Cassazione Civile, Sez. Lav., 26 maggio 2014, n. 11727 - Rendita per malattia professionale


 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSELLI Federico - Presidente -
Dott. VENUTI Pietro - Consigliere -
Dott. BANDINI Gianfranco - Consigliere -
Dott. BERRINO Umberto - Consigliere -
Dott. ARIENZO Rosa - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso 2452-2008 proposto da:
A.V. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO DEI COLLI ALBANI 14, presso lo studio dell'avvocato PERRI NATALE, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro I.N.A.I.L - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati LA PECCERELLA LUIGI, FAVATA EMILIA, giusta procura speciale notarile in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1589/2007 della CORTE D'APPELLO di CATANZARO, depositata il 06/09/2007 R.G.N. 50/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/04/2014 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;
udito l'Avvocato DANILA MARIA CUMBO per delega PERRI NATALE;
udito l'Avvocato OTTOLINI MARIA TERESA per delega LA PECCERELLA LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso, in subordine rigetto.


Fatto


Con sentenza del 6.9.2007, la Corte di appello di Catanzaro, in riforma della decisione del Tribunale di Cosenza, rigettava la domanda avanzata da A.V. intesa ad ottenere la rendita per malattia professionale rapportata ad una riduzione della capacità lavorativa nella misura del 20% a decorrere dal 1.10.1986,e la condanna dell'INAIL all'erogazione della prestazione. Osservava la Corte del merito che la richiesta di rendita era stata avanzata con riferimento alla sola malattia "angioneurosi", mentre nessun riferimento era stato effettuato ad altra e diversa infermità e che, non potendo trovare applicazione la previsione dell'art. 149 disp. att. c.p.c., non ricorrendo l'ipotesi di mera sopravvenienza di infermità, ed occorrendo verificare anche la sussistenza del nesso causale, doveva aversi riguardo alla patologia indicata nel ricorso introduttivo per non incorrere in ultrapetizione. Rilevava che la c.t.u. espletata in grado di appello aveva evidenziato la sussistenza di un riduzione della capacità lavorativa, dal mese di marzo 1999, in misura del 14%, nell'ambito della quale era riferibile al solo deficit uditivo una percentuale del 5%. Nessun riferimento all'incidenza del danno biologico poteva poi assumere rilievo ai fini della quantificazione della rendita, in quanto non era ratione temporis applicabile il D.P.R. n. 38 del 2000 e doveva considerarsi pertanto che, eliminata l'incidenza del 5% del deficit uditivo, residuava una percentuale riferibile all'angiopatia che si posizionava al di sotto della soglia minima di legge dell'11%, idonea alla costituzione di rendita da malattia professionale Per la cassazione di tale decisione ricorre l' A., affidando l'impugnazione a due motivi, cui resiste l'INAIL, con controricorso.


Diritto


Con il primo motivo, l' A. denunzia falsa ed erronea conclusione del giudice di appello in ordine all'accoglimento dell'eccezione di ultrapetizione nella quale sarebbe incorso il giudice di prima istanza, sostenendo che sia errato il presupposto dell'esclusione dell'applicabilità dell'art. 149 disp. att. c.p.c., posto che dello stesso fatto inizialmente denunciato e valutato nel corso del giudizio poteva essere data dalla stessa parte o dal CTU o dal giudice una diversa qualificazione e che la ipoacusia era strettamente collegata all'attività lavorativa svolta ed alle altre infermità. Assume che, ai sensi dell'art. 149 disp. att. c.p.c., è prevista non solo la considerazione di aggravamenti della malattia, ma anche di tutte le infermità comunque incidenti sul complesso invalidante che si verifichino nel corso tanto del procedimento amministrativo che di quello giudiziario.

Con il secondo motivo, il ricorrente osserva che nel merito le motivazioni si basano su considerazioni illogiche e non oggettive e che la c.t.u. risulta lacunosa in ordine ai metodi adottati ed alle conclusioni cui è giunta, anche in relazione alla quantificazione della percentuale complessiva dell'infermità riconosciuta all' A., che avrebbe dovuto essere indicata nel 16% e non nel 14%, e che pertanto, detratto il 5% dell'ipoacusia, la rendita per angioneurosi si attestava all'11%.

Il ricorso è infondato.

Ai fini dell'applicazione dell'art. 149 disp. att. cod. proc. civ., che impone di tener conto anche di aggravamenti della malattia verificatisi nel corso tanto del procedimento amministrativo quanto di quello giudiziario, per controversie in materia di invalidità pensionabile devono intendersi tutte le cause tendenti a ottenere una prestazione previdenziale in dipendenza di uno stato di inabilità lavorativa, non essendo in alcun modo giustificata la previsione di un trattamento differenziato alla cui stregua risultino comprese nell'ambito della menzionata norma le cause d'invalidità pensionabile collegate a malattie comuni e non quelle relative a trattamenti previdenziali collegati a malattie professionali o a infortuni sul lavoro (cfr. Cass. 13.9. 2011 n. 18704).

Ciò, tuttavia, non consente di ritenere che la censura articolata nel primo motivo sia capace di contrastare il decisum, non risultando formulato, a conclusione dei rilevi in diritto, idoneo quesito ai sensi dell'art. 366-bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una "regula iuris" suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366-bis, si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l'errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie (cfr., in tale senso, Cass. 30.10.2008 n. 26020; conf., tra le altre, Cass. 7.4.2009 n. 8463; Cass. 25.3.2009 n. 7197).

In ogni caso, non risulta chiarito, sia attraverso il richiamo a documenti sanitari esaminati nelle fasi del merito, sia con riferimento al contenuto delle valutazioni espresse nella relazione di c.t.u., che, diversamente da quanto accertato, l'ipoacusia fosse insorta nel corso del procedimento sia amministrativo che giudiziario ed abbia avuto una genesi lavorativa, sicchè, essendo la causa petendi limitata all'accertamento della eziologia professionale dell'angioneurosi ed alla costituzione della relativa rendita, correttamente è stata ritenuta valutabile solo tale malattia. Ed invero, è principio affermato da questa Corte quello alla cui stregua, il ricorrente, che abbia censurato la decisione del giudice d'appello per violazione dell'art. 149 disp. att. cod. proc. civ., ha l'onere di dimostrare di aver dedotto e comprovato, con adeguata documentazione, l'esistenza degli aggravamenti delle malattie e le nuove infermità sopravvenute al giudizio di primo grado, nonchè la determinante rilevanza delle nuove patologie in modo da rendere palese che la positiva valutazione dei fatti dedotti avrebbe comportato con certezza la declaratoria del diritto alla prestazione richiesta in giudizio con la decorrenza auspicata (cfr. Cass. 13.10.2010 n. 21151).

Quanto al secondo motivo, il giudizio espresso dalla Corte d'appello è insindacabile sulla base di rilievi del tutto genericamente formulati, posto che, nel giudizio in materia d'invalidità, il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, è ravvisabile soltanto in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell'omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un'inammissibile critica del convincimento del giudice, e ciò anche con riguardo alla data di decorrenza della richiesta prestazione (principio, affermato, ai sensi dell'art. 360 bis c.p.c, da Cass, ord., 6 sez., 3.2.2012 n. 1652 in materia di invalidità civile).

Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.

Nulla deve disporsi per le spese di lite, nei confronti delle parte costituite ai sensi dell'art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo previgente alla novella del 2003, non essendo il ricorso manifestamente infondato e temerario.


P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 15 aprile 2014.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2014