Cassazione Penale, Sez. 6, 05 giugno 2013, n. 24559 - Responsabilità amministrativa: è sufficiente il vantaggio oggettivo


 

 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GARRIBBA Tito - Presidente -
Dott. SERPICO Francesco - Consigliere -
Dott. GRAMENDOLA Francesco P - Consigliere -
Dott. CITTERIO Carlo - Consigliere -
Dott. APRILE Ercole - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna;
nel procedimento nei riguardi di:
H.B. s.p.a., con sede ad (OMISSIS), in persona del suo legale rappresentante pro tempore;
avverso l'ordinanza del 23/06/2012 del Tribunale di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. FODARONI Maria Giuseppina, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della ordinanza impugnata;
udito per la persona giuridica sottoposta ad indagini l'avv. Giovanni Trombini, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.



Fatto

 


1. Con l'ordinanza sopra indicata il Tribunale di Bologna, adito ai sensi degli artt. 322 e 324 c.p.p., in accoglimento dell'istanza di riesame presentata nell'interesse della H.B. s.p.a., annullava il Decreto del 04 maggio 2012, integrato con provvedimento del 18/05/2012, con il quale il Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale aveva disposto il sequestro preventivo per equivalente di somme di denaro, titoli e valori, beni mobili, immobili ed altre utilità, fino alla corrispondenza di Euro 37.780.637,30, nella disponibilità della società H.B. ovvero di una serie di società interamente controllate dalla prima:

decreto adottato ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, artt. 19, 25 ter e 53, in ragione della prospettata responsabilità amministrativa della H.B. (di cui al capo R) dell'imputazione, derivante dalla commissione, da parte di M.A., Z.M. e M.C., tutti aventi incarichi dirigenziali nella H.B., del reato di aggiotaggio, di cui all'art. 2637 c.c., (capo Q) dell'imputazione), per avere, tra il 13/06/2006 ed il 28/12/2009, diffuso notizie false e posto operazioni simulate ed altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo della azioni H.B., quotate dal 29/12/2009 nel segmento AIM della Borsa Italiana, producendo un quadro informativo falso sulla situazione economico - finanziaria e patrimoniale della società.

Rilevava il Tribunale come, pur sussistendo i gravi indizi di colpevolezza carico del M. e degli altri indagati cui era stato addebitato il reato presupposto, dovesse escludersi la configurabilità di una responsabilità amministrativa della H.B. in quanto il delitto di aggiotaggio doveva considerarsi commesso nell'esclusivo interesse dello stesso M. e degli altri indagati, e non anche nell'interesse della H.B., la quale non aveva neppure conseguito alcun profitto dalle operazioni decettive oggetto di contestazione: situazione, dunque, che, a mente del D.Lgs. cit. art. 5, comma 2, esclude la punibilità della relativa persona giuridica, cui gli indagati persone fisiche appartenevano con funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione.

2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna il quale, formalmente con due distinti motivi, ha denunciato la violazione di legge, in relazione all'art. 321 c.p.p., D.Lgs. n. 231 del 2001, artt. 5 e 6, per avere il Collegio del riesame immotivatamente escluso, pure con travisamento delle prove, che il M. e gli altri dirigenti della H.B. avessero consumato il descritto reato di formazione fittizia del capitale sociale anche nell'interesse della stessa società ovvero a vantaggio della medesima, essendo stata artificiosamente aumentata la sua affidabilità nei confronti dei terzi; nonchè per avere erroneamente trascurato che, a norma del D.Lgs. cit. art. 6, comma 5, è sempre disposta la confisca del profitto che l'ente ha tratto dal reato, anche per equivalente.

3. Con memoria depositata il 12/04/2013, il difensore della H.B. s.p.a. ha chiesto il rigetto del ricorso, evidenziando come il provvedimento del Tribunale del riesame fosse sorretto da adeguata e corretta motivazione.

4. Ritiene la Corte che il ricorso sia fondato, e ciò per due alternativi ordini di ragioni.

4.1. Escluso che, giusta l'esplicita previsione dell'art. 325 c.p.p., comma 1, in questa sede possano essere dedotti vizi di motivazione ovvero altri motivi diversi dalla violazione di legge, va rilevato come sia meritevole di positiva considerazione la censura mossa dal ricorrente in ordine alla erronea applicazione della norma prevista dal D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 5, per la quale "l'ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio" (comma 1) e "non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi".

Anche aderendo all'orientamento di autorevole dottrina, questa Corte ha già avuto modo di sottolineare che, in tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche e delle società, l'espressione normativa, con cui se ne individua il presupposto nella commissione dei reati "nel suo interesse o a suo vantaggio", non contiene un'endiadi, perchè i termini hanno riguardo a concetti giuridicamente diversi, potendosi distinguere un interesse "a monte" per effetto di un indebito arricchimento, prefigurato e magari non realizzato, in conseguenza dell'illecito, da un vantaggio obbiettivamente conseguito con la commissione del reato, seppure non prospettato "ex ante", sicchè l'interesse ed il vantaggio sono in concorso reale (Sez. 2^, n. 3615/06 del 20/12/2005, D'Azzo, Rv. 232957).

Ne deriva che la responsabilità della persona giuridica non è affatto esclusa laddove l'ente abbia avuto un interesse concorrente a quello dell'agente o degli agenti che, in posizione qualificata nella sua organizzazione, abbiano commesso il reato presupposto. Sotto questo punto di vista, se è ragionevole ritenere, sulla base della motivazione dell'ordinanza gravata, che il M. ed i suoi odierni coindagati abbiano avuto di mira il conseguimento di benefici personali (consistenti nell'artificioso incremento tanto del capitale sociale, passato da 2.300.000 a 36.780.000 di Euro, quanto del patrimonio netto, fatto crescere da 2.370.676 a 50.939.627 di Euro), appare frutto di un'erronea applicazione della norma in esame l'aver affermato che l'accertato fittizio aumento del capitale sociale e del patrimonio, attuato mediante le innanzi descritte operazioni di aggiotaggio, non fosse stato realizzato anche nell'interesse ovvero in vantaggio della medesima H.B.: ciò tenuto conto, in generale, che non è corretto far coincidere l'interesse oggettivo con le soggettive intenzioni e rappresentazioni dell'agente o degli agenti, poichè quel requisito finirebbe per essere ingiustificatamente identificato con il dolo specifico che riguarda la sfera soggettiva dell'autore o degli autori del reato presupposto, e non l'ente; e, più in particolare, che dagli elementi di prova acquisiti - già evidenziati nel decreto genetico della misura cautelare reale e pure analiticamente richiamati nel ricorso oggi portato all'attenzione di questo Collegio - era risultato che quell'incremento del capitale e del patrimonio aveva determinato un aumento dell'affidabilità della medesima compagine sociale nei confronti dei terzi (operatori economici, nuovi investitori, clienti e fornitori, istituti di credito aventi rapporti con la H.B.: assolvendo il capitale sociale, come riconosciuto dalla difesa della ricorrente nella memoria del 12/04/2013, anche una funzione supplementare di garanzia per i terzi) ed una sensibile moltiplicazione del valore delle azioni della società che si stava accingendo ad essere quotata in borsa.

4.2. Nella motivazione dell'ordinanza gravata risulta sussistere anche una ulteriore manifesta violazione di legge, per avere il Tribunale del riesame annullato il decreto applicativo della misura del sequestro preventivo ed ordinato, conseguentemente, la restituzione di quanto già sottoposto a vincolo, omettendo di considerare che quella misura cautelare reale era stata disposta dal Giudice per le indagini preliminari anche perchè i falsi valori che avevano incrementato il patrimonio della H.B. per un importo pari ad Euro 37.780,637,30, dovevano essere qualificati come profitto del reato di aggiotaggio, tratto dalla stessa società (v. pag. 63 del Decreto 04 maggio 2012 e pag. 4 del provvedimento, integrativo del primo, del 18/05/2012): profitto, come tale, sempre confiscabile a mente sia dell'art. 2461 c.c., che del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 6, comma 5, anche laddove dovesse essere esclusa la responsabilità amministrativa dell'ente.

Al riguardo va rammentato l'indirizzo della giurisprudenza di legittimità per il quale, in tema di responsabilità da reato degli enti collettivi, la confisca del profitto del reato prevista dal D.Lgs. n. 231 del 2001, artt. 9 e 19, si configura come sanzione principale, obbligatoria ed autonoma rispetto alle altre previste a carico dell'ente, e si differenzia da quella configurata dall'art. 6, comma 5, del medesimo decreto, applicabile solo nel caso difetti la responsabilità della persona giuridica, la quale costituisce invece uno strumento volto a ristabilire l'equilibrio economico alterato dal reato presupposto, i cui effetti sono comunque andati a vantaggio dell'ente (Sez. U, n. 26654 del 27/03/2008, Fisia Italimpianti Spa e altri, Rv. 239925).

4.3. L'ordinanza gravata va, dunque, annullata con rinvio al Tribunale di Bologna che nel nuovo esame della richiesta ex art. 322 c.p.p., a suo tempo presentata nell'interesse della Uni Land s.p.a., si uniformerà ai principi di diritto innanzi esposti.


P.Q.M.


Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia, per nuovo esame, al Tribunale di Bologna.

Così deciso in Roma, il 22 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2013