Reato di molestie sessuali nel luogo di lavoro in danno di una ispettrice di polizia.  Lesione dell'integrità psico-fisica della lavoratrice e costituzione di parte civile del sindacato -  Statuto del SIULP - Sussiste.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ALTIERI Enrico - Presidente -
Dott. DE MAIO Guido - Consigliere -
Dott. MANCINI Franco - Consigliere -
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere -
Dott. FIALE Aldo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) P.S., N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 12/05/2006 CORTE APPELLO di TORINO;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. DE MAIO GUIDO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. CIAMPOLI L., che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito, per la parte civile, l'Avv. DE NARDO Maurizio di Torino;
udito il difensore Avv. ARICO' Giovanni di Roma.




FattoDiritto

P.S. fu rinviato al giudizio del Tribunale di Torino perchè rispondesse dei seguenti reati:
A) del reato di cui agli artt. 81 cpv., 609 bis, 56 e 609 bis c.p., perchè, in qualità di Dirigente del Compartimento di Polizia Stradale, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, dopo aver manifestato, nell'aprile 2000, il proprio interessamento nei confronti dell'isp. C.M.G. con frasi ed apprezzamenti di natura sessuale, la costringeva a subire atti sessuali; e precisamente, in data compresa nel settembre 2000, cingendole la vita sotto il seno, da dietro, con entrambe le braccia, la avvicinava a sè e la scuoteva più volte, appoggiandole i genitali ai glutei (parole aggiunte con integrazione dell'imputazione all'udienza 10 maggio 2004), nonchè, in data 12 agosto 2001, trascinandola verso di sè con forza, dopo averle bloccato il collo con il braccio, compiva atti idonei diretti in modo non equivoco a baciarla.
In (OMISSIS), nelle date indicate;
B) del reato di cui all'art. 609 bis c.p., perchè, in qualità di Dirigente del Compartimento di Polizia Stradale, dopo aver chiamato nel proprio ufficio l'agente D.B.L., averne lodata la pelle, il seno e l'intera persona in termini anche volgari, toccandola a cominciare dalle spalle e sino ai fianchi, quindi prendendole le mani e facendosi dare un bacio sulle guance, la costringeva a subire atti sessuali.
In (OMISSIS), in data prossima ed anteriore al 4 agosto 2000;
C) del reato di cui all'art. 115 c.p., comma 4, perchè, in qualità di Dirigente del Compartimento di Polizia Stradale, dopo aver convocato presso di sè l'isp. Capo V.R., che sapeva essere stato invitato dall'autorità giudiziaria quale persona informata sui fatti di cui al capo che precede, invitandolo a dire che non ricordava nulla, o comunque a dire che il suo ricordo era stato condizionato dai discorsi dell'isp. C., istigava il V. a rendere false dichiarazioni al Pubblico Ministero, senza che tale istigazione venisse accolta. In (OMISSIS).
Con sentenza in data 27.1.2005 il menzionato Tribunale, mentre assolse il P. dal reato di cui al capo B) perchè il fatto non sussiste, lo ritenne "responsabile del reato continuato ascrittogli al capo A) e del fatto a lui contestato al capo C)" e, ritenuta per il capo A) l'ipotesi di cui all'art. 609 bis c.p., u.c., riconosciutegli altresì le circostanze attenuanti generiche, lo condannò, con i benefici della sospensione condizionale e della non menzione, alla pena di giustizia, oltre che al risarcimento dei danni - da liquidarsi in sede separata - in favore delle parti civili costituite SIULP e C.M.G..
A seguito di impugnazione dell'imputato, la Corte d'Appello di Torino, con sentenza in data 12.5.2006 in parziale riforma di quella di primo grado, mandò assolto il P. dall'imputazione di cui al capo C) perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato, confermando nel resto.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'imputato, il quale denuncia con il primo motivo mancanza e manifesta illogicità della motivazione e violazione dell'art. 187 c.p.p., in quanto "le numerose ed eclatanti discrasie narrative tra la C. e gli altri testimoni su elementi centrali della vicenda... risultano risolte attraverso il ricorso al fin troppo abusato stato emotivo del teste"; secondo il ricorrente, la Corte torinese avrebbe "proceduto ad un costante svilimento di tutte le prove incompatibili con il narrato della C. e a un'altrettanto costante esaltazione di fonti di prova neppure conformi alla versione della parte civile ma soltanto non in contrasto con essa".
Il ricorrente, in particolare, rileva che la C. aveva precisato "l'esatto momento di un accadimento narrato al solo fine di colorire le sue personali interpretazioni, solo dopo aver lungamente consultato i ruoli delle presenze e delle ferie dell'imputato e dei suoi colleghi, correggendo le sue iniziali dichiarazioni con uno scarto di diversi mesi; in tale contesto, la Corte torinese avrebbe dovuto indicare le ragioni per le quali risultava irrilevante che la C. non riuscisse a collocare nel tempo un fatto che ella stessa aveva dapprima definito sgradevole senza connotarlo di alcuna valenza sessuale e poi, invece, come un'aggressione alla sua sfera sessuale".
Le censure del ricorrente investono, quindi, specificamente la valutazione che i giudici di merito hanno dato dell'atteggiamento galante che sarebbe stato tenuto dal P.; dell'episodio del 13 settembre 2000 e della testimonianza che sullo stesso era stata resa dal teste V., presente; e, infine, dell'episodio dell'agosto 2001.
Il ricorso è infondato.
Alla valutazione dell'impugnazione occorre premettere che le sentenze di merito di entrambi i gradi hanno affrontato la vicenda processuale nel suo complesso e le molteplici questioni prospettate dalla difesa in modo esemplare per profondità e completezza di argomentazioni.
In relazione alle singole prospettazioni contenute nel ricorso, la sentenza impugnata ha risposto in modo adeguato, completo e approfondito a tutte le questioni poste con i motivi d'appello.
Non resta, quindi, che richiamare i passaggi, anche in linea di fatto, più importanti attraverso i quali la sentenza impugnata è pervenuta alla conclusione adottata e controllarne la logicità e concludenza degli argomenti fondamentali, che hanno riguardato:
 
1) l'attendibilità della teste-parte offesa. L'accusa si fonda essenzialmente sulle dichiarazioni della C. (che, nelle sentenze di merito, sono riportate nei punti più rilevanti) e su quelle di riscontro del teste V., anch'egli ispettore, presente all'episodio del settembre 2000.
La sentenza impugnata ha esattamente premesso che non risultano acquisite, sui fatti, prove contrarie ("desumibili dalle dichiarazioni di altri testi, da documenti o da considerazioni logiche nascenti da inspiegabili e patenti discrasie del racconto di circostanze decisive ovvero dall'esistenza di seri indizi a conforto dell'ipotesi di una calunnia"); ha, poi, rilevato, in aderenza alle risultanze processuali, che la C. non è l'unica testimone, perchè le sue dichiarazioni hanno più volte trovato conforto in altre deposizioni della cui attendibilità non vi è ragione di dubitare, ("una volta che si escluda (come deve escludersi...) la tesi di un complotto ordito da parte della donna, sin dal 2000, con l'appoggio di un manipolo di collaboratori dell'imputato"); ha, poi, escluso che sia rilevante l'avere la C. fornito alcune precisazioni ulteriori o l'aver diversamente aggettivato le sue reazioni interiori; ha, inoltre, dato adeguata giustificazioni di alcune pretese imprecisioni e di alcuni ricordi della C. "solo a dibattimento (pag. 21).
Quindi, l'indagine dei giudici di merito, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, è stata incentrata, senza contraddizioni o salti logici, proprio sulla credibilità della persona offesa e, come si vedrà, sui riscontri derivanti da ulteriori elementi acquisiti".
 
2) l'episodio del 13.9.2000 e la diretta testimonianza del V. (pagg. 33-38).
Circa tale episodio la sentenza impugnata ha dimostrato con assoluta logicità come il racconto della parte lesa non possa dirsi inficiato da contraddizioni, sia interne allo stesso che rispetto all'analogo racconto fatto dal V., presente all'episodio stesso.
La sentenza ha attribuito fondamentale importanza alle dichiarazioni del V. (nella gran parte riportate testualmente), sia per l'assenza di qualsiasi prova di malevolenza del teste nei confronti del P., sia per il rilievo dell'atteggiamento "più che cauto" mantenuto dal V. rispetto alle accuse mosse al P. dall'altro collega, la D.B. (rilevando ineccepibilmente che tale dato è "decisamente inconciliabile con una volontà calunniosa"); ha inoltre dimostrato come anche le dichiarazioni di questo teste non possano essere considerate contraddittorie (circa, in particolare, un preteso "sollevamento in aria" della p.o.).
La conclusione, tratta con piena logicità dalle premesse in fatto, è nel senso che "a parte il fatto che il V. rammenta una presa con il solo braccio destro, la descrizione dell'accaduto non soffre, nemmeno alla luce delle contestazioni, di contraddizione alcuna ed è del tutto conforme a quella della parte lesa: il movimento eseguito più volte, di scossa dal basso verso l'alto, implica necessariamente un lieve sollevamento e altro non è, vista la posizione - che la simulazione di un rapporto sessuale da tergo come i cani quale declinato dalla diretta interessata".
Deve in tal modo ritenersi superata la contraria deduzione difensiva secondo cui la testimonianza del V., "proprio rispetto all'unica parte connotata dalla sessualità della condotta (il cd. movimento dei cani) è in evidente contrasto fattuale con la C.", essendo stato dimostrato (con precisi riferimenti alle dichiarazioni assunte) non essere esatto che dell'assunto della C. il teste V. avesse negato proprio l'elemento essenziale costituito dal movimento corpo a corpo dal basso verso l'alto a simulazione dell'atto sessuale (così il ricorso a pag. 13). Del pari superata in linea di fatto è l'ulteriore deduzione del ricorrente che, citando in termini interpretazioni di questa Corte, rileva che "non basta il mero riferimento alle parti anatomiche (il cingere la vita) asseritamene aggredite dal soggetto attivo e/o il grado di intensità fisica del contatto (lo scuotimento), non dovendosi dimenticare l'intero contesto in cui l'evento si realizza al fine di individuare l'effettiva valenza sessuale dell'azione compiuta".
 
3) la sentenza impugnata ha esaustivamente confutato alcuni indici di inaffidabilità circa le dichiarazioni della C. e del V. (pagg. 54-59), in riferimento:
a)alle contraddizioni del V. sull'ora in cui si sarebbe verificato l'episodio del 13 settembre;
b) alle presunte dichiarazioni non veritiere del V. sulla presenza del P. in ufficio la sera del 10 giugno 2000 ("sera in cui... è pacifica l'assenza dell'imputato dall'ufficio o comunque remota l'ipotesi di una sua presenza");
c) alle dichiarazioni della C. sulla circostanza che l' A. l'abbia vista armeggiare con il registratore;
d) alla dichiarazione del V. di essersi fermato in ufficio un pomeriggio in cui la C. era sola al Compartimento;
e) all'affermazione della C. di avere la prospettiva di rimanere sola il pomeriggio del 14 agosto ("quel preciso giorno, il 14, di pomeriggio, al piano, con la C. si sarebbe effettivamente trovato il solo M., impiegato amministrativo..., il che spiega le preoccupazioni esternate al V. e soprattutto esclude che il V. o la C. abbiano mentito al Tribunale");
f) ai ricordi dell' A., riportati a pagg. 79-81 dell'atto di appello, che sarebbero contrastanti con quelli della C. (in effetti i rilievi della difesa sul punto consentono "di non ritenere in alcun modo probanti i rilievi difensivi in punto menzogne della C. sulla reiterazione della richiesta");
g)alle dichiarazioni della C. su quanto confidato al teste O.;
h) ai presunti contrasti tra le dichiarazioni della C. e del marito.
 
4) L'atteggiamento galante del P. (pagg. 32-33).
Si tratta degli episodi che la difesa, mutuando l'espressione dalla sentenza, ha definito prodromici, dei quali la sentenza ha esattamente rilevato l'importanza perchè "proprio in merito ad essi, un primo significativo supporto all'attendibilità della parte offesa s'è avuto da parte di vari testimoni".
La sentenza riporta le dichiarazioni sul punto dei testi D.S. (del quale si è detto), C.M. ed O., tutti insospettabili, per le qualifiche rispettivamente rivestite e, in più, quanto all' O., "attesi i suoi rapporti, praticamente nulli, con la parte offesa".
Da tali dichiarazioni risulta l'inequivocabilità del gesto, accompagnato da un apprezzamento ("lodandola, diciamo apprezzando la sua pelle morbida, qualcosa del genere", così, testualmente, il D. S. afferma essergli stato riferito dalla C.), così da rendere infondato l'assunto del ricorrente che i giudici di merito avrebbero caricato lo "sfioramento" di un significato che non aveva, "sostituendo alla primitiva sensazione della vittima la successiva interpretazione del fatto fornita dalla medesima".
 
5) la tempistica degli episodi (pagg. 22-28).
La sentenza ha fedelmente riportato (alle pagg. 22-23) le discordanze, contenute nelle varie affermazioni riferibili alla C., in merito alla data dell'episodio dell'accarezzamento del suo braccio con complimenti per la morbidezza della pelle.
Al riguardo risulta pienamente logica l'osservazione della sentenza secondo cui "non è pensabile che si costruisca un'accusa calunniosa ad arte, sin dall'inizio inficiandola con errori tanto marchiani". Inoltre, i giudici di merito hanno dimostrato, riportando in termini ampi passi delle dichiarazioni rese in varie occasioni dalla donna, che "la C. ha dato esaustiva e convincente spiegazione dell'errore; che tale spiegazione non è in alcun modo contraddetta in atti; che altre risultanze, anzi, la avvalorano". A tale proposito va rilevato (ciò che vale anche per altri rilievi della difesa) che, attesa la logicità e concludenza degli argomenti della sentenza, le deduzioni di segno contrario attengono a una diversa valutazione delle risultanze processuali non prospettabile in sede di legittimità.
Non è, quindi, esatto quanto sostenuto dal ricorrente e cioè che la Corte torinese non avrebbe indicato "le ragioni per le quali risultava irrilevante che la C. non riuscisse a collocare nel tempo" i fatti in questione.
 
6) il riscontro del D.S. e dei superiori.
I giudici di merito hanno ritenuto in fatto che "nell'immediatezza dell'episodio dell'agosto 2001, la C. avvisò del fatto il D.S. (cui aveva già in precedenza confidato il suo turbamento per pregresse attenzioni del Dirigente) ancorchè questi si trovasse in vacanza;
chiese a vari colleghi di non lasciarla sola con il P. nei giorni successivi; registrò un colloquio con il P.; confidò il suo turbamento al marito.
Indi, al rientro dei superiori dalle ferie, si rivolse a loro, manifestando la propria indecisione sull'opportunità di denunciare il Dirigente, per quel fatto e per gli altri comportamenti molesti tenuti in precedenza.
Dopo alcune riunioni con i dirigenti (il P. era ancora in ferie) che, vista la gravità dei fatti e la veste del P., assunsero un atteggiamento prudente e che dunque non le apparvero decisi a sostenerla sino in fondo (tanto che registrò la riunione finale del 5 settembre 2001), decise infine di denunziare la situazione".
L'accertamento di fatto in tal senso è del tutto persuasivo ed aderente agli elementi acquisiti, essendo stato rilevato:
a) che il D.S. aveva confermato sia di essere stato chiamato in relazione all'episodio dell'agosto 2001, sia le pregresse confidenze;
b) che altra conferma, sulle prime attenzioni sgradite, il Tribunale aveva tratto da discorso casuale tra la C. e l' O., da quest'ultimo collocato all'inizio di settembre 2000;
c) che gli altri dirigenti che, escussi su quanto riferito dalla C. avevano confermato la circostanza, erano M.R., A. M. e De.Be.Lu..
 
7) L'episodio del 12.8.2001 e la registrazione del successivo giorno 16.
I giudici di merito hanno dimostrato che anche relativamente a tale episodio, la testimonianza della C. è confermata dalle testimonianze dei colleghi cui la donna manifestò il suo disagio ( A., De.Be., M., D.S. e G., le cui dichiarazioni sono state riportate in dettaglio e condivisibilmente lette dal Tribunale a sostegno della credibilità della C.) e dalla registrazione del colloquio tra presenti del 16 agosto successivo.
Peraltro, anche tali registrazioni sono state oggetto di attenta e logica valutazione dei giudici di merito (alle pagg. 42-49 la sent. imp.), sì da rendere del tutto condivisibile la conclusione nel senso che il consulente ha provveduto, giusta incarico ad hoc, ad un vero e proprio accertamento, segnato da numerose prove tecniche condotte insieme al primo consulente della difesa..., volto ad escludere eventuali manipolazioni della registrazione e che "non vi è motivo... di sospettare di manipolazione la registrazione e trascrizione del colloquio del 16 agosto 2001".
Anche circa l'errore della C. nell'indicare le date delle registrazioni è plausibile e logica la giustificazione che i giudici di merito hanno dato della "confusione" che la C. ha sostenuto di aver sofferto ("e non si vede come questa confusione possa toccare il dato offerto dal contenuto - provatamente genuino - della conversazione registrata").
Egualmente condivisibili sono le argomentazioni circa le differenze tra la trascrizione del secondo consulente della difesa e quella del T., nonchè la presunta inesattezza nell'interpretazione del Tribunale (ciò che è assorbente, a contrastare la prospettazione della difesa, è che il tenore del discorso - con l'accenno alla serenità turbata della C., con le frasi "non era un tentativo di..." e "non volevo assolutamente", con l'assenso sulla necessità di evitare incomprensioni e reciproco imbarazzo - appare del tutto incongruo rispetto a scuse per una pregressa lavata di capo.
 
8) la registrazione del 5.9.2001 (pagg. 49-50). Condivisibili sono anche a proposito di tale registrazione della C. di un colloquio da lei avuto con i superiori sul da farsi per quanto accadutole, i rilievi dei giudici di merito che conducono esattamente alla conclusione che "non si può escludere perciò che la prudenza da subito mostrata dai superiori nell'affrontare il problema, per quanto ovvia data la natura del medesimo, sia apparsa alla C. eccessiva o che sia stata travisata, facendo sorgere in lei il timore di non essere creduta o aiutata e, con esso, l'idea di registrare la riunione del 5 settembre.
Quel che conta è che, fondata o meno che fosse, questa paura della donna sussisteva e che l'iniziativa di registrare la conversazione, in ogni caso, non può minare l'attendibilità della teste".
 
9) Lo stato di salute della C. (pagg. 52-54).
Logicamente giustificata, attraverso la valutazione delle non sospettabili dichiarazioni del medico di base dott. Ca. e del consulente della C., lo specialista dott. M.F., è il convincimento che "quanto acquisito sul punto, in particolare sulle patologie declinate dal medico di base e la necessità di affrontare in relazione ad una di esse un intervento chirurgico, depone a favore della serietà delle affezioni che hanno impedito la costante presenza della donna sul lavoro e a sfavore della tesi che la vorrebbe agire in ritorsione perchè sempre malata e dunque timorosa di reazioni disciplinari".
 
10) il riscontro del V. sul fatto di cui all'imputazione sub C (pag. 6): è stato indicato persuasivamente come il V., indicato a teste sull'episodio del settembre 2000, fu invitato dal P. a non dare supporto alla denuncia della donna (la dichiarazione in Procura sul punto del V. è riportata, in termini, nella nota a piedi della pag. 6).
Sul punto stesso i giudici di merito ne hanno esattamente rilevato la valenza probatoria, anche in considerazione del contesto, dal momento che il V. "diede immediata comunicazione del fatto al D.S.... e il giorno stesso, telefonò alla C. che, tramite il suo difensore, rappresentò l'accaduto al PM".
 
11) l'intreccio con le vicende del F. (pagg. 28-30) e le critiche mosse al teste D.S. (30-31).
I giudici di merito hanno dimostrato univocamente che non vi è prova alcuna che la C. - al momento in cui palesò le varie situazioni a colleghi e/o superiori, infine sporgendo querela - fosse a conoscenza dei guai del F., di guisa che risulta del tutto giustificata la conclusione secondo cui "non vi è nessun elemento a favore della tesi di un'accusa modulata ad arte e legata alle indagini sul F. che la C. abbia potuto conoscere e, per un fraintendimento, attribuire ad iniziativa del dirigente".
Logicamente insuperabile è poi, sempre a tale proposito, l'argomentazione che appare, in ogni caso, del tutto assurdo che la C. abbia potuto conoscere per altre vie della condotta del marito, e dunque dei possibili guai cui egli si esponeva, e, anzichè compiacersi della buona disposizione mostrata nei suoi confronti da parte del nuovo Dirigente, possa aver deciso, non appena trasferita al Dipartimento, di far leva sulla sua nota galanteria per mettere in giro contro di lui false "voci", in base all'ipotesi del tutto teorica - e, infatti, infondata - che il P. potesse in futuro avere un ruolo negativo in eventuali indagini a carico del marito.
Sempre in relazione alla vicenda del F., ma con un'argomentazione che assume valenza generale nella valutazione delle dichiarazioni del D.S., la sentenza impugnata ha dimostrato (alle pagg. 30-31) l'infondatezza delle critiche mosse sul punto dalla difesa volte a inficiarne l'attendibilità (sicchè risulta del tutto giustificata la conclusione finale che i dati rilevati si pongono in contrasto con la ventilata non irreprensibile condotta professionale del teste e che certo non scalfiscono la valenza di pieno riscontro alle affermazioni della C. in merito all'interessamento da subito "eccessivo" del P. nei suoi confronti).
 
12) Il fallimento dell'alibi sull'episodio del 13.9.2000 (pagg. 37- 40). La moglie dell'imputato ha affermato "di essere venuta a Torino da Milano..., qui trascorrendo la mattinata con il marito, con riguardo al giorno
 
13. Tale riferimento è stato però fatto per relationem".
La Corte di merito è pervenuta alla conclusione che "l'alibi addotto dalla difesa... si svuota di pregnanza nel quadro della vicenda e non è certo idoneo a scalzare le concordi dichiarazioni dei due testi a carico".
Tale conclusione discende rigorosamente dai seguenti inoppugnabili dati di fatto: "il fatto è accaduto di mattina e sotto gli occhi di un teste che non si ha motivo di ritenere malevolo o calunnioso"; - il P. risulta presente mattinata dal quadro riepilogativo estratto dallo Specchio impiego Forza stilato da lui medesimo; - tale dato documentale non è contraddetto da altri della stessa valenza".
La sentenza ha, infine, dimostrato la non credibilità dell'affermazione del B. di non aver commentato con la C. la richiesta fattale dal P. di fargli da autista nei termini riferiti dalla parte lesa ("ti porta a fare il puttanone di turno, perchè quando mangia e beve quello non capisce più niente, ti porta lì in mezzo e chissà cosa succede").
Il lungo e articolato discorso della sentenza impugnata non può che condurre alla conclusione della veridicità dell'episodio del settembre 2000, una volta ritenute "fallace la tesi di un complotto collegato alle vicende del marito; fallace la tesi di una fantasiosa individuazione delle date; irrilevante il fatto che il P. non fosse indiscriminatamente dedito a molestare altre sottoposte, limitandosi ad essere costantemente galante; credibile il teste V.; supportata dalla sua convergente testimonianza la ricostruzione del primo fatto riferito dalla C.; assente il preteso alibi e presente, al contrario, la cartina di tornasole costituita dall'invito a dimenticarle rivolto in seguito dal P. al V....".
Anche circa l'ulteriore episodio di violenza tentata, del tutto esaustiva è la conclusione dei giudici di merito che hanno, anche qui, fatto riferimento "alle attendibili e coerenti dichiarazioni della parte lesa", alla mancanza di elementi positivi tali da smentire la C. e ai numerosi riscontri testimoniali e documentali (dei quali si è detto inizialmente).
Del tutto infondata è, quindi, la deduzione del ricorrente secondo cui la Corte torinese - che, come si è visto, è pervenuta alla conclusione a seguito di un percorso argomentativi esemplare per logicità e approfondimento - avrebbe "proceduto a un costante svilimento di tutte le fonti di prove incompatibili con il narrato della C. e ad un'altrettanto costante esaltazione di fonti di prova neppure conformi alla versione della parte civile ma semplicemente non in insanabile contrasto con essa".
Con il secondo motivo viene denunciata violazione dell'art. 74 c.p.p. con riferimento alla conferma della legittimazione del SIULP al processo nella qualità di parte civile, affermata in base al rilievo, corretto in astratto ma eccentrico nel caso di specie, secondo cui tale legittimazione "discenderebbe dallo statuto della SIULP, che vede elencata nelle sue finalità la tutela delle condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori di Polizia".
Il ricorrente sostiene che il codice di rito vigente "circoscrive rigorosamente la costituzione di parte civile ai soli soggetti portatori di interessi rilevanti ex art. 74 c.p.p. e cioè titolari di una pretesa risarcitoria esattamente e rigorosamente individuata, anche ove si tratti di enti esponenziali", per cui la giurisprudenza ha chiarito che "non è sufficiente un mero collegamento ideologico del fine statutario con il bene giuridico tutelato dal precetto penale o con l'interesse pubblico perseguito dall'accusa"; "nel caso di specie il richiamo operato dall'ordinanza impugnata allo statuto dell'organizzazione sindacale ne documenta in effetti, al più, un mero collegamento ideologico con la finalità della tutela della persona cui presiede il precetto penale che si assume violato"; in siffatta linea, sul piano della legitimatio ad causam sarebbe necessario - al di là del pur ineliminabile aspetto di circostanzialità e di concretezza dell'interesse tutelato e del recepimento nello scopo specifico del sodalizio - la deduzione di una violazione riguardante un preciso diritto soggettivo dell'ente"; "nella fattispecie tale diretta ed immediata lesione non può in alcun modo ravvisarsi, posto che non può certo dirsi che l'attività di contrasto a condotte di violenza sessuale sul luogo di lavoro costituisca, per l'organizzazione sindacale, finalità statutaria esprimente l'affectio societatis che tale evento incidente direttamente sulla libertà personale della singola vittima possa ricondursi, se non in via puramente ideale, alla lesione delle condizioni di lavoro".
Anche tale motivo è infondato, dovendosi condividere il convincimento espresso sul punto dai giudici di merito.
Da un punto di vista generale occorre premettere che, come questa Corte ha precisato (cass. sez. lav. 8.1.2000 n. 143 e 18.4.2000 n. 5049), la fattispecie di reato ascritta al ricorrente costituisce, per la sua natura ed entità, violazione delle norme che presiedono alla tutela dei lavoratori e, in particolare, della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 9, in quanto il reato di violenza sessuale commesso sul luogo di lavoro lede l'integrità psico-fisica del lavoratore, compromettendone la stabilità psicologica e il rapporto con la realtà lavorativa e la percezione del luogo, in modo tale che il grave turbamento che ne deriva viola la personalità morale e conseguentemente la salute del soggetto passivo del reato.
Sotto tali profili, quindi, esattamente l'ordinanza del Tribunale ammissiva della costituzione della parte civile SIULP ha richiamato proprio la norma citata che, nel tutelare la salute e l'integrità fisica dei lavoratori, riconosceva agli stessi, mediante proprie rappresentanze, il potere di controllare l'applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, nonchè di promuovere la ricerca, l'elaborazione e l'attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute ed integrità, rappresentanza generalmente svolta dalle organizzazioni dei lavoratori.
La funzione del Sindacato si esplica, quindi, anche attraverso la tutela e la difesa di una condizione lavorativa che non deve essere segnata da episodi che possono intaccare la dignità lavorativa della persona.
Su tali basi, questa Corte (sez. 4, 16.7.1993 n. 10048) ha affermato la legittimazione dei sindacati a costituirsi PC in caso di violazione delle norme suddette, alla sola condizione che i lavoratori interessati siano ad essi iscritti (condizione che nella specie risulta documentalmente provata).
La successiva evoluzione legislativa, soprattutto con l'entrata in vigore del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, è stata univoca nell'ampliare il concetto di salute dei lavoratori, sì da comprendervi non solo l'integrità fisica ma anche quella psichica (emblematica in proposito la previsione dell'art. 17, comma 1, lett. a L. cit., che parla espressamente di "tutela della salute e dell'integrità psicofisica dei lavoratori").
Del resto, tale evoluzione è in linea con il principio generale fissato dall'art. 2087 c.c. che, in tema di tutela delle condizioni di lavoro, fa espresso riferimento all'obbligo del datore di lavoro di tutelare non solo l'integrità fisica ma anche Ha personalità morale dei prestatori di lavoro.
Dal punto di vista specifico, esattamente i giudici di merito hanno incentrato la decisione sull'art. 4 dello Statuto SIULP, prodotto in I grado in sede di costituzione di parte civile, il quale prevede che il sindacato programma ed uniforma la propria azione al rispetto e all'applicazione integrale della Costituzione repubblicana, particolarmente per quanto riguarda... l'elevazione - in un quadro di pari opportunità tra i sessi - delle condizioni professionali, culturali, economiche e sociali dei lavoratori, sviluppando tra l'altro un'azione volta a... ricercare e perseguire le soluzioni più idonee alle condizioni di lavoro e di vita degli operatori di Polizia operando costantemente per realizzare il più elevato grado di tutela dei diritti della categoria, nonchè ad assistere i lavoratori della Polizia nelle controversie derivanti dal rapporto di lavoro.
Alla stregua di tale disposizione e del principio sopra enunciato, deve ritenersi che la condotta integrante reato lede direttamente la parte lesa, ma risulta idonea, per la concomitante incidenza sulla dignità lavorativa e sulla serenità del lavoratore che ne è vittima, a creare danno al sindacato, in quanto in contrasto con il preciso fine dal medesimo perseguito e cioè quello che, ex cit. art. 4 dello Statuto, è proprio di tutelare la condizione lavorativa e di vita degli iscritti sul luogo di lavoro.
Il SIULP, quindi, riveste la qualità di soggetto danneggiato dalla condotta criminosa, in difesa del proprio diritto alla protezione dell'interesse collettivo dei lavoratori di Polizia, in particolare di un proprio iscritto, avendo il reato palesemente violato la tutela della salute fisica e psichica del lavoratore sul luogo di lavoro.
Ne deriva che il reato ascritto all'imputato ha arrecato un danno diretto e immediato al SIULP, concretizzatosi nella lesione del prestigio e della credibilità dello stesso, derivante dalla vanificazione del perseguimento e della realizzazione dei fini istituzionali propri di tale organismo collettivo, quali la tutela della salute e dell'integrità psico- fisica dei lavoratori.
Va, pertanto, tenuto per fermo che la condotta integrante il reato in esame ha una concomitante incidenza sulla dignità lavorativa e sulla serenità del lavoratore che ne è vittima e determina un danno al sindacato perchè in contrasto con lo specifico fine dallo stesso perseguito e previsto dall'art. 4 dello Statuto del SIULP, che è appunto quello di tutelare la condizione lavorativa e di vita degli iscritti sul luogo di lavoro.
Ciò rende chiaro che si verte in ipotesi ben diversa da quella della proposta costituzione di parte civile di un ente che rappresenti interessi diffusi e che non abbia uno specifico rapporto con la parte lesa, fondato proprio sulla tutela del bene - nella specie, la dignità e serenità delle persone nello svolgimento del suo lavoro - che, a causa della commissione del reato, è stato pregiudicato, o anche di un ente che abbia con la parte lesa un rapporto istituzionale, ma generico.
In questa linea di discorso, esattamente i giudici di merito hanno ritenuto che il SIULP (al quale la C. è pacificamente iscritta) non può essere considerato, come vorrebbe la difesa, un ente rappresentativo di meri interessi diffusi: si è, infatti, sulla base dei suesposti rilievi, in presenza di un vero e proprio danneggiato dal reato, cui è consentito azionare l'art. 74 c.p.p. per il ristoro del danno subito.
Nel caso in esame, il pregiudizio di immagine seguito alla risonanza data dai media alla vicenda (dato pacificamente acquisito al processo alla luce delle stesse dichiarazioni dell'imputato), vicenda che, consistendo in sostanza nell'essersi verificata in ambito lavorativo e da parte di un superiore gerarchico molteplici molestie sessuali in danno di un'operatrice di Polizia, è tale da riflettersi negativamente sul ruolo istituzionale perseguito dall'ente.
La soluzione adottata dai giudici di merita è allineata con i principi enunciati in materia da questa Corte regolatrice (sez. 3, 3.12.2007 n. 15983; sez. 6, 314/1990, rv. 185501), secondo cui un soggetto può costituirsi parte civile non soltanto quando il danno riguardi un bene su cui egli vanti un diritto patrimoniale, ma più in generale quando il danno coincida con la lesione di un diritto soggettivo del soggetto stesso, come avviene nel caso in cui offeso sia l'interesse perseguito da un'associazione in riferimento a una situazione storicamente circostanziata, da essa associazione assunto nello statuto a ragione stessa della propria esistenza ed azione, come tale oggetto di un diritto assoluto ed essenziale dell'ente a causa dell'immedesimazione fra il sodalizio e l'interesse perseguito.
In tal caso, infatti, l'interesse storicizzato individua il sodalizio, con l'effetto che ogni attentato all'interesse in esso incarnatosi si configura come lesione del diritto di personalità o all'identità, che dir si voglia, del sodalizio stesso.
Alla stregua di tale principio, in tema di legittimazione di persone giuridiche e di enti di fatto a costituirsi parte civile, deve conclusivamente ritenersi che quando l'interesse diffuso alla tutela di un bene giuridico non è solo astrattamente configurato, ma si concretizza in una determinata realtà storica di cui il sodalizio ha fatto il proprio scopo diventando la ragione e, per ciò, elemento costitutivo di esso, è ammissibile la costituzione di parte civile di tale ente, sempre che dal reato sia derivata una lesione di un diritto soggettivo inerente allo scopo specifico perseguito.
Sulla base dei suesposti rilievi, il ricorso va rigettato. Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla refusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili e liquidate come in dispositivo.



P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla refusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili e liquidate in complessivi Euro 2.000,00 ciascuna, oltre IVA e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2008.
Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2008