• Amianto
  • Cantiere Temporaneo e Mobile
  • Datore di Lavoro
  • Dispositivo di Protezione Individuale
 
Responsabilità del legale rappresentante di una ditta in relazione a lavori di rimozione di lastre in cemento amianto in corso in un cantiere che non rispettava le modalità operative descritte nel piano di lavoro.
 
Il ricorrente afferma che l'U.P.G. sentito come testimone in relazione al fatto, non aveva eseguito personalmente le ispezioni che anzi erano state effettuate da operatore di vigilanza senza la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria.
Il ricorrente afferma pertanto l'inammissibilità della testimonianza e quindi la mancanza di prova della violazione.
 
La Corte respinge il ricorso poichè, nel caso in esame, trova applicazione, per l'individuazione degli organi competenti in materia di sicurezza ed igiene del lavoro, il D.Lgs. 15 agosto 1991, n. 277, art. 3, lettera d)  che indica come organo di vigilanza l'organo del Servizio Sanitario Nazionale: non occorre dunque la qualifica di U.P.G.
 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPO Ernesto - Presidente -
Dott. CORDOVA Agostino - Consigliere -
Dott. GENTILE Mario - Consigliere -
Dott. FIALE Aldo - Consigliere -
Dott. MARMO Margherit - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) T.M., N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 12/03/2007 TRIBUNALE di MILANO;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. MARMO MARGHERITA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. Consolo Santi, che ha concluso per l'inammissibilità.
Fatto


Con sentenza pronunciata il 12 marzo 2007 il Tribunale di Milano dichiarava T.M. responsabile del reato di cui all'art. 50 primo comma lettera a) in relazione al D.Lgs. n. 277 del 1991, art. 34, comma 5, perchè, nella sua qualità di legale rappresentante della ditta T.M., in relazione a lavori di rimozione di lastre in cemento amianto in corso nel cantiere edile di (OMISSIS), via (OMISSIS), non rispettava le modalità operative descritte nel piano di lavoro (per fatto accertato in (OMISSIS)) e, con la concessione delle attenuanti generiche, lo condannava alla pena di Euro 4.000,00 di ammenda, concedendo il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Proponeva appello T.M. che veniva trasmesso a questa Corte trattandosi di violazione, punita con la sola pena dell'ammenda per cui non è previsto l'appello.
 
 
Diritto

Con il primo motivo il ricorrente deduce l'inammissibilità del teste F.A..
Deduce il ricorrente che la teste Fa. ha dichiarato di aver semplicemente sottoscritto, quale ufficiale di polizia giudiziaria, il verbale di contravvenzione redatto in relazione al cantiere ma di non aver eseguito personalmente l'ispezione che era stata invece effettuata da F.A., operatore di vigilanza ed ispezione del distretto (OMISSIS) dell'A.S.L..
Questi non era ufficiale di polizia giudiziaria.
Deduce il ricorrente che ai sensi del D.Lgs. n. 758 del 1994, art. 19, comma 1, lettera b in materia di modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro è organo di vigilanza soltanto il personale ispettivo di cui alla L. n. 833 del 1978, art. 21, comma 3.
Tale norma menziona gli addetti ai servizi di ciascuna unità sanitaria locale che assumono, ai sensi delle leggi vigenti, in forza di provvedimento del Prefetto emesso su proposta del Presidente della Regione la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria.
Risultava quindi, ex lege, che titolato ad eseguire un'ispezione in materia di lavoro è esclusivamente chi riveste la qualifica di organo di polizia giudiziaria.
Pertanto F.A., semplice tecnico di prevenzione ovvero di vigilanza e ispezione, non ufficiale di polizia giudiziaria, non era abilitato a svolgere le funzioni di vigilanza ed ispezione attribuite dalla legge all'organo di vigilanza.
Ne conseguiva la radicale inammissibilità della testimonianza di detto operatore in quanto resa da soggetto incompetente a svolgere le funzioni di accertamento ispettivo in materia di lavoro, demandate dalla legge ai soli ufficiali giudiziari.
Mancando quindi la prova della violazione l'imputato doveva essere assolto ai sensi dell'art. 530 c.p.p..
Il motivo è palesemente infondato e va dichiarato inammissibile.
La norma contenuta nel D.Lgs. n. 758 del 1994, art. 19, invocata dal ricorrente si riferisce infatti esclusivamente all'"estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza ed igiene del lavoro", come risulta dallo stesso tenore letterale del testo legislativo.
Nel caso in esame trova invece applicazione, per l'individuazione degli organi competenti alla vigilanza in materia di sicurezza ed igiene del lavoro, il D.Lgs. 15 agosto 1991, n. 277, art. 3, lettera d) (Attuazione delle direttive n. 80/1107/ CEE n. 82/605/ CEE, n. 83/477/CEE, n. 86/188/CEE e n. 88/642/ CEE in materia di protezione e dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro a norma della L. 30 luglio 1990, n. 212, art. 7).
Tale norma indica espressamente come organo di vigilanza l'organo del Servizio Sanitario Nazionale, salve le diverse disposizioni previste da norme speciali.
Non occorre quindi che l'organo di vigilanza in materia di sicurezza ed igiene del lavoro abbia la qualifica di organo di polizia giudiziaria.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la mancata applicazione dell'art. 530 c.p.p., comma 1, in considerazione della insussistenza delle violazioni in base alle dichiarazioni dei testi M. C. e T.M..
Anche il secondo motivo è inammissibile in quanto il Tribunale ha adeguatamente motivato in ordine alle risultanze probatorie rilevando che le fotografie in atti e la deposizione del F. dimostravano la presenza sul ponteggio al momento del sopralluogo di un uomo sprovvisto di protezione individuale e rilevando che le giustificazioni fornite dalla difesa non eliminavano il profilo di negligenza ed imprudenza nè le deposizioni rese dai testi della difesa, estremamente generiche e confuse erano ritenute sufficienti a creare una situazione di dubbio neppure sotto il profilo dell'elemento psicologico.
Con il motivo quindi il ricorrente richiede a questa Corte una inammissibile rivalutazione delle risultanze probatorie sottratta al sindacato di legittimità.
Consegue alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.
 
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 27 giugno 2008.
Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2008