Cassazione Penale, Sez. 3, 13 settembre 2013, n. 37559 - Illuminazione nei luoghi di lavoro e norme UNI EN




Fatto





1. Con la sentenza impugnata il Tribunale di Oristano, sezione distaccata di M., ha affermato la colpevolezza di B. M. in ordine al reato di cui agli art. 81 cpv. c.p., 58 lett, a), in relazione all'art. 10, del DPR n. 303/1956 e 4 della L. n. 628/1961, a lui ascritto perché, in qualità di legale rappresentante dell'impresa "L. S.r.l.", non predisponeva idonei dispositivi di illuminazione artificiale sul luogo di lavoro e, legalmente richiesto dall'Ispettorato del lavoro, ometteva di fornire la documentazione inerente agli adempimenti in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, condannandolo alla pena di € 1.600,00 di ammenda.

Il giudice di merito ha accertato che, a seguito di sopraluogo, dal quale era emerso il mancato rispetto delle disposizioni in materia di illuminazione del posto di lavoro, il B. aveva successivamente ottemperato a quanto prescritto dall'Ispettorato del lavoro, ma non aveva pagato la sanzione amministrativa impostagli per la violazione, e aveva fornito solo in parte la documentazione richiestagli in materia di sicurezza del lavoro. Il giudice di merito ha altresì ritenuto sussistente l'elemento psicologico del reato, trattandosi di contravvenzioni.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato, tramite il difensore, che la denuncia per violazione ed errata applicazione di legge con riferimento alle norme di cui all'imputazione, nonché per mancanza di motivazione.

2.1 Con riferimento alla violazione di cui all'art. 10 del DPR n. 303/1956, in sintesi, si osserva che la norma prescrive diversi gradi di intensità della illuminazione a seconda del tipo di lavorazione che viene effettuata nei locali di lavoro. Nel caso in esame non è stato effettuato alcun accertamento tecnico per verificare il grado di illuminazione in relazione alle prescrizioni contenute nell'articolo citato e non è stata neppure effettuata una verifica del tipo di lavorazione che si eseguiva nel predetti locali, che, peraltro, secondo le risultanze processuali, corrispondeva alla tipologia dei lavori grossolani, costituiti da interventi di demolizione di calcinacci e di pulizia, che richiedono un basso grado di illuminazione. Si censura sul punto anche la svalutazione da parte della sentenza della prova costituita dalla testimonianza del direttore dei lavori.

2.2 Con riferimento all'ulteriore fattispecie contravvenzionale ascritta all'imputato si denuncia la violazione ed errata applicazione degli art. da 19 a 24 del D. Lgs n. 758/1994 e mancanza di motivazione della sentenza.

Si deduce, in sintesi, che l'inottemperanza all'obbligo di regolarizzazione deve essere caratterizzata dall'elemento psicologico del dolo, non essendo sufficiente la mera colpa. Peraltro, la sentenza è totalmente carente di motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato, non essendo stato accertato se l'Imputato aveva omesso di ottemperare alla prescrizione imposta dall'organo di vigilanza per negligenza ovvero perché fosse stato impossibilitato per caso fortuito o forza maggiore. Il B. in effetti aveva ottemperato alla prescrizione di esibire la documentazione in materia di sicurezza del lavoro, fornendo i documenti di cui era, allo stato, in possesso. L'ulteriore documentazione richiesta era stata inviata successivamente alla scadenza del termine dì cui alla prescrizione con un ritardo di dieci giorni. La dimostrazione della volontà del B. di ottemperare alla prescrizione avrebbe richiesto un maggiore approfondimento delle ragioni che avevano determinato il ritardo nella produzione documentale, che peraltro su indicazione dello stesso verbalizzante era stata erroneamente inviata all’ispettorato di Sassari, invece che a quello di Nuoro.



Diritto





1. Il ricorso non è fondato.

2. Osserva la Corte in ordine al primo motivo di gravame che la norma, di cui si deduce la violazione da parte del giudice di merito, non è formulata nei termini riportati dal ricorrente.

L'art. 10 del DPR n. 303/1956, infatti, si limita a stabilire, al primo comma, a proposito dell'illuminazione artificiale: "....In ogni caso, tutti i predetti locali e luoghi di lavoro devono essere dotati di dispositivi che consentano una illuminazione artificiale adeguata per salvaguardare la sicurezza, la salute e il benessere di lavoratori." Il quarto comma dell'articolo stabilisce: "Le superfici vetrate illuminanti ed i mezzi di illuminazione artificiale devono essere tenuti costantemente in buone condizioni di pulizia ed efficienza".

Tali disposizioni sono attualmente riprodotte nell'art. 63 del D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, che rinvia alle prescrizioni contenute nell'allegato IV, che al punto 1.10 sostanzialmente detta le stesse regole già contenute nell'art. 10 del DPR n. 303/1956.

Il ricorrente si riferisce, invece, presumibilmente alle prescrizioni dell'UNI EN 12464-1, riguardanti l'intensità dell'illuminazione per le lavorazioni da eseguirsi in ambienti interni, o UNI EN 12464-2 per i lavori da eseguirsi in esterno; prescrizioni che non indicano parametri illuminotecnici in relazione alla salute ed alla sicurezza dei lavoratori, ma corrispondono all'esigenza di assicurare il confort visivo degli stessi e di prestazione visiva.

Dalla sentenza, però, non emerge che la deduzione, come riportata in ricorso, abbia formato oggetto di puntuale contestazione nella sede di merito, né che l'imputato abbia prodotto prove sul punto.

Sicché la stessa sentenza non può formare oggetto di censura in sede di legittimità in relazione alla adeguatezza dell'apparato argomentativo afferente all'accertamento indicato dal ricorrente e, tanto meno, costituire oggetto di censure in punto di fatto.

Dalla stessa sentenza emerge, inoltre, che l'accertamento della carenza di illuminazione dei locali in cui venivano effettuate le lavorazioni è stato fondato su adeguate risultanze probatorie, costituite dalle deposizioni dei verbalizzanti, non contraddette da prove contrarie, pur valutate dal giudice di merito e ritenute di scarsa rilevanza per la loro genericità.

Peraltro, l’accertamento della violazione, secondo la sentenza impugnata, emerge anche dal successivo adeguamento della illuminazione da parte dell'imputato alle prescrizioni dell'organo di vigilanza.

3. Quanto all'elemento psicologico del reati, correttamente la sentenza ne ha evidenziato la natura contravvenzionale, per la cui configurazione è sufficiente l'elemento della colpa.

Né risulta che l'imputato, sul quale incombeva il relativo onere, abbia prodotto prova, sempre nella sede di merito, dell'esistenza di una situazione di forza maggiore o di caso fortuito che abbia impedito il tempestivo adempimento, anche con riferimento all'omessa produzione della documentazione richiesta dall'ispettorato del lavoro in tema di sicurezza delle lavorazioni nei termini prescritti.

Infine, l'adempimento tardivo è previsto dall'art. 24 del D. Lgs 19 dicembre 1994 n. 758 quale elemento da valutare ai finì dell'applicazione dell'art. 162 bis c.p. e determina la riduzione della somma da versare ai fini dell'estinzione del reato, ma non costituisce esimente della responsabilità penale.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con le conseguenze di legge.



P.Q.M.





Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.