Cassazione Civile, Sez. Lav., 29 ottobre 2014, n. 23020 - Malattia professionale di un motorista a bordo di navi: prescrizione


 

Presidente Macioce – Relatore Arienzo

Fatto


Con sentenza del 26.3.2008, la Corte di appello di Bari rigettava il gravame proposto di G.F., motorista a bordo di navi per quasi quarant'anni, avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto la domanda del predetto, intesa al riconoscimento della malattia professionale denunciata, con determinazione di una inabilità permanente parziale del 43% e, comunque, non inferiore al 15%, nonchè alla condanna dell'IPSEMA al pagamento della corrispondente rendita di legge. Rilevava la Corte di Bari che l'eccezione di prescrizione, ribadita nella memoria difensiva dell'IPSEMA, era fondata ed assorbiva ogni altra questione sollevata con l'appello principale. La Corte Costituzionale, con sentenza 206/88, aveva, invero, ritenuto quale dies a quo rilevante per la decorrenza del termine prescrizionale di cui all'art. 112 d.P.R. 1124/65 quello della consapevolezza circa l'esistenza della malattia, della sua origine professionale e del suo grado invalidante, desumibile da elementi oggettivi ed esterni alla persona dell'assicurato, quali la domanda amministrativa nonché la diagnosi medica contemporanea, dalla quale la malattia fosse riconoscibile all'assicurato. Osservava la Corte del merito che, sulla base delle risultanze documentali e delle valutazioni del C.t.u. di primo grado, la denunciata malattia non poteva che ricondursi alla vicenda sanitaria dell'appellante che era ricorso ad esami strumentali in esito ai quali gli era stato diagnosticato, quanto meno sin dal 1990, la ipoacusia bilaterale di tipo neurosensoriale più accentuata per le frequenze acute, indicativa di un trauma acustico, malattia ritenuta dal C.t.u. compatibile con l'ipotesi di un deficit uditivo di tipo professionale. Sin dalle risultanze dell'esame audiometrico del maggio 1990 l'appellante era, quindi, in grado di conoscere la gravità della patologia ed il suo indubbio legame causale con la propria attività lavorativa, cessata, peraltro, da cinque o più anni. Il C.t.u. di primo grado aveva avuto del resto modo di precisare che il grado di invalidità del 15%, superiore al minimo di legge per riconoscere la rendita da inabilità permanente, era stato raggiunto e documentato proprio dalla indicata data, in quanto il peggioramento ulteriore, riscontrato con l'esame audiometrico del 2000, non poteva essere ricollegato all'attività lavorativa, ma solo a presbiacusia.
Per la cassazione di tale decisione ricorre il G., affidando l'impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, l'I.P.S.E.M.A.

Diritto



Con il primo motivo, il G. si duole della violazione e falsa applicazione dell'art. 112 d.P.R. 1124/65, in riferimento all'art. 360, n. 3, c.p.c., rilevando che la denunzia di malattia era stata presentata il 16.10.1993 e che pertanto la fattispecie ricadeva sotto la vigenza del disposto di cui all'art. 74, comma 2, d.P.R. 1124/65, il quale limita la corresponsione della rendita da invalidità permanente al superamento della soglia del 10% di inabilità, per cui risultava risarcibile solo l'I.P. da Malattia professionale che si attestasse su una percentuale di invalidità uguale o superiore all'11%. Evidenzia che il certificato audiometrico del 10.5.1990 conteneva una sommaria diagnosi di ipoacusia bilaterale di tipo neurosensoriale, con accentuazione or. dx e prescrizione di protezione via area, sicchè difettava ogni riferimento sia alla natura segnatamente professionale della patologia, sia alla sussistenza di inabilità derivatane in maniera quanto meno pari all'11%. Chiede, con quesito, se la manifestazione della malattia professionale, rilevante quale dies a quo per la decorrenza del termine prescrizionale di cui all'art. 112 d.P.R. 1124/65, possa ritenersi verificata in capo al ricorrente in funzione del semplice certificato audiometrico contenente esclusivamente la rappresentazione del relativo audiogramma e la formulazione di sommaria diagnosi di ipoacusia bilaterale di tipo neurosensoriale, di talchè ciò possa ritenersi fatto noto, ex artt. 2727 e 2729 c. c., dal quale desumere la consapevolezza del lavoratore circa l'origine professionale della malattia ed il suo grado di inabilità indennizzabile.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta insufficiente e contraddittoria motivazione sulla individuazione del "dies a quo" di decorrenza del termine prescrizionale ex art. 112, comma 1, d.P.R. 1124/65, in riferimento all'art. 360 n. 5 c.p.c.: rileva che era stato prodotto ulteriore certificato audiometrico del 13.6.1992, con diagnosi di grave sordità neurosensoriale bilaterale pantonale più accentuata per i toni acuti da trauma acustico, e che tale ultima diagnosi, per la sua maggiore gravità, era tale da integrare il dies a quo da cui far decorrere la prescrizione, prescrizione non compiutasi dovendo aggiungersi al termine triennale quello di 150 giorni per la definizione della pratica amministrativa.
Il primo motivo, che presenta anche profili di inammissibilità nella formulazione del quesito, proposto in termini di assoluta genericità ed in chiave assertiva rispetto alle conclusioni espresse dal CTU e poste a fondamento della decisione impugnata, involge valutazioni di merito insindacabili nella presente sede e si pone in contrasto con principi di diritto consolidati.
La sentenza di secondo grado, che ha accolto l'eccezione di prescrizione triennale proposta dalla IPSEMA sulla base dell'accertamento che la malattia del lavoratore era stata diagnosticata in termini di certezza nel settembre 1990, che la sua origine professionale era desumibile alla stregua delle normali conoscenze dell'epoca e che pertanto da tale data doveva ritenersi decorrere la prescrizione, tenuto conto del fatto che all'epoca l'attività lavorativa era cessata già da più di cinque anni e che il CTU aveva avuto modo di precisare che il grado invalidante del 15% era stato raggiunto già a quella data, ha fatto corretta applicazione dei principi elaborati in materia da questa Corte desumibili dalla disciplina di legge della materia. Ed invero, secondo la regola generale di cui all'art. 2935 cod. civ., applicabile al caso in esame, "la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere". In proposito, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass. 8 luglio 2009 n. 15991, 28 luglio 2004 n. 14249, 23 luglio 2003 n. 11451) 'l'impossibilità di far valere il diritto alla quale l'art. 2935 cod. civ., attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione è solo quella che deriva da cause giuridiche che ostacolino l'esercizio e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, per i quali il successivo art. 2941 cod. civ., prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione, tra le quali, salva l'ipotesi di dolo prevista dal n. 8 del citato articolo, non rientra l'ignoranza da parte del titolare del fatto generatore del suo diritto ne' il dubbio soggettivo sulla esistenza di quest'ultimo". Applicando il principio all'ipotesi rappresentata in giudizio dal Grillo, di una malattia professionale in connessione causale con la sua attività lavorativa di marinaio motorista a bordo di navi mercantili con costante esposizione a fattori di rischio in relazione a traumi acustici, il diritto alla rendita da malattia professionale poteva essere fatto valere fin dal momento in cui l'origine professionale della malattia poteva ritenersi oggettivamente conoscibile dal danneggiato, indipendentemente dalle effettive valutazioni soggettive dello stesso (cfr. Cass. 18 settembre 2007 n.19355). Valutando che la piena conoscibilità da parte del ricorrente della origine professionale della malattia e del raggiungimento di un grado di invalidità indennizzabile si sia realizzata oggettivamente dal momento in cui questa era stata con certezza diagnosticata, la sentenza impugnata esprime un giudizio di fatto in applicazione delle regole di legge enunciate, il quale si sottrae pertanto alle censure in esame. (cfr. Cass. 31.5.2010 n. 13284, 28.6.2011 n. 14281, Cass. 31.1.2013 n. 2285).
In relazione al secondo motivo, la maggiore gravità della patologia acustica, rilevabile dal secondo certificato del 2000, richiamato da G., non esclude che la conoscibilità richiesta ai fini dell'art. 112 d.P.R. 1124/1965 si fosse già pienamente realizzata in un momento anteriore, tenuto conto anche della considerazione del Ctu relativa alla circostanza, correttamente posta dal giudice del gravame a fondamento della decisione, che il peggioramento ulteriore, riscontrato con l'esame audiometrico del 2000, non poteva essere ricollegato all'attività lavorativa, ma solo a presbiacusia.
Il ricorso va, pertanto, respinto.
In applicazione dell'art. 152 disp. att. cod. proc. civ., nel testo, applicabile ratione temporis, precedente l'entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, convertito con modificazioni dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, nulla deve essere disposto in materia di spese a carico del soccombente.

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso.