Cassazione Penale, Sez. 4, 13 gennaio 2014, n. 974 - Figure coinvolte nella sicurezza in cantiere: pluralità delle posizioni di garanzia. Responsabilità del capo cantiere e del direttore tecnico di cantiere


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FOTI Giacomo - Presidente -
Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere -
Dott. CIAMPI F. - rel. Consigliere -
Dott. VITELLI CASELLA Luca - Consigliere -
Dott. ESPOSITO Lucia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
1. D.G. N. IL (OMISSIS);
2. C.S. N. IL (OMISSIS);
Avverso la sentenza della CORTE D'APPELLO DI NAPOLI del 03/04/2012;
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI;
viste le conclusioni del PG in persona del dott. Roberto Aniello che ha chiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione; conferma delle statuizioni civili;
per la parte civile è presente il difensore di fiducia avvocato Capasso Francesco anche in sostituzione dell'avvocato Carmine Ucciero che deposita nota spese e conclusioni cui si riporta;
per C. è presente l'avvocato Giuseppe Toraldo che chiede l'accoglimento del ricorso;
per D. l'avvocato Ferrante Luigi che si associa alle richieste del P.G..


Fatto



1. Con sentenza in data 3 aprile 2012 la Corte d'Appello di Napoli confermava la sentenza del Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Afragola appellata da C.S. e D.G. nonchè dalle costituite parti civili. Questi erano stati tratti a giudizio per rispondere nelle rispettive qualità il D. quale capo cantiere ed il C. quale tecnico di cantiere, del reato p. e p. dall'art. 5, comma 1 e art. 21, comma 2, lett. A) per non aver assicurato tramite opportune azioni di coordinamento l'applicazione delle disposizioni contenute nei piani di sicurezza e delle relative procedure di lavoro nel periodo dal 26 luglio 2000, data di conferimento dell'incarico al 4 aprile 2003, in particolare non verificando l'idoneità del piano operativo di sicurezza quale piano complementare e di dettaglio del piano di sicurezza e coordinamento, nonchè del delitto previsto e punito dagli artt. 113 e 589 c.p. per colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia, nonchè nell'inosservanza della normativa antinfortunistica di cui al D.P.R. 547 del 1955, art. 10, D.P.R. n. 164 del 1956, art. 68 e D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5, comma 1, art. 6, comma 2 e art. 11 ed in particolare non avendo provvisto di solida copertura o di normali parapetti l'apertura (il lucernario) esistente sul lastrico di copertura di primo livello dell'ospedale (OMISSIS), non avendo altresì adottato idonee precauzioni atte ad evitare la caduta delle persone dalla predetta apertura, priva peraltro di recinzioni e di apposite segnalazioni di pericolo, unitamente agli altri coimputati, cooperavano a cagionare il decesso di D'.Pa., dipendente della EDIL A. con mansioni di muratore, il quale cadendo all'interno della apertura da un'altezza di oltre tre metri, riportava lesioni personali gravissime, consistite in grave trauma encefalico con conseguente shock emorragico ed arresto cardio-respiratorio irreversibile, dalle quali derivava la morte.

2. Avverso tale decisione proponevano ricorso:

2.1 D.G. deducendo la nullità della gravata sentenza per mancanza ed illogicità della motivazione ed errata applicazione della legge penale quanto alla ritenuta posizione di garanzia del D. che non rivestiva la posizione di responsabile della sicurezza; la nullità del procedimento sin dalla fase dell'udienza preliminare per mancata notifica di parte della contestazione; in via subordinata la nullità della sentenza per mancanza di motivazione in relazione alla non applicata riduzione della pena al minimo e alla concessione delle attenuanti generiche; in via ulteriormente subordinata chiede che venga dichiarata la estinzione del reato essendo decorsi i termini di prescrizione.

2.2 C.S. ricorre deducendo l'inosservanza od erronea applicazione della legge nonchè la mancanza e contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza degli elementi strutturali ontologici costitutivi dell'ascritto delitto colposo; in particolare deduce la insussistenza del nesso di causalità e della posizione di garanzia; che il comportamento del D'. era stato imprevedibile; che esso imputato era assente al momento dell'accaduto; l'intervenuta prescrizione; mancata prevalenza delle attenuanti generiche.



Diritto


3. Va premesso che il reato ascritto agli imputati non è prescritto (come richiesto dal P.G. ed in via subordinata dalla difesa del D.).

Ed invero pur risalendo i fatti al 21 febbraio 2002, trattandosi di reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione di norme sulla prevenzione infortuni, il termine massimo di prescrizione è da individuarsi, essendo state concesse le attenuanti generiche solo equivalenti alla contestata aggravante, in quindici anni sia in base alla disciplina della prescrizione precedente la novella intervenuta con la cd. legge ex Cirielli sia in base alla disciplina attualmente vigente, termine comunque non decorso.

4. Il fatto è stato così ricostruito dai giudici di merito: il (OMISSIS) il D'., operaio della Edil A. S.r.l., società che stava eseguendo i lavori presso l'ospedale (OMISSIS) su mandato della ASL Napoli (OMISSIS), decedeva a seguito di una caduta dal lucernaio posto sul lastrico del primo livello del nosocomio, in quel momento privo di qualsiasi copertura. La settimana precedente sul luogo del sinistro erano stati eseguiti dei lavori consistiti nella realizzazione del masso di pendenza di lapillo e cemento sul terrazzo, nonchè di un cordonetto perimetrale intorno due botole. Le suddette botole, inizialmente recintate e coperte, erano, poi, dopo la realizzazione dei cordoli, state lasciate prive di protezione, in attesa di collocare la copertura di alluminio, non riposta a causa del maltempo. Il D. era capo cantiere, mentre il C. rivestiva la qualifica di rappresentante per la sicurezza dei lavoratori e del servizio di prevenzione e preposto alla sicurezza delle opere edili.

Sostiene il D. di non essere destinatario di alcuna posizione di garanzia. Il motivo è infondato: come precisato da questa Corte, infatti, (cfr. Sez. 4, n. 46849 del 3 novembre 2011, PG in proc. Di Carlantonio ed altro, Rv 252149), in particolare, il capo cantiere, anche in presenza di una pluralità di posizioni di garanzia è destinatario diretto dell'obbligo di verificare che le concrete modalità di esecuzione delle prestazioni lavorative all'interno del cantiere rispettino le normative antinfortunistiche. (In applicazione del principio di cui alla riportata massima la S.C. ha censurato la decisione con cui il giudice di appello, in riforma della decisione di primo grado, ha escluso la responsabilità - in ordine al reato di omicidio colposo - dell'imputato, rilevando che, in presenza di più posizioni di garanzia, non poteva pretendersi da un sottoposto, quale il capo cantiere, l'esercizio di compiti di controllo spettanti a più qualificati professionisti e omettendo di verificare, se, in concreto, fosse esigibile da parte del predetto capo cantiere, il controllo sulla adeguatezza del piano di sicurezza, rispetto alle opere da realizzare).

5. Sostiene ancora il D., riportando all'uopo stralci di alcune testimonianze, che il D'. avrebbe autonomamente deciso di agire, salendo sul lucernaio, sollecitato dall'esterno da un dipendente dell'ospedale per controllare delle infiltrazioni di acqua e che conseguentemente l'incidente ebbe a verificarsi per un comportamento abnorme, improvviso ed imprevisto del lavoratore. Anche tale motivo è infondato : come questa Corte ha più volte ribadito, in materia di infortuni sul lavoro, la eventuale condotta incauta del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell'eccezionaiità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute (ex plurimis, Cass. 4, n. 21587/07, Pelosi, Rv. 236721). Nel caso di specie, come correttamente segnalato nella sentenze di merito, il D'. ha patito l'infortunio mentre svolgeva la sua ordinaria attività di lavoro presso il cantiere (a nulla rilevando che la necessità dell'intervento gli fosse eventualmente stata effettivamente sollecitata dall'esterno), cantiere dove peraltro i lavori non erano in alcun modo cessati - come sostenuto dagli imputati -, ma solo sospesi per le forti piogge e dove lucernari erano stati lasciati scoperti da almeno una settimana, con conseguente facile prevedibilità da parte degli imputati sia delle possibili infiltrazioni che avrebbero richiesto un intervento di copertura almeno provvisorio, sia dei conseguenti pericoli per i lavoratori (cfr. pag. 7 della impugnata sentenza).

Pertanto la circostanza che il D'., preso dalla routine del lavoro e probabilmente da un eccesso di zelo, si sia autonomamente portato sul lastrico di copertura, non costituisce comportamento abnorme idoneo ad interrompere il nesso causale tra la condotta omissiva degli imputati e l'evento, condotta connotata da colpa, tenuto conto che le cautele omesse erano proprio preordinate ad evitare il rischio specifico che poi concretamente si è materializzato nell'infortunio in cui ha perso la vita il D'..

Con un ulteriore motivo il D. censura per "carenza di motivazione" la gravata sentenza relativamente al rigetto del motivo di appello concernente la richiesta declaratoria di nullità della sentenza per invalidità della notifica della richiesta di rinvio a giudizio, priva di parte della contestazione, nonchè dell'avviso dell'udienza del 3 luglio 2006, erroneamente notificato al difensore per asserita insufficienza del domicilio, in realtà, correttamente indicato. Il motivo così come proposto è palesemente inammissibile, stante la sua assoluta genericità; il ricorrente, invero, si limita ad affermare unicamente a riguardo: sul punto la motivazione è carente (cfr. pag. 8 del ricorso). Di contro la gravata sentenza ha puntualmente evidenziato le ragioni per cui le notifiche dovevano ritenersi correttamente effettuate (cfr. pag. 5 della sentenza), senza che il D. contesti in alcun modo le argomentazioni della Corte distrettuale.

Quanto alle censure relative al diniego della prevalenza delle attenuanti generiche ed al complessivo trattamento sanzionatorio, anche in tal caso le censure sono infondate. Il giudice di merito, per negare la prevalenza delle attenuanti generiche e determinare la pena ha valutato la gravità del fatto, nonchè i preminenti profili di colpa, tenuto conto delle macroscopiche violazioni antinfortunistiche poste in essere dai due imputati.

Va ricordato che questa Corte di legittimità, con giurisprudenza consolidata ha stabilito che le statuizioni relative alla pena ed al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti sono censurabili in cassazione soltanto nella ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico, essendo sufficiente a giustificare la soluzione della equivalenza aver ritenuto detta soluzione la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto" (cfr. Cass. 1, 15542/01, Pelini).

Nel caso di specie, il giudice di merito, con adeguata motivazione, ha spiegato di non ritenere il ricorrente meritevole della prevalenza delle attenuanti. Si tratta di considerazioni ampiamente giustificative del diniego della prevalenza, che le censure proposte non valgono a scalfire.

6. Quanto al ricorso del C., si rimanda alle osservazioni in precedenza formulate per i motivi comuni al coimputato ricorrente.

In relazione alla contestata posizione di garanzia, osserva la Corte:

l'imputato rivestiva la qualità di direttore di cantiere con il compito di controllo tecnico della qualità dell'opera sotto i diversi profili della qualità e della sicurezza del lavoro, ed era dunque titolare di una autonoma posizione di garanzia in considerazione del suo ruolo, ai sensi del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4. La disciplina della sicurezza del lavoro delinea tre distinte figure, che incarnano distinte funzioni e distinti livelli di responsabilità. Ai sensi del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4, il datore di lavoro è colui che esercita l'attività, ha la responsabilità della gestione aziendale e pieni poteri decisionali e di spesa. In connessione con tale ruolo di vertice, l'ordinamento prevede numerosi obblighi specifici penalmente sanzionati. Il richiamato art. 4 individua altresì un livello di responsabilità intermedio, incarnato dalla figura del dirigente, che dirige appunto, ad un qualche livello, l'attività produttiva, un suo settore o una sua articolazione. Tale soggetto non porta le responsabilità inerenti alle scelte gestionali generali; ma ha poteri posti ad un livello inferiore, solitamente rapportati anche all'effettivo potere di spesa. Il terzo livello di responsabilità riguarda la figura del preposto che sovrintende alle attività e che quindi svolge funzioni di supervisione e controllo sulle attività lavorative concretamente svolte. Il direttore tecnico di cantiere è direttamente portatore di un proprio livello di gestione e responsabilità che, per quel che qui interessa, riguarda anche l'organizzazione generale della sicurezza del cantiere. Tale livello di responsabilità è stato in concreto, seppur malamente, gestito nei modi che si sono visti, nè rileva che al momento dell'infortunio il C. non fosse presente sul posto.

Pure le deduzioni in ordine alla dimostrazione del nesso causale sono infondate. La sentenza pone in luce da un lato che l'evento letale fu determinato dalla mancata protezione delle aperture e dall'altro che gli imputati avevano il compito istituzionale di vigilare sulla sicurezza del cantiere.

Dunque, l'attenzione dei garanti doveva essere adeguatamente fecalizzata sulla specifica situazione; sicchè si richiedeva una particolare vigilanza che invece mancò. Da tale valutazione la pronunzia desume l'esistenza, con evidenza, sia della colpa che del nesso causale. A tale ultimo riguardo l'esposizione postula in modo implicito ma vigoroso l'esistenza del nesso causale. Infatti, si desume dal ragionamento probatorio, se gli imputati avessero esercitato le loro funzioni istituzionali di vigilanza e direzione, sarebbero state adottate misure di protezione delle aperture, che con certezza avrebbero evitato la caduta. I ricorsi vanno quindi rigettati con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute in questo giudizio dalle costituite parti civili che si liquidano come da dispositivo.



P.Q.M.

rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore delle parti civili costituite che liquida nei confronti di M.T. e D'.Mi. in complessivi Euro 3.000,00 oltre accessori come per legge e nei confronti di L. R., D'.An. e D'.Ni. in complessivi Euro 3.500,00 oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2014