COMITATO PARITETICO TERRITORIALE PER l’INDUSTRIA
Confindustria Pesaro Urbino
CGIL – CISL – UIL

APPALTI E SICUREZZA
L’evoluzione del quadro normativo e le nuove responsabilità per le imprese


Seminario di studio – 12 giugno 2008

Pesaro, Palazzo Ciacchi

RELAZIONE

La tutela della salute e sicurezza negli appalti prima e dopo il d. lgs. n. 81/2008

di Luciano Angelini
Professore aggregato di Diritto sindacale e del lavoro nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”


Sommario: 1. Premessa. La sicurezza negli appalti prima e dopo il d. lgs. n. 626/94 - 2. La tutela della salute e sicurezza dei lavoratori degli appalti nella legge n. 123/2007 - 3. (segue) La tutela della salute e sicurezza negli appalti nel d. lgs. n. 81/2008 - 3.1. Sull’ambito di applicazione dell’art. 26. La nozione di ciclo produttivo3.2. La verifica dell’idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici e dei lavoratori autonomi. Cenni3.3. La redazione e l’allegazione del DUVRI - 3.4. Ancora sulla responsabilità solidale tra appaltante ed appaltatore - 3.5. Oltre il contratto di appalto. Ovvero, l’applicazione dell’art. 26 anche agli altri contratti “ad effetto equivalente”. Sui costi della sicurezza - 3.6. La controversa individuazione dei “costi della sicurezza”. La disciplina in materia di appalti pubblici - Allegato. Scheda sul regime sanzionatorio del decreto legislativo n. 81/08 in materia di appaltiRiferimenti bibliografici



1. Premessa. La sicurezza negli appalti prima e dopo il d. lgs. n. 626/94

Le condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori sono rese ancora più precarie quando nell’organizzazione produttiva del datore di lavoro si inseriscono mediante appalti “interni” al suo processo produttivo, le attività di altre imprese o lavoratori autonomi: in questi casi, infatti, ai “normali” rischi del luogo di lavoro, si aggiungono quelli derivanti dalle interferenze tra le varie attività.

Il fenomeno degli appalti va ben compreso come parte di un più complesso processo di decentramento produttivo, già di per sé soltanto portatore di un rilevante gruppo di fattori di rischio, caratterizzato com’è dall’aumento di imprese di modeste dimensioni che diventano appaltatrici o subappaltatrici di fasi dei procedimenti di produzione che si svolgono in uno stesso luogo di lavoro, con un evidente accrescimento dei livelli di pericolosità ambientale.

Per il settore pubblico, il problema principale relativo agli appalti è piuttosto determinato dal sistema perverso dei ribassi d’asta, cui si è cercato di porre rimedio: la concorrenza fra imprese, infatti, può essere la causa determinante del contenimento dei corrispettivi, contenimento che può trovare parziale impropria compensazione con la riduzione dei costi della sicurezza che, ove non visibile, non consente di operare una valutazione reale della qualità degli appaltatori che dovranno operare la migliore realizzazione dell’opera.

Rispetto al fenomeno degli appalti ed alle tutele dei lavoratori sotto il profilo della salute e sicurezza, l’emanazione dell’art. 7 del d. lgs. n. 626/94 può essere considerato un vero spartiacque.

Prima di tale decreto, ad eccezione del committente-pubblica amministrazione, il committente privato era considerato estraneo rispetto all’adempimento dei compiti e alle responsabilità connesse alla sicurezza sul lavoro nella realizzazione dell’appalto, in ragione dei principi di autonomia e di rischio imprenditoriale che caratterizzano e distinguono il contratto di appalto nel nostro ordinamento. Come recita l’art. 1655 c.c., infatti, l’appaltatore “assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”.

Per il vero, la giurisprudenza, specie di Cassazione, aveva riconosciuto, richiamando la norma dell’art. 2087 c.c. [1], in numerose ipotesi la responsabilità, esclusiva o concorrente del committente, laddove egli avesse omesso di controllare che l’appaltatore possedesse le capacità tecniche e le attrezzature necessarie per portare a compimento l’incarico affidatogli, o si fosse ingerito nell’esecuzione dei lavori, o nel caso in cui avesse commissionato o consentito l’inizio dei lavori pur in presenza di situazioni di pericolo.

Con l’art. 7 del d. lgs. n. 626/94, nel suo dettato originario, seppur limitatamente agli appalti interni, cioè a quegli appalti da realizzarsi nell’ambito dell’azienda o dell’unità produttiva del datore di lavoro-committente, la funzione di “garanzia” del committente rispetto alla tutela dei lavoratori impiegati nei lavori appaltati viene significativamente estesa. Ed infatti, come recita il primo comma dell’art. 7 del d. lgs. n. 626/94, il committente ha l’obbligo di verificare, anche, ma non soltanto, attraverso l’iscrizione alla camera di commercio, industria ed artigianato, l’idoneità tecnico-professionale delle imprese appaltatrici e dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare in appalto o contratto d’opera e di fornire agli stessi dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare e delle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività (cicli produttivi, macchine, impianti, sostanze e preparati pericolosi), così da consentire loro di operare con le necessarie cautele.

Inoltre, ai sensi del successivo comma 2, lett. a), committente e impresa appaltatrice devono altresì cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione dei rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto, e coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare i rischi dovuti alle interferenze tra i lavoratori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva, soprattutto nel caso di una pluralità di appalti o di subappalti.

Coordinare e cooperare non sono certo sinonimi: coordinare significa agire per collegare razionalmente le varie fasi dell’attività che si sta svolgendo, armonizzandole tra loro, così da evitare disaccordi, sovrapposizioni, intralci, interferenze che possono accrescere i pericoli di chi opera nello stesso ambiente; cooperare allude a qualcosa in più, chiede un’attività di contributo attivo, da entrambe le parti, attività qui destinata a predisporre ed applicare le misure di prevenzione e protezione necessarie. Tuttavia, la cooperazione non deve essere intesa come un’azione di intervento in sostituzione degli obblighi prevenzionistici dell’impresa appaltatrice, ma come un reciproco impegno a controllare i rischi dovuti alle interferenze delle lavorazioni.

E’ proprio al committente che spetta il compito di promuovere tanto la cooperazione quanto il coordinamento, relativamente però ai soli rischi comuni, non potendo la sua responsabilità estendersi ai rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi (art. 7, co. 3). Un’interferenza del committente nell’esclusiva sfera di operazioni dell’appaltatore si dimostrerebbe un atto indebito e non giuridicamente giustificabile allo stato della legislazione.

Dunque, con l’emanazione dell’art. 7 del d. lgs. n. 626/94, si realizza il capovolgimento della ratio precedente: da un vero obbligo di non ingerenza del committente, determinato dal principio dell’autonomia organizzativa ed imprenditoriale di rischio dell’appaltatore, che comportava l’estraneità del committente rispetto alla tutela del personale coinvolto nell’esecuzione dell’appalto, si passa alla individuazione di veri e propri obblighi di intervento del committente, penalmente ed amministrativamente sanzionati.

Per definire con precisione l’ambito che si intende qui illustrare – la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori negli appalti – e dar conto tuttavia di quale sia il ben più ampio contesto normativo in cui tale problematica si inserisce, credo corretto segnalare che, per i lavori in appalto svolti nell’ambito del settore delicatissimo dei cantieri temporanei e mobili, di cui ci dovremo occupare, la legislazione è stata copiosa e presenta oggi un quadro dettagliatissimo, che si sviluppa intorno al d. lgs. n. 494/1996, successivamente modificato con il d. lgs. n. 528/99: tali decreti (ora assorbiti nel decreto 81/2008 – Titolo V, artt. 88 ss), hanno confermato ed ulteriormente responsabilizzato il committente, tra l’altro introducendo alcune nuove figure professionali di riferimento, quelle dei coordinatori per la sicurezza (per approfondire, vedi il saggio di Chiara Lazzari, citato nei riferimenti bibliografici).

Altra preliminare sottolineatura va fatta con riferimento agli appalti pubblici ed ai costi della sicurezza per gli stessi appalti disciplinati. Com’è accaduto per le discipline specifiche dei cantieri temporanei e mobili, alcuni principi inizialmente previsti nell’ambito dei soli appalti pubblici, sono stati poi condivisi confluendo nella disciplina generale: segnalo, ad esempio, il profilo della individuazione/selezione dell’appaltatore, a cui concorre anche la questione ad esso strumentale dei “costi della sicurezza”, su cui ci sarà modo di ritornare prima di chiudere la relazione.

Occorre altresì non dimenticare che la disciplina di riforma del mercato del lavoro, introdotta dal d. lgs. 276/2003, è intervenuta, più volte sul contratto di appalto. Relativamente alla nozione, ad esempio, l’art. 29 del d. lgs. n. 276/03, nel tentativo di distinguere tale contratto dal quello (nuovo) di somministrazione di lavoro, confermava, quali criteri distintivi e qualificatori, l’assunzione del rischio d’impresa e la valorizzazione dell’organizzazione dei mezzi necessari all’appaltatore per lo svolgimento dei lavori: tali caratteri sono ribaditi anche in merito all’appalto c.d. di servizio, quello svolto nell’ambito del ciclo produttivo di un’azienda che necessita di apporti specializzati.

Per quanto concerne il tema della responsabilità solidale negli appalti e nei subappalti tra committente ed appaltatore, l’ordinamento italiano ha fatto registrare un complesso intreccio di norme che hanno nel tempo disciplinato la questione, a partire dall’art. 1676 c.c. (tutela dei crediti degli ausiliari dell’appaltatore), cui si è aggiunto l’art. 3 della l. n. 1369 del 1960, che per gli appalti interni (salvo le eccezioni di cui al successivo art. 5 della stessa legge) assicurava ai dipendenti dell’appaltatore, in solido con l’appaltante, un trattamento economico e normativo non inferiore a quello spettante ai dipendenti dell’appaltante, da aggiungere all’adempimento solidale di tutti gli obblighi derivanti dalle leggi di previdenza ed assistenza.

L’art. 29 del d. lgs. n. 276/2003 solo parzialmente riproponeva nel suo testo originario, per i soli appalti privati (il decreto legislativo 276/03 non si applica infatti alle pubbliche amministrazioni), il contenuto del descritto art. 3, che veniva poi modificato dall’art 6 del d. lgs. (correttivo) n. 251/2004.

A ciò, si aggiungeva, solo qualche anno più tardi, con l’art. 35 (commi da 28 a 34) del d. l. n. 223/06 “c.d. decreto Bersani”, un nuovo regime di solidarietà passiva tra appaltatore e subappaltatore, regime che la legge di conversione 4 agosto 2006, n. 248, ha peraltro nuovamente modificato, subordinandone l’entrata in vigore all’emanazione di un decreto ministeriale n. 74/08, emanato soltanto pochi mesi fa - il 25 febbraio 2008 - che regola (ma dovremmo dire regolava) una complessa procedura di informazione e di scambio di documentazione (tra cui anche il famoso DURC) che attestando la regolarità fiscale e contributiva del subappaltatore o dell’appaltatore libera l’altrimenti obbligato in solido (catena di garanzia) da ogni responsabilità.

In attesa dell’emanazione del citato decreto ministeriale, il decreto Bersani, ha esteso, integrando la disposizione di cui al comma 2 dell’art. 29 del d. lgs. n. 276/03, la responsabilità solidale tra committente imprenditore o datore di lavoro anche all’effettuazione e al versamento delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente.

In materia è poi intervenuta la legge finanziaria 2007 – art. 1, co. 911 – che ha riformulato il secondo comma dell’art. 29, che in conseguenza di tale modifica recita: “In caso di appalto di opere o servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro, è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e contributivi previdenziali dovuti”.

Così rivista, la disposizione si caratterizzata per alcuni elementi sicuramente qualificanti, quali la moltiplicazione dei centri di imputazione della responsabilità patrimoniale (che si estende al committente imprenditore o datore di lavo, all’appaltatore, ai subappaltatori collocati a monte del lavoratore che presta la sua opera), l’allungamento da uno a due anni del termine di decadenza dalla cessazione dell’appalto, il riconoscimento dei benefici per i soli lavoratori dipendenti dell’appaltatore o dei subappaltatori ed infine, l’estensione del regime di responsabilità solidale al versamento delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente

L’attenzione riservata al tema della responsabilità solidale tra committente, appaltatori e subappaltatori potrebbe ingenerare una domanda sul perché ciò sia stato fatto anche in questa circostanza, visto che il tema del nostro seminario è quello di affrontare la problematica della sicurezza prevenzionale dei lavoratori impegnati negli appalti.

La domanda è sicuramente pertinente, ma la risposta intuitiva: c’è un nesso strettissimo, che non chiede di essere dimostrato, tra il rispetto della legalità contrattuale, il riconoscimento di tutti i diritti retributivi e contributivi ai lavoratori subordinati impiegati nell’appalto, e il grado di affidabilità delle imprese e dei lavoratori autonomi coinvolti nell’appalto, affidabilità che evidentemente non può non comprendere anche l’adeguatezza del sistema prevenzionale dagli stessi implementato.

Come avremo modo di giustificare meglio in seguito, l’affidabilità organizzativa delle imprese appaltatrici e dei lavoratori autonomi coinvolti dal committente nella realizzazione delle opere appaltate si configura come un concetto-chiave di tutta la disciplina dettata negli anni in materia di tutela dei lavoratori impegnati negli appalti. E’ nella stessa prospettiva che può correttamente comprendersi - ma si tratta soltanto di un esempio tra i molti richiamabili – la ratio dell’ultimo comma dell’art. 26 del d. lgs. n. 81/2008, quando dispone che il personale occupato dall’impresa appaltatrice o subappaltatrice deve essere munito di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro. Come ha chiarito lo stesso Ministero con la circolare n. 24/2007, la norma intende “consentire una più agevole identificazione del personale impiegato in contesti organizzativi caratterizzati dalla compresenza, in uno stesso luogo, di lavoratori appartenenti a diversi datori di lavoro”, permettendo “l’inequivoco ed immediato riconoscimento del lavoratore interessato”.

Tale obbligo, chiaramente finalizzato a contrastare il lavoro irregolare, era già stato introdotto con l’art. 6, comma 1, della l. n. 123 del 2007, che lo aveva a sua volta mutuato dal menzionato art. 36-bis, comma 3, della “legge Bersani” per il settore edile, vale anche per i lavoratori autonomi che esercitano direttamente la propria attività nel medesimo luogo di lavoro, o che, come afferma la citata circolare, “sono inseriti nel ciclo produttivo, ricevendo direttive in ordine alle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa dedotta in contratto”. Nel nuovo testo, tuttavia, non si ripropone quanto previsto dal comma 2 dell’art. 6 della l. n. 123 del 2007 (articolo interamente abrogato dall’art. 304, comma 1, lett. c), il quale, nel caso di datori di lavoro con meno di dieci dipendenti, prevedeva che l’obbligo relativo alla “tessera” potesse essere assolto mediante annotazione degli estremi del personale giornalmente impiegato nei lavori su apposito registro vidimato dalla Direzione provinciale del lavoro, da tenersi sul luogo di lavoro.

Purtroppo, ma il mio non è un giudizio sul merito, constato con rammarico, perché sono in grado di apprezzare quanto la certezza del diritto sia importante per gli operatori economici, che su questo specifico versante la disciplina sugli appalti non ha raggiunto un definitivo consolidamento. Il recentissimo d. legge 3 giugno 2008 n. 97 (Disposizioni urgenti in materia di monitoraggio e trasparenza dei meccanismi di allocazione della spesa pubblica), all’art. 3. comma 8, abroga sia i commi dal 29 al 34 del decreto Bersani, sia il decreto 25 febbraio 2008 n. 74. Dunque, non resta che porsi in fiduciosa attesa di futuri nuovi sviluppi, con la speranza che questi siano coerenti rispetto ai principi finora seguiti e raggiungano il definitivo consolidamento della disciplina su questo tema delicatissimo.

Per completezza, occorre ricordare che la legge finanziaria 2007 si era direttamente pronunciata anche su alcuni profili direttamente attinenti la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori impegnati negli appalti, modificando (art. 1, comma 910) l’art. 7 del d. lgs. n. 626/94, sotto due distinti profili. Per quanto concerne il primo profilo, ai sensi del nuovo art. 7, co. 1, gli obblighi di verifica e di informazione del committente vanno adempiuti non soltanto per appaltatori e lavoratori autonomi che operino all’interno della loro impresa o unità produttiva, ma anche nell’ambito dell’intero ciclo produttivo (concetto su cui avremo modo di tornare a riflettere commentando l’art. 26 del d. 81/2008); relativamente al secondo profilo, il nuovo art. 7, comma 3 bis, dispone che l’imprenditore committente risponde in solido con l’appaltatore e con ciascuno dei subappaltatori per tutti i danni per i quali il lavoratore dipendente dell’appaltatore o del subappaltatore non risulti indennizzato dall’INAIL (ad esempio, in caso di danno biologico temporaneo e differenziale, morale ed esistenziale): nella responsabilità solidale risulteranno compresi anche i danni derivanti da eventi non indennizzabili perché non protetti o riguardanti soggetti non compresi.


2. La tutela della salute e sicurezza dei lavoratori degli appalti nella legge n. 123/2007

In questo già fortemente alluvionato contesto normativo, il legislatore della legge delega n. 123 del 2007 per la stesura del c.d. TU sicurezza non ha potuto sottrarsi dal rimettere mano alla disciplina appena descritta sia nella veste di “delegante” sia in quella di “diretto riformatore”.

Nella veste di delegante, ad esempio, quel legislatore non si era limitato ad individuare un semplice criterio di delega, ma, nell’art. 1, comma 2, lett. s, aveva prescritto che la revisione della normativa in materia di appalti avvenisse mediante la previsione di particolari misure dirette a:

- migliorare l’efficacia della responsabilità solidale tra appaltante ed appaltatore e il coordinamento degli interventi di prevenzione dei rischi, con particolare riferimento ai subappalti, anche attraverso l’adozione di meccanismi che consentano di valutare l’idoneità tecnico-professionale delle imprese pubbliche e private, considerando il rispetto delle norme relative alla salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro quale elemento vincolante per la partecipazione alle gare relative agli appalti e subappalti pubblici e per l’accesso ad agevolazioni, finanziamenti e contributi a carico della finanza pubblica;

- modificare il sistema di assegnazione degli appalti pubblici al massimo ribasso, al fine di garantire che l’assegnazione non determini la diminuzione del livello di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori;

- modificare la disciplina del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, prevedendo che i costi relativi alla sicurezza debbano essere specificamente indicati nei bandi di gara e risultare congrui rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture oggetto di appalto.

Come diretto riformatore, il legislatore del 2007 è altresì intervenuto a modificare l’art. 7 del d.lgs. n. 626 del 1994, tramite l’art. 3 della l. n. 123 del 2007. La principale innovazione apportata da tale norma ha comportato la sostituzione (da parte dell’art. 3, comma 1, lett. a, della l. n. 123 del 2007) del comma 3 dell’art. 7 del d.lgs. n. 626 del 1994. Essa prevede l’obbligo in capo al datore di lavoro committente di promuovere la cooperazione ed il coordinamento di cui all’art. 7, comma 2, elaborando un unico documento di valutazione dei rischi indicante le misure adottate per eliminare le interferenze (il DUVRI), da allegare al contratto di appalto o d’opera.

Un’ulteriore modifica (apportata dall’art. 3, comma 1, lett. b, della l. n. 123 del 2007) aveva poi comportato l’aggiunta all’art. 7 del d.lgs. n. 626 del 1994 del comma 3-ter il quale ha disposto l’obbligo di indicare specificamente, nei contratti di somministrazione, di appalto e di subappalto, di cui agli artt. 1559, 1655 e 1656 del Codice civile, i costi relativi alla sicurezza del lavoro, potendo accedere a tali dati, su richiesta, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e le organizzazioni sindacali dei lavoratori.

Il tema dei costi della sicurezza era stato fatto oggetto di considerazione in un’altra norma di diretta attuazione della l. n. 123 del 2007, l’art. 8, il quale modificando l’art. 86 del codice degli appalti di cui al d.lgs. n. 163 del 2006, ha previsto che, nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori siano tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità ed alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture. In ogni caso, il costo relativo alla sicurezza non può essere soggetto a ribasso d’asta.

Alla luce di quanto detto, per provare a fare il punto sulla legislazione precedente al decreto 81/2008, si può sicuramente partire dalla constatazione che il committente è diventata la figura di riferimento nell’ambito delle posizioni di garanzia rispetto a tutto ciò che può accadere in costanza di un contratto di appalto, alla stregua di quanto già previsto in materia di cantieri edili col decreto lgs. n. 494/1996 e col successivo d.p.r. 222/2003, in tema di interferenze tra le lavorazioni e a quello dei costi della sicurezza.

Per quanto concerne la sicurezza negli appalti, la legge delega non fa che consolidare gli effetti della convulsa successione di interventi legislativi che hanno negli anni riformulato più volte l’originario dettato dell’art. 7 del d. lgs. n. 626/94, nell’ottica di imporre un intervento sempre più proattivo del committente datore di lavoro, considerato il soggetto-chiave per accrescere le condizioni di protezione e di sicurezza e salute dei lavoratori comunque impiegati negli appalti.

3. La tutela della salute e sicurezza negli appalti nel d. lgs. n. 81/2008

Come ha operato il legislatore delegato? Si è mosso coerentemente con i criteri di delega? Ha fatto propri i migliori esiti dell’evoluzione normativa precedente?

Per dare risposta a queste domande occorre analizzare con attenzione, ovviamente recuperando alcuni concetti già espressi, l’art. 26 del d. lgs. 81/2008, nel quale viene rifusa la disciplina in materia di appalti. Segnalo ai volenterosi, un bellissimo lavoro di analisi sistematica compiuta dal prof. Paolo Pascucci sul titolo primo del decreto legislativo 81/2008 che è pubblicato da qualche giorno in Olympus, da cui ho tratto non pochi spunti per le cose che andrò ad illustrarvi. Sono sicuro che la lettura del lavoro del prof. Pascucci potrà esservi davvero utile per approfondire, in una dimensione complessiva, le notazioni che più potremo soltanto richiamare.

Vorrei aprire questa parte della relazione anticipandovi un giudizio che cercherò di motivare nel corso dell’intervento: a mio avviso, l’art. 26, conferma sostanzialmente, nei commi da 1 a 5, l’impianto normativo dell’art. 7 del d. lgs. 626/94, come modificatosi negli anni attraverso i ripetuti interventi normativi che ho cercato di richiamare alla vostra memoria, fatta salva qualche aggiunta dettata dall’intento di migliorare le precedenti prescrizioni. Iniziamo a verificare se tale giudizio è fondato.


3.1. Sull’ambito di applicazione dell’art. 26. La nozione di ciclo produttivo

Il primo profilo dell’art. 26 del d. lgs. n. 81/2008 su cui vorrei soffermarmi insieme a voi riguarda l’ambito di applicazione della disciplina che, partendo proprio dall’incipit del primo comma dell’art. 26, fa riferimento a tutti quei casi in cui il committente affida lavori all'impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all'interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, “nonché nell'ambito dell'intero ciclo produttivo dell'azienda medesima”.

L’aspetto giuridicamente più qualificante della normativa appena citata è il valore da assegnare ai termini nonché” e “ciclo produttivo.

Per quanto riguarda il termine “nonchéci si chiede infatti se debba essere interpretato come aggiuntivo di un ulteriore requisito (che avrebbe come conseguenza quella di limitare l’ambito di applicazione della disciplina), o piuttosto come aggiuntivo di una ulteriore fattispecie (nel senso di “o comunque”): se così è, ai fini dell’applicazione della norma risulterebbe rilevante non soltanto la contestualità o la contiguità spaziale e temporale delle attività degli appaltatori, ma anche la semplice inerenza sul piano organizzativo della loro attività al ciclo produttivo del committente [2].

Visto che non siamo qui oggi a ragionare sui profili di liceità/legittimità o meno delle scelte organizzative che frammentano i processi produttivi, ciò a cui dobbiamo dare risposta è soltanto se anche a tali fenomeni possa applicarsi la disciplina contenuta nell’art. 26 del d. 81/2008.

Una forte indicazione interpretativa ci viene offerta dall’analisi delle direttive comunitarie di cui il d. lgs. n. 81/2008 è normativa nazionale di attuazione. La dir. quadro n. 391/89 CE, ad esempio, utilizza ripetutamente il riferimento ai concetti di “impresa e/o stabilimento” e là dove tratta (artt. 10, punto 2, e 12 punto 2) dei lavoratori delle imprese e/o stabilimenti esterni, i quali intervengono nella sua impresa o nel suo stabilimento, questi due termini vengono legati da una “o” disgiuntiva.

Ora, mentre la nozione di stabilimento implica una collocazione spaziale ben precisa e definita, la nozione di impresa, al contrario, ne prescinde, identificandosi piuttosto con un concetto che richiama una condizione prevalentemente organizzativa, quello stesso concetto che è fatto proprio nella nuova definizione di datore di lavoro di cui all’art. 2 del decreto 81/2008 [3], in piena coerenza anche con la definizione di imprenditore di cui all’art. 2082 cod. civ.

Stabilimento e/o impresa, sono dunque concetti diversi e considerati disgiuntamente. La conseguenza interpretativa che se ne può ricavare è che l’applicazione dell’art. 26 sia da estendersi a tutte le attività lavorative inerenti l’appalto come di fatto organizzato, a prescindere da un’identificazione spaziale del luogo dove l’attività viene materialmente svolta; il nonché si deve interpretare come “o comunque”, risultando a tal fine sufficiente ai fini dell’applicazione della direttiva l’esistenza di un nesso meramente organizzativo delle attività eseguite in appalto al ciclo produttivo del committente. Una scelta chiara con cui si vogliono imporre gli obblighi di sicurezza secondo criteri sostanziali e di effettività in capo ai soggetti che sono responsabili delle scelte che incidono sui rischi dell’intero processo produttivo.

Sulla nozione di ciclo produttivo, mi limiterei a dire che l’unico criterio tecnico ed economico che potremmo utilizzare per interpretarne la rilevanza è quello dell’organizzazione della produzione del risultato finale che il committente mette sul mercato. Ogni qual volta il committente non si limiti ad acquistare sul mercato da liberi produttori servizi, semilavorati, componentistica ecc. da utilizzare nella sua attività, ma procede con contratti con i quali impone una produzione specifica e su propria scelta tecnica per la sua impresa, si deve considerare applicabile interamente l’art. 26.

Il d. lgs. n. 81/2008 conferma la scelta fatta con la novella operata con la legge finanziaria (l. n. 296/2006, art. 1, comma 910): da allora, l’ambito di applicazione della disciplina in commento non risulta più indicato da un mero criterio topografico – lavori all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva – ma dalla combinazione con un nuovo un nuovo criterio funzionale, ovvero dei lavori rientranti nel ciclo produttivo dell’azienda, attuando una estensione agli appalti extraziendali, che tuttavia rivestano (vedi la circolare ministeriale) carattere essenziale ai fini della realizzazione del ciclo produttivo aziendale e purché gli stessi si svolgano in ambienti che rientrano nella disponibilità fisica del committente, sui quali egli possa svolgere gli adempimenti che la legge gli richiede.

Ciò, ovviamente, senza vanificare gli effetti della novella, riportando tutto ad una dimensione marcatamente topografica. Si tratta, in sostanza, di riuscire ad apprezzare il grado di autonoma determinazione concretamente esercitato dal committente, autonomia che può servire anche ad enucleare i rischi specifici dell’attività dell’appaltatore o del subappaltatore, quelli che competono cioè ai singoli appaltatori ad ai subappaltatori, su cui non può richiamarsi in alcun modo l’azione di garanzia del committente-datore di lavoro. E’ rischio specifico tutto quello che è gestito autonomamente, mentre non è specifico ogni rischio connesso a scelte tecniche e organizzative imposte dal committente[4]


3.2. La verifica dell’idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici e dei lavoratori autonomi. Cenni

Definito il campo di applicazione, il primo comma, lett. a) dell’art 26 del decreto lgs. n. 81/08, recuperando sostanzialmente quanto previsto dall’art. 7 del d. lgs. n. 626/94 (come modificato ed integrato dall’art. 3 della l. n. 123 del 2007), prevede che il datore di lavoro committente verifichi, con le modalità previste dal decreto di cui all’art. 6, comma 8, lett. g – non più con valutazione esclusivamente discrezionale - l’idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare – con qualsiasi contratto, in appalto o mediante contratto d’opera o di somministrazione, disponendo, inoltre, che lo stesso datore fornisca ai medesimi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività (lett. b).

Il decreto cui fa riferimento la norma è un DPR che dovrà essere emanato, una volta acquisito il parere della Conferenza Stato-Regioni, entro 12 mesi dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 81 del 2008; esso sarà finalizzato a disciplinare il sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi di cui all’art. 27 in base ai criteri definiti dalla Commissione consultiva permanente.

La Commissione consultiva permanente, anche tenendo conto delle indicazioni provenienti da organismi paritetici, infatti, è chiamata ad individuare settori e criteri finalizzati alla definizione di un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, con riferimento alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, fondato sulla base della specifica esperienza, competenza e conoscenza, acquisite anche attraverso percorsi formativi mirati.

Sul punto, merita segnalare quanto dispone il secondo comma dell’art. 27: il possesso dei requisiti per ottenere la qualificazione costituisce elemento vincolante per la partecipazione alle gare relative agli appalti e subappalti pubblici e per l'accesso ad agevolazioni, finanziamenti e contributi a carico della finanza pubblica, sempre se correlati ai medesimi appalti o subappalti.

Si tratta di una norma dalla portata potenzialmente molto significativa assai rilevante rispetto alla tematica che va considerate come assolutamente centrale della “selezione dell’appaltatore” da parte degli Enti pubblici; l’applicazione di tale norma, infatti, potrebbe determinare una vera e propria rivoluzione nel sistema di imprese che si relazione con le pubbliche amministrazioni, e per questa va ben vigilata perché sia portata a compimento con determinazione e rigore, per evitare che non si risolva nella imposizione di un nuovo sterile burocratismo.

Fino alla emanazione del predetto decreto (12 mesi, salvo proroghe), la verifica dell’idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi dovrà essere eseguita mediante l’acquisizione del certificato di iscrizione alla Camera di commercio, industria e artigianato, ovvero dell’autocertificazione dell’impresa appaltatrice o dei lavoratori autonomi del possesso dei requisiti di idoneità tecnico professionale, ai sensi dell’art. 47 del d.P.R. n. 445 del 2000.


3.3. La redazione e l’allegazione del DUVRI

Facendo in gran parte tesoro di quanto previsto dall’art. 7 del d.lgs. n. 626 del 1994 come recentemente modificato, il comma 2 dell’art. 26, dispone che i datori di lavoro, ivi compresi i subappaltatori, cooperino all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto e coordinino gli interventi di prevenzione e protezione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva.

Il successivo comma 3 conferma altresì che spetta al datore di lavoro committente promuovere la richiamata cooperazione ed il ribadito coordinamento elaborando un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare i rischi da interferenze, ovvero – e questa è una novità – per ridurli al minimo qualora la loro eliminazione non sia possibile. Si tratta di un documento necessariamente dinamico: anche se non è esplicitamente previsto alcun obbligo in tal senso, la valutazione effettuata prima dell’inizio dei lavori va aggiornata in caso di situazioni modificate, ad esempio per un nuovo subappalto o fornitura e posa in opera, o per affidamenti a lavoratori autonomi, o in seguito a modifiche tecniche, logistiche ed organizzative che dovessero essersi rese necessarie in fase si esecuzione dell’opera.

Il documento di valutazione dei rischi interferenziali (DUVRI) non va confuso, in quanto documento distinto, con quello “generale” di valutazione dei rischi (DVR) e riguarda soltanto i rischi da interferenza tra le attività dell’appaltante e dell’appaltatore. Come ha precisato la circolare n. 24/2007 del Ministero del lavoro, il DUVRI va redatto solo nei casi in cui esistano interferenze, né deve riportare i rischi propri dell’attività delle singole imprese, per i quali resta immutato l’obbligo di redigere il DVR. Peraltro, se si tratta di appalti rientranti nel campo di applicazione degli artt. 88 e ss. del d. lgs. n. 81/2008 (ovvero, dell’ex decreto cantieri), per i quali è previsto l’obbligo di redigere il Piano di sicurezza e di coordinamento, non è necessaria la redazione del DUVRI, dato che l’analisi dei rischi interferenti e la stima dei costi sono già contenuti nel citato piano, come ha chiarito la Determinazione dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti pubblici di lavori, servizi e forniture del 5 marzo 2008 n. 3 (Sicurezza nell’esecuzione degli appalti relativi a servizi e forniture. Predisposizione del documento unico di valutazione dei rischi (DUVRI) e determinazione dei costi della sicurezza).

L’obbligo di elaborazione del DUVRI è delegabile, ex art. art. 18, comma 1, lett. p. E’ parsa ai primi commentatori discutibile la decisione del d. lgs. 81/08 sia di confermare che il DUVRI deve essere allegato al contratto di appalto o di opera, sia di prevedere che ai contratti stipulati anteriormente al 25 agosto 2007 ed ancora in corso alla data del 31 dicembre 2008 (se non più in corso, l’obbligo sembra dunque non sussistere), il documento deve essere allegato solo entro tale ultima data (appunto, il 31 dicembre 2008): i rischi da interferenze esistono in quanto tali e non pare giustificabile una protezione attenuata in ragione della data di stipulazione del contratto di appalto.

Peraltro, nel caso poi si arrivasse a ritenere che il differimento dell’allegazione del DUVRI ai contratti comprende anche il differimento della sua stessa elaborazione, non si potrebbe escludere l’ipotesi di una illegittimità costituzionale di tale previsione, ex art. 76 Cost., in quanto realizzerebbe un abbassamento dei livelli di protezione rispetto alla disciplina pregressa (la redazione del DUVRI era stato prevista già nella legge 123/07), che la norma delegante (art. 1, comma 3) non consente.

Ad onor del vero, si era sostenuto che l’obbligo di elaborare ed allegare il DUVRI ricorresse soltanto per i contratti di appalto o di opera stipulati o rinnovati dopo l’entrata in vigore della l. n. 123 del 2007 in quanto, essendo l’art. 7, comma 3, del d.lgs. n. 626 del 1994 presidiato da una sanzione penale, il principio di irretroattività della legge penale di cui all’art. 25 c.p. non avrebbe consentito di estendere l’obbligo a contratti già stipulati prima della sua previsione. Ma la tesi non convince. Il principio di irretroattività della legge penale potrebbe impedire soltanto che un datore di lavoro venga assoggettato a sanzione penale per non aver elaborato ed allegato il DUVRI prima della data di entrata in vigore del relativo obbligo, ma non impedire di punire chi, dopo tale data, non ha provveduto ad elaborare il documento e ad allegarlo al contratto precedentemente stipulato.

3.4. Ancora sulla responsabilità solidale tra appaltante ed appaltatore

All’invito contenuto nel criterio di delega relativo al miglioramento dell’efficacia della responsabilità solidale tra appaltante ed appaltatore, l’art. 26, comma 4, risponde ribadendo quanto era già stato previsto in ordine alla solidarietà tra l’imprenditore committente, l’appaltatore e ciascuno degli eventuali subappaltatori per tutti i danni per i quali il lavoratore, dipendente dall’appaltatore o dal subappaltatore, non risulti indennizzato ad opera dell’INAIL. Cosa sia da intendersi per “danni non indennizzabili dall’Inail” non è facile da dirsi: il legislatore potrebbe riferirsi ai danni estranei all’obbligo assicurativo e per ciò gravanti esclusivamente sul datore di lavoro (danno biologico differenziale, danno morale e danno esistenziale) o più in generale a tutti i danni c.d. differenziali, vale a dire i danni eccedenti la rendita Inail, e dunque con coperti, oppure ai danni da “rischio elettivo” per i quali non si configura il rapporto di causalità tra lavoro ed infortunio necessario a garantire la copertura assicurativa (dunque non indennizzabili).Un intervento chiarificatore è dunque auspicato.

Rispetto alla disciplina precedente, il “miglioramento” richiesto dalla l. n. 123/07 consiste “soltanto” nella estensione del predetto meccanismo solidaristico ai lavoratori marittimi (facendosi ora riferimento anche all’ipotesi in cui il lavoratore non risulti indennizzato dall’IPSEMA), nella salvezza delle disposizioni vigenti in materia di responsabilità solidale per il mancato pagamento delle retribuzioni e dei contributi previdenziali e assicurativi, e nella non applicazione del meccanismo della solidarietà ai danni conseguenti ai rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.

Continua invece a mancare una indicazione esplicita su quale sia il livello insuperabile di protezione da assicurare ai lavoratori dell’appaltatore, livello che non dovrebbe essere inferiore a quello assicurato ai dipendenti del datore di lavoro committente, secondo un principio di parità di trattamento assai caro al diritto comunitario che con queste norme si intende attuare.

Quanto alla natura della predetta responsabilità solidale, basta rilevare che si tratta di responsabilità extracontrattuale ed oggettivache prescinde dall’accertamento della imputabilità dell’inadempimento che ha dato luogo all’infortunio (ma che sarà rilevante nei rapporti interni tra appaltante e appaltatore per l’eventuale azione di regresso).

Lo schema è sostanzialmente quello dell’art. 2049 cod. civ., di cui la norma condivide la struttura, unitamente a tutte le altre ipotesi di responsabilità extracontrattuale oggettiva, per le quali il criterio di imputazione del rischio va al soggetto che si avvantaggia della situazione di fatto oggetto della fattispecie.

3.5. Oltre il contratto di appalto. Ovvero, l’applicazione dell’art. 26 anche agli altri contratti “ad effetto equivalente”. Sui costi della sicurezza.

Anche se il comma 4 dell’art. 26 del d. lgs. n. 81/2008 menziona soltanto il contratto di appalto, non si dovrebbe ragionevolmente dubitare che la norma sia applicabile anche ai contratti i somministrazione e a tutti gli altri possibili contratti “ad effetto equivalente”: è vero che l’incipit del comma 1 non li menziona, ma poi sia alla lett. a) sia alla lett. b) li si cita nel momento in cui descrive il contenuto degli obblighi del committente.

Del resto, ritenere che il comma 4 si applichi soltanto all’appalto vorrebbe dire gravare il lavoratore, per tutti gli altri contratti con lo stesso scopo e risultato, della ripartizione del rischio fra committente e impresa che ha in affidamento i lavori, sottoporre a un diverso regime probatorio (prova della colpa) questi contratti ed escludere solo per questi contratti la responsabilità del committente quando non vi sia o non si raggiunga la prova di una sua responsabilità rispetto all’adempimento degli obblighi congiunti, ma non si vede per quale ragione.

A tutte le tipologie contrattuali ad effetto equivalente fa invece esplicito riferimento il comma quinto. Si tratta dei contratti di somministrazione (esclusa quella di beni e servizi essenziali, art. 1559 c.c. ), appalto (art. 1655 c.c.) e subappalto (1656), ai quali viene ad aggiungersi ora aggiunta la prestazione continuativa o periodica di servizi (art. 1667 c.c.).

La norma prevede altresì che sia specificamente data indicazione dei costi relativi alla sicurezza del lavoro, con particolare riferimento a quelli propri connessi allo specifico appalto: la predetta specificazione va fatta nei singoli contratti di subappalto, di appalto e di somministrazione, anche se già in essere al momento della entrata in vigore del decreto legislativo. Tuttavia, il comma 5, secondo periodo, con riferimento ai contratti stipulati prima del 25 agosto 2007, dispone che i costi della sicurezza del lavoro siano indicati entro il 31 dicembre 2008, qualora gli stessi contratti siano ancora in corso a tale data, altrimenti l’obbligo non deve essere soddisfatto.

Si è recentemente posto il problema se il riferimento del d.lgs. n. 81 del 2008 non solo al contratto di appalto, ma anche a quello di somministrazione possa integrare un eccesso di delega dato che l’art. 1, comma 2, lett. s, della l. n. 123 del 2007 richiama esclusivamente gli appalti. La risposta negativa è stata motivata in base al fatto che la delega comprende l’attuazione della direttiva 89/391/CEE, la quale, “avendo come destinatari ordinamenti giuridici diversi, non può essere interpretata nel senso di una delimitazione al contratto di appalto”, ma esprime un concetto sostanziale – qual è l’affidamento ad altre imprese di segmenti del ciclo produttivo del committente – che prescinde dalle tipologie negoziali presenti nei vari ordinamenti. Sulla scorta di ciò si è poi sostenuto che i riferimenti contenuti nell’art. 26 non possono essere considerati tassativi, sotto il profilo civile – non certo per quanto riguarda le conseguenze penalistiche sanzionatorie di cui all’art. 55 del d.lgs. n. 81 del 2008, stante il doveroso rispetto dei principi generali di legalità e tassatività in materia penale - dovendosi applicare la norma a qualsiasi contratto anche atipico che realizzi lo scopo di quelli esplicitamente nominati.

Tranne per l’esplicito riferimento ai contratti di somministrazione, il d. lgs. 81/2008 ribadisce le prescrizioni in tema di costi della sicurezza introdotte nel 2007, fatta eccezione per la mancata menzione della salvezza delle disposizioni in materia di sicurezza e salute del lavoro previste dalla disciplina vigente degli appalti pubblici che compariva nell’art. 7, comma 3-ter, aggiunto dall’art. 3 della l. n. 123/07.

A ben guardare, siamo di fronte ad una ipotesi di integrazione legale del contenuto dei contratti ex art. 1374 c.c. che, se non osservata, rileva sulla loro validità, ex art. 1418 c.c.. Pur condividendo le perplessità in merito all’efficacia della sanzione della nullità quando si tratta di contratti ad esecuzione continuata, va tuttavia riconosciuto come la sanzione civilistica costituisce l’unico presidio dell’obbligo di indicazione dei costi per la sicurezza, posto che il legislatore non ha previsto sanzioni penali per la violazione del predetto obbligo.

Ad alcuni commentatori, la previsione del d. lgs. n. 81/2008, è parsa più precisa ed analitica, facendo pensare che i costi della sicurezza da indicare siano quelli relativi alle misure di cooperazione e di coordinamento connesse all’elaborazione del DUVRI, finalizzate ad eliminare o ridurre i rischi da interferenze lavorative determinate dall’esecuzione delle opere e dei servizi dedotti in contratto. La tesi non appare convincente, anche per la portata “riduttiva” della disposizione di legge che determinerebbe, visto che il legislatore fa un riferimento generico, quasi omnicomprensivo, ai costi della sicurezza, chiedendo che siano “in particolare” – dunque, “non esclusivamente” quelli connessi allo specifico appalto; peraltro, sarebbe ancora riduttivo ed arbitrario interpretare la nozione di “costi connessi all’appalto” come comprensiva dei soli costi interferenziali.

Ai dati relativi ai costi possono accedere, su richiesta, il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e gli organismi locali delle organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale. Purtroppo, la norma non chiarisce quale sia l’RLS legittimato a richiedere i dati. Un’indiretta indicazione potrebbe essere fornita dalla previsione contenuta nell’art. 50, comma 5, del d. lgs. n. 81/2008, che riconosce sia al RLS del datore di lavoro committente sia a quelli e delle imprese appaltatrici il diritto di ricevere, su loro richiesta e per l’espletamento della loro funzione, copia del DUVRI. Essendo l’eventuale violazione del diritto di accesso ai dati sui costi per la sicurezza non sanzionata, l’interpretazione analogica non sembra qui preclusa.

3.6. La controversa individuazione dei c.d. “costi della sicurezza”. La disciplina in materia di appalti pubblici.

Per quanto concerne l’indicazione di quali i costi per la sicurezza, il comma 5 dell’art. 26 non fornisce alcun criterio oggettivo di accertamento e di calcolo, né da direttive sul valore degli investimenti minimi da inserire nei bandi”, o sul tipo di controllo pubblico da esercitare per verificare la congruità delle previsioni di spesa.

Sui costi della sicurezza, credo sia necessario soffermarsi un po’ più a lungo. Sono infatti convinto della centralità che la rilevazione dei costi della sicurezza assume nell’ambito della disciplina degli appalti, non esclusivamente di quelli pubblici, su cui peraltro ho avuto occasione di interessarmi per la preparazione di un intervento che ho tenuto presso il CNR lo scorso anno. Il testo della relazione è pubblicato su Olympus, e vi faccio esplicitamente rinvio per l’illustrazione approfondita di tutti gli aspetti che qui non potranno essere affrontati per ragioni di tempo.

A mio avviso, i costi della sicurezza assumono la funzione essenziale di “misura strumentale” a verificare l’idoneità dell’appaltatore (ma anche del lavoratore autonomo), non soltanto, almeno per quello che qui ci riguarda, a fornire il servizio o l’opera richiesta, bensì “a gestire, nel contesto specifico dell’appalto, un adeguato sistema di sicurezza”, come richiedeva espressamente la legge delega n. 123/07 (art. 1, co. 2, lett. s), punto 1), quando imponeva al legislatore delegato di adottare meccanismi che consentano di valutare l’idoneità tecnico-professionale delle imprese pubbliche e private, e di considerare il rispetto delle norme relative alla salute e sicurezza dei lavoratori come elemento vincolante per partecipare alle gare per gli appalti pubblici e per l’accesso a finanziamenti e contributi a carico della finanza pubblica.

Se correttamente intesa, la disposizione sui costi della sicurezza può inoltre consentire l’esercizio di un efficace controllo giudiziario dell’adempimento dell’obbligo generale di cui al comma 1 lett. a) dell’art. 26 qui in commento, perché non si tratta solo di formare un piano di sicurezza e di valutazione del rischio, ma piuttosto di dare specifica indicazione di tutti i rischi connessi all’esecuzione del singolo contratto e dei costi per l’adozione delle necessarie misure di sicurezza. L’assenza o la genericità di questi dati potrebbe e dovrebbe essere già di per se stessa considerata inadempimento nell’obbligo della “buona scelta” dell’appaltatore da parte del committente, con l’eventuale conseguenza di non poter più invocare, quale esimente, la specificità del rischio rispetto alla attività dell’appaltatore al fine di sottrarsi dalla responsabilità solidale.

Ciò premesso, va ricordato come il tema dei costi per la sicurezza viene ulteriormente affrontato anche nei commi sesto e settimo dell’art. 26, relativamente agli appalti pubblici.

Il comma 6 dell’art. 26, riproducendo il comma 3 bis dell’art. 86 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (il cd. Codice degli Appalti pubblici), già introdotto dall’art. 8 della legge n. 123/07. dispone che nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell'anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori (le stazioni appaltanti) sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all'entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture.

Ai fini del presente comma, si afferma altresì, per quanto riguarda il costo del lavoro, che esso è determinato periodicamente, in apposite tabelle, dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva stipulata dai sindacati comparativamente più rappresentativi, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali. In mancanza di contratto collettivo applicabile, il costo del lavoro è determinato in relazione al contratto collettivo del settore merceologico più vicino a quello preso in considerazione.

Sulla individuazione di quali siano i costi della sicurezza, la norma analogamente al comma precedente, drammaticamente tace.

Cosa può e deve fare il giurista in questi casi? Mettersi a cercare norme e disposizioni che possano aiutarlo a dare contenuto alla nozione da interpretare, prestando grande prudenza ed attenzione al contesto in cui l’eventuale norma trovata è collocata ed alle finalità che persegue, ovvero alle sue rationes, come si direbbe in dottrina.

Così, si scopre che di costi della sicurezza dei lavoratori, o meglio di costi, spese e oneri, in base alle diverse formule utilizzate dal legislatore, già si era trattato, ad esempio, nell’art. 12 del d. lgs n. 494/96 (decreto cantieri).

Costi della sicurezza sono anche gli oneri indicati all’art. 31 della l. n. 109/94 (oggi art. 131, d. lgs. 163/06, codice appalti), cui è stata data attuazione (unitamente alla delega ex art. 22 d. lgs. 528/99) con l’emanazione del d.p.r. 222/03 in tema di redazione dei Piani di sicurezza nei cantieri temporanei o mobili, i quali, in particolare, devono contenere la stima dei costi della sicurezza da operarsi nel rispetto di quanto specificamente disposto – come contenuto minino – nell’art. 7, rubricato “Stima dei costi della sicurezza”. In merito al d.p.r. 222/03, peraltro, va rimarcato che, esso si estende sia ai lavori privati, sia ai lavori pubblici e che esso rappresenta un livello minimo inderogabile di regolamentazione, applicabile a qualunque tipologia lavorativa, e cioè sia all’opera pubblica complessa al modesto intervento di manutenzione, ovviamente sempre nel rispetto dei criteri di ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza.

Nonostante l’articolazione ed il dettaglio delle sue disposizioni, la disciplina dettata dal d.p.r. n. 222/03 non è comunque stata in grado di comporre la lunga querelle interpretativa ed applicativa che ne aveva consigliato l’emanazione. Ne è la riprova il fatto che proprio per aiutare i soggetti, pubblici e privati, impegnati nel settore delle costruzioni, al rispetto delle norme descritte, il Coordinamento tecnico delle Regioni e delle Province autonome della Prevenzione nei luoghi di lavoro della Commissione Salute e il Gruppo di lavoro “Sicurezza Appalti Pubblici” di ITACA, entrambi organi di coordinamento della Conferenza delle Regioni, hanno stilato fondamentali Linee guida applicative per i lavori pubblici (Roma, 1° marzo 2006), cui si aggiungono, alcune recentissime, risalenti a poco più di un mese fa. Intendo riferirmi alle “Linee guida per la stima dei costi della sicurezza nei contratti pubblici di forniture o servizi” formulate dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome il 20 marzo 2008.

Secondo questo atto di indirizzo, che tiene conto delle modifiche introdotte dalla legge n. 123/07, i costi della sicurezza cui farebbe riferimento la norma sono quelli relativi alle misure preventive e protettive necessarie ad eliminare, o comunque a ridurre, i rischi interferenziali individuati dal DUVRI: la stima dei costi dovrà essere congrua, analitica per singole voci, a corpo o a misura (non a percentuale) e riferita a prezzi standard.

Le citate “Linee guida” meritano sicura considerazione perché operano una trattazione molto attenta, seppur non sempre convincente negli esiti cui si perviene, anche in merito alla stima dei costi della sicurezza, sia per quanto concerne le voci da considerare rientranti nel concetto di costi della sicurezza (e come tali direttamente escluse dal ribasso d’asta), sia a proposito del metodo più corretto da adottare per la loro stima.

Non posso qui illustrarvi la complessa e non sempre convergente attività interpretava che le fonti cognitive citate hanno generato, tra cui anche alcune importanti determinazioni dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori servizi e forniture. Di certo, il legislatore del decreto lgs. n. 81/08 ha mancato di intervenire con una scelta limpida e chiara. E non saprei dirvi se su una “lacuna” di tal genere potrà essere sanata ricorrendo ai decreti correttivi. Peraltro, non pare trarsi nessun giovamento, almeno per quanto riguarda un ulteriore possibile chiarimento interpretativo, richiamare l’art. 100 del d. lgs. n. 81/2008 e il relativo allegato, che affrontano la questione dei costi della sicurezza nell’ambito specifico della cantieristica.

A me pare, in punto di stretto diritto, allo stato delle fonti esistenti, di poter ribadire che la ratio del sesto comma dell’art. 26 è, da un lato, quella di obbligare le imprese concorrenti ad indicare specificamente nell’ambito del valore economico dell’offerta l’incidenza di tutti i costi relativi alla sicurezza dalle stesse imprese complessivamente sostenuto (e relativi, in particolare, all’esecuzione dell’appalto), e dall’altro lato, quella di costringere le Stazioni appaltanti a valutarne la congruità, rispetto, all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi e delle forniture appaltate.

Conoscere l’incidenza dei costi della sicurezza rispetto al valore dell’appalto dovrebbe consentire alla Stazione appaltante di poter apprezzare con maggiore obiettività e trasparenza che l’entità economica complessiva dell’offerta presentata non comprometta la sostenibilità di tutti gli investimenti in sicurezza che sono comunque necessari all’assolvimento degli adempimenti che l’impresa è tenuta comunque effettuare, non soltanto quelli derivanti dal contratto, ma anche quelli posti ex lege a tutela dei propri lavoratori.

Il ruolo assunto dalla Stazione appaltante, chiamata qui a selezionare l’appaltatore secondo i migliori principi di tutela prevenzionistica dei lavoratori impegnati nella realizzazione dei contratti, ben si colloca coerentemente come risultato dell’evoluzione che ha subito l’istituto dell’appalto nel nostro ordinamento per quanto concerne il profilo della salute e sicurezza dei lavoratori dell’appaltatore. Si è infatti passati da un divieto assoluto di ingerenza e dall’obbligo di astensione dell’appaltante rispetto alla piena autonomia strutturale ed organizzativa dell’appaltatore, al modello delineato dall’art. 7 del d. lgs. n. 626, che ha imposto una sinergica collaborazione partecipata (informazione, cooperazione, coordinamento) tra i due protagonisti, tale da consentire di conseguire un risultato decisamente positivo in termini di salvaguardia della salute dei lavoratori impiegati.

Se quanto sostenuto risponde al vero, non può più dubitarsi che, già la legge l. n. 123/07, ma anche il comma 6 dell’art. 26 del decreto 81/2008, individuino nei costi relativi per la sicurezza e nella valutazione della loro congruità rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi e delle forniture, uno strumento fondamentale di accertamento del grado di qualificazione professionale e di affidabilità delle imprese, indicatore sintomatico, seppur indiretto, del livello di tutela delle condizioni di lavoro e di sicurezza assicurate ai lavoratori coinvolti dall’esecuzione del contratto.

Sull’efficacia e sull’affidabilità di un tale meccanismo potrà positivamente incidere il comportamento attivo delle Regioni, alla stregua di quanto fatto recentemente dalla Regione Toscana con l’emanazione della legge n. 38 del 13 luglio 2007 o dalla Regione Campania con l’approvazione della l. n. 3/07 della Regione Campania. Entrambe le discipline, infatti, prestano particolare attenzione ai costi della sicurezza negli appalti pubblici, alla lotta contro il lavoro nero e a particolari garanzie per la tutela della salute dei lavoratori che devono essere previste e cristallizzate già nei bandi di gara e nei capitolati speciali di appalto.

Che il ruolo che può essere svolto dalla legislazione regionale sul tema dei costi per la sicurezza sia assolutamente fondamentale lo riconosce lo stesso art. 1, co. 2, del d.p.r. n. 222/03, là dove si definisce la c.d. “clausola di cedevolezza” delle disposizioni nello stesso contenute: essa ribadisce infatti come le disposizioni del regolamento possano applicarsi nelle regioni e province autonome fino alla data di entrata in vigore della normativa dalle stesse emanata, nel rispetto dei principi fondamentali posti in materia dalla legislazione dello Stato.

Il fatto che la l. n. 38/07 sia stata portata avanti la Corte costituzionale su ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri del 20 settembre 2007, n. 39, per violazione del riparto delle competenze, non inficia il valore assegnato all’iniziativa lodevole delle Regioni: si tratta soltanto di uno dei tanti esempi delle enormi difficoltà che ancora comporta, nonostante sia stata varata da non pochi anni, l’applicazione della riforma costituzionale del Titolo V.


Allegato

Scheda sul regime sanzionatorio del decreto legislativo n. 81/08 in materia di appalti


1. Per datori di lavoro e dirigenti

a) Arresto da 2 a 4 mesi o ammenda da 800 a 3000 euro (art. 55, co. 4, lett. a)

- ART. 18, co. 1, lett. p.

Per non aver elaborato il documento di valutazione dei rischi da interferenze di cui all’art. 26, co. 3

Per non aver consegnato, su loro richiesta, per l’espletamento della loro funzione, copia del documento di valutazione ai RLS


b) arresto da 3 a 6 mesi o ammenda da 2.000 a 5.000 euro (art. 55, co. 4 lett. b)

Art. 26, co. 1, lett. b)

Per non aver fornito alle imprese appaltatrici o ai lavoratori autonomi dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività

c) arresto da 4 a 8 mesi o ammenda da 1.500 a 6.00 euro (55, co. 4, lett.d)

- per non aver verificato, con le modalità previste dall’art. 6, comma 8, lett. g), l’idoneità tecnico-professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare in appalto o mediante contratto d’opera o di somministrazione o, fino alla emanazione del decreto previsto, attraverso le seguenti modalità:

  • acquisizione del certificato di iscrizione alla camera di commercio

  • acquisizione dell’autocertificazione dell’impresa appaltatrice o dei lavoratori autonomi del possesso dei requisiti di idoneità tecnico-professionale, ai sensi dell’art. 47 del dpr n. 445/2000

- per non aver fornito agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività


Art. 26, co. 2, lett. a) e b)

(insieme a subappaltori), nell’affidare i compiti ai lavoratori:

  • per non aver cooperato all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto;

  • per non aver coordinato gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare i rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva

  1. sanzione amministrativa pecuniaria da 2.500 a 10,000 euro (art. 55, co. 4, lett. h)

art. 18, co. 1, lett. u)

  • per non aver munito i lavoratori di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro

art. 29, co. 4

  • per non aver custodito presso l’unità produttiva alla quale si riferisce il documento di valutazione relativo ai rischi da interferenze di cui all’art. 26, co. 3

  1. sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 500 euro per ciascun lavoratore (art. 55, co. 4, lett.n)

  • per non aver munito il proprio personale di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia contenente le generalità del lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro

 

2) Per i lavoratori

  1. sanzione amministrativa pecuniaria da 50 a 300 euro (art. 59, co. 1, lett. b)

(anche per i lavoratori autonomi che esercitano direttamente la propria attività nel medesimo luogo di lavoro, che sono tenuti a provvedervi per proprio conto)

  • per non aver esposto l’apposita tessera di riconoscimento, corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro.

3. Per i componenti dell’impresa familiare (230-bis c.c., per i lavoratori autonomi che compiono opere e servizi di cui all’art. 2222 c.c., per i piccoli imprenditori di cui all’art. 2083 c.c., per i soci delle società semplici operanti nel settore agricolo

  1. sanzione amministrativa pecuniaria da 50 a 300 euro (art. 60, co. 1, lett. b)

  • per non essersi muniti di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le proprie generalità, qualora effettuino la loro prestazione in un luogo di lavoro nel quale si svolgano attività in regime di appalto e subappalto


Riferimenti bibliografici

Per approfondire:

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Note

1 Art. 2087 c.c. : Tutela delle condizioni di lavoro: L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

2 Rubando alcuni significativi esempi illustrati da Terzi nel suo intervento al Convegno di Ravenna di Magistratura democratica (v. riferimenti bibliografici), si potrebbe pensare al caso dell’impresa che ottiene in appalto il servizio mensa per una fabbrica e che lo fornisce appaltando all’esterno, a imprese diverse, la preparazione degli alimenti, il trasporto e il servizio all’interno dei locali; l’azienda produttrice di vestiario, che fa confezionare all’esterno i capi, mantenendo solo la gestione della parte commerciale. Per arricchire l’ipotesi, si potrebbe immaginare che l’impresa di catering esegua appalti di servizi mensa per più fabbriche e che l’impresa che cucina, quella che trasporta e quella che serve lavorano solo per questo appaltante; oppure, che la casa di mode non solo appalta all’esterno la confezione dei suoi modelli, ma consegna i tessuti, impone quali macchine usare per la cucitura, lo stiro ecc. e che magari a sua volta l’impresa appaltatrice subappalta a piccole imprese diverse il cucito, la finitura, lo stiro e che queste imprese lavorano solo o quasi solo per quella casa di mode.

3 Ai sensi dell’art. 2 lett. b) del decreto legislativo n. 81/08, è “datore di lavoro”, il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto della organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa…..”

4 Per tornare agli esempi utilizzati da Terzi (v.- nota 2), si potrebbe correttamente ritenere che l’impresa di catering sarà tenuta agli obblighi di cui all’art. 26 per tutto quanto attiene alla interferenza fra le varie attività e al coordinamento con l’attività del suo committente - per il quale è l’unico soggetto appaltatore-, mentre sarà rischio specifico ad esempio quello inerente alla gestione del deposito della impresa di automezzi, quello della preparazione dei pasti; non sarà più rischio specifico quello ad esempio connesso al sistema di confezionamento dei pasti, anche in relazione al trasporto, se il tipo, il materiale ecc. delle confezioni è deciso dall’appaltante. Per la casa di mode, il confine fra rischio condiviso e rischio specifico seguirà la linea dell’ingerenza nella scelta dei materiali, nella organizzazione del lavoro ecc. Se invece che a capi in tessuto facciamo riferimento a capi o accessori o calzature in pelle, per i quali sicuramente il committente impone specifiche tecniche di trattamento e lavorazione vediamo subito come si amplia la correlativa responsabilità ad es. per i rischi di malattia professionale.