Cassazione Penale, Sez. 4, 17 luglio 2014, n. 31458 - Emissioni di polvere di amianto


Fatto





1. Con sentenza del 22 maggio 2008 il Tribunale di Torino ha condannato F.A. alla pena di € 4.000 di ammenda per il reato di cui all'articolo 27, comma 1, lettera d), d.lgs. 277/1991 per non avere nella qualità di titolare della ditta T. progettato, programmato e sorvegliato le lavorazioni su manufatti contenenti amianto in modo che non vi fossero emissioni d'amianto nell'aria, fatto contestato in Torino il 26 luglio 2005 con permanenza fino al 22 maggio 2006.

2. Ha presentato appello, convertito in ricorso, il difensore, sulla base di tre motivi. Il primo denuncia la mancata ammissione della prova decisiva rappresentata dalla testimonianza della teste L.

Il secondo denuncia erronea applicazione dell'articolo 27, comma 1, lettera d), d.lgs. 277/1991 perché ritenuto dal Tribunale applicabile anche laddove non è in corso alcuna attività lavorativa. Il terzo motivo denuncia erronea qualificazione del reato come permanente, essendo invece istantaneo.


Diritto





3. Il ricorso è infondato.

3.1 Il primo motivo lamenta la mancata ammissione di una prova decisiva, rappresentata dalla testimonianza della dottoressa L.

Il Tribunale aveva rigettato la richiesta della difesa di audizione della suddetta quale teste a prova contraria motivando che ella avrebbe deposto su una circostanza non connessa ai fatti di causa che pertanto non poteva essere ritenuta prova contraria ex articolo 495, comma 2, c.p.p. Sostiene il ricorrente che invece "la teste avrebbe potuto fondatamente riferire in merito alle circostanze che in concreto hanno originato il presente processo". L'imputato infatti "sembrerebbe aver omesso di versare la somma comminata a titolo di ammenda, il cui pagamento avrebbe comportato l'estinzione del reato" ma in realtà "non ha colpevolmente omesso" di versarla, non avendo mai ricevuto la comunicazione dell'importo da pagare né l'informazione che "con tale pagamento avrebbe evitato il procedimento penale". Il giudice avrebbe dovuto pertanto rimetterlo in termini per consentirgli di pagare l'ammenda di cui non conosceva l'esistenza e di estinguere la contravvenzione. Ma solo la teste L. poteva confermare la circostanza "dell'ignoranza incolpevole" perché la sua deposizione avrebbe "certamente chiarito le modalità relative alla notificazione dell'atto con cui il F. era stato ammesso al pagamento della sanzione amministrativa e, soprattutto, come quest'ultimo non fosse mai venuto effettivamente a conoscenza di tale beneficio".

La formulazione del motivo è stata riportata in modo ampio perché la sua lettura evidenzia una netta genericità, a tacer d'altro, sulle circostanze in ordine alle quali avrebbe dovuto deporre la teste L. che non sono state determinate se non nella loro pretesa conseguenza di ignoranza incolpevole di una notificazione da parte dell'imputato. Una prova generica nel suo contenuto non può assurgere al ruolo di prova decisiva ex articolo 495 c.p.p., considerato anche che, per essere tale, occorre che apporti un risultato probatorio che non lasci alcun margine di soluzione contraria (cfr. da ultimo Cass. sez. II, 20 marzo 2013 n. 21884 e Cass. sez. III, 15 giugno 2010 n. 27581).

Il motivo risulta dunque inammissibile per genericità.

3.2 Il secondo motivo denuncia erronea applicazione dell'articolo 27, comma 1, lettera d), d.lgs. 277/1991 per avere il Tribunale ritenuto di scarso rilievo il fatto che non sia stato accertato con sicurezza che nel sito di proprietà della ditta dell'imputato fossero in corso attività lavorative perché l'articolo 24, comma 2, dello stesso decreto si riferirebbe all'inquinamento ambientale e non solo al rischio dei lavoratori. Il ricorrente, pur riconoscendo che tale articolo fa riferimento effettivo all'inquinamento ambientale, afferma che l'ambiente in esso non è considerabile lato sensu come ecosistema, poiché la "normativa in argomento...è espressamente volta alla tutela dei lavoratori" e le norme asseritamente violate, come dimostra anche l'intitolazione del capo cui appartengono, sono deputate alla protezione di questi contro i rischi da esposizione all'amianto durante il lavoro.

Non è discutibile che il d.lgs. 15 agosto 1991 n. 277 - che, a norma della legge delega 30 luglio 1990 n. 212, ha effettuato l'attuazione di varie direttive CEE (80/1107, 82/605, 86/188 e 88/642) in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro -, al suo capo III, contemplasse la protezione dei lavoratori contro i rischi connessi ad ogni esposizione (cfr. Cass. sez. III, 3 febbraio 2009 n. 10527) all'amianto durante il lavoro (la normativa è stata, seppure con continuità, successivamente sostituita prima dal titolo VI bis del d.lgs. 19 settembre 1994 n. 626 e poi dal titolo IX del d.lgs. 9 aprile 2008 n. 81). Peraltro, non ne ha la sentenza impugnata operato una erronea applicazione, perché il passo indicato dal ricorrente è stato illogicamente decontestualizzato dal complessivo tessuto del ragionamento del giudice. È vero che quest'ultimo ha affermato che poco rileverebbe "che lavori fossero in corso o no", ma ciò funge come argomento ad abundantiam - ovvero inutile, e quindi non incidente - alla fine di un percorso, attraverso il quale ha accertato che i lavori erano effettivamente in corso, sia per l'esposto dei condomini sia per la presenza di materiali e postazioni fisse al momento della verifica ASL in un cortile abitato. Il secondo motivo è pertanto manifestamente infondato.

3.3 II terzo motivo sostiene che il reato contestato deve qualificarsi istantaneo, laddove, nel caso di specie, è stato invece inteso come permanente. Adduce il ricorrente che, qualora il reato consista nella inottemperanza di un ordine legittimamente impartito dall'autorità, come sarebbe quello in esame, il reato dovrebbe considerarsi istantaneo qualora il termine contenuto nell'ordine abbia carattere perentorio, poiché la sua consumazione coincide con lo scadere del termine indicato. Nel caso di specie, dalla deposizione del teste A. risulterebbe che il 26 luglio 2005 fu ordinato all'imputato di mettere in sicurezza la tettoia entro i 90 giorni successivi; sarebbe "certo" che l'imputato ottemperò all'ordine, ma solo successivamente allo spirare del termine la ASL verificò se la prescrizione era stata adempiuta. Pertanto le conseguenze del ritardo non dovrebbero essere a carico dell'imputato ed erroneo è l'accertamento del Tribunale che, "ritenendo la natura permanente dell'illecito, considera lo stesso consumato in data 22/5/2006, anziché il 24/10/2005". È infatti ad avviso del ricorrente "d'obbligo ritenere che, in assenza di prova contraria, il F. abbia adempiuto prima dello spirar dei termini imposti dall'ASL". A tutto voler concedere, la consumazione sarebbe cessata al più tardi il 24 ottobre 2005, per cui dovrebbe essere annullata la sentenza per effettuare la rideterminazione della consumazione del reato ad ogni effetto di legge.

Le argomentazioni del ricorrente da un lato non tengono conto dell'effettivo contenuto del capo di imputazione che non fa riferimento all'inadempimento di un ordine della ASL in un determinato termine, bensì descrive una condotta omissiva in esatta corrispondenza con la norma contestata ("non aver progettato, programmato e sorvegliato le lavorazioni su manufatti contenenti amianto, in modo che non vi siano emissioni d'amianto nell'aria") che, per quanto riguarda l'omessa sorveglianza delle lavorazioni, non può non qualificarsi permanente fino a che la lavorazione continua (sull'obbligo di adempimento dei suoi obblighi da parte del datore di lavoro come perdurante finché si svolge il lavoro v., a proposito della affine ipotesi della tutela dagli infortuni sul lavoro, Cass. sez. III, 21 maggio 2008 n. 26539). Da un altro lato, il motivo scende sul piano fattuale, sostenendo che non vi sarebbe prova della permanenza del reato per il periodo contestato (26 luglio 2005-22 maggio 2006), poiché tutt'al più questo sarebbe perdurato fino al 24 ottobre 2005. Richiede pertanto al giudice di legittimità una inammissibile verifica sulle risultanze del compendio probatorio, non potendosi d'altronde condividere l'asserto che si dovrebbe desumere, in difetto di prova contraria, l'adempimento degli ordini della ASL prima della scadenza del relativo termine: conseguentemente alla conformazione del capo d'imputazione, nella sentenza impugnata si fa sì riferimento nella esposizione dei fatti all'imposizione di prescrizioni all'imputato dopo il sopralluogo della ASL, ma non ad una specifica scadenza di termine, e comunque si espleta una tutt'altro che illogica valutazione di fatto sulla cessazione della permanenza osservando (motivazione, pagina 5) che la rimozione dell’amianto deve ritenersi avvenuta il 22 maggio 2006 non avendo mai l’imputato chiesto un accertamento anteriore a tale data né avendo mai segnalato alcunché per far ritenere anteriore la cessazione della consumazione. Il motivo risulta pertanto privo di consistenza.

Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, (il che impedisce la formazione di un valido rapporto processuale di impugnazione che consentirebbe di valutare la presenza di eventuali cause di non punibilità ex articolo 129 c.p.p. (S.U. 22 novembre 2000 n. 32, De Luca; in particolare, l'estinzione del reato per prescrizione è rilevabile anche d'ufficio a condizione che il ricorso sia idoneo a introdurre un nuovo grado di giudizio, cioè non risulti affetto da inammissibilità originaria come invece si è verificato nel caso de quo: ex multis v. pure S.U. 11 novembre 1994-11 febbraio 1995 n.21, Cresci; S.U. 3 novembre 1998 n. 11493, Verga; S.U. 22 giugno 2005 n. 23428, Bracale; Cass. sez. IlI, 10 novembre 2009 n. 42839, Imperato Franca), con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell'art.616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.



P.Q.M.





Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €.1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.