Cassazione Civile, 09 aprile 2014, n. 8372 - Infortunio sul lavoro e responsabilità del direttori dei lavori


 

 

Fatto





La Corte d'Appello di Lecce, con sentenza in data 6/12/11 confermava le statuizioni rese dal Tribunale di Taranto con la pronuncia n.927/08, con la quale erano state accolte le domande proposte da S.T. a titolo di risarcimento del danno in relazione all'infortunio sul lavoro occorsogli in data 3/6/92, nei confronti di M.N., proprio datore di lavoro; di L.N. titolare dell'impresa appaltatrice dei lavori; di P.V., direttore dei lavori nonché di M.C. titolare di altra impresa parimenti operante nel cantiere, condannati tutti al pagamento in solido fra loro, della somma di euro 750.000,00 oltre accessori di legge.

Dopo aver dato atto che per le lesioni riportate dal lavoratore era stato instaurato procedimento penale nei confronti di P.V., M.N., L.N. e M.C. e che con sentenza n.151/01 della Corte di legittimità era stata dichiarata l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione e rigettato agli effetti civili il ricorso proposto dal P.V., la Corte di merito perveniva alla reiezione delle doglianze formulate da quest'ultimo e dal L.N. in sede di gravame.

In particolare, respingeva la eccezione di estinzione del giudizio di primo grado ai sensi dell'art.75 c.p.p. per avere il S.T. trasferito la propria azione risarcitoria nel procedimento civile, sul rilievo che non era stata formulata alcuna eccezione di estinzione del giudizio in conformità alle previsioni di cui all'art. 307 c.p.c.

La Corte territoriale rigettava altresì le doglianze tutte articolate con riferimento alla graduazione delle responsabilità delle rispettive parti adottate dal giudice di prima istanza, ritenendole coerenti con gli apprezzamenti dei fatti e delle condotte risultanti dagli atti penali, così come quelle relative alla effettiva definizione della responsabilità dell'ing. P.V. che veniva confermata dalla adita Corte, in virtù dell'indiscusso ruolo di direttore tecnico del cantiere dal medesimo rivestito.

I giudici di merito, infine, accoglievano il gravame proposto da S.T. inteso a conseguire il rimborso delle spese mediche sostenute a causa dell'infortunio, condannando P.V., M.N., L.N. e M.C. in solido fra loro al pagamento in favore del ricorrente, degli importi a tale titolo richiesti, in tali sensi parzialmente riformando la sentenza di primo grado.

Avverso tale pronuncia della Corte territoriale V.P. ha spiegato ricorso in Cassazione affidato ad otto motivi.

Ha interposto altresì tempestiva impugnazione in via incidentale il L.N. formulando otto motivi, ai quali ha resistito con controricorso il T.S.



Diritto





Ai sensi dell'art. 335 c.p.c. il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti perché proposti ambedue contro la medesima sentenza.

Con il primo motivo del ricorso principale V.P. lamenta vizio di omessa e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia (ex art.360 n.5 c.p.c.) per avere la Corte di merito omesso: di indicare gli accertamenti espletati in sede penale ai quali era stata ancorata la responsabilità a lui ascritta in ordine all'eventus damni; di specificamente graduare la responsabilità di ciascuna delle parti convenute; di considerare la estraneità del P.V. rispetto alla dinamica del sinistro, riconducibile - alla stregua delle emergenze processuali - alla manomissione dell'impalcato svolta dai convenuti M.C. e M.N.

Con il secondo motivo denunzia vizio di omessa e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia (ex art.360 n.5 c.p.c.) per avere la Corte d'Appello disposto una reductio ad unum delle diverse responsabilità afferenti la sfera contrattuale ed extracontrattuale, tralasciando di considerare l'esistenza in atti della dimostrazione che l'evento dannoso si era verificato per la manomissione dell'impalcato, avvenuta a propria insaputa, e per la quale non poteva ritenersi responsabile né in via diretta né in via indiretta.

I motivi sono inammissibili.

L'intero impianto delle articolate censure, confligge invero, con i principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità alla cui stregua è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione ai sensi dell'art.360 n.5 c.p.c., qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte ed, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio interni all'ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata. In caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (vedi Cass. n.7394 del 26 marzo 2010).

Questa Corte ha infatti con giurisprudenza consolidata negato ingresso alle censure che si risolvono in un travisamento o erronea valutazione dei fatti per le quali può prospettarsi il rimedio revocatorio (Cass. n.17057 del 3 agosto 2007, Cass. n.24166 del 13 novembre 2006), ed ha altresì evidenziato che il rimedio evocato ex art.360 n.5 c.p.c. è indirizzato avverso un errore di attività logica e quindi, da un lato è errore di attività, dall'altro presuppone un vizio che impedisce il riesame del giudizio sul fatto, comprensivo della valutazione delle prove, se non sotto il profilo dell'errore logico o nella omissione di valutazione.

E' indubbio, peraltro, che i vizi indicati nell'art.360 n.5 c.p.c. non possono concorrere fra loro ma sono alternativi, non essendo logicamente concepibile che una stessa motivazione sia, su una determinata questione, contemporaneamente illogica, insufficiente e contraddittoria (cfr. Cass. n.7626 del 30 marzo 2010). Ed ancora per la configurabilità del vizio di motivazione non è sufficiente la prospettazione di una possibile diversa valutazione della ricostruzione dei fatti rispetto a quella fatta propria dalla sentenza, ma occorre dimostrare che quella diversa valutazione sia l'unica logicamente possibile (in tali sensi vedi Cass.n.10684 del 24 aprile 2008). Il vizio denunciato deve investire, poi, un fatto decisivo della controversia, poiché altrimenti, non avrebbe conseguenze dirette sul giudizio, come nel caso in cui questo si fondi su altri elementi autonomamente sufficienti (vedi Cass. n.4202 del 13 febbraio 2008).

Nel caso di specie, il ricorrente non si è attenuto ai principi enunciati, avendo lamentato genericamente la carenza motivazionale della sentenza sotto il profilo della omessa indicazione degli accertamenti espletati in sede penale, il mancato accertamento della responsabilità individuale di ciascuno dei convenuti, la omessa considerazione della circostanza che la manomissione della impalcatura della quale era rimasto all'oscuro, era stata realizzata da terzi.

Si tratta di considerazioni espresse in guisa generica, attinenti la ricostruzione fattuale degli eventi oggetto di disamina alla quale non è corrisposta una diversa ricostruzione dalla quale potesse con certezza escludersi un inserimento della condotta del P V nella regolarità causale che è confluita nella determinazione dell'evento dannoso, né una specifica indicazione del contenuto e della tempestività delle allegazioni concernenti le circostanze descritte, con evidente vulnus ai principi di decisività della censura e di autosufficienza del ricorso.

Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta vizio di violazione e falsa applicazione di legge (art. 75 c.p.p., artt. 306 e 307 c.p.c., artt.651 e 652 c.p.p.) ed omessa e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia (ex art.360 nn.3, 4 e 5 c.p.c.) per avere il giudice di merito disposto richiamo all'art.307 c.p.c. ir. luogo che all'art. 306 c.p.c. cui l'art. 75 c.p.p. fa rinvio allorché sancisce che "l’azione civile proposta davanti al giudice civile può essere trasferita nel processo penale fino a quando in sede civile non sia stata pronunciata sentenza di merito anche non passata in giudicato (c.p.c. 324).

L'esercizio di tale facoltà comporta rinuncia agli atti del giudizio (c.p.c. 306)".

Rimarca quindi l'erroneità della decisione laddove ha escluso l'esistenza di qualsivoglia, effetto estintivo del giudizio connesso alla costituzione di parte civile, sul rilievo della mancata formulazione di alcuna istanza da parte dell'interessato, non richiesta dalla disposizione di cui all'art. 306 c.p.c. applicabile alla fattispecie.

Il motivo è inammissibile.

Non può infatti tralasciarsi di considerare che sulla eccezione di estinzione del giudizio di primo grado sollevata ex art.75 c.p.p. la Corte di merito ha fornito una motivazione articolata evidenziandone da un lato la sua intempestività e non ritualità, dall'altro la sua infondatezza, stante la non provata coincidenza delle pretese fatte valere in sede penale ed in sede civile. Nell'ottica descritta il motivo scrutinato non può ritenersi suscettibile di disamina in questa sede perché, per inficiare l'assunto di controparte, fa riferimento a documenti che oltre a non essere stati allegati al ricorso, non risultano neanche nella loro integrità contenutistica ivi riportati anche per quanto riguarda l'identità di petitum e causa petendi fra le domande spiegate nel giudizio penale ed in quello civile, e tutto ciò in violazione del principio di autosufficienza del ricorso di Cassazione.

E' infatti orientamento costante (confronta, tra le altre, Cass. Sez. Un. n. 28547 del 2 dicembre 2008; Cass. n. 22302 del 3 luglio 2008 e, tra le più recenti, Cass. n. 6556 del 14 marzo 2013) che, in tema di ricorso per cassazione, a seguito della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 c.p.c., comma 6, oltre a richiedere la "specifica" indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità. In altri termini, il ricorrente per cassazione, ove intenda dolersi dell'omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere - imposto dall'art. 366 c.p.c.,1 comma 1, n. 6 - di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento. La violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile.

Nella specie, per quanto qui rileva, non risultano riportati nella loro essenza contenutistica gli atti in relazione ai quali si modula l'eccezione di estinzione del giudizio di primo grado al fine di poter valutare l'identità delle domande spiegate nelle diverse sedi processuali. Né la parte ricorrente indica in quale parte del fascicolo i suddetti atti sarebbero rinvenibili.

La censura, per la evidente violazione del principio di autosufficienza, non si sottrae, quindi, ad un giudizio di inammissibilità.

Con il quarto motivo il P.V. ribadisce l'esistenza di un vizio di omessa e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia (ex art. 360 nn. 4 e 5 c.p.c.) per avere il giudice di merito erroneamente graduato la responsabilità ascritta a ciascuna delle parti convenute, ascrivendo al M.N. ed al P.V. una responsabilità per ciascuno pari al 30% alterando l'equilibrio percentuale sancito dal giudice penale (70% M.C. e 30% P.V.)

L'aggiunta della responsabilità riconosciuta in capo al M.N. (assolto in primo grado), avrebbe invece dovuto condurre ad una detrazione della quota ascrivibile ad esso ricorrente, che scenderebbe dal 30 al 15%.

Con il quinto motivo si denuncia vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia ex art.360 n. 5 c.p.c., per avere la Corte territoriale motivato solo "per relationem" in rapporto al sesto motivo di gravame con il quale si era lamentata la violazione dell'art.112 c.p.c. avendo il giudice di primo grado condannato parte resistente al risarcimento del danno morale in favore del T.S. pur in difetto di esplicita domanda, che risultava dispiegata esclusivamente nei confronti dell'Inail.

Con il sesto motivo si lamenta vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. per avere il giudice di merito prefigurato una responsabilità di tipo obiettivo riconducibile alla sua qualità di direttore tecnico, omettendo di considerare fattori interruttivi del nesso causale fra condotta ed evento dannoso, integrati dalla condotta gravemente imprudente del M.N. il quale aveva di propria iniziativa segato le tavole dell'impalcatura sì da rendere instabile l'intera struttura, e del M.C., che aveva manomesso tavolati e traversi, come delineati alla luce degli accertamenti peritali espletati in sede penale.

Anche tali censure si palesano inammissibili per le ragioni già illustrate in relazione ai motivi precedenti, giacché esse non configurano critiche specifiche e conferenti ai diversi passaggi motivazionali della sentenza impugnata, tendendo ad operare una rivisitazione delle valutazioni di merito operate dalla Corte territoriale, senza che, in violazione del criterio di autosufficienza del ricorso, vengano evidenziati elementi fattuali e giuridici idonei ad incidere sulla tenuta della impugnata decisione, che per essere supportata da argomentazioni logiche e da una motivazione congrua, e per avere fatto corretta applicazione delle norme applicabili alla fattispecie scrutinata, si sottrae alle censure che le sono state mosse.

Con il settimo motivo il ricorrente denuncia poi vizio di difetto di motivazione con riferimento al disposto di cui agli artt. 1131, 1292, 2049, 2043, 2055 c.c. sul rilievo che la costituzione di parte civile del T.S. nei confronti del solo ing. P.V. con accettazione della provvisionale, comportava rinuncia al vincolo di solidarietà passiva ex art.1311 c.c., diversamente da quanto argomentato dalla Corte d'Appello. Rileva, inoltre, il profilo contraddittorio della impugnata sentenza laddove configura una responsabilità quale soggette preposto alla vigilanza del cantiere (quindi diretta) concorrente con quella del L.N. ex art. 2049 c.c.

Con l'ottavo motivo il ricorrente contesta infine, gli approdi ai quali è pervenuta la Corte di merito in ordine all'accoglimento dell'appello incidentale proposto dal T.S. con riferimento al rimborso delle spese mediche affrontate, oggetto di specifica contestazione nell'an e nel quantum debeatur.

Le doglianze sono prive di pregio, e presentano le medesime carenze che connotano le precedenti censure.

Si consideri in particolare, quanto al settimo motivo, che in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, non risultano allegate puntualmente le circostanze tutte che nella prospettazione del ricorrente, andrebbero a definire le ipotesi in cui si realizza l'istituto della rinuncia alla solidarietà, come illustrate dal secondo comma dell'art.1311 c.c. Esse non risultano infatti specificate né sotto il profilo contenutistico, né sotto quello della indicazione dell'atto del giudizio in cui era stato dedotto innanzi al giudice di merito, onde dar modo alla Corte in sede di legittimità, di svolgere il doveroso controllo ex actis (vedi Cass. n. 23675 del 18 ottobre 2013).

Parimenti, con riferimento all'ottavo motivo, le argomentazioni addotte a sostegno della censura, si prestano alle medesime critiche innanzi illustrate, essendo il pv. venuto meno all'obbligo di specificamente allegare tempi e modi inerenti la dedotta contestazione in ordine all'an ed al quantum debeatur relativo alla domanda inerente il rimborso delle spese mediche spiegata da parte dell'infortunato, secondo gli oneri sanciti dall'art. 366 c.p.c. ed in coerenza con il già citato principio di autosufficienza del ricorso.

Dal canto suo il L.N., col ricorso incidentale, denunzia vizio di violazione o falsa applicazione di legge ed omessa insufficiente o contraddittoria motivazione ex artt. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. per avere la Corte territoriale acclarato la propria responsabilità nella causazione dell'evento dannoso ai sensi dell'art. 2049 c.c. benché il ricorrente avesse azionato il proprio diritto nei suoi confronti in base ad un principio di responsabilità diretta, omettendo di espletare la doverosa indagine interpretativa della domanda giudiziale onde individuarne il contenuto sostanziale a prescindere dalle formule adottate nelle conclusioni del ricorso.

Con il secondo ed il terzo motivo lamenta vizio di omessa motivazione ex artt. 360 nn. 4 e 5 c.p.c. avendo la Corte di merito radicato la responsabilità di esso ricorrente in ordine alla dinamica dell'eventus damni, nella disposizione di cui all'art.2049 c.c. senza procedere ad alcuna valutazione della effettiva ricorrenza degli elementi costitutivi del diritto acclarato (esistenza di un vincolo di dipendenza vigilanza o sorveglianza fra committente e commesso, effettiva esecuzione di opere od incarichi) limitandosi al rilievo del mero affidamento dell'incarico di direttore dei lavori al R.V. e tralasciando di considerare la documentazione prodotta (vedi decreto penale 5/11/93 con cui il GIP di Taranto aveva disposto l'archiviazione del procedimento penale nei suoi confronti), da cui si evinceva l'esclusione di una propria effettiva responsabilità in ordine ai fatti oggetto di controversia.

Con il quarto ed il quinto motivo denunzia vizio di violazione di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c. (artt. 2043-2049 c.c. artt. 40-41 c.p.) ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ex art. 360 n.5 c.p.c. per avere la Corte di merito acclarato la responsabilità in via indiretta in relazione all'operato del direttore tecnico, trascurando le emergenze processuali univoche nel senso della riconducibilità delle manomissioni dell'impalcatura all'attività di soggetti estranei all'impresa M.C. e M.N.) e della assenza di responsabilità del cantiere in capo all'ing. P.V. In tale prospettiva lamenta quindi un'errata applicazione del principio di causalità materiale per l'omessa considerazione di fattori interruttivi del nesso eziologico fra condotta ed evento dannoso.

Con il sesto motivo il L. lamenta vizio di omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia ex art. 360 nn. 4 e 5 c.p.c. per avere la Corte salentina disposto condanna nei suoi confronti al pagamento del danno morale in assenza di una specifica domanda da parte del danneggiato.

Con il settimo ed ottavo motivo, denunzia, infine, vizio di omessa pronuncia ex art. 360 n.4 c.p.c., violazione e falsa applicazione di legge (artt. 2049 e 2055 c.c.) e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia ex art. 360 nn.3 e 5, avendo i giudici di merito erroneamente disposto condanna in solido con gli altri convenuti al risarcimento del danno nei confronti del T.S. nonostante l'art. 2049 c.c. (disposizione alla cui stregua era stata radicata la propria responsabilità in via meramente indiretta in ordine alla causazione dell'evento infortunistico e che implicava nei rapporti esterni, l'assenza di un "medesimo fatto dannoso"), escludesse la applicabilità alla fattispecie del principio di solidarietà passiva sancito dall'art. 2055 c.c. che proprio sulla identità del fatto si fondava.

Le censure di cui ai nn. 1-5 sono inammissibili.

Ai fini di un ordinato iter argomentativo, è utile rammentare come già accennato in parte espositiva, che la Corte territoriale, condividendo gli approdi ai quali era pervenuta la decisione di primo grado, ha rimarcato che gli elementi di giudizio per affermare la responsabilità di tutti coloro che hanno resistito alle pretese del T.S. - ad eccezione dell'Inail - sono indicati nelle risultanze delle indagini svolte in sede penale nonché nelle perizie indicate ed espletate ed in tutti gli accertamenti probatori compiuti.

In tale ottica, i motivi del ricorso incidentale muovendo dalla principale censura di violazione o falsa applicazione dell'art. 2049 c.c., tendono poi a risolversi in critiche che presentano innegabili profili di novità o mirano ad una rivisitazione delle considerazioni di merito operate dalla Corte territoriale senza che vengano evidenziati, in violazione del criterio della autosufficienza del ricorso, elementi fattuali e giuridici idonei ad inficiarne la comprovata coerenza e congruità motivazionale.

Nel contesto descritto si collocano i motivi 1-2-4-5, laddove il motivo terzo inerente il mancato accertamento dell'effettiva natura del rapporto di lavoro con il P.V. si presenta affetto da evidente vizio di novità.

E' infatti principio consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte che è onere della parte ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l'avvenuta deduzione delle questioni relative innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della questione (vedi in tali sensi, fra le tante, Cass. n. 23675 del 18 ottobre 2013, Cass. n.1435 del 22 gennaio 2013).

Nel caso di specie il ricorrente ha omesso ogni puntuale deduzione al riguardo, limitandosi a segnalare di aver prodotto in grado di appello decreto 5/11/93 del GIP di Taranto di archiviazione del procedimento penale nei suoi confronti, onde "contrastare l'esistenza dei presupposti della responsabilità ex art. 2049 c.c. a suo carico apoditticamente affermata dal primo giudice", ed omettendo di specificare di aver puntualmente sollevato la questione concernente la natura del proprio rapporto di lavoro con l'ing. P.V. sin dal primo grado di giudizio.

Il motivo proposto è, peraltro, chiaramente infondato ove si consideri che ai fini dell’applicabilità dell'art. 2049 c.c., non è più richiesto l'accertamento del nesso di causalità tra l'opera dell'ausiliario e l'obbligo del debitore (confronta, ad esempio, Cass. n. 5150 del giorno 11 maggio 1995), né la sussistenza di un rapporto di subordinazione tra l'autore dell’illecito e il proprio datore di lavoro e del collegamento dell'illecito stesso con le mansioni svolte dal dipendente (ad esempio, Cass. n. 9100 del 29 agosto 1995), essendosi già da tempo consolidato il diverso principio alla cui stregua ai fini dell'applicabilità dell'art. 2049 c.c., è sufficiente un rapporto di occasionalità necessaria, nel senso che l'incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l'evento dannoso, anche se il dipendente abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, purché sempre nell'ambito dell'incarico affidatogli, così da non configurare una condotta del tutto estranea al rapporto di lavoro (cfr. Cass. n.1516 del gennaio 24 gennaio 2007, Cass. n.17836 del 22 agosto 2007). Nell'ottica descritta, la fattispecie astratta regolata dalla massima giurisprudenziale citata appare pienamente sovrapponibile alla ipotesi concreta accertata dalla Corte territoriale, poiché va chiaramente affermato il principio che l'art. 2049 c.c. risulta applicabile ogni volta che sussista una relazione qualificata tra l'attività del "padrone" o del "committente" e il comportamento dell'ausiliario.

La censura di cui al sesto motivo concernente la assunta violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato ex art.112 c.p.c. in relazione al danno morale, la cui pretesa si deduce non sia stata proposta nei propri confronti, è, poi, palesemente inidonea ad inficiare i corretti approdi ai quali è pervenuta la Corte territoriale, laddove, nel respingere la doglianza formulata dal L.N. ha richiamato l'atto introduttivo del giudizio con il quale il T.S. aveva proposto domanda di risarcimento del danno morale nei confronti di tutti i convenuti.

I motivi settimo ed ottavo, infine, si palesano del tutto infondati.

Per esigenze di chiarezza espositiva, è utile rammentare come già accennato in precedenza, che la Corte territoriale, condividendo gli approdi ai quali era pervenuta la decisione di primo grado, ha posto a fondamento del decisum la identità della pretesa azionata dal T.S. nei confronti del proprio datore di lavoro e di tutti gli altri soggetti corresponsabili del fatto, qualificando specificamente la responsabilità del L.N. ex art.2049 c.c. in relazione alla obbligazione contrattuale che lo legava al direttore dei lavori ing. P.V. e dando atto che anche il L.N. dovesse rispondere dell'evento lesivo per essersi la sua condotta atteggiata quale concausa dell'evento infortunistico occorso al T.S.

E sempre motivi di chiarezza espositiva consigliano ancora, di osservare - avendo rilevanza ai fini decisori - come la giurisprudenza di legittimità ha statuito che quando un medesimo danno è provocato da più soggetti, per inadempimenti diversi intercorsi rispettivamente fra ciascuno di essi ed il danneggiato, tali soggetti debbano essere considerati corresponsabili in solido non tanto sulla base dell'estensione alla responsabilità contrattuale della norma dell'art. 2055 c.c. dettata per la responsabilità extracontrattuale - come pure è stato sostenuto in dottrina - ma soprattutto perché sia in tema di responsabilità contrattuale che di responsabilità extracontrattuale, se un evento dannoso è imputabile a più persone - come è accaduto nel caso di specie - al fine di ritenere la responsabilità di tutte nell'obbligo risarcitorio, è sufficiente in base ai principi che regolano il nesso di causalità, soltanto il concorso di più cause efficienti nella produzione dell'evento, e cioè che le azioni od omissioni di ciascuno abbiano concorso in maniera efficiente, alla determinazione dello stesso (vedi in tali sensi Cass. n. 23918 del 9 novembre 2006, Cass. n.18939 del 10 settembre 2007 cui adde Cass. n. 7618 del 30 marzo 2010 ed in termini sostanzialmente analoghi, più di recente, Cass. n. 7404 del giorno 11 maggio 2012).

Alla stregua di quanto sinora detto ed in linea con i dieta giurisprudenziali sopra enunciati, può affermarsi il seguente principio di diritto:"Nei casi di controversie per infortuni sul lavoro allorquando un danno di cui si chiede il ristoro è determinato da più soggetti, ciascuno dei quali con la propria condotta contribuisce alla produzione dell'evento dannoso, si configura una responsabilità solidale ai sensi dell'art. 1294 c.c. fra tutti costoro, qualunque sia il titolo per il quale ognuno di essi è chiamato a rispondere. Ed infatti sia in tema di responsabilità contrattuale che di responsabilità extracontrattuale, se un unico evento dannoso è ricollegabile eziologicamente a più persone è sufficiente ai fini della suddetta solidarietà, che tutte le singole azioni od omissioni abbiano concorso in modo efficiente a produrlo, stante i principi che regolano il nesso di causalità ed il concorso di più cause efficienti nella produzione dei danni (patrimoniali e non) da risarcire".

Corollario dei principi sinora esposti è che il settimo e l'ottavo motivo non possono trovare accoglimento perché privi di fondamento.

In definitiva, il ricorso incidentale spiegato dal L.N. è da ritenersi infondato e va pertanto respinto.

Il governo delle spese del grado segue, infine, il principio della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata. Nessuna statuizione va invece emessa nei confronti delle parti rimaste intimate.



P.Q.M.





Riunisce i ricorsi. Dichiara inammissibile il ricorso principale e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del grado in favore del T.S. che liquida in euro 3.500,00 di cui euro 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge. Rigetta il ricorso incidentale e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del grado in favore del T.S. che liquida in euro 3.500,00 di cui euro 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Nulla per le spese nei confronti delle parti intimate.