Cassazione Penale, Sez. 4, 27 agosto 2014, n. 36268 - Infortunio del dipendente della ditta affidataria: casi di responsabilità condivisa tra committente e appaltatore


Presidente Brusco – Relatore Serrao

 

 

 

Questa Corte ha ripetutamente affermato che "il dovere di diligenza del committente non si esaurisce nella scelta di un'impresa che sia tecnicamente in grado di eseguire il lavoro da commissionare, estendendosi alla verifica dell'idoneità dell'impresa appaltatrice a svolgere determinate lavorazioni in condizioni di sicurezza per i lavoratori, configurandosi quindi la responsabilità del committente qualora sia verificato in concreto che fosse da lui agevolmente percepibile il rischio derivante dall'inadeguatezza dell'organizzazione dell'impresa appaltatrice sotto il profilo prevenzionistico".


 

 

Fatto



1. In data 1/02/2013 la Corte di Appello di Bologna ha confermato la sentenza emessa il 24/11/2010 dal Tribunale di Ravenna, che aveva condannato RM in qualità di datore di lavoro e MC - qualità di responsabile delegato alla sicurezza della ditta committente, alla pena di mesi due di reclusione ciascuno per il reato previsto dagli artt.113 e 590, commi 2 e 3, cod. pen. per aver cagionato in cooperazione colposa tra loro al dipendente della R RM lesioni personali gravi per imperizia, imprudenza e inosservanza delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro.
2. La dinamica dell'infortunio era stata così ricostruita nella sentenza di primo grado: il 7 novembre 2006, in Ravenna, all'interno del cantiere San Vitale, l'impresa croata R .tp stava eseguendo lavori di carpenteria di allestimento con saldatura relativi alla costruzione di una nave, che le erano stati appaltati dalla RM S.p.A. in forza di un contratto stipulato il 29 maggio 2006;
RM era stato assunto dalla R .tp quale operaio specializzato, carpentiere, con contratto del 25 maggio 2006 ed aveva fatto ingresso in Italia il 6 agosto 2006; il giorno dell'infortunio il lavoratore, unitamente ad altro dipendente, stava preparando alcuni pannelli in alluminio per il paiolato della nave in costruzione e, mentre l'altro operaio si occupava della sagomatura, RM . da solo, forava i pannelli utilizzando un trapano radiale a colonna, di proprietà della società R come tutti i macchinari presenti nel cantiere; dopo averne bucati oltre una decina, il lavoratore, che teneva il pannello con le mani, lo aveva sentito vibrare e aveva avvicinato troppo la mano destra al trapano, che aveva agganciato il guanto provocandogli l'amputazione sub-totale del polso destro con fratture multiple alla mano.
3. Ricorre per cassazione MC sottoscritto dai difensori, censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
a) inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 7, comma 1, d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626 anche con riferimento al disposto dell'art.26 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, violazione dei principi di tassatività e determinatezza di cui agli artt.25 Cost. e 1 cod. pen. Secondo il ricorrente, il giudice del merito avrebbe fondato il giudizio di responsabilità nei suoi confronti ritenendo che i requisiti di idoneità tecnico-professionale dell'impresa appaltatrice previsti dall'art.7 del d.lgs. n. 626/1994 siano inerenti anche ai profili della sicurezza, interpretando in tal senso una norma che difetta della necessaria tassatività che deve caratterizzare il precetto penale anche con riferimento alle norme integrative. È quantomeno dubbio, si assume, che l'idoneità tecnico¬professionale investa anche il profilo della sicurezza, cui è specificamente dedicato il punto sub b) della norma; pare poi significativo il richiamo ai documenti esistenti presso la Camera di Commercio, industria e artigianato, che poco o nulla dicono in ordine ai profili della sicurezza; di notevole portata interpretativa risulterebbe l'art.26 del d.lgs. n. 81/2008, seppure successivo al fatto, che specifica come effettuare la verifica fino a quando le modalità non vengano previste in un decreto, trattandosi dunque di norma priva dei requisiti di tassatività e determinatezza idonei a configurarla come integratrice del precetto penale;
b) inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 40 cod. pen. nonché degli artt.31 ss. d.lgs. 81/2008 relativi ai compiti e funzioni del servizio di prevenzione e protezione e dell’art. 18 d.lgs. 81/2008 relativo alla posizione di garanzia del dirigente, vizio della motivazione in ordine al contributo dell'ispettore del lavoro sulla formazione e informazione dei lavoratori dell'impresa appaltatrice. Secondo il ricorrente, sarebbe dubbio che al dirigente delegato in materia di sicurezza siano attribuiti i doveri previsti dall'art.7 d.lgs. n.626/1994 ed è, in ogni caso, indubitabile che i lavoratori della R tp fossero formati e informati anche ai sensi della legislazione italiana, come dichiarato dall'ispettore del lavoro all'udienza del 10 dicembre 2009. La verifica sull'idoneità tecnica della R tp, si assume, era stata demandata all'ing. v che, prima di essere anche
responsabile del servizio di prevenzione e protezione, è un dirigente della R S.p.A., dovendosi conseguentemente valutare se, a seguito dell’incarico affidato ad altri, permanessero responsabilità per colpa in eligendo ovvero in vigilando in capo al ricorrente. Secondo il ricorrente, l'incarico conferito a un qualificato dirigente, in possesso delle competenze per l'esercizio del mandato, lo rendeva affidabile per l'esercizio della mansione, ritenendosi nel caso in esame applicabile il principio di affidamento in quanto il titolare della posizione di garanzia si era rimesso alla valutazione di persone in possesso dei requisiti idonei ad esprimere un giudizio affidabile.

Diritto



1. Deve premettersi che, nella verifica della consistenza dei rilievi critici mossi dal ricorrente, la sentenza della Corte territoriale non può essere valutata isolatamente, ma deve essere esaminata in stretta ed essenziale correlazione con la sentenza di primo grado, sviluppandosi entrambe secondo linee logiche e giuridiche pienamente concordanti, di tal che - sulla base di un consolidato indirizzo della giurisprudenza di questa Corte - deve ritenersi che la motivazione della prima si saldi con quella della seconda fino a formare un solo complessivo corpo argomentativo e un tutto unico e inscindibile (Sez.2, n.30838 del 19/03/2013, Autieri e altri, Rv.257056; Sez.4, n.38824 del 17/09/2008, Raso e altri, Rv.241062; Sez.l, n.8868 del 26/06/2000, Sangiorgi, Rv.216906; Sez. U, n.6682 del 04/02/1992, P.M., Musumeci e altri, Rv. 191229).
1.1. La prima censura concerne l'interpretazione della norma dettata in materia antinfortunistica dall'art.7 d.lgs. n. 626/1994 che, nella versione vigente all'epoca del fatto, prevedeva che il datore di lavoro, in caso di affidamento dei lavori all'interno dell'azienda, ovvero dell'unità produttiva, ad un'impresa appaltatrice verificasse, anche attraverso l'iscrizione alla Camera di Commercio, industria e artigianato, l'idoneità tecnico-professionale dell'impresa appaltatrice in relazione ai lavori da affidare in appalto. Secondo il ricorrente, tale obbligo di verifica non si estenderebbe ai profili concernenti la sicurezza dei lavoratori, sia perché la stessa norma prevede uno specifico obbligo di informazione gravante sul committente in materia di sicurezza, sia perché il richiamo all'iscrizione alla Camera di Commercio riguarda documenti che nulla hanno a che vedere con la sicurezza.
1.2. La Corte di Appello, richiamando la motivazione del primo giudice, con particolare riferimento alla posizione di MC al quale era contestata la violazione del citato art. 7 d.lgs. n. 626/94 per non avere compiutamente verificato l'idoneità tecnico-professionale dell’impresa appaltatrice in relazione ai lavori affidati in appalto, ha affermato che non potesse che pervenirsi alla conferma della sentenza di primo grado in quanto era emerso che l’organizzazione della società croata fosse approssimativa, che lo stesso imputato fosse a conoscenza delle modalità con le quali "si lavora in Croazia", che la R tp non solo non aveva nominato il responsabile del servizio di prevenzione né elaborato un adeguato documento di valutazione dei rischi, ma aveva un piano di sicurezza definito fatiscente dall'ispettore del lavoro; a fronte di questa situazione, la Corte territoriale ha rimarcato come l'imputato avesse omesso di esaminare la documentazione relativa alla sicurezza del lavoro dell'impresa appaltatrice e non avesse esercitato controlli e verifiche, nonostante le maestranze utilizzassero macchine e attrezzature dell’azienda appaltante, omettendo altresì di verificare il grado di formazione e informazione dei dipendenti della R.tp, dopo aver scelto come contraente una società che aveva enormi falle nel sistema di sicurezza. Nella sentenza impugnata la condotta di tale imputato, che rivestiva la qualità di delegato per la sicurezza dell'impresa committente, è stata conseguentemente ritenuta colpevole.
La lettura del testo della norma, nel suo complesso e nell'ambito del sistema prevenzionistico introdotto in attuazione di Direttive europee (89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE, 90/679/CEE, 93/88/CEE, 95/63/CE, 97/42/CE, 98/24/CE, 99/38/CE, 99/92/CE, 2001/45/CE e 2003/10/CE, 2003/18/CE e 2004/40/CE) non consente di condividere la tesi interpretativa proposta dal ricorrente. Con specifico riferimento al tenore letterale, il comma 1 dell'art.7 citato individua due distinti obblighi gravanti sul datore di lavoro quando intenda avvalersi di un'impresa appaltatrice per svolgere particolari lavori all'interno dell'azienda: un obbligo di verifica dell'idoneità tecnico-professionale dell'impresa in relazione al lavoro che deve esserle affidato, dal quale si desume la posizione di garanzia del datore di lavoro in merito alla scelta dell'impresa, e un obbligo di informazione in merito ai rischi specifici che l'impresa appaltatrice verrà ad incontrare nell'ambiente di lavoro del committente. La norma è posta nel Titolo I, Capo I del d. lgs. n. 626/1994 (attuativo di Direttive comunitarie riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro) tra le disposizioni generali; tale collocazione non lascia margini di dubbio in merito alla finalità della norma di garantire la sicurezza del lavoro nella particolare situazione in cui determinate attività vengano affidate in appalto ma si svolgano nei locali dell'impresa committente, dovendosi conseguentemente ritenere che la posizione di garanzia del datore di lavoro in merito alla scelta dell’impresa appaltatrice trovi la sua ragion d'essere nella finalità di evitare che, attraverso la stipula di un contratto di appalto, vengano affidate all'appaltatore lavorazioni o mansioni che il singolo lavoratore non sia in grado di svolgere, con incremento del rischio per la sua sicurezza.
1.3. Si può, dunque, desumere dalla norma in esame una precisa regola di diligenza e prudenza che il committente dei lavori dati in appalto è tenuto a seguire e, in particolare, l'obbligo di accertarsi che la persona alla quale affida l'incarico sia, non solo munita dei titoli di idoneità prescritti dalla legge, come si evince dal riferimento, comunque non esclusivo, al certificato della Camera di Commercio, ma anche della capacità tecnica e professionale proporzionata al tipo di attività che deve esserle commissionata e alle concrete modalità di espletamento della stessa. In altre parole, tale norma svolge funzione integrativa del precetto penale che sanziona il reato di lesioni colpose ponendo a carico del committente l'obbligo di garantire che anche l'impresa appaltatrice che svolge attività nella sua azienda si attenga a misure di prevenzione della cui inosservanza lo stesso committente sarà chiamato a rispondere, ove fosse in grado di percepirne l'inadeguatezza.
1.4. E nella sentenza di primo grado erano stati indicati analiticamente i comportamenti omissivi nei quali si sarebbe sostanziata la condotta colposa del committente: l'impresa appaltatrice R.tp non aveva le carte in regola quanto alla valutazione, organizzazione e attuazione delle misure di prevenzione antinfortunistiche e il piano per l'organizzazione della sicurezza nel cantiere redatto dalla R tp nel maggio 2006, in relazione al contratto di appalto da eseguire all’'interno del cantiere navale della R S.p.A., risultava del tutto inadeguato; il ricorrente si sarebbe potuto rendere conto di tali carenze se avesse esaminato i documenti redatti dalla R tp, ed avrebbe potuto verificare che l'impresa appaltatrice non aveva nominato un responsabile del servizio di prevenzione e protezione nè aveva elaborato un adeguato documento di valutazione dei rischi, così come avrebbe agevolmente potuto verificare la carenza della formazione e informazione fatta dalla R tp ai propri dipendenti, specie in ordine all'utilizzo delle macchine (pag.9), peraltro fornite dal committente. Entrambi i giudici di merito hanno anche sottolineato come il manuale di uso del trapano fornito al lavoratore non fosse stato tradotto. Da tali elementi, i giudici di merito hanno desunto come il ricorrente, già nella fase della scelta del contraente, avesse modo di verificare le lacune deN'impresa croata sotto il profilo della sicurezza, ritenendo che carenze organizzative dell'appaltatore in tema di misure di sicurezza agevolmente percepibili coinvolgessero in quanto tali anche la responsabilità del committente.
1.5. Tale valutazione deve ritenersi conforme alla ratio della norma, come sopra illustrata, e all'interpretazione della stessa rinvenibile nella giurisprudenza di questa Corte, che ha ripetutamente affermato che il dovere di diligenza del committente non si esaurisce nella scelta di un'impresa che sia tecnicamente in grado di eseguire il lavoro da commissionare, estendendosi alla verifica dell'idoneità dell'impresa appaltatrice a svolgere determinate lavorazioni in condizioni di sicurezza per i lavoratori, configurandosi quindi la responsabilità del committente qualora sia verificato in concreto che fosse da lui agevolmente percepibile il rischio derivante dall'inadeguatezza dell'organizzazione dell'impresa appaltatrice sotto il profilo prevenzionistico (Sez. 4, n. 10608 del 4/12/2012, dep. 7/03/2013, Bracci, Rv.255282; Sez.4, n. 3563 del 18/01/2012, Marangio e altro, Rv. 252672; Sez.4, n. 37840 del 1/07/2009, Vecchi e altro, Rv.245275; Sez.3, n.1825 del 4/11/2008, dep.19/01/2009, Pellegrino e altro, Rv.242345; Sez.4, n.12348 del 29/01/2008, Giorgi, Rv.239252; Sez.4, n.8589 del 14/01/2008, Speckenhauser e altro, Rv.238965).
1.6. Può, pertanto, affermarsi il seguente principio di diritto: nella materia della sicurezza del lavoro e della prevenzione infortuni, la norma dettata dall'art.7 d. Igs. n. 626/1994 (ora art.26 d. Igs. n. 81/2008) ha la funzione di individuare l'ipotesi in cui il committente si debba ritenere corresponsabile con l'appaltatore per la violazione di norme antinfortunistiche, nell'ottica di rafforzare la tutela dei beni giuridici della vita e della salute del lavoratore, non potendosi ritenere corretta l'interpretazione secondo la quale la verifica in merito all'idoneità tecnico-professionale debba intendersi limitata alle competenze tecniche dell’'impresa appaltatrice.
2. Le censure mosse in relazione ai doveri gravanti sul dirigente delegato per la sicurezza piuttosto che sul Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione sono inammissibili.
2.1. Secondo quanto si legge nella sentenza impugnata, si tratta di censure già formulate nell'atto di appello secondo la medesima argomentazione logico-giuridica riproposta in sede di ricorso, senza alcun confronto con le ragioni esposte a pag.17 dal giudice di appello per giustificare la pronuncia di diniego del relativo motivo.
2.2. Dal raffronto con il testo della sentenza impugnata si evince, pertanto, l'analogia tra i motivi di appello e le censure formulate con il ricorso per cassazione che qui si esaminano, avendo omesso il ricorrente di confrontarsi con il testo della decisione impugnata, che aveva fornito specifica replica alla censura concernente il pieno affidamento fatto dall'imputato sulla competenza di un collega più qualificato di lui nello specifico settore di intervento.
2.3. Come costantemente affermato da questa Corte (ex plurimis, Sez.6, n.8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584), la funzione tipica dell'impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod.proc.pen.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell'atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. Il motivo di ricorso in cassazione, poi, è caratterizzato da una duplice specificità. Deve essere sì anch'esso conforme all'art. 581 lett.c) cod.proc.pen. (e quindi contenere l'indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell’impugnazione); ma quando censura le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì, contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, così che esso sia chiaramente sussumibile fra i tre, soli, previsti dall’art. 606, comma 1, lett. e) cod.proc.pen., deducendo poi, altrettanto specificamente, le ragioni della sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione differente.
2.4. Risulta pertanto di chiara evidenza che se il motivo di ricorso si limita a riprodurre il motivo d'appello, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l'unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente impugnato, lungi dall'essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato.
2.5. In altri e conclusivi termini, la riproduzione, totale o parziale, del motivo d'appello ben può essere presente nel motivo di ricorso (ed in alcune circostanze ciò costituisce incombente essenziale dell’adempimento dell'onere di autosufficienza del ricorso), ma solo quando ciò serva a documentare il vizio enunciato e dedotto con autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che, ancora indefettibilmente, si riferisca al provvedimento impugnato con il ricorso e con la sua integrale motivazione si confronti.
3. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato; al rigetto consegue, a norma dell'art.616 cod.proc.pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.



Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.