni e comunque, anche in difetto di tale elaborazione, a fare data dal 1° agosto 2010.

- Articolo 6 - Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro:
1. Presso il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali è istituita la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro. La Commissione è composta da ... omissis ...
8. La Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro ha il compito di:
... omissis ...
m-quater) elaborare le indicazioni necessarie alla valutazione del rischio da stress lavoro-correlato.

Altri contributi normativi e culturali
- Secondo l’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro (European Agency for Safety and Health at Work)1: “lo stress lavoro correlato viene esperito nel momento in cui le richieste provenienti dall’ambiente lavorativo eccedono le capacità dell’individuo nel fronteggiare tali richieste”.
L'articolo 3 dell’Accordo Europeo dell’8 ottobre 2004 - così come recepito dall’Accordo Interconfederale del 9 giugno 2008 - definisce lo stress lavoro correlato come “condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o aspettative riposte in loro” (art. 3, comma 1).
Lo stress da lavoro, così come chiaramente indicato all’articolo 3 dell’Accordo Europeo è correlato a modelli di organizzazione, non idonei a realizzare una partecipazione gratificante dal punto di vista psico-fisico. Il lavoro vissuto come obbligo, come fastidio, come spiacevole intervallo della vita quotidiana, porta proprio a condizioni di stress, che producono gli effetti paventati. In proposito, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Funzione Pubblica, ha emanato una direttiva, molto chiara ed illuminante sulla necessità del miglioramento del benessere organizzativo e gli effetti che esso produce.

La responsabilità prima, di pensare e di realizzare modelli gestionali in grado di motivare il personale e di renderlo partecipe dei processi lavorativi è della dirigenza, che deve perseguirlo, educando all’amore per il lavoro.

Questo itinerario educativo richiede autorevolezza del Capo e capacità di proporre modelli organizzativi che mettano al primo posto la crescita delle persone. In questo quadro, la normativa del D.Lgs. 81/2008, trova fonti storiche di infinita grandezza, come la ricordata Regola Benedettina. Il modello organizzativo che si ricava da questa Fonte è la realizzazione dell’uomo attraverso il lavoro, condizione che richiede necessariamente una visione del lavoro non come punizione di Dio, bensì come promozione dell’Uomo.

Ricordiamo, in merito al tema del lavoro, che dopo la creazione Adamo ed Eva vivevano nel giardino dell’Eden, dove non occorreva lavorare, e la loro storia si snoda in un modo che tutti credono di conoscere, ma che in realtà è complesso. Dio mette al centro del giardino i due alberi più speciali e meravigliosi, quello della conoscenza del bene e del male e quello della vita, e ne parla all’uomo accendendo e orientando la sua curiosità. La prima coppia, che ancora non sa distinguere il bene dal male, ne assaggia, prende coscienza di sé, ed esce dal giardino per affrontare il mondo col suo ingegno e la sua fatica. Fu una punizione o una promozione? Non vi è dubbio che lavorare sia duro e logorante, che procuri rischi e delusioni, e in questo senso esso è certamente punizione. Ma è anche soddisfazione, seleziona il merito dall’apparenza, esalta le qualità migliori dell’uomo come la condivisione, la progettualità, la lealtà, la fiducia e naturalmente la morale.
Per molto tempo il lavoro è stato considerato come riservato agli schiavi ed ai servi. Nell’antica Grecia, la libertà era collegata all’affrancamento dalla fatica del lavoro manuale. Platone e Aristotele, sostengono il primato della contemplazione, affermando il bisogno di ozio per sviluppare le virtù e le attività politiche. Anche a Roma non era nobile lavorare: il termine otium possiede un’accezione positiva, mentre il negotium, l’attività (soprattutto se commerciale) ne era la negazione, delegata a schiavi o liberti. Si teorizzava che il Vero, il Bello o il Giusto fossero in un conflitto ineludibile con l’Utile. Anche il pensiero religioso dell’epoca rafforzava l’idea che la necessità economica – il bisogno di lavorare –, nascendo come infamante segno di un difetto di origine, fosse il più vistoso sintomo della condizione degradata dell’uomo.

In tale contesto culturale e religioso, San Benedetto rivaluta il lavoro come promozione dell’uomo e, quindi, momento di grande attenzione per i valori che deve esprimere e per quelli che deve tutelare. L’ozio è nemico dell’anima e l’uomo deve sempre ricercare nel lavoro e nella preghiera itinerari di crescita e di avvicinamento a Dio. Nel dare al lavoro questa nuova visione, la Regola, che compendia tutti i suoi insegnamenti, San Benedetto pone al centro di tutto la figura dell’Abate (il Capo della struttura) ed indica chiaramente gli itinerari che deve seguire nel sentirsi responsabile di tutto e di organizzare il lavoro, suddividendo gli incarichi “tenendo presente le condizioni dei più deboli”.
La Regola Benedettina si differenzia da tutte le altre teorie efficientistiche dedicate al leader o al manager, perché pone al centro non come si deve fare il capo, bensì come deve essere il Capo. La differenza è rilevantissima e di estrema attualità, come dimostrano le ragioni per le quali gli adempimenti richiesti per la tutela della salute e per la sicurezza sui luoghi di lavoro non hanno trovato favorevole accoglienza da parte dei Datori di Lavoro.
Nel nostro sistema lavorativo, specialmente se pubblico, si è ancora convinti che fare il capo sia semplice e naturale, tanto è vero che vengono destinate a tale delicata funzione persone “premiate” per il lavoro che hanno svolto, ma non in quella funzione. Succede, così, che un bravo funzionario, distintosi per capacità tecniche o ritenuto meritevole di promozione, viene assegnato a compiti di direzione di uomini, senza alcuna formazione su come provvedere alle persone, cosa molto diversa da quella di curare la produzione di beni o di servizi. Chi è designato a fare il capo e proviene da una cultura di efficienza produttiva, mal sopporta ogni adempimento che rischia di far diminuire il tempo dedicato alla produzione mentre la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro richiede adempimenti formativi, revisione dei modelli organizzativi, investimenti strutturali, monitoraggio costante delle innovazioni introdotte.
Tra i fattori di rischio generati da modelli organizzativi inidonei ad ottenere appagamento almeno della gran parte del personale e, quindi da Capi non all’altezza del compito, quello dello stress è sicuramente il primo e il più importante e, quando si palesa, è troppo tardi per rimediare. Per queste ragioni, al tema è dedicato un lavoro di grande pregio dell’ISPESL (Istituto Superiore per la Sicurezza sul Lavoro) che, nel solco di una grande letteratura, ha elaborato un validissimo modello di analisi e di valutazione.


Lo stress da lavoro correlato per gli operatori della sicurezza

Per gli operatori della sicurezza lo stress da lavoro correlato rappresenta il fattore di maggiore specificità, al quale vanno riservate le attenzioni primarie dell’intero Sistema di Sicurezza sul Lavoro. Il lavoro prestato dagli operatori della sicurezza, spesse volte, si materializza con interventi di emergenza o di soccorso a chi versa in condizioni di pericolo di vita e solo la capacità di analizzare lucidamente gli scenari in cui operare e l’adozione di protocolli operativi di elevata professionalità portano all’efficienza funzionale e alla sicurezza degli attori. Inoltre, in ogni momento del loro agire, gli operatori della sicurezza devono garantire:
- il rispetto della legislazione;
- la deontologia professionale;
- l’adozione di linee guide validate.
Queste condizioni presuppongono livelli di formazione elevati e disponibilità di protocolli operativi, ideati e realizzati per avere capacità di agire di adeguata professionalità, anche e soprattutto in situazioni di criticità emotive, che sono quelle tipiche in cui l’operatore della sicurezza è impiegato.
L’analisi degli infortuni e di tutti gli interventi operativi, che diventano rilevanti per le consequenzialità a persone ed a cose, nella quasi totalità, evidenziano carenze emotive che hanno influito negativamente sulla lucidità, condizione che spiega errori, altrimenti non spiegabili, specialmente quando le condotte attuate non aderiscono alle direttive impartite.
Le criticità emotive costituiscono uno dei fattori di maggiore attenzione per rilevare e contrastare lo stress da lavoro correlato, non annullando, ovviamente, ma acquisendo la capacità di gestirlo.

Definizione di criticità
La criticità è una situazione emotiva determinata dal vivere un problema che è o appare senza soluzione nota, non avendola appresa in precedenza.
Una situazione appare o è senza soluzione:
- quando il pensiero è traumatizzato ed impotente ad agire perché non riesce ad elaborare una soluzione;
- quando l’emozione è così forte, che sommerge ed impedisce di pensare;
- quando l’emozione accelera o distorce il pensiero, riducendone la razionalità, cioè la capacità di ragionare in maniera logica, sia nella rilevazione del pericolo, che nella determinazione delle vie di soluzione.
L’operatore di polizia, delle forze armate o degli organismi di soccorso, sicuramente si troveranno a vivere queste situazioni operative e solo una formazione specifica, articolata su due momenti importanti, come la coscienza degli stati di criticità e la capacità di gestirle, consentirà loro di conservare la necessaria lucidità per portare sicurezza, senza mettere a repentaglio la loro incolumità.
L’emozione è inevitabile, non potendosi pensare ad uno stato di completa indifferenza alle emozioni esterne, condizione che sarebbe patologica. Per queste ragioni, chi svolge una attività, che inevitabilmente lo porterà a vivere situazioni di stress emotivo, deve avere a disposizione percorsi formativi mirati a rilevarne la presenza e a come saperlo gestire. Solo così l’operatore sarà in grado di lavorare professionalmente ed in sicurezza.

La consapevolezza delle situazioni operative critiche
Quando il legislatore ha previsto, all’articolo 3, comma 2, del D.Lgs. 81/2008 che certi Organismi si dotassero di regolamentazioni tese a consentire l’applicazione dei principi della legislazione generale tenendo conto delle “effettive particolari esigenze di servizio ed alle peculiarità organizzative ed operative”, ha voluto proprio salvaguardare le peculiarità organizzative, gestionali ed operative di attività, che non sono riconducibili a schematismi prestabiliti e ripetitivi. In queste peculiarità rientrano, prima di ogni altra cosa:
- le attività prestate in condizioni di emergenza, quando la gerarchia dei valori da tutelare vede al primo posto il fare presto;
- le attività prestate in condizioni di pericolo per la propria ed altrui incolumità;
- gli interventi con persone in stato di alterazione psicofisica per patologie o per fatti occasionali, in cui le linee di comunicazione sono diversi rispetto alla razionalità ordinaria.

La gestione delle criticità
Una volta acquisita la consapevolezza che l’attività dell’operatore della sicurezza, prima o poi porterà d affrontare situazioni di criticità per emergenze, per la vista di scene choccanti o per dover operare con persone in stato di alterazione psico-fisica, diventa importante disegnare percorsi formativi mirati.
Percorsi che non sono eguali per tutte le possibili criticità, ma che si articolano secondo schemi che portano a:
- conoscere la situazione che potrà portare alla perdita di controllo emotivo. Questa condizione conoscitiva evita all’operatore di trovarsi di fronte ad eventi sconosciuti dei quali non ha mai sentito parlare e che può determinare quel “non sapere cosa fare”, né “cosa succederà” che porterebbero inevitabilmente alla criticità emotiva;
- saper gestire la fase di uscita o di superamento. La conoscenza delle prevedibili ipotesi di situazioni di criticità si può giovare dell’esperienza di cui ogni unità di operatori dispone, per averle vissute direttamente. Queste esperienze però devono essere proposte non da chi le ha vissute, bensì da chi le ha gestite. Chi le ha vissute tende a ricorrere al “racconto del reduce”, cioè a dare dell’evento non una ricostruzione didattica, ma di racconto, enfatizzando fasi non significative degli eventuali errori commessi o delle procedure corrette, utilizzate per uscirne.

Volendo elencare analiticamente le attività di un operatore delle Forze Armate, delle Forze di Polizia, dei Vigile del Fuoco, della Protezione Civile, del Soccorso pubblico e del Volontariato, sono riconducibili alle situazioni sopradette, possiamo includervi:
- la guida dei veicoli con dispositivi di emergenza;
- l’uso di armi da fuoco;
- la vista di scene choccanti;
- l’agire in presenza di folle in tumulto;
- comunicare il lutto;
- comunicare con persone in condizioni di alterazione psicofisica
- controllarsi di fronte a provocazioni verbali intese a far perdere la lucidità.
Queste criticità rappresentano anche la scala dei pericoli, che, per l’operatore della sicurezza, non si fermano a quelli di natura fisica, ma comprendono anche quelli deontologici e quelli funzionali.
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1 L'Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro è un’organizzazione europea che ha come obiettivo il continuo miglioramento della qualità della vita lavorativa nell’Unione Europea. Questa “mission” viene perseguita diffondendo la cultura della prevenzione in collaborazione con i diversi governi locali, analizzando statistiche e ricerche nel campo della sicurezza dei luoghi di lavoro e diffondendo linee guida, buone pratiche e qualsiasi tipo di consiglio ai vari stakeholders sociali.