Cassazione Civile, Sez. Lav., 30 maggio 2014, n. 12209 - Mansioni lavoratice e aggravamento delle condizioni psicofisiche




 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSELLI Federico - Presidente -
Dott. DE RENZIS Alessandro - Consigliere -
Dott. MANNA Antonio - Consigliere -
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni - rel. Consigliere -
Dott. GHINOY Paola - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso 20530-2011 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell'avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
B.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SARDEGNA 50, presso lo studio dell'avvocato MERILLI EMANUELE, rappresentato e difeso dall'avvocato TURRA' SERGIO, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 737/2011 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 24/02/2011 R.G.N. 10364/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/04/2014 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;
udito l'Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega FIORILLO LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.


Fatto


Con sentenza 24 febbraio 2011 la Corte di appello di Napoli (nel giudizio di rinvio dalla Corte di Cassazione, che, con sentenza 28 gennaio 2009 n. 2171, ne aveva annullato la sentenza 31 dicembre 2003, di improcedibilità dell'appello di Poste Italiane s.p.a. per mancata produzione della decisione impugnata in copia autentica) respingeva tale appello avverso la sentenza 20 giugno 2001 del Tribunale di Napoli, di condanna della società datrice al pagamento, a titolo risarcitorio per lesione alla sua integrità psico-fisica, della somma di L. 441.014.000 (di cui L. 50.000.000 per danno biologico), oltre rivalutazione e interessi, in favore di B. G., suo dipendente dal 1981 assunto come invalido civile ex L. n. 482 del 1968 con mansioni di dattilografo e dall'aprile 1996 adibito ad altre più faticose, incompatibili con le sue condizioni (recapito esterno e chiusura di pesanti cancelli, spostamento di cassettoni, cassette di sicurezza e pacchi di corrispondenza), cui il giudice cautelare, adito due volte in via in via d'urgenza ai sensi dell'art. 700 c.p.c., aveva ordinato di non adibirlo più e che ne avevano peggiorato lo stato, fino all'accertamento con verbale 10 ottobre 1997 della A.S.L. (OMISSIS) di inidoneità al lavoro e al licenziamento del 27 ottobre 1997 per tale ragione.

Preliminarmente ritenuta la decidibilità della controversia nel merito sulla base del principio di diritto fissato dal giudice di legittimità, la Corte territoriale escludeva l'improcedibilità della domanda del lavoratore invalido per inapplicabilità dell'art. 443 c.p.c. (relativo a richiesta di prestazione di assistenza obbligatoria e non risarcitoria di danno patrimoniale e biologico, come nel caso di specie) e così anche il difetto di legittimazione passiva della società datrice, in favore dell'Inail e l'esonero da responsabilità civile della prima ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 10 e 11 (limitato al danno patrimoniale derivante da riduzione della capacità lavorativa generica), per la ravvisata inapplicabilità ratione temporis, diffusamente argomentata, della disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 38 del 2000.

Nel merito, accertava l'aggravamento delle condizioni psicofisiche di B.G. in misura del 55% rispetto all'epoca di assunzione, a causa delle mansioni lavorative svolte, determinando il danno biologico in via equitativa sulla base della rinnovata C.t.u. medicolegale in applicazione delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano nell'importo, già rivalutato al gennaio 2009, di Euro 391.939,38: con immodificabilità, tuttavia, della somma liquidata a tale titolo dal tribunale, pari a L. 50.000.000 (Euro 28.822,00), in mancanza di impugnazione del lavoratore; e pure, correlativamente, delle altre due componenti di danno patrimoniale (L. 108.550.000, a titolo di danno emergente da percezione di trattamento pensionistico inferiore a quello spettante per collocamento a riposo all'età di sessantadue, anzichè quarantacinque anni; L. 282.464.000, per lucro cessante da differenza tra l'importo dell'ultima retribuzione e del trattamento pensionistico percepiti) riconosciute dal tribunale, con autonomi capi di sentenza, non specificamente censurati dalla società appellante a norma dell'art. 342 c.p.c., limitatasi ad una critica della sentenza per ragioni estranee alla liquidazione del danno.

Poste Italiane s.p.a. ricorre per cassazione sulla base di tre motivi, cui resiste l'intimato con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..



Diritto


Con il primo motivo di ricorso, Poste Italiane s.p.a. deduce insufficiente motivazione della sentenza impugnata, in quanto meramente recettiva delle conclusioni della C.t.u. medicolegale rinnovata, integralmente trascritta nella relazione depositata il 6 dicembre 2010, senza alcuna spiegazione nè giustificazione medica sul fatto decisivo e controverso del nesso causale tra le mansioni svolte da B.G. (e quindi dell'illegittima condotta datoriale) e l'aggravamento delle sue condizioni psico-fisiche.

Con il secondo, la società ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 329, 342, 346, 434 c.p.c., in relazione alla parte della sentenza che ha erroneamente ritenuto non impugnata la quantificazione del danno patrimoniale, invece oggetto di autonomo motivo (come risultante dall'atto di appello integralmente trascritto), di specifica censura di tale capo, sui puntuali rilievi agli infondati assunti di: a) erogazione al lavoratore di un trattamento retributivo fino alla pensione, senza considerare la possibilità di eventi interruttivi (licenziamento, dimissioni, morte, autonomo aggravamento delle patologie in atto); b) integrale attribuzione del danno a proprio carico, senza tenere conto della preesistenza della patologia all'instaurazione del rapporto di lavoro; c) liquidazione al lordo e non al netto.

Con il terzo, la società ricorrente deduce omessa motivazione della sentenza impugnata sulla necessità di debita considerazione dei tre profili di censura indicati nel mezzo precedente, non essendo in particolare scontata la percezione dal lavoratore del trattamento retributivo fino al pensionamento, considerate le normali vicende evolutive di un rapporto di lavoro e le numerose patologie risultanti dalla C.t.u. medico-legale, alla luce del criterio delle effettive possibilità inattuate di rilevante probabilità, a base della liquidazione del danno futuro. In via preliminare, deve essere ritenuta la procedibilità del ricorso, per il verificato tempestivo deposito, ai sensi dell'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, di copia autentica della sentenza con la relazione di notificazione in data 20 giugno 2011.

Esso è tuttavia inammissibile, per la convergenza di tutti i motivi nella censura della sentenza impugnata in esclusivo riferimento al danno patrimoniale: così certamente il secondo ed il terzo (relativi a violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 329, 342, 346 e 434 c.p.c., in riferimento alla parte della sentenza erroneamente ravvisante non impugnate le statuizioni relative alla quantificazione del danno patrimoniale, invece oggetto di autonomo motivo di specifica censura), ma anche il primo, di censura delle conclusioni della C.t.u. medico-legale rinnovata (in quanto recepite dalla sentenza impugnata), per assenza di giustificazione medica sul nesso causale tra mansioni svolte dal lavoratore e aggravamento delle sue condizioni psico-fisiche.

E' noto, infatti, come del danno patrimoniale, in tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro risponda esclusivamente per il c.d. danno differenziale (rispetto alla rendita liquidata dall'Inail), qualora non esonerato dalla responsabilità civile nell'ipotesi di sua responsabilità penale, a norma del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 11 (Cass. 5 maggio 2010, n. 10834; Cass. 29 gennaio 2002, n. 1114): circostanza non ricorrente nel caso di specie. Qualora poi si volesse intendere il primo motivo come relativo al solo danno biologico, per cui responsabile la società datrice ricorrente nell'inapplicabilità ratione temporis del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13 esso sarebbe comunque infondato.

Ed infatti, la sentenza impugnata ha esplicitamente richiamato gli accertamenti e le conclusioni di C.t.u. nell'individuazione della causa dell'aggravamento nelle mansioni lavorative espletate e ciò avendo il giudizio medico-legale "pienamente confermato ... valenza causale nella determinazione del danno all'adibizione alle mansioni di recapito esterno, avvenuta in data 27 maggio 1996 e a quelle di addetto, presso la Cassa centrale, alla chiusura di pesanti cancelli, spostamenti cassette valori, trasporti di sacchi di corrispondenza ... " (così a pg. 7). Il C.t.u. ha quindi motivato tale propria conclusione (peraltro conforme a quella del C.t.u. di primo grado, condivisa salvo che per il maggior tasso di danno biologico riconosciuto, in misura del 90%), in risposta al quesito sub 1) con quanto accertato (nè contestato in fatto) nelle premesse, in relazione: alla certificazione 18 luglio 1996 dell'Ospedale Cardarelli di possibilità di impiego di B.G. esclusivamente nell'ambito dell'area operativa, filone gestionale; alla sua destinazione "malgrado ciò" presso la Cassa Provinciale a mansioni comportanti attività fisiche, quali quelle suindicate; all'infortunio dal predetto subito alla colonna vertebrale il 30 giugno 1997, sollevando un cassettone nello svolgimento di tali mansioni, da cui dichiarato guarito il 6 giugno 1997, "ma con persistenza della patologia pregressa, aggravata dalle mansioni svolte" (così nella premessa della sua relazione, trascritta a pg. 6 del ricorso per cassazione). E pertanto, senza palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, ovvero omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non possa prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi: al di fuori di tale ambito costituendo la censura un mero dissenso diagnostico, che si traduce in una critica inammissibile del convincimento del giudice (Cass. 3 febbraio 2012, n. 1652; Cass. 12 gennaio 2011, n. 569; Cass. 29 aprile 2009, n. 9988).

Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente l'inammissibilità del ricorso, con la condanna della ricorrente alla rifusione, in favore di B.G. e con distrazione in favore del difensore anticipatario secondo la sua richiesta, delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.


P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso e condanna Poste Italiane s.p.a.

alla rifusione, in favore di B.G. e con distrazione al difensore anticipatario, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e Euro 3.000,00 per compenso professionale, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 23 aprile 2014.

Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2014