Conclusioni dell'avvocato generale Saggio del 16 novembre 1999. - Katarina Abrahamsson e Leif Anderson contro Elisabet Fogelqvist. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Överklagandenämnden för Högskolan - Svezia. - Nozione di "giudice nazionale" - Parità di trattamento fra gli uomini e le donne - Azione positiva a favore delle donne - Compatibilità con il diritto comunitario. - Causa C-407/98.

raccolta della giurisprudenza 2000 pagina I-05539

 

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Conclusioni dell avvocato generale


Oggetto del ricorso pregiudiziale


1 Nella causa oggi in discussione l'Överklagandenämnden för högskolan, la commissione di ricorso degli istituti di insegnamento superiore, vi chiede di pronunciarvi sulla compatibilità con il diritto comunitario del regime nazionale finalizzato a favorire l'assunzione delle donne negli istituti superiori e nelle università. La caratteristica della normativa nazionale consiste nella possibilità - e in alcuni casi nell'obbligo - dell'amministrazione di assumere il candidato del sesso sottorappresentato anche nel caso in cui non sia risultato il più idoneo in base ai suoi meriti e alle sue qualifiche.

Normativa comunitaria

2 Ricordo che la direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (in prosieguo: la «direttiva») (1), si propone, all'art. 1, di attuare negli Stati membri «il principio della parità di trattamento fra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, ivi compresa la promozione e l'accesso alla formazione professionale, nonché le condizioni di lavoro e (...) la sicurezza sociale».

L'art. 2 della stessa direttiva stabilisce, al n. 1, che tale principio «implica l'assenza di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia».

Lo stesso articolo precisa, al n. 4, che la direttiva permette agli Stati di adottare o mantenere in vigore eventuali «misure volte a promuovere la parità delle opportunità per gli uomini e le donne, in particolare ponendo rimedio alle disparità di fatto che pregiudicano le opportunità delle donne nei settori di cui all'articolo 1, paragrafo 1».

3 Successivamente all'introduzione del quesito pregiudiziale è entrato in vigore il Trattato di Amsterdam, che ha modificato il Trattato CE con riguardo - per quanto rileva nella presente analisi - alla realizzazione del principio della parità di trattamento degli uomini e delle donne. In particolare, gli artt. 2 e 3 del Trattato CE prevedono, nella loro nuova versione, che «la Comunità ha il compito di promuovere (...) la parità tra uomini e donne» e che «l'azione della Comunità (...) mira a eliminare le ineguaglianze, nonché a promuovere la parità tra uomini e donne». Inoltre l'art. 6 A, anch'esso inserito dal nuovo Trattato, stabilisce che «il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso (...)».

4 L'art. 119 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 141 CE) prevede, nella versione emendata, che «ciascuno Stato membro assicura l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore» (n. 1), che «il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all'art. 251 [ex art. 189 B] e previa consultazione del Comitato economico e sociale, adotta misure che assicurino l'applicazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, ivi compreso il principio della parità delle retribuzioni per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore» (n. 3), e infine che «allo scopo di assicurare l'effettiva e completa parità tra uomini e donne nella vita lavorativa, il principio della parità di trattamento non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure che prevedano vantaggi specifici diretti a facilitare l'esercizio di un'attività professionale da parte del sesso sottorappresentato ovvero a evitare o compensare svantaggi nelle carriere professionali» (n. 4) (2). Nella Dichiarazione sull'art. 119 [attualmente art. 141], n. 4, del Trattato che istituisce la Comunità europea, allegata al Trattato di Amsterdam, si legge che «gli Stati membri, nell'adozione delle misure di cui all'articolo 119, paragrafo 4, del Trattato che istituisce la Comunità europea, dovrebbero mirare, anzitutto, a migliorare la situazione delle donne nella vita lavorativa».

5 Già prima della modifica del Trattato, le istituzioni comunitarie avevano adottato svariati atti relativi alla parità di trattamento tra uomini e donne. Di particolare rilievo la raccomandazione del Consiglio 84/635/CEE, del 13 dicembre 1984, sulla promozione di azioni positive a favore delle donne (3), in cui si legge che «le disposizioni normative esistenti in materia di parità di trattamento, intese a conferire diritti agli individui, sono inadeguate per eliminare tutte le disparità di fatto, a meno che non siano intraprese azioni parallele da parte dei governi, delle parti sociali e degli altri enti interessati, per controbilanciare gli effetti negativi risultanti per le donne, nel campo dell'occupazione, dagli atteggiamenti, comportamenti e strutture sociali», ed in cui si invitano gli Stati membri, facendo espresso riferimento all'art. 2, n. 4, della direttiva, ad adottare una politica di azioni positive mirante, tra l'altro, all'«incoraggiamento delle candidature, delle assunzioni e della promozione delle donne nei settori professioni e ai livelli in cui esse siano sottorappresentate, in particolare ai posti di responsabilità».

Normativa nazionale


6 Secondo l'art. 9, capo 11, della Costituzione svedese, ai fini dell'assunzione nella pubblica amministrazione, possono essere presi in considerazione esclusivamente criteri oggettivi di giudizio quali «il merito» e «la competenza» (4). Allo stesso modo, la legge sul pubblico impiego (1994:260) impone di selezionare i candidati in base alla loro competenza, a meno che "motivi particolari" non giustifichino il ricorso a criteri alternativi».

7 Le legge svedese sull'eguaglianza uomo-donna (1991:433) ammette l'adozione di misure di discriminazione positiva. L'art. 16, secondo comma, punto 2, prevede in particolare che non vi sia discriminazione tra i sessi qualora «la decisione rientri nel quadro degli sforzi in favore dell'uguaglianza uomo-donna nella vita professionale».

8 Il settore dell'insegnamento negli istituti superiori, oggetto del quesito pregiudiziale oggi in discussione, è disciplinato dal regolamento 1993:100 (5).

L'art. 15, di tale regolamento, nella versione in vigore sino al 1_ gennaio 1999, dispone quanto segue:

«I criteri per l'assegnazione di un posto di insegnamento devono consistere nei meriti di natura scientifica, artistica, pedagogica, amministrativa o altra riguardante in particolare la disciplina di insegnamento relativa al posto da assegnare e la natura del medesimo. Deve essere tenuta ugualmente in conto la capacità del candidato di dare informazioni sulla sua ricerca e sul suo lavoro.

Devono essere altresì prese in considerazione, al momento dell'assegnazione del posto, le ragioni oggettive che coincidono con gli scopi generali della politica del mercato del lavoro, dell'uguaglianza, della politica sociale e della politica del lavoro».

L'art. 15 bis prevede altresì che:

«Le disposizioni seguenti si applicano nel caso in cui un istituto di insegnamento superiore abbia deciso di applicare la discriminazione positiva nell'assegnazione di un posto e nel quadro del programma di azioni finalizzate a favorire la parità dei sessi nella vita professionale.

Al momento dell'assegnazione, una persona appartenente al sesso sottorappresentato che possieda dei meriti sufficienti quali quelli previsti dall'art. 15, primo comma, può essere designata al posto di un candidato dell'altro sesso che avrebbe altrimenti ottenuto il medesimo posto.

La discriminazione positiva non può comunque applicarsi se la differenza tra le qualifiche è talmente rilevante che una tale applicazione comporterebbe l'inosservanza dell'esigenza di oggettività nell'assegnazione dei posti».

9 Sulla base del programma generale di cui all'art. 15 bis, il regolamento 1995:936, relativo all'istituzione di taluni posti di professore e ricercatore al fine di promuovere le pari opportunità, prevede l'adozione di specifiche azioni positive (6). Si legge infatti nei primi tre articoli del medesimo regolamento che:

«[Esso] riguarda posti di professore e di assistente di ricerca creati sulla base di stanziamenti speciali previsti nell'esercizio di bilancio 1995/1996 in alcune università e scuole superiori dello Stato nel quadro dell'azione finalizzata a favorire la parità nella vita professionale» (art. 1).

«Le università e scuole superiori alle quali sono accordati gli stanziamenti devono creare e bandire posti in conformità a quanto previsto nel regolamento sull'insegnamento superiore (1993:100), tenuto conto delle deroghe indicate dagli articoli 3-5 e seguenti. Queste deroghe si applicano tuttavia unicamente la prima volta in cui i posti sono banditi» (art. 2).

«Al momento della designazione, le disposizioni del regolamento sull'insegnamento superiore, art. 15 bis del capo 4 (del regolamento 1993:100), sono sostituite dalle disposizioni seguenti:

Un candidato del sesso sottorappresentato che possegga qualifiche sufficienti conformemente a quanto dispone il regolamento sull'insegnamento superiore, art. 15, primo comma, capo 4, deve essere preferito ad un candidato di sesso opposto che verrebbe altrimenti designato (discriminazione positiva), nel caso in cui tale misura sia necessaria per l'assunzione di un candidato del sesso sottorappresentato.

Una [misura di] discriminazione positiva [non] deve essere [adottata] qualora la differenza tra i meriti dei candidati sia di tale rilievo che ne risulterebbe l'inosservanza dell'esigenza di oggettività richiesta all'atto dell'assunzione» (art. 3).

Fatti e quesiti pregiudiziali

10 Il 3 giugno 1996 l'università di Göteborg pubblicava un bando di concorso per una cattedra di professore in scienze dell'idrosfera, in particolare dei processi fisici e biogeochimici delle acque. Nel bando veniva precisato che il posto da coprire doveva considerarsi parte del programma dell'Università volto a promuovere le pari opportunità ai sensi del regolamento 1995:936.

11 Tra i candidati a tale posto figuravano i signori Katarina Abrahamsson, Leif Anderson, Georgia Destouni ed Elisabet Fogelqvist. La commissione esaminatrice decideva di selezionare i candidati con due distinti scrutini. Il primo era basato unicamente sui meriti scientifici, ai sensi del capo quarto del regolamento sugli istituti di insegnamento superiore. Sulla base di tale esame il signor Anderson veniva classificato al primo posto con cinque voti contro i tre a favore della signora Destouni. Il secondo scrutinio invece prendeva in considerazione i criteri indicati per promuovere azioni finalizzate ad assicurare pari opportunità (ai sensi del citato regolamento del 1995); in questo scrutinio veniva classificata al primo posto la signora Destouni.

La commissione quindi proponeva la nomina di quest'ultima candidata. Avendo, però, la signora Destouni rinunciato alla sua candidatura, il rettore decideva di rimettere la pratica alla commissione di nomina.

Questa commissione dichiarava che, secondo la maggioranza dei propri membri, la differenza delle qualifiche tra il signor Anderson e la signora Fogelqvist, rispettivamente secondo e terza in graduatoria, era rilevante e quindi mostrava dei dubbi circa l'obbligo di dare preferenza al candidato-donna, cioè alla signora Fogelqvist.

Il 18 novembre 1997, invece, il rettore nominava la stessa Fogelqvist, ritenendo che la differenza tra le qualifiche di tale candidata e quella del signor Anderson non fosse tale da rendere l'azione positiva contrastante con il criterio di oggettività nella selezione dei candidati.

12 Il provvedimento di assunzione veniva impugnato dinanzi alla commissione di ricorso dalla signora Abrahamsson e dal signor Anderson. Quest'ultimo deduceva in particolare che la nomina della signora Fogelqvist era in contrasto con l'art. 3 del regolamento 1995, n. 936, e con le norme di diritto comunitario, così come interpretate nella sentenza Kalanke del 1995 (7).

13 Nel quadro di questo procedimento la commissione di ricorso decideva di porre alla Corte i seguenti quesiti pregiudiziali:

1) Se l'art. 2, nn. 1 e 4, della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, la formazione e la promozione professionali e le condizioni di lavoro, si opponga ad una normativa nazionale in forza della quale un candidato del sesso sottorappresentato, in possesso delle qualifiche sufficienti a coprire un posto statale, deve essere preferito al candidato dell'altro sesso, il quale sarebbe stato nominato sulla base dei suoi meriti e delle sue qualifiche, e in forza della quale non si fa ricorso all'applicazione del regime di azione positiva solo qualora la differenza tra le qualifiche dei candidati sia così rilevante da porre la misura in contrasto con l'obbligo di giudicare i candidati con oggettività, obbligo che si impone all'amministrazione nella selezione dei medesimi.

2) In caso di soluzione affermativa della questione sub 1), se l'azione positiva sia illegittima anche qualora la normativa nazionale abbia limitato la sua applicazione a un numero predeterminato di posti (come è nel caso del regolamento 1995:936) ovvero ai posti istituiti nell'ambito di un programma speciale adottato da un singolo istituto di insegnamento superiore (come è nel caso delle azioni adottate sulla base dell'art. 15 bis, capo 4, del regolamento 1993:100).

3) Qualora la soluzione della questione sub 2) comporti che siffatte azioni positive sono vietate, se sia in contrasto con la direttiva citata nella questione sub 1), la prassi amministrativa (relativa nella specie all'art. 15 bis, capo 4, del regolamento sugli istituti di insegnamento superiore) in forza della quale un candidato appartenente al sesso sottorappresentato può essere preferito ad un candidato del sesso opposto, purché le qualifiche e i meriti di tali candidati risultino equivalenti o quasi equivalenti.

4) Se la soluzione delle questioni precedenti sia diversa qualora l'azione positiva si applichi ai soli posti di livello inferiore ovvero a quelli di livello superiore.

Sulla ricevibilità del ricorso pregiudiziale


14 L'organo che ha posto i quesiti pregiudiziali oggi in discussione è la commissione di ricorso per gli istituti di insegnamento superiore (Överklagandenämnden för högskolan), quindi un organo amministrativo di cui si deve accertare la natura di «giurisdizione nazionale» ai sensi e per gli effetti dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE).

15 Ricordo in proposito che la nozione di giurisdizione remittente è autonoma, nel senso che non è sempre ed in ogni caso ricavata dalla qualificazione che all'organo viene riconosciuta dagli ordinamenti degli Stati membri. Infatti, la nozione di «giurisdizione», così come è ricostruita nella vostra giurisprudenza, lungi dall'essere collegata al nomen iuris dell'organo di rinvio, è ricondotta alla sussistenza di una serie di requisiti posti a fondamento della legittimazione a proporre quesiti pregiudiziali ai sensi dell'art. 177. Tali requisiti consistono nell'origine legale dell'organo, nel suo carattere permanente, nell'obbligatorietà della sua giurisdizione, nella natura contraddittoria del procedimento, nel fatto che esso applichi norme giuridiche e risponda ai requisiti di terzietà e indipendenza (8).

16 Nell'ordinanza di rinvio la commissione di ricorso, pur dichiarando di essere un'autorità amministrativa, afferma tuttavia in modo generico, direi anzi vago, che sussistono nella specie tutti i requisiti perché essa possa essere considerata una giurisdizione ai sensi dell'art. 177, cioè: la base legale della sua istituzione, il suo carattere permanente, la natura obbligatoria della sua giurisdizione, il carattere contraddittorio della procedura e infine l'applicazione di norme di diritto.

Il governo svedese conferma tale interpretazione, facendo riferimento, anch'esso in modo generico, ai testi legislativi applicabili. Rileva infatti che la costituzione svedese distingue gli organi giudiziari da quelli amministrativi e che, secondo il diritto svedese, la commissione di ricorso rientra tra questi ultimi. Essa è stata istituita dalla legge sull'insegnamento negli istituti superiori (1992:1434) ed è disciplinata dal regolamento contenente istruzioni applicabili alla commissione di ricorso per gli istituti di insegnamento superiore (1992:404). Tale regolamento prevede che la commissione di ricorso sia costituita da otto membri nominati dal governo e che il presidente e il vicepresidente siano magistrati, mentre tre degli altri suoi membri siano giuristi. Aggiunge il governo che la legge sulla gestione amministrativa (1993:223), la quale disciplina la procedura davanti la commissione di ricorso, riconoscerebbe agli interessati il diritto di presentare le loro osservazioni scritte o orali, nonché di prendere conoscenza di tutte le informazioni fornite all'amministrazione. Ai sensi dell'art. 1 del capo 5 della legge sull'insegnamento superiore (1992:1434), la decisione della medesima commissione sarebbe obbligatoria e non potrebbe essere impugnata. Infine, la commissione godrebbe di autonomia nei confronti degli altri organi dello Stato e ciò si ricaverebbe dall'art. 7, capo 11, della Costituzione, il quale vieta qualsiasi ingerenza nell'attività degli organi amministrativi da parte di altre autorità dell'esecutivo e dello stesso Parlamento.

17 Risulta chiaramente dai testi normativi indicati dal governo svedese che l'organo remittente ha un'origine legale, ha carattere permanente, costituisce una giurisdizione obbligatoria (v. art. 1, nn. 1 e 2, capo 5, della legge 1992:1434) e infine che nessuna disposizione gli attribuisce il diritto di giudicare secondo equità e non in applicazione di norme di diritto.

Tuttavia, la lettura delle norme nazionali lascia qualche dubbio circa due dei requisiti prima indicati, necessari perché l'organo amministrativo sia considerato una giurisdizione ai sensi dell'art. 177, e perché quindi il presente rinvio sia dichiarato ricevibile: il primo riguarda la natura contraddittoria del procedimento davanti alla commissione di ricorso, il secondo l'effettiva autonomia e inamovibilità dei membri della medesima.

18 a) Partiamo dal primo requisito. E' vero che, come ho già rilevato nelle conclusioni pronunciate il 7 ottobre 1999 nella causa Gabafrisa e a., cause riunite da C-110/98 a C-147/98, alla luce di recenti sentenze della Corte sembrerebbe che la mancanza di contraddittorio nel procedimento non risulti di per sé determinante per negare la qualifica di giurisdizione dell'organo remittente; tuttavia, quando la Corte ha accolto rinvii pregiudiziali effettuati nel corso di un procedimento sommario in cui il convenuto non compare, ciò è avvenuto con l'accortezza di compensare detta lacuna con un grado elevato di imparzialità e indipendenza dell'organo giudicante (9). Ritengo dunque che non vi siano dubbi circa l'assoluta necessità che sussista tale caratteristica dell'organo remittente perché il suo ricorso sia considerato ricevibile.

Nella causa oggi in discussione il governo assume, senza essere confutato dall'autorità remittente, che la procedura davanti la commissione di ricorso non è regolata dalla legge svedese sul procedimento amministrativo (1971:291) - legge che si applica solo al contenzioso davanti ai tribunali amministrativi - bensì dalla legge sulla gestione amministrativa, la quale riguarda in particolare l'adozione degli atti amministrativi (1986:223) (10). Questa legge non contempla espressamente il diritto delle parti ad un regolare contraddittorio. Essa prevede unicamente, all'art. 17, che l'amministrazione comunichi alle parti interessate tutti i documenti che le riguardano e dia loro la possibilità di presentare osservazioni.

Inoltre, l'art. 14 della stessa legge prevede che le parti possono presentare osservazioni orali.

Il carattere contraddittorio di tale procedura, che è, sottolineo ancora, regolata dalla normativa riguardante l'adozione degli atti amministrativi, si ricava quindi dalle norme che conferiscono agli amministrati il diritto di conoscere tutti i documenti che sono presi in considerazione dall'amministrazione. E' evidente che scopo di quest'ultima categoria non è quello di imporre un regolare contraddittorio, bensì quello di garantire l'assoluta trasparenza dell'organo e di riconoscere ai cittadini il diritto di presentare osservazioni o produrre nuovi elementi. Tuttavia, a mio parere, considerata la specifica competenza dell'organo di rinvio nella presente causa - competenza consistente nel controllare la legittimità degli atti dell'amministrazione scolastica e universitaria - , non si può escludere che l'art. 14 e, soprattutto, l'art. 17 della legge sulla gestione amministrativa possano garantire alle parti interessate un regolare contraddittorio. In effetti, sulla base in particolare del detto art. 17, i soggetti che impugnano una decisione dell'amministrazione davanti la commissione di ricorso hanno comunque titolo a presentare le loro osservazioni su qualsiasi elemento ulteriore fornito da soggetti terzi e, allo stesso modo, i soggetti di cui si impugna la decisione di assunzione o di promozione sono messi a conoscenza del ricorso e hanno altresì titolo per presentare le proprie osservazioni.

Considero dunque che, nonostante l'«atipicità» di un tale contraddittorio, si possa ritenere che la commissione di ricorso risponda a questa esigenza, cui il diritto comunitario subordina la ricevibilità del rinvio pregiudiziale.

19 b) Quanto al secondo aspetto, che riguarda l'autonomia dei membri della commissione di ricorso, rilevo ancora ciò che ho già sottolineato in altre occasioni, cioè che il requisito dell'indipendenza dei giudici costituisce un aspetto centrale per riconoscere ad un organo amministrativo natura di «giurisdizione» ai sensi e per gli effetti dell'art. 177 del Trattato e che si deve procedere con estremo rigore alla valutazione circa la rispondenza delle norme nazionali all'esigenza di autonomia che è propria di un organo cui si attribuisce - sebbene in un quadro specifico e per scopi definiti - natura di giurisdizione.

Nella specie risulta che i membri della commissione sono di nomina governativa e che il mandato è a tempo determinato (art. 9 del regolamento sulle istruzioni applicabili alla commissione). Le leggi e i regolamenti che riguardano la commissione non indicano quale sia la durata del mandato e neppure i casi in cui l'amministrazione possa revocare la nomina. Quanto alla durata, si può comunque presumere che essa sia indicata nell'atto di nomina e ciò può ritenersi sufficiente a garantire la permanenza e la stabilità dell'organo.

Al contrario, l'assenza di una normativa specifica sulle condizioni e modalità di rimozione dei membri solleva dubbi circa l'effettiva indipendenza dell'organo. Nutro infatti perplessità circa la possibilità di ricavare, come fa il governo svedese, tale carattere dalla norma costituzionale che consacra il principio di autonomia di tutte le amministrazioni nazionali (art. 7 del capo 11). Rilevo, infatti, che la Costituzione indica, per i soli giudici, un elenco tassativo dei casi in cui può essere disposta la loro rimozione e che tale norma non è applicabile agli organi amministrativi e quindi ai membri della commissione di ricorso (art. 5).

20 Nell'ordinamento svedese, a parte la già citata norma della Costituzione, la quale consacra il principio di autonomia degli organi amministrativi nell'adozione dei loro atti, la legge sulla gestione amministrativa contiene un elenco dei casi in cui vi può essere ricusazione dei membri degli organi amministrativi da parte delle autorità amministrative così come l'obbligo degli stessi membri di comunicare le circostanze che potrebbero costituire motivi di ricusazione nei propri confronti (artt. 11 e 12).

Ebbene, secondo la vostra recente sentenza Köllensperger (11), richiamata dallo stesso governo svedese, il combinato disposto delle norme sulla ricusazione e astensione dei membri di un organo e di quelle sul divieto di ingerenza da parte di altri organi dello Stato consente di ritenere che sussista il requisito necessario per riconoscere all'organo amministrativo la natura di «giurisdizione» ai sensi e per gli effetti dell'art. 177 del Trattato. In tale pronuncia avete affermato che «non spetta alla Corte presumere che tale disposizione possa essere applicata in modo contrario alla Costituzione [nazionale] e ai principi dello Stato di diritto».

Si ricava da tale giurisprudenza che, attesa la combinazione delle due regole, resta escluso che lo strumento della rimozione dei membri delle autorità amministrative possa risolversi in una forma di ingerenza nella libertà e nell'autonomia di giudizio dei membri della commissione. In altre parole, si deduce che, in tale quadro normativo, il diritto alla rimozione non può costituire uno strumento per indebolire l'indipendenza della medesima commissione. Una tale interpretazione è comunque, a mio parere, oltremodo generosa in quanto non pone come unico parametro di giudizio, ai fini della valutazione della indipendenza dell'organo remittente, la sussistenza di motivi uguali o analoghi a quelli che possono giustificare la rimozione dei magistrati, bensì l'esistenza di un generico dovere di non ingerenza nell'attività degli organi amministrativi dello Stato, associato al diritto di ricusare i membri delle singole autorità e al dovere degli stessi membri di astenersi. A mio parere un tale dovere resta comunque insufficiente a garantire l'assoluta autonomia della commissione di ricorso, perché un requisito essenziale come quello dell'indipendenza deve essere garantito da norme chiare nel primario interesse degli utenti della giustizia, i quali all'occorrenza devono poter fare ad esse riferimento senza ricorrere ad operazioni interpretative complesse per identificare e dimostrare il loro diritto ad essere giudicati da organi indipendenti. L'indipendenza della giurisdizione tutela un interesse di carattere generale e costituisce un valore essenziale cui si ispira il rapporto tra l'utente e la giurisdizione (12).

21 Per le ragioni sin qui esposte, propongo alla Corte di considerare irricevibile il presente ricorso pregiudiziale.

Nel merito


22 Nel trattare il merito della causa associerò l'analisi sul primo e sul terzo quesito e, successivamente, quella sul secondo e sul quarto quesito. In effetti la prima coppia di quesiti riguarda il regime generale delle azioni positive relative all'assunzione negli istituti superiori e nelle università, mentre la seconda coppia concerne l'applicabilità dello stesso regime a settori circoscritti della pubblica istruzione.

Sul primo e terzo quesito pregiudiziale

23 Con il primo e il terzo quesito la commissione di ricorso chiede se rientri tra le azioni positive di cui all'art. 2, n. 4, della direttiva un regime nazionale quale quello svedese che prevede l'assunzione, nel personale docente delle scuole superiori, di un candidato del sesso sottorappresentato anche nel caso in cui questi non risulti primo in graduatoria, e ciò sempre che, in virtù dei suoi meriti e delle sue qualifiche, questi sia idoneo a svolgere le funzioni proprie del posto vacante e che la differenza tra i candidati, risultati rispettivamente primo e secondo in graduatoria, non sia tale da comportare, nel caso di selezione del secondo, una violazione del dovere di giudicare in modo oggettivo i candidati, dovere questo previsto dalla legge generale sul pubblico impiego (1994:260).

In caso di risposta negativa a tale quesito, il giudice vi chiede se tale regime possa comunque considerarsi legittimo alla luce della prassi amministrativa secondo la quale un candidato appartenente al sesso sottorappresentato può essere favorito solo se i suoi meriti e le sue qualifiche sono equivalenti (o quasi equivalenti) rispetto a quelli del candidato risultato primo in graduatoria.

24 I quesiti quindi ripropongono la tematica da me affrontata nelle conclusioni presentate il 10 giugno 1999, nella causa C-158/97, Badeck, cui rinvio per le osservazioni generali sulla portata delle azioni positive nazionali e sui limiti ad esse imposti dal diritto comunitario. In questa sede richiamerò le linee direttrici che sono state dettate in materia dalle vostre sentenze Kalanke, già citata, e Marschall (13).

25 Nella sentenza Kalanke del 1995 - invocata dai ricorrenti nel giudizio a quo a sostegno delle loro conclusioni e richiamata dal giudice remittente nell'ordinanza di rinvio - l'azione positiva era predisposta da una legge del Land di Brema, la quale prevedeva che «all'assunzione, compresa l'instaurazione di un rapporto come pubblico dipendente o giudice, che non abbia funzione formativa, va data la precedenza alle candidate di sesso femminile, in caso di parità di qualifica, rispetto ai candidati maschi nei settori nei quali il personale femminile è sottorappresentato» e che «la qualificazione va commisurata unicamente alle esigenze del lavoro connesso al posto da occupare o alla carriera». La Corte ha ritenuto che tale normativa, accordando automaticamente, a parità di qualificazioni tra i candidati di sesso differente, una preferenza alle donne nei settori nei quali queste sono insufficientemente rappresentate, non solo è contraria all'art. 2, n. 1, della direttiva in quanto «comporta una discriminazione basata sul sesso» (punto 16), ma non può nemmeno essere inquadrata tra le azioni positive di cui al n. 4 dello stesso articolo, in quanto «una normativa nazionale che assicura una preferenza assoluta ed incondizionata alle donne in caso di nomina o promozione va oltre la promozione della parità delle opportunità ed eccede i limiti della deroga prevista all'art. 2, n. 4, della direttiva» (punto 22). La Corte aggiungeva poi che «siffatto sistema, in quanto mira a far sì che le donne siano rappresentate in pari misura rispetto agli uomini in tutte le categorie retributive e a tutti i livelli di un servizio, sostituisce all'obiettivo della promozione della parità delle opportunità, di cui all'art. 2, n. 4, un risultato al quale si potrebbe pervenire solo mediante l'attuazione di tale obiettivo» (punto 23).

Nella causa Marschall la legge tedesca di cui si contestava la compatibilità con l'art. 2, nn. 1 e 4, della direttiva era lo statuto del personale del Land Renania Settentrionale-Vestfalia, il quale prevede che i candidati di sesso femminile abbiano, a parità di idoneità, di competenza e di prestazioni professionali, la precedenza nella promozione, nel caso in cui al livello del posto considerato della carriera vi siano meno donne che uomini. La legge prevede poi una riserva all'applicazione dell'azione di promozione nel senso che il datore di lavoro può astenersi dal rispettare tale disposizione se «prevalgono motivi inerenti alla persona di un candidato di sesso maschile» (14). In base alla presenza di tale «clausola di riserva», la Corte riteneva che il sistema fosse sufficientemente flessibile, cioè privo dell'automatismo che caratterizzava la legge di Brema, esaminata nella sentenza Kalanke, e giudicava quindi che la direttiva 76/207 sulle pari opportunità non fosse di ostacolo alle misure adottate dal Land Renania Settentrionale-Vestfalia. Si legge nel dispositivo che l'art. 2, nn. 1 e 4, della direttiva non si oppone ad un tale regime nel caso in cui «garantisca, in ciascun caso individuale, ai candidati di sesso maschile aventi una qualificazione pari a quella dei candidati di sesso femminile un esame obiettivo delle candidature che prenda in considerazione tutti i criteri relativi alla persona dei candidati e non tenga conto della precedenza accordata ai candidati di sesso femminile quando uno o più di tali criteri facciano propendere per il candidato di sesso maschile» nonché imponga che «tali criteri non siano discriminatori nei confronti dei candidati di sesso femminile».

26 Nelle mie osservazioni sulla causa Badeck, rilevai che partendo da questa giurisprudenza si può arrivare alla conclusione che un'azione di promozione delle donne nel mondo del lavoro, che preveda un obbligo di preferenza dei candidati di sesso femminile e quindi istituisca quote di presenza delle donne nel pubblico impiego come nel settore privato è considerata legittima dal punto di vista dell'ordinamento comunitario qualora permetta al datore di lavoro di scegliere il candidato con il profilo professionale più idoneo. Essa inoltre non deve alterare in nessun caso il giudizio sui meriti e sulle qualifiche dei candidati di sesso maschile. A tal fine, da un lato, il sesso deve costituire un criterio complementare per definire il profilo dei candidati, criterio che deve concorrere con quelli su cui si basa di norma la valutazione complessiva degli stessi, e, dall'altro, l'obbligo di preferenza delle donne non deve comportare che si ometta di prendere in considerazione, nel giudizio sui candidati che non beneficiano dell'azione positiva, situazioni particolari di ordine personale, le quali, pur non avendo alcuna attinenza con la valutazione del profilo professionale dei candidati, possono essere indice di situazioni sociali aventi la stessa rilevanza di quelle che normalmente devono affrontare le donne (15).

27 Il regime svedese oggi in discussione presenta due caratteristiche: esso permette all'amministrazione - e in alcuni casi le impone - di dare preferenza al candidato del sesso sottorappresentato anche nel caso in cui le qualifiche e i meriti del medesimo risultino inferiori a quelli del candidato primo in graduatoria (16), esso inoltre - stando alle fonti normative richiamate dall'organo di rinvio - non prevede la facoltà dell'amministrazione di prendere comunque in considerazione al momento della selezione, e in ordine ai candidati che non beneficiano dell'azione positiva, circostanze e situazioni particolari di ordine personale.

Date queste caratteristiche del regime, a me pare non vi siano dubbi sulla sua incompatibilità con la direttiva e in particolare sull'impossibilità di ritenere che esso possa essere compreso tra le azioni positive di cui all'art. 2, n. 4, della medesima.

28 Infatti, come ho già ricordato, in diritto comunitario un'azione positiva diretta a favorire le donne nel mondo del lavoro è considerata compatibile con il principio di non discriminazione qualora l'obbligo di preferenza sorga unicamente nel caso in cui sussista una effettiva equivalenza tra le qualifiche e i meriti rispettivi dei candidati prescelti. Equivalenza che, sebbene - come ho già rilevato nelle mie conclusioni nella causa Badeck - costituisca una fictio, data l'impossibilità o l'estrema difficoltà di un ex aequo tra due o più candidati, costituisce comunque un'attenuazione dell'obbligo di preferenza. Infatti, permettere o imporre l'assunzione del candidato appartenente al sesso sottorappresentato, anche in caso di differenza tra le qualifiche e i meriti, significherebbe a mio parere dar vita ad un sistema di preferenza assoluta e incondizionata e quindi ad una riserva di posti per le donne. Ciò avrebbe l'ulteriore conseguenza di svuotare di significato la stessa selezione dei candidati visto che il parametro di giudizio non sarebbe il confronto tra gli stessi ma l'idoneità dei candidati «privilegiati» a svolgere le funzioni proprie del posto da occupare.

Ritengo che il carattere assoluto e incondizionato del diritto alla preferenza accordata ai soggetti appartenenti al sesso sottorappresentato (cioè, nella specie, alle donne) non venga meno nel caso in cui sia previsto - così come nell'ordinamento svedese - che il diritto all'assunzione possa sorgere solo se la differenza tra il candidato preferito e quello escluso non sia rilevante, in quanto il confronto tra i candidati e quindi il giudizio sui medesimi assume comunque una funzione subordinata rispetto al privilegio accordato al candidato del sesso sottorappresentato, con la conseguenza evidente di snaturare completamente la funzione della selezione.

Una tale considerazione non può essere confutata da quanto rileva la commissione di ricorso circa la portata dell'«obbligo di oggettività» cui sarebbe comunque tenuta l'amministrazione nel giudicare i candidati ai fini della loro selezione. Secondo l'organo remittente «il criterio di oggettività [previsto dalla Costituzione svedese e richiamato negli atti preparatori del regolamento 1995:936, relativo all'istituzione di taluni posti di professore e ricercatore al fine della promozione delle pari opportunità] dovrebbe comportare che le azioni positive non vengano applicate nel caso in cui ciò implichi un rischio di manifesta inefficienza delle dette attività qualora non venga nominato il candidato più qualificato» (17).

Aggiungerei poi che già la preferenza operata in caso di qualifiche equivalenti rende difficile stabilire se il candidato del sesso sovrarappresentato sia stato discriminato oltre il necessario perché l'azione positiva possa operare. E'dunque evidente che tale difficoltà si acuisce (18) nel caso in cui è ammessa una differenza, seppur lieve, tra i candidati.

Va quindi esclusa la compatibilità di una tale azione positiva con la direttiva, la quale, secondo la vostra interpretazione, non ammette alcuna forma di preferenza assoluta dei candidati appartenenti al sesso sottorappresentato, in quanto una tale forma di discriminazione attiva è comunque sproporzionata rispetto allo scopo che essa persegue.

29 Nel formulare il terzo quesito pregiudiziale il giudice remittente ricorda che, secondo la prassi amministrativa svedese sull'art. 15 bis del regolamento sull'insegnamento negli istituti superiori (regolamento 1993:100), la preferenza dei candidati appartenenti al sesso sottorappresentato opera solo nel caso in cui le qualifiche dei candidati siano considerate equivalenti o quasi equivalenti. Ricorda in proposito l'organo di rinvio che nella proposta del regolamento 1995:936 si legge che «benché la promozione delle pari opportunità sia un criterio oggettivo ai sensi della costituzione, tale disposizione implica che vi è un limite all'entità della differenza delle qualifiche per quanto riguarda le azioni positive» (19). E' di tutta evidenza che la prassi amministrativa svedese riconduce la normativa nel modello classico di azione positiva sviluppato in diritto comunitario. Tuttavia non sta alla Corte ma al giudice nazionale stabilire quale rilevanza assume tale prassi nell'ordinamento nazionale e valutarne la portata con riguardo al contenuto della normativa nazionale.

30 In ogni caso, come ho già rilevato, perché un'azione positiva sia considerata compatibile con il diritto comunitario è inoltre necessario che il regime preveda la possibilità per l'amministrazione di prendere comunque in conto, al momento della selezione e in ordine ai candidati che non beneficiano dell'azione positiva, circostanze e situazioni particolari di ordine personale che possano essere indice di difficoltà sociali aventi la stessa rilevanza di quelle che normalmente devono affrontare le donne. Ora, non risulta, stando a quanto affermano il giudice remittente ed il governo svedese, che la normativa che ha istituito l'azione positiva per cui è causa così come la relativa prassi amministrativa prevedano una tale possibilità di deroga. Tuttavia sta al giudice nazionale valutare se un tale obbligo risulti da altre fonti normative che impongono all'amministrazione trattamenti privilegiati in presenza di determinate situazioni personali di difficoltà nell'inserimento nel mondo del lavoro.

31 Sulla base delle precedenti osservazioni ritengo che il diritto comunitario, in particolare l'art. 2, nn. 1 e 4, della direttiva 76/207/CEE, non consente ad uno Stato membro di adottare un regime di assunzione in forza del quale il candidato del sesso sottorappresentato in possesso di qualifiche sufficienti debba essere nominato al posto del candidato dell'altro sesso, prescelto in base al giudizio sui meriti e sulla competenza, e ciò anche qualora non venga applicata l'azione positiva nel caso in cui la differenza tra le qualifiche dei candidati sia così rilevante da porre la misura in contrasto con il criterio di oggettività che l'amministrazione è tenuta a rispettare nella selezione dei candidati.

Il diritto comunitario non si oppone invece ad una prassi amministrativa secondo la quale il candidato appartenente al sesso sottorappresentato può ottenere la precedenza rispetto al candidato del sesso opposto purché le loro qualifiche siano equivalenti o quasi equivalenti, sempre che la normativa nazionale obblighi l'amministrazione a prendere in considerazione, al momento della selezione e in ordine ai candidati che non beneficiano dell'azione positiva, circostanze e situazioni particolari di ordine personale che possano essere indice di difficoltà sociali aventi la stessa rilevanza di quelle che normalmente devono affrontare le donne.

Sul secondo e quarto quesito pregiudiziale


32 Con il secondo e quarto quesito la commissione di ricorso vi chiede se il regime svedese, contenuto nella normativa che si è appena riportata, resti illegittimo anche nel caso in cui il programma di promozione delle pari opportunità riguardi «un numero di posti determinato e limitato», come è nel caso del citato regolamento relativo all'istituzione di taluni posti di professore e ricercatore al fine di promuovere le pari opportunità (1995:936), ovvero trovi applicazione in piani di assunzione adottati da un singolo istituto di insegnamento superiore e da singole università sulla base dell'art. 15 bis, capo 4, del regolamento 1993:100 (secondo quesito); ovvero se lo stesso regime si applichi unicamente ai posti di livello inferiore o a quelli di livello superiore (quarto quesito).

Il quesito si risolve in sostanza nella seguente domanda: un'azione positiva di per sé illegittima deve considerarsi compatibile con il diritto comunitario nel caso in cui essa abbia un ambito di applicazione circoscritto?

33 A mio parere l'applicabilità più o meno estesa dell'azione positiva non ha alcun rilievo nel giudizio circa la sua compatibilità con il diritto comunitario, in quanto tale giudizio si basa principalmente sull'interpretazione delle norme che regolano l'esercizio del dovere o della facoltà dell'amministrazione di accordare la preferenza ai candidati appartenenti al sesso sottorappresentato ed eventualmente sulla necessità di tale azione in relazione alla effettiva condizione sociale dei soggetti che si intende favorire. Tale giudizio non ha per oggetto l'ambito di applicazione del regime e quindi l'ampiezza degli effetti del medesimo. Esso non riguarda, cioè, la rilevanza delle ripercussioni sociali prodotte dal sistema. Giudicare la legittimità di un'azione positiva basandosi sulla valutazione della portata delle sue conseguenze sociali significherebbe porre l'azione positiva alla stregua di qualsiasi altra forma di discriminazione tra i sessi.

All'inverso, come ho già rilevato nella causa Badeck, se è vero che la legittimità di tali misure si fonda sulla possibilità di conciliare l'azione positiva con il principio generale di non discriminazione, è anche vero che il principio di non discriminazione e il principio di pari opportunità - su cui si fonda l'azione positiva - non sono completamente antitetici: se, infatti, l'uguaglianza sostanziale si può realizzare con misure che sono, per il loro stesso oggetto, di carattere discriminatorio, essa di fatto ha l'identico obiettivo del primo, ma con una valenza ulteriore che vede il legislatore farsi carico di correggere una situazione di reale difficoltà di alcune fasce della popolazione, difficoltà cui non si potrebbe far fronte assicurando il rispetto del principio generale di non discriminazione (20).

34 Ritengo dunque che la direttiva 76/207/CEE non consenta ad uno Stato membro di adottare un programma di azioni positive di per sé illegittimo e ciò anche qualora la normativa nazionale abbia limitato l'applicazione di tale azione a un numero di posti previamente determinato e limitato ovvero ai soli posti istituiti nell'ambito di un programma speciale adottato da un singolo istituto di insegnamento. L'incompatibilità di tale regime non viene neppure meno qualora la normativa di cui trattasi si applichi ai posti di livello inferiore ovvero a quelli di livello superiore.

Conclusioni


35 Sulla base delle considerazioni che precedono propongo alla Corte di dichiarare irricevibili i quesiti rivolti dall'Överklagandenämnden för högskolan, in quanto detta commissione non è una giurisdizione ai sensi dell'art. 177 del Trattato.

In subordine, propongo alla Corte di rispondere come segue:

«1) L'art. 2, nn. 1 e 4, della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, la formazione e la promozione professionali e le condizioni di lavoro, non consente ad uno Stato membro di adottare un regime di assunzione in forza del quale il candidato del sesso sottorappresentato in possesso di qualifiche sufficienti debba essere nominato al posto del candidato dell'altro sesso, che sia risultato più idoneo in base al giudizio sui meriti e sulle competenze, e ciò anche qualora l'obbligo di preferenza venga meno se la differenza tra le qualifiche dei candidati sia così rilevante da porre la misura in contrasto con il criterio di oggettività che l'amministrazione è tenuta a rispettare nella selezione dei candidati.

2) L'art. 2, nn. 1 e 4, della direttiva 76/207/CEE non si oppone invece ad una prassi amministrativa secondo la quale il candidato appartenente al sesso sottorappresentato può ottenere la precedenza rispetto al candidato del sesso opposto purché le loro qualifiche siano equivalenti o quasi equivalenti, sempre che la normativa nazionale obblighi l'amministrazione a prendere in considerazione, al momento della selezione e in ordine ai candidati che non beneficiano dell'azione positiva, circostanze e situazioni particolari di ordine personale che possano essere indice di difficoltà sociali aventi la stessa rilevanza di quelle che normalmente devono affrontare le donne.

3) L'art. 2, nn. 1 e 4, della direttiva 76/207/CEE non consente ad uno Stato membro di adottare il regime di assunzione di cui al punto 1) anche qualora la normativa nazionale abbia limitato l'applicazione dell'azione positiva a un numero di posti limitato e previamente determinato ovvero ai soli posti istituiti nell'ambito di un programma speciale adottato da un singolo istituto di insegnamento. L'incompatibilità di tale regime non viene meno neppure qualora la normativa di cui trattasi si applichi unicamente ai posti di livello inferiore ovvero a quelli di livello superiore».

 

 


(1) - GU L 39, pag. 40.

(2) - L'art. 119, nella versione precedente alle modifiche introdotte dal Trattato di Amsterdam, non faceva alcun riferimento ad azioni positive in favore del sesso sottorappresentato e prevedeva unicamente il divieto di discriminazioni con riguardo ai trattamenti retributivi. La disposizione prevedeva, al primo comma, che «ciascuno Stato membro assicura durante la prima tappa, e in seguito mantiene, l'applicazione del principio della parità delle retribuzioni fra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro».

(3) - GU L 331, pag. 34.

(4) - Risulta dai lavori preparatori, che per «merito» si intende essenzialmente l'esperienza acquisita attraverso prestazioni precedenti, mentre la «competenza» comprende le attitudini sviluppate grazie a una formazione teorica o pratica ovvero grazie ad esperienze di lavoro.

(5) - Modificato da ultimo dal regolamento del 1_ gennaio 1999.

(6) - Sulla base di tale regolamento il governo ha erogato, con decreto del 14 marzo 1996, dnr/91, stanziamenti straordinari che hanno riguardato 30 posti di professore.

(7) - Sentenza 17 ottobre 1995, causa C-450/93 (Racc. pag. I-3051).

(8) - V., per tutte, sentenze 30 giugno 1966, causa 61/65, Vaassen-Goebbels (Racc. pag. 407); 14 dicembre 1971, causa 43/71, Politi (Racc. pag. 1039); 11 giugno 1987, causa 14/86, Pretore di Salò/X (Racc. pag. 2545, punto 7); 30 marzo 1993, causa C-24/92, Corbiau (Racc. pag. I-1277, punto 15); 19 ottobre 1995, causa C-111/94, Job Center (Racc. pag. I-3361, punto 9); 12 dicembre 1996, cause riunite C-74/95 e C-129/95, Procedimenti penali contro X (Racc. pag. I-6609, punto 18); 17 settembre 1997, causa C-54/96, Dorsch Consult (Racc. pag. 4961, punto 23); 22 ottobre 1998, cause riunite C-9/97 e C-118/97, Jokela e Pitkäranta (Racc. pag. I-6267); 12 novembre 1998, causa C-134/97, Victoria Film (Racc. pag. I-7023, punto 14) e 2 marzo 1999, causa C-416/96, El-Yassini (Racc. pag. I-1209, punto 17).

(9) - Nelle mie conclusioni nella causa Gabafrisa mi sono riferito in particolare alla sentenza Dorsch Consult, citata in precedenza, nella quale la Corte, nel respingere la tesi della Commissione per cui l'organismo remittente «non interviene, per sua stessa ammissione, in un procedimento in contraddittorio», si è limitata ad affermare che «il requisito del procedimento in contraddittorio non è un criterio assoluto». Detta affermazione, priva di motivazione rispetto al caso di specie, fa invero sorgere delle perplessità se si considera che, in precedenza, la Corte aveva accolto rinvii pregiudiziali effettuati nel corso di procedimenti nei quali il contraddittorio non era inesistente ma soltanto differito ad un (a volte eventuale) momento successivo (v. le citate sentenze Politi e Pretore di Salò contro X, nonché le sentenze 28 giugno 1978, causa 70/77, Simmenthal, Racc. pag. 1453, e 21 aprile 1988, causa 338/85, Pardini, Racc. pag. 2041).

(10) - Tale interpretazione trova conferma anche nella dottrina sulla materia, v. in particolare Hans Ragnemalm, Administrative justice, Juristförlaget, Stoccolma 1991, pag. 210, e Strömberg Håkan, Allmän förvaltningsrätt, Liber Ekonomi, 19a ed., Lund, 1998, in particolare pag. 80.

(11) - Sentenza 4 febbraio 1999, causa C-103/97 Köllensperger e Atzwanger (non ancora pubblicata in Raccolta).

(12) - Dubito poi che la presunzione di legittimità dell'azione degli organi dello Stato, cui si fa riferimento nella sentenza Köllensperger, sia garanzia sufficiente perché un'autorità amministrativa giudichi in piena e assoluta autonomia. In effetti, non è la regolarità dell'operato di tali organi che rileva nel giudizio circa la sussistenza del requisito dell'autonomia e indipendenza del «giudice remittente», ma piuttosto il contenuto delle norme interne poste a fondamento dell'azione dei medesimi.

(13) - Sentenza 11 novembre 1997, causa C-409/95, Marschall (Racc. pag. I-6363).

(14) - Il governo della Renania Settentrionale-Vestfalia, chiamato a chiarire nel corso della procedura quali fossero in concreto i «motivi inerenti alla persona di un candidato di sesso maschile», in funzione dei quali eventualmente preferire un candidato di sesso maschile, dichiarava che tali motivi ricomprendono criteri secondari di selezione quali «l'anzianità di servizio e i motivi sociali», come ad esempio la circostanza che il candidato abbia a suo carico un nucleo familiare. Da tale risposta si evince che gli elementi cui fa riferimento la legge possono attenere sia alle «qualifiche», cioè al profilo professionale dei candidati - elementi questi che, come l'anzianità di servizio, rilevano già nella fase preliminare della predisposizione della graduatoria dei candidati -, che a situazioni estranee all'idoneità del candidato a svolgere i compiti nell'ambito del rapporto di lavoro, cioè a situazioni di svantaggio che, come quelle che sono alla base dell'azione correttiva in favore delle donne, necessitano di una particolare tutela.

(15) - A ciò ho aggiunto che il giudizio sulla legittimità della misura comporta anche, necessariamente, la presa in conto della complessiva situazione che ha reso necessaria la misura equilibratrice. L'eventuale sproporzione tra la misura equilibratrice e il contesto sociale su cui essa opera (penso ad esempio ad una irrilevante differenza nelle percentuali di presenza di donne e di uomini in un'azienda o in un settore pubblico) può far venir meno le condizioni che legittimano l'azione positiva, condizioni che sono necessariamente legate ad elementi fattuali. Spetta al giudice nazionale accertare l'esistenza di tali condizioni nell'ambito di un giudizio in cui venga censurata la singola assunzione o promozione e si contesti quindi la sussistenza dell'obbligo di preferenza.

(16) - L'art. 15 bis del regolamento 1993:100 sull'insegnamento negli istituti superiori prevede la facoltà dell'amministrazione di designare, al posto del candidato prescelto in base ai meriti e alle competenze, il candidato appartenente al sesso sottorappresentato nel caso in cui risulti idoneo per il posto da assegnare. Il regolamento 1995:936 che disciplina le modalità di assegnazione di taluni posti di professore e ricercatore tra i quali quello in contestazione nella causa principale, dispone, all'art. 3, che l'amministrazione è tenuta ad accordare una preferenza al candidato del sesso sottorappresentato in presenza delle condizioni previste dallo stesso art. 15 bis del regolamento 1993:100.

(17) - V. pag. 8 dell'ordinanza di rinvio (versione italiana).

(18) - Nel rispondere ad un quesito della Corte circa l'interpretazione dell'art. 15 bis, capo 4, del regolamento 1993:100, il governo svedese ha dichiarato che, tra 21 posti assegnati negli istituti di insegnamento superiore, cinque donne sono state assunte in applicazione del programma di promozione delle donne. Tre di queste cinque assunzioni sono state impugnate davanti la commissione di ricorso. In due casi la commissione ha considerato che l'assunzione del candidato donna era in contrasto con il criterio di oggettività ed ha dunque annullato le decisioni di nomina.

(19) - V. pag. 8 dell'ordinanza di rinvio (versione in lingua italiana).

(20) - V. punto 26.

 


 

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