Cassazione Penale, Sez. 4, 27 ottobre 2014, n. 44794 - Operai investiti da un treno: condotta abnorme dei lavoratori?




 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo G. - Presidente -
Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere -
Dott. ZOSO Liana M.T. - Consigliere -
Dott. GRASSO Giuseppe - Consigliere -
Dott. IANNELLO Emilio - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
C.C. N. IL (OMISSIS);
A.G. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 3609/2010 CORTE APPELLO di CATANIA, del 15/05/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/09/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. SALZANO Francesco che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udito, per C.C., il difensore avv. Merlino Giuseppe del Foro di Roma che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito, per A.G., il difensore avv. Miano Salvatore del Foro di Catania che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.

Fatto



1. Con sentenza del 19/4/2010 il Tribunale di Catania dichiarava C.C. e A.G. colpevoli dei reati di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro per avere, in cooperazione colposa tra di essi - il primo, nella qualità di "primo tecnico della manutenzione della rete ferroviaria italiana (RFI)" e nella correlata qualità di capo squadra responsabile della sicurezza del cantiere; il secondo, quale responsabile movimento in servizio presso la stazione ferroviaria di Motta S. Anastasia -, nel corso di lavori di manutenzione della linea ferrata nei pressi della stazione predetta cui il C. era intento insieme ad altri quattro lavoratori, cagionato la morte di due di essi, V.G. e Ca.Fo.Li..

Era accaduto che questi ultimi, mentre lavoravano tra i binari, facendo uso di una rumorosa sega-rotaie con lama rotante, venivano violentemente investiti da tergo e scaraventati in avanti dalla motrice del convoglio Palermo-Catania che in quell'istante sopraggiungeva (capi A e B d'imputazione).

Con riferimento al primo reato si rimproverava in particolare al C. di avere omesso: di collocare a 1 km dal cantiere, in entrambe le direzioni di marcia dei treni, le tabelle di segnalazione previste dalla normativa, idonee a preavvertire i conducenti dei treni in transito della presenza di lavoratori sui binari; di organizzare adeguatamente un servizio di avvistamento idoneo a segnalare tempestivamente ai lavoratori impegnati sui binari l'arrivo dei treni; di prendere adeguati accordi preventivi con il responsabile del movimento di stazione per le segnalazioni in ordine all'arrivo dei treni.

All' A. si rimproverava di avere omesso di: comunicare preventivamente al caposquadra gli orari di transito in stazione dei treni; concordare preventivamente con il caposquadra l'adozione di ogni idonea cautela per garantire la sicurezza dei lavoratori impegnati su linea attiva; impedire l'esecuzione dei predetti lavori di manutenzione in assenza di comunicazione per iscritto (cd. Mod. M40) da parte del caposquadra in ordine alla natura e alla tipologia dei predetti lavori; segnalare anticipatamente e con mezzi adeguati l'arrivo del predetto treno in area stazione ai lavoratori impegnati sui binari; verificare la presenza di lavoratori sui binari prima di concedere il segnale di via libera al transito in stazione del convoglio Palermo-Catania.

Il C. era inoltre dichiarato responsabile del reato di calunnia aggravata a lui pure ascritto, in concorso con altri, al capo D della rubrica, per avere accusato ingiustamente, al fine di assicurarsi l'impunità dal reato di cui al capo A, pur sapendolo innocente, M.F., macchinista del convoglio Palermo- Catania, di avere per colpa cagionato la morte dei due operai: fatti commessi il (OMISSIS).

Il C. era pertanto condannato, per il reato sub A, alla pena di anni cinque di reclusione e, per il reato sub D, a quella di anni tre di reclusione, con interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e interdizione legale durante l'espiazione della pena. L' A. era condannato alla pena di anni tre di reclusione, con interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.

2. Interposto gravame da entrambi gli imputati in punto di affermazione della penale responsabilità, mancata concessione delle attenuanti generiche e trattamento sanzionatorio, la Corte d'appello di Catania, con sentenza del 15/5/2013, in parziale riforma della sentenza impugnata, assolveva il C. dal reato di calunnia, ma confermava l'affermazione di penale responsabilità per quello di omicidio colposo, riducendo tuttavia la pena per esso inflitta ad anni tre e mesi nove di reclusione, modificando altresì la pena accessoria dell'interdizione da perpetua in temporanea.

Riduceva altresì la pena inflitta all' A. ad anni due e mesi sei di reclusione, revocando per esso la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici.

2.1. In motivazione la Corte territoriale, richiamando e facendo proprie le argomentazioni svolte dal giudice di primo grado a confutazione di ciascuna delle riproposte tesi difensive, rilevava - con riferimento alla posizione del C. - doversi, in primo luogo, escludere che l'esecuzione degli interventi sul deviatoio n. 2 (nel corso della quale si era verificato il tragico incidente) fosse frutto di una iniziativa arbitraria ed estemporanea di una delle due vittime, esulante da qualsiasi programma di lavoro e mai venuta in considerazione tra gli addetti ai lavori: ciò sulla base delle indicazioni desumibili dall'ammissione dello stesso C. secondo cui, quella mattina, si sarebbero dovuti eseguire interventi di rincalzatura dei binari e, nel pomeriggio, ove fosse rimasto tempo, si sarebbe proceduto alla sostituzione delle chiavarde nel deviatoio n. 2, nonchè della deposizione della teste S.R., che aveva confermato che la squadra era stata inviata alla stazione di Motta per effettuare lavori di rincalzatura delle giunzioni e interventi ai deviatoi, secondo necessità.

Osservava inoltre che, anche a voler supporre che si fosse trattato di iniziativa autonoma ascrivibile a eccesso di zelo del Ca., era impensabile, perchè fuori da ogni logica, che egli l'avesse posta in essere senza informarne prima il caposquadra.

Soggiungeva che, comunque, anche a ritenere che l'imputato non avesse conferito incarichi alle vittime inerenti il deviatoio n. 2 e non fosse stato informato della loro iniziativa, egli comunque avrebbe potuto e dovuto avvedersi di quanto accadeva in tale parte della linea ferrata, rientrando nei suoi doveri anche quello di controllare continuamente ambo i lati dell'area, per avvedersi dell'arrivo di treni in entrambe le direzioni.

Richiamava al riguardo l'elenco delle omissioni e negligenze a lui ascrivibili quali già evidenziate nella sentenza di primo grado, ossia: la mancata apposizione delle cd. tabelle "S"; la mancata predisposizione di due avvistatori; lo svolgimento delle mansioni di avvistatore non basato sul concreto avvistamento dei convogli; la mancata acquisizione di informazioni sugli orari di transito dei treni presso la stazione; la mancata richiesta di adozione del regime di interruzione del binario interessato ai lavori sul deviatoio; il non aver impedito la prosecuzione dei lavori presso il deviatoio, ovvero non aver adottato le idonee misure di avvistamento e sicurezza anche presso quel cantiere.

Confermava, pertanto, la validità del giudizio controfattuale già operato dal primo giudice, rilevando in particolare che, ove le tabelle di segnalazione di lavori in corso (tabelle del tipo S) fossero state apposte, il macchinista avrebbe attivato i relativi segnali acustici, non potendosi nemmeno escludere che, secondo i canoni di comune prudenza e diligenza, egli avrebbe rallentato la sua corsa e avrebbe altresì potuto, verosimilmente, fermarsi in tempo per evitare l'investimento. Inoltre, la segnalazione acustica avrebbe probabilmente allertato l'agente avvistatore del sopraggiungere del convoglio.

Osservava, infine, sulla scorta di consolidato principio giurisprudenziale, che, anche a voler accedere alla tesi della autonoma iniziativa degli operai, la stessa non varrebbe comunque a interrompere il nesso causale tra le omissioni ascrivibili al caposquadra e l'evento morte, potendosi al più quella iniziativa ascrivere a grave imprudenza dei lavoratori ma non anche assegnare alla stessa i caratteri della abnormità ed eccezionalità e, comunque, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, che sole potrebbero connotare il comportamento come del tutto imprevedibile e inopinabile. Tale iniziativa infatti - rimarcava la Corte - era comunque connessa allo svolgimento dell'attività lavorativa e finalizzata a soddisfare esigenze proprie della R.F.I., tant'è vero che la sostituzione delle chiavarde presso il deviatoio era stata comunque ventilata.

2.2. Con riferimento alla posizione dell' A. rilevava anzitutto - quanto alla preliminare censura di carattere processuale, relativa al rigetto della richiesta di giudizio abbreviato perchè tardiva - che, contrariamente a quanto dedotto dall'appellante, a seguito del rinvio disposto per omessa notifica del decreto di giudizio immediato ai suoi difensori, l' A. era stato rimesso integralmente in termini per la presentazione della relativa domanda.

Nel merito, osservava che l'affermazione di responsabilità trovava fondamento nella prova positiva delle omissioni a lui addebitate e che in particolare:

- quanto alla comunicazione ai lavoratori degli orari dei treni in transito, il dedotto adempimento verbale di tale obbligo non poteva considerarsi esaustivo, specie in considerazione del passaggio, da poco avvenuto, all'orario invernale;

- se è vero che il C. omise di consegnargli il modello M 40, contenente l'indicazione scritta degli interventi da eseguire, diligenza avrebbe allora imposto che egli ne impedisse l'esecuzione;

- in ogni caso, sapendo della presenza di una intera squadra di operai, egli avrebbe dovuto, prima di dare segnale di libero transito, verificare con maggiore scrupolo la situazione all'interno della stazione e all'approssimarsi del convoglio, anzichè limitarsi ad un fugace accertamento visivo, dalla soglia del proprio ufficio;

- anche a fronte dell'ipotizzabile inosservanza da parte di altri delle procedure del caso, stava all' A. pretenderne il rispetto e opporsi all'esecuzione dei lavori ovvero, una volta consentito il loro inizio, esercitare un più penetrante controllo;

- l'assunto secondo cui egli non sarebbe stato in grado di udire i rumori del sega-rotaie utilizzato dai due operai, era smentito dagli esiti dell'esperimento giudiziale; se poi a tanto avesse ostato la porta chiusa per il caldo e il climatizzatore in funzione, a maggior ragione, una volta aperto l'uscio per controllare, avrebbe egli dovuto verificare con maggior cura;

- non è verosimile l'ipotesi prospettata dalla difesa secondo cui, durante la durata dei lavori, il Ca. e il V. non erano rimasti continuativamente sui binari, ma si erano allontanati per poi tornare sul posto, e comunque, se ciò fosse accaduto, l' A. o qualcun altro avrebbe dovuto vederli e notarne sia il rapido allontanamento, sia il rapido rientro sui binari;

- il comportamento delle vittime, quantunque altamente imprudente, non poteva considerarsi eccezionale e non era tale pertanto da escludere l'efficacia causale delle omissioni ascrivibili all'imputato; nè, con riferimento all'elemento soggettivo, era invocabile il principio dell'affidamento sul corretto comportamento altrui.

3. Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione entrambi i predetti imputati, per mezzo dei rispettivi difensori.

3.1. Il C. articola a fondamento del proprio ricorso due motivi. Con il primo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto di affermazione della penale responsabilità.

Premesso che il materiale probatorio "offre al giudicante ... la possibilità di "una duplice lettura dei fatti che può condurre a una soluzione colpevolista e a una innocentista" e ribadita la tesi difensiva secondo cui "le due vittime hanno intrapreso quell'attività al deviatoio di loro esclusiva iniziativa, in quanto nessun elemento probatorio conforta l'ipotesi che l'incarico per quel lavoro provenne da C.", sostiene che il giudice di merito ha fatto "abbondante ricorso a forzature interpretative e a travisamento di fatti ed episodi onde puntellare la tesi condannatoria".

Quanto in particolare alla deposizione della teste S., osserva che l'affermazione della stessa secondo la quale "la squadra era stata inviata alla stazione di Motta Sant'Anastasia per effettuare lavori di rincalzatura delle giunzioni e al deviatoio ferroviario, secondo necessità", può prestarsi ad una differente lettura secondo la quale quel giorno bisognava eseguire la rincalzatura delle giunzioni (come previsto dall'ordine di servizio), mentre gli interventi al deviatoio (non previsti dall'ordine di servizio) sarebbero stati eseguiti "secondo necessità", conformemente a quanto del resto dichiarato dallo stesso imputato secondo cui "nel pomeriggio, ove fosse rimasto tempo, si sarebbe proceduto alla sostituzione delle chiavarde al deviatoio n. 2", una volta che - era sottinteso - fosse stato fornito dal Capo-tronco un nuovo ordine di servizio apposito.

Rimarcata, invece, l'assenza di prova alcuna dell'esistenza e della consegna di un ordine di servizio alle due vittime che le delegasse ad operare presso il deviatoio predetto, evidenzia che il sospetto, ventilato in sentenza, di un ordine de facto è reso illogico da una serie di circostanze legate alla qualità soggettive dei protagonisti e all'andamento dei lavori quella mattina, quali:

- il fatto che egli, allorchè sentì la campanella che preannunciava l'arrivo del treno, non corse subito verso i due ma si limitò a dire ai componenti della sua squadra: "ragazzi, uscite" e solo allorquando il gruppo si accorse incidentalmente dei due che lavoravano lontano, egli li sgridò correndo verso di loro;

- allo svolgimento dei lavori presso il deviatoio i due provvidero solo alla fine delle riparazioni sui binari, quando - se davvero quel lavoro fosse stato ricompreso tra quelli di fatto programmati - sarebbe stato più logico che vi provvedessero in contemporanea, così anticipando il completamento delle operazioni;

- nonostante si trattasse di lavori di contenuto analogo (sostituzione di bulloni), per quello presso il deviatoio le vittime si avvalsero di un sega-rotaie (arnese invece non impiegato nei lavori di rincalzatura delle giunzioni e indispensabile solo per il lavoro di rimozione del lucchetto da un cancello di accesso al cantiere, l'unico del quale i due erano stati effettivamente incaricati).

Sostiene, inoltre, che la richiesta del Ca. di essere coadiuvato dal V., accolta dai suoi compagni di lavoro e dal caposquadra, non può costituire argomento da cui inferire la consapevolezza di quest'ultimo dell'intenzione di eseguire il lavoro sul deviatoio rivelatosi fatale, ben potendo essere riferito a quello di rimozione del lucchetto. Analogamente la frase che, secondo il teste c., il Ca. pronunciò prima di allontanarsi dal gruppo: "fazzu 'ddu travagghiu", era riferibile a quest'ultimo lavoro, del quale tutto il gruppo aveva in precedenza parlato.

Evidenzia di contro altre circostanze - legate al personale stato di frustrazione nel quale si trovava il Ca. (lavoratore anziano, molto apprezzato dai colleghi e prossimo alla pensione che, dopo aver raggiunto il grado di caposquadra, per alcune vicissitudini disciplinari, legate anche a precedenti violazioni della normativa antinfortunistica, era stato dichiarato inidoneo a mansioni di responsabilità) e anche al dato temporale (all'attesa cioè che fosse terminato il lavoro di rincalzatura delle giunzioni, per poter portare con sè la chiave calibro 38 utilizzata dalla squadra) - che egli assume indicative della origine autonoma ed estemporanea della iniziativa rivelatasi fatale e delle ragioni che ne spiegavano sia la genesi, sia la mancata previa comunicazione al caposquadra.

Censura, inoltre, come priva di fondamento, l'affermazione, contenuta in sentenza, secondo cui egli avrebbe avuto comunque la possibilità di notare la presenza dei due accovacciati sui binari e privi di giubbotto ad alta visibilità, rilevando che dal luogo in cui si trovava, distante circa 800 m, era certamente visibile il deviatoio n. 2 nel suo complesso, ma non altrettanto lo erano i due soggetti accovacciati, divenendo altresì irrilevante il tempo, comunque presumibilmente estremamente breve, di permanenza degli stessi sul luogo del sinistro.

Contesta, infine, l'attribuzione di un'incidenza causale alla mancata applicazione delle tabelle con la "S", rilevando che la presenza di queste ultime non avrebbe modificato il procedere del treno. Rileva che, peraltro, è dubbio che fosse obbligatoria l'apposizione delle stesse, trattandosi di lavoro di poche ore.

Deduce pertanto che, nel contesto descritto, la pronuncia di condanna viola il criterio di giudizio di cui all'art. 533 cod. proc. pen., non consentendo le prove raccolte di fondare un convincimento di penale responsabilità "al di là di ogni ragionevole dubbio".

3.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche.

Lamenta che il giudizio positivo sulla personalità dell'imputato, definito in sentenza come soggetto "immune per tutto il corso della vita umana e professionale, da qualsiasi pregiudizio", è stato utilizzato ai soli fini della determinazione della pena ma non anche ritenuto idoneo a fondare il riconoscimento delle attenuanti richieste e che, inoltre, la Corte ha omesso di valutare il comportamento processuale collaborativo, peraltro sottolineato nella sentenza di primo grado.

Di contro, il rilievo attribuito alle modalità della condotta omette di considerare, secondo il ricorrente, le concause parallele che hanno contribuito in modo determinante alla causazione dell'evento.

4. A.G. articola a fondamento del proprio ricorso tre motivi.

4.1. Il primo di essi è a sua volta suddiviso in numerosi paragrafi e sottoparagrafi nei quali si espongono varie e disomogenee censure che possono così sintetizzarsi.

4.1.1. Erronea applicazione dell'art. 530 c.p.p., comma 2 e art. 533 c.p.p., comma 1, per avere la Corte d'appello omesso di considerare alcune circostanze che avrebbero dovuto condurre a dichiarare la non colpevolezza dell'imputato e, in particolare, che:

- egli era l'unica persona presente nei locali della stazione, con il compito di "addetto ACEI: quadro di avviso, di comando e di controllo" che gli imponevano di non staccare lo sguardo dal pannello- quadro di comando ACEI;

- il fatto che, in quel contesto lavorativo, una squadra di operai gli avesse chiesto la chiave del cancello di accesso al grande spiazzo confinante con il fabbricato della stazione, onde potervi parcheggiare l'automezzo con il quale erano ivi giunti, non poteva indurlo a indagare su cosa quei colleghi sarebbero andati a fare, tanto più che non gli era stato consegnato alcun Modulo M40 e considerato anche che già altre volte quei colleghi gli avevano avanzato analoga richiesta in quanto incaricati di ispezionare i percorsi dei treni per togliere pietre o rami secchi.

4.1.2. Omessa declaratoria di illegittimità della decisione del primo giudice r" che aveva ritenuto tardiva e pertanto inammissibile la richiesta di giudizio abbreviato: lamenta che al riguardo la Corte catanese ha adottato una "motivazione non condivisibile".

4.1.3 Violazione della regola di giudizio di cui all'art. 533 c.p.p., comma 1, in mancanza di prova delle omissioni a lui ascritte, del che si trarrebbe conferma dai risultati delle inchieste tecniche specialistiche effettuate dalla Direzione Manutenzione Sicurezza del Gruppo Ferrovie dello Stato, dalla Agenzia Nazionale Sicurezza Ferroviaria, da altra Commissione d'indagine.

Lamenta che la Corte territoriale ha dato credito alla tesi che i lavori che al momento del sinistro le vittime stavano eseguendo sul deviatoio 2 fossero stati effettivamente affidati alla squadra di operai e non fossero piuttosto frutto di una iniziativa estemporanea e altamente imprudente del Ca..

Assume che al riguardo ha influito anche la mancanza di una mappa dei luoghi e, segnatamente, della esatta ubicazione dello spiazzo adiacente all'edificio della stazione.

4.1.4. Deduce poi violazione di legge in relazione alla ritenuta configurabilità in capo ad esso ricorrente di una posizione di garanzia.

Sostiene che nessun obbligo di garanzia sussisteva a suo carico non essendogli stato richiesto di provvedere alla interruzione del binario, per il che sarebbe stato necessario un accordo formale, da trasfondere nel modulo M40.

4.1.5. Soggiunge che erroneamente la Corte ha ritenuto inapplicabile il criterio dell'affidamento e ha ritenuto esso ricorrente in colpa per non avere comunicato agli operai gli orari dei passaggi dei treni, omettendo di considerare che è sempre possibile il passaggio di treni straordinari o in anticipo di corsa.

Si duole, altresì, che la Corte non abbia considerato la pur dedotta difficoltà che due persone che non indossavano abiti ad alta visibilità fossero avvistati da una distanza di 100 metri e forse molti di più.

4.2. Anche il secondo motivo raggruppa a sua volta varie censure, così sintetizzabili.

4.2.1. Vizio di motivazione per avere la Corte trascurato di considerare la concreta composizione delle squadre di operai impegnate sui binari il giorno dell'incidente e, in particolare, le emergenze processuali che dimostravano l'estraneità delle due vittime all'organizzazione del lavoro. Rileva che non v'è prova che i due avessero ricevuto incarico di intervenire sul deviatoio 2, ma solo congetture.

4.2.2. Vizio di motivazione per avere ritenuto che la condotta altamente imprudente e imprevedibile delle due vittime non fosse idonea a interrompere il nesso causale con le omissioni ascritte.

4.2.2. Vizio di motivazione per travisamento di prova, per avere la Corte postulato che il ripristino dell'orario invernale fosse intervenuto solo da pochi giorni, essendo invece trascorso un mese.

4.3. Con il terzo motivo, infine, anche l' A. deduce vizio di motivazione con riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche ed alla dosimetria della pena.

5. La difesa del ricorrente A. ha depositato in data 17/9/2014 memoria difensiva contenente motivi indicati come nuovi ma in realtà sostanzialmente sovrapponibili a quelli sopra sintetizzati.

Ulteriore memoria illustrativa è stata depositata all'odierna udienza.

Diritto


4. Entrambi i ricorsi sono infondati.

Le varie - spesso ripetitive e sovrapponibili, e qui pertanto congiuntamente esaminabili - censure articolate da entrambi i ricorrenti si risolvono, invero, nella reiterazione di argomentazioni difensive motivatamente disattese dai giudici di appello, oltre che nella prospettazione di una serie di questioni di merito, afferenti esclusivamente e dichiaratamente alla valutazione degli elementi di prova ed alla scelta delle ragioni ritenute idonee a giustificare la decisione, cioè ad attività che rientrano nel potere discrezionale del giudice a quo, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se sorretto, come nel caso in esame, da adeguata e congrua motivazione esente da vizi logico-giuridici.

Come noto, infatti, in tale sede, la Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento" (Sez. 4, n. 47891 del 28/09/2004, Mauro, Rv. 230568; Sez. 4, n. 4842 del 2/12/2003, dep. 6/02/2004, Elia, Rv. 229369).

E' il caso poi di rammentare che la sentenza impugnata va necessariamente integrata con quella, conforme nella ricostruzione dei fatti, di primo grado, derivandone che i giudici di merito hanno spiegato, in maniera adeguata e logica, l'espresso convincimento della penale responsabilità dell'imputato, compiutamente esaminando tutte le prospettazioni difensive reiteratamente proposte e confutando ciascuna di esse ovvero anche evidenziandone la non decisività sulla base di argomenti puntuali e logicamente coerenti con le acquisizioni istruttorie.

La ricostruzione del fatto risulta, dunque, incensurabile in questa sede, non ravvisandosi alcun contrasto disarticolante tra le emergenze processuali e il ragionamento seguito.

4.1. Peraltro le contestazioni mosse dai ricorrenti si rivelano principalmente mirate nei confronti del primo dei percorsi argomentativi esplicitati in sentenza a fondamento del giudizio di condanna, quello che trae dall'istruttoria raccolta il convincimento della sussistenza di un ordine tacito, conferito alle due vittime, di eseguire l'intervento rivelatosi fatale o comunque della consapevolezza, da parte almeno del C., circa le intenzioni dei due lavoratori, allorquando gli stessi si staccarono dal gruppo impegnato nel primo lavoro.

Resta invece sostanzialmente trascurato l'ulteriore e alternativo percorso motivazionale attraverso il quale la Corte territoriale evidenzia come alla medesima conclusione debba comunque giungersi, per entrambi gli imputati, anche postulando si sia trattato di iniziativa autonoma ed esclusiva delle due vittime e, in particolare, del Ca.. Ciò in ragione della rilevanza causale comunque attribuibile, anche in tal caso, alla omissione delle pur possibili e numerose precauzioni sopra elencate ovvero alla non corretta esecuzione degli obblighi di vigilanza dell'area intera interessata dai lavori.

A tale parte della motivazione, i ricorrenti dedicano poche e generiche contestazioni, appuntate per lo più su circostanze marginali e certamente di non decisivo rilievo (quali, ad es., l'impegno dell' A. presso il quadro comandi, in realtà non tale da escludere l'assolvimento delle funzioni di vigilanza proprie delle sue mansioni o l'asserita impossibilità di vedere a distanza i due lavoratori, che però non esclude la doverosità e l'efficacia delle altre cautele preventive la cui omissione è evidenziata in sentenza), inidonee a infirmare la validità logica delle argomentazioni alternativamente dedotte a fondamento dell'affermazione del nesso causale con la conseguenza che, ove anche risultassero fondate le critiche riferite ai passaggi motivazionali diversi e non correlati a quello in esame, le stesse non potrebbero comunque condurre all'annullamento della sentenza impugnata, dal momento che la stessa resterebbe validamente giustificata dalla motivazione alternativa non toccata dalle censure medesime.

4.2. Sotto tale profilo - giova peraltro rimarcare - la regola di giudizio cui si sono attenuti i giudici di primo e secondo grado - secondo cui il preposto o il capo-squadra ( C.) e il dirigente movimento di stazione ( A.) sono responsabili anche degli infortuni ascrivibili a imperizia, negligenza ed imprudenza del lavoratore, salvo i casi della assoluta abnormità del comportamento di quest'ultimo (nella specie non ricorrente) - è corretta e conforme alla costante e pacifica giurisprudenza di questa Corte.

4.2.1. Occorre al riguardo anzitutto rilevare - anche a confutazione di censura, ancorchè generica, sul punto mossa dall' A. - che non può dubitarsi dell'esistenza in capo ad entrambi i ricorrenti di posizioni di garanzia certamente rilevanti nella specie, riconducibili alla previsione di cui al D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 4, richiamato dalla L. 26 aprile 1974, n. 191, art. 1 (Prevenzione degli infortuni sul lavoro nei servizi e negli impianti gestiti dall'Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato), che impone ai datori di lavoro, ai dirigenti ed ai preposti, nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, di "a) attuare le misure di sicurezza previste dal... decreto; b) rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti e portare a loro conoscenza le norme essenziali di prevenzione mediante affissione, negli ambienti di lavoro, di estratti delle presenti norme o, nei casi in cui non sia possibile l'affissione, con altri mezzi; c) disporre ed esigere che i singoli lavoratori osservino le norme di sicurezza ed usino i mezzi di protezione messi a loro disposizione".

Ne discende l'obbligo, per il capo-squadra, di apprestare tutti gli accorgimenti, i comportamenti e le cautele necessari a garantire la massima protezione del bene protetto, ossia la salute e l'incolumità del lavoratore sottoposto alla sua direzione e vigilanza, posizione che esclude che il medesimo possa fare affidamento sul diretto, autonomo, rispetto da parte del lavoratore delle norme precauzionali, essendo invece suo compito non solo apprestare tutti gli accorgimenti idonei a garantire la sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro ma anche di adoperarsi perchè la concreta esecuzione del lavoro avvenga nell'osservanza di tutte le misure sicurezza.

Analogamente, quanto all' A. l'esistenza di una sua posizione di garanzia rilevante nel caso di specie è correttamente fatta discendere dalle mansioni pacificamente attribuitegli di dirigente e responsabile del movimento di stazione, come tale tenuto a vigilare che il movimento dei treni in stazione avvenga in condizioni di sicurezza per tutti coloro che possano esserne coinvolti, restando del tutto irrilevante la mancanza di una richiesta di interruzione d'esercizio su uno o più binari nonchè la pure dedotta omessa consegna di precisa e adeguata comunicazione scritta (Mod. 40) del programma di lavori della giornata e del numero di lavoratori addetti, atteso che - come rettamente evidenziato in sentenza - posto che egli, come è pacifico in causa, era comunque informato della presenza di una squadra di operai nell'area della stazione, proprio tale omissione avrebbe dovuto attivare i compiti e i poteri di vigilanza ed eventualmente di inibizione allo stesso assegnati, evidentemente funzionali agli obiettivi di sicurezza e prevenzione predetti.

4.2.2. Ne deriva anche che, secondo principio ripetutamente affermato, poichè le norme di prevenzione antinfortunistica mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza e imperizia, il comportamento anomalo del lavoratore può acquisire valore di causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l'evento, tanto da escludere la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, solo quando esso sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante e imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore. Tale risultato, invece, non è collegabile al comportamento, ancorchè avventato, disattento, imprudente, negligente del lavoratore, posto in essere nel contesto dell'attività lavorativa svolta, non essendo esso, in tal caso, eccezionale ed imprevedibile (v. ex multis Sez. 4, n. 23292 del 28/04/2011, Millo, Rv. 250710; Sez. 4, n. 15009 del 17/02/2009, Liberali, Rv. 243208; Sez. 4, n. 25532 del 23/05/2007, Montanino, Rv.
236991; Sez. 4, n. 25502 del 19/04/2007, Scanu, Rv. 237007; Sez. 4, n. 47146 del 29/09/2005, Riccio, Rv. 233186).

Tanto premesso, del tutto plausibile è l'accertamento che hanno compiuto i giudici di merito circa la non abnormità del comportamento del Ca. e del giovane operaio che l'accompagnava, in quanto le modalità esecutive del lavoro dagli stessi adottate nel tragico occorso, se pure errate e pericolose, rientrano nel novero delle violazioni comportamentali che i lavoratori perpetrano quando ritengono di aver acquisito piena competenza e abilità nelle mansioni da svolgere, tanto da consentire, a loro giudizio, l'adozione di tecniche e procedure operative diverse da quelle normalmente seguite. In quanto tali sono ben prevedibili e devono essere neutralizzate attraverso gli opportuni accorgimenti.

L'assenza, nella specie, di tali precauzioni e, per converso, l'esistenza di uno stretto collegamento funzionale, rispetto alle mansioni da eseguire, della improvvida procedura operativa adottata dalle vittime (tale dunque da non potersi comunque considerare, nei sensi predetti, comportamento abnorme ovvero del tutto esorbitante e imprevedibile), sono ben evidenziate nella sentenza di merito laddove si rileva - con argomentazione ancorata alle emergenze istruttorie e non fatta segno in sè di alcuna specifica contestazione - che "la condotta delle vittime non era abnorme, eccezionale o inopinata, poichè era connessa allo svolgimento dell'attività lavorativa e, comunque, finalizzata a soddisfare esigenze proprie della Rete Ferroviaria Italiana, tant'è vero - come detto - che la sostituzione delle chiavarde era stata comunque ventilata".

4.2.3. Nel contesto così delineato, chiaramente emergente dalle sentenze di merito, inconferente appare il richiamo ai precedenti che ammettono la possibilità che la condotta dell'infortunato assurga a causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento non solo quando non sia in alcun modo collegabile alle mansioni da svolgere, ma anche quando - pur essendo finalizzata ai compiti assegnati - presenti i caratteri dell'eccezionaiità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive organizzative ricevute (v. ex aliis Sez. 4, n. 7267 del 10/11/2009, dep. 2010, Iglina, Rv. 246695; Sez. 4, n. 21587 del 23/03/2007, Pelosi, Rv. 236721; Sez. 4, n. 40164 del 03/06/2004, Giustiniani, Rv. 229564; Sez. 4, n. 952 del 27/11/1996, dep. 1997, Maestrini, Rv. 206990; Sez. 4, n. 10733 del 25/09/1995, Dal Pont, Rv. 203223).

Giova al riguardo premettere che, al di là dell'affermazione di principio, solo in pochi casi, di fatto, risulta essersi riscontrato effettivamente una condotta del lavoratore che, pur finalizzata alle mansioni assegnate, poteva ritenersi caratterizzata da "eccezionalità, abnormità, esorbitanza rispetto alle direttive di organizzazione ricevute".

Nel caso in particolare esaminato da Sez. 4, n. 10733 del 1995, Dal Pont, cit., era accaduto che un lavoratore, addetto ad una macchina dotata di fresatrice, con il compito di introdurvi manualmente degli elementi di legno, aveva inserito ("eseguendo una manovra tanto spontanea quanto imprudente") la mano all'interno dell'apparato per rimuovere residui di lavorazione, subendone l'amputazione; la S.C. aveva annullato la sentenza di condanna del datore di lavoro essendo emerso che: l'operazione compiuta era rigorosamente vietata; la macchina era dotata di idoneo strumento aspiratore; il lavoratore era perfettamente consapevole che la fresatrice era in movimento; qualunque accorgimento tecnico volto ad obbligare l'operatore a tenere ambo le mani impegnate per far andare la macchina avrebbe dovuto fare i conti con il tipo di lavorazione, nel quale la manualità dell'operatore era totalmente assorbita nell'introduzione del legno nell'apparato. Nel caso poi preso in esame da Sez. 4, Sentenza n. 7267 del 2010, Iglina, era accaduto che, nell'ambito di un cantiere edile, la vittima, avendo necessità di svolgere dei lavori ad altezza di circa 6 metri ed essendo il regolare mezzo di sollevamento già impegnato, per accelerare i tempi di lavorazione, decideva di porre un cestello sopra le forche di un muletto, facendosi sollevare verso il luogo di lavoro, ma a causa della instabilità del cesto, che si ribaltava, cadeva da un'altezza di circa cinque metri, battendo il capo in terra e decedendo per le gravi lesioni patite. In quel caso la Corte ha valutato la condotta tenuta dalla vittima come "del tutto autonoma, abnorme e fuori da alcuna prevedibilità", considerando in particolare che i datori di lavoro avevano fornito normali mezzi per sollevare le persone ad altezza del piano di lavoro.

Orbene, appare agevole rilevare che in ciascuno dei predetti casi ricorrevano circostanze fattuali che consentivano di ritenere assolto ogni dovere formativo, informativo e precauzionale in capo al datore di lavoro e per contro non ipotizzabile alcuna diversa ulteriore specifica cautela volta a prevenire l'inconsulta condotta del lavoratore: nel secondo caso in particolare questa essendo, peraltro, a ben vedere, nemmeno strettamente riconducibile a esigenze lavorative o comunque ad esse funzionale, risultando che "la vittima si era determinato ad utilizzare un mezzo improprio per lavorare in altezza in ragione della personale fretta che aveva a terminare il lavoro".

Condizioni di tal genere sono invece nel nostro caso sicuramente assenti, non risultando in particolare che l'esecuzione del già programmato intervento presso il deviatoio n. 2 fosse stato espressamente vietata e risultando piuttosto, positivamente, che tale intervento non era nè di fatto impedito, nè in alcun modo segnalato come pericoloso ed ancora che la improvvida scelta operativa fu dettata dall'intento di un più funzionale ed efficace svolgimento del complessivo programma di lavoro.

5. Manifestamente infondata, oltre che del tutto generica, è poi la censura svolta dall' A. in relazione al rigetto del motivo di gravame con il quale si faceva valere l'asserita illegittimità del provvedimento del primo giudice con il quale era stata respinta, perchè tardiva, la richiesta di giudizio abbreviato.

Appare invero pienamente corretta e dirimente la considerazione, bene espressa in sentenza e in sè non fatta segno di alcuna specifica critica in ricorso, secondo cui, da un lato, l'inosservanza del termine a comparire conseguente la tardiva notificazione del decreto di giudizio immediato non è motivo di nullità, atteso che l'art. 456 c.p.p., comma 1, richiamando le disposizioni dell'art. 429 c.p.p., commi 1 e 2, prevede la nullità del decreto solo per inidonea indicazione del fatto e/o del luogo, del giorno e dell'ora della comparizione, con l'avvertimento che non comparendo l'imputato sarà giudicato in contumacia; dall'altro, il rinvio disposto dal primo giudice, dall'udienza del 12/01/2009 a quella del 23/03/2009, ha di fatto reintegrato il termine altrimenti incompleto ed ha consentito all'imputato di disporre del tempo necessario ad inoltrare la richiesta di rito abbreviato ex art. 458 c.p.p., comma 1: ciò conformemente al noto principio generale accolto in giurisprudenza, in virtù del quale, in ipotesi analoghe, i termini eventualmente insufficienti vanno sommati fra loro, bastando che in tal modo l'imputato disponga, per l'esercizio di facoltà ed attività defensionali, di un arco temporale che, computato dalla data della prima notifica, risulti complessivamente corrispondente a quello prescritto (cfr. Sez. 2, n. 23559 del 12/05/2009, Romano, Rv. 244236; Sez. 1, n. 427 del 05/12/2001, dep. 2002, Zuccaro, Rv. 220440).

6. Analogamente deve dirsi in ordine alle censure da entrambi i ricorrenti proposte in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e, dall' A., anche con riferimento alla dosimetria della pena.

La Corte territoriale motiva, infatti, adeguatamente il proprio convincimento sul punto facendo riferimento alla gravità delle colpe, desunta dalle modalità delle condotte.

A fronte di tale motivazione le censure mosse dai ricorrenti si risolvono nella soggettiva prospettazione di una diversa valutazione che, come tale, non vale a palesare profili di obiettiva contraddizione interna o con dati univoci e decisivi emergenti dagli atti.

E' appena il caso al riguardo di rammentare che, secondo pacifico indirizzo, la concessione o meno delle stesse costituisce un giudizio di fatto lasciato alla discrezionalità del giudice, censurabile in cassazione solo quando sia frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Sez. 3, n. 26908 del 22/04/2004, Ronzoni, Rv. 229298), e per il quale è sufficiente il richiamo anche ad uno solo degli elementi indicati dall'art. 133 cod. pen., ove ritenuto prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163).

Parimenti, con specifico riferimento alla dosimetria della pena, trovasi condivisibilmente precisato che "la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell'ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell'art. 133 cod. pen.. Anzi, non è neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale" (Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278).

Nel caso in esame, è da escludersi che il diniego, per entrambi gli imputati, delle attenuanti generiche sia da ritenere arbitrario o illogico o che, comunque, si esponga a censura di vizio di motivazione, avendo il giudice a quo ampiamente motivato sul punto, nei sensi predetti.

Nè può considerarsi contraddittoria la favorevole valorizzazione della personalità del C. ai fini della riduzione della pena, trattandosi di giudizi che rispondono a finalità diverse e che, sebbene possano far riferimento agli stessi parametri, non necessariamente comportano un esito convergente, ben potendo uno stesso parametro ritenersi rilevante ai fini della determinazione della pena in senso favorevole all'imputato ma non anche tale da meritargli, in ragione dell'importanza assunta nella fattispecie concreta e/o della ponderazione con altri elementi di segno opposto, anche la concessione delle attenuanti generiche (v. Sez. 1, n. 437 del 12/07/1982, dep. 1983, Rusconi, Rv. 156982).

6. Entrambi i ricorsi vanno pertanto rigettati, conseguendone la condanna di entrambi i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 25 settembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2014