Cassazione Civile, Sez. Lav., 18 febbraio 2015, n. 3256 - Mobbing



L'orientamento della Corte afferma che si ha mobbing allorchè sia ravvisabile da parte del datore o di un superiore gerarchico un atteggiamento sistematico e protratto nel tempo di ostilità verso il dipendente che si concreti in una molteplicità di comportamenti così da tradursi in forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica tali da indurre la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente (vedi, da ultimo, in questi termini Cass. n. 22535/2014, Cass. n. 898/2014, Cass. n. 3785/2009).


 

 

Fatto


Con sentenza del 23 agosto 2013, la Corte d'Appello di Bologna respingeva il gravame proposto da N.D. avverso la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia che, mentre dichiarava l'illegittimità di un primo licenziamento alla stessa intimato il 18.9.2003 dalla datrice di lavoro U. S.p.A già S. società di fornitura di lavoro temporaneo a r.l. e ora S. Plus S.p.A nonchè delle precedenti sanzioni conservative, con riconoscimento delle quote di retribuzione non erogate in conseguenza delle stesse, disattendeva la prospettazione in termini di mobbing delle condotte, assunte come vessatorie, poste in essere dal datore, ivi comprese quelle che avevano dato causa agli annullati provvedimenti disciplinari, negando altresì il risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla dedotta violazione dell'art. 2087 c.c., e, pertanto, dichiarava illegittimo il licenziamento per superamento del periodo di comporto che successivamente, in data 29.1.2004, la Società datrice aveva intimato alla stessa dipendente nell'eventualità di una decisione di invalidità del licenziamento in precedenza comunicato. La decisione discende dall'aver la Corte territoriale ritenuto, pur in presenza del riconoscimento da parte dell'INAIL della natura professionale della lamentata malattia, non provata sia la violazione dell'art. 2087 c.c. - e ciò con riguardo tanto al profilo oggettivo delle condotte denunciate, che tra l'altro avevano visto coinvolti tutti gli altri dipendenti, quanto a quello soggettivo, attinente all'intento persecutorio ritenuto elemento caratterizzante il mobbing, da qui derivando la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato per superamento del comporto - sia il danno non patrimoniale conseguente all'accertata illiceità dei precedenti provvedimenti sanzionatori. Per la cassazione di tale decisione ricorre N.D., affidando ad un unico motivo l'impugnazione, rispetto alla quale la S. Plus S.p.A. è rimasta intimata.



Diritto



Con l'unico motivo, così rubricato "Omesso esame e valutazione di fatti decisivi per il giudizio - violazione e falsa applicazione di norme di diritto in punto di comportamento del datore di lavoro e delle regole "della civiltà del lavoro"; violazione e falsa applicazione dei norme: art. 1175, 2043, 2059, 2087 e 2103 c.c., art. 185 c.p., artt. 2, 32, 41 Cost., artt. 115 e 116 c.p.c.", la ricorrente lamenta come il convincimento espresso dal giudice in ordine all'inconfigurabilità nella specie di una ipotesi di mobbing risulti inficiato da una considerazione solo parziale - per di più incentrata sul comportamento illecito dell'Area Manager incaricato della gestione della filiale di (OMISSIS), da ritenersi, viceversa un mero tramite per l'attuazione di un disegno persecutorio direttamente riferibile alla Società datrice - delle condotte pregiudizievoli denunciate dall'odierna ricorrente ed abbia condizionato la pronunzia in ordine alla spettanza del danno non patrimoniale, con riguardo alla quale sarebbe stato omesso di considerare come lo stesso fosse oggetto di una domanda autonoma, in quanto connesso all'illegittimità dei provvedimenti sanzionatori di cui la stessa Corte aveva confermato l'annullamento, con estensione della doglianza ai riflessi di tali erronei pronunciamenti alla statuizione in ordine alle spese di lite. Il motivo, nelle sue diverse articolazioni, risulta comunque infondato. In effetti la parziale considerazione degli elementi di fatto che nell'originaria prospettazione dell'odierna ricorrente, qui ampiamente ribadita, dovevano valere a riflettere, nella reiterazione delle denunciate condotte illecite riferibili alla stessa Società datrice, la componibilità di un unitario disegno persecutorio da quella ideato ed attuato in danno di Ella ricorrente, riconducibile alla fattispecie del mobbing, quale delineata nell'interpretazione che di essa emerge dalla giurisprudenza di questa Corte, non risulta affatto dimostrata, avendo in questa sede la ricorrente, diffusasi nella riproposizione dei singoli episodi, del resto dalla stessa dichiarati secondari, a suo dire pretermessi dalla Corte territoriale, del tutto omesso di evidenziare, con riguardo alla valutazione necessariamente sintetica delle allegazioni in fatto operata dalla Corte medesima, quelle carenze dell'iter logico giuridico dalla stessa Corte seguito nella formazione del proprio convincimento, che sarebbero state idonee a riflettere la denunciata omessa considerazione. In sostanza, la ricorrente si limita qui a ribadire la propria tesi secondo cui l'assunzione da parte della Società datrice nel breve volgere di un paio di mesi di iniziative sanzionatorie poi risultate tutte illegittime, non rifletta soltanto l'esercizio, per quanto scorretto ed abnorme (ma si tenga conto delle considerazioni della Corte di merito, non censurate dalla ricorrente, in ordine alla abnormità della situazione di disordine amministrativo e organizzativo in cui versava la filiale di (OMISSIS) cui la ricorrente stessa era addetta, al punto da indurre la Società alla decisione del commissariamento della filiale medesima, poi interpretato con eccessivo e riprovevole rigore da chi era stato incaricato di gestirlo), di un potere legittimamente facente capo al datore di lavoro ma valga di per sè a configurare in termini di mobbing la condotta datoriale medesima, tesi censurabile alla stregua dell'orientamento interpretativo di questa Corte, pur dalla ricorrente stessa richiamato, in base al quale si ha mobbing allorchè sia ravvisabile da parte del datore o di un superiore gerarchico un atteggiamento sistematico e protratto nel tempo di ostilità verso il dipendente che si concreti in una molteplicità di comportamenti così da tradursi in forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica tali da indurre la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente (vedi, da ultimo, in questi termini Cass. n. 22535/2014, Cass. n. 898/2014, Cass. n. 3785/2009).
Parimenti infondata si rivela la censura relativa al mancato riconoscimento del danno non patrimoniale che certo non deriva, come vorrebbe la ricorrente, dalla mancata considerazione dell'essere questa oggetto di una domanda autonoma in quanto connessa all'accertamento dell'illegittimità dei provvedimenti sanzionati irrogati alla ricorrente dalla Società bensì, dal rilievo, rimasto esente da censura, in ordine alla mancata allegazione e prova di un danno ulteriore ed afferente alla sfera morale della dipendente che le sarebbe derivato dall'illegittimo esercizio del potere disciplinare da parte del datore, rilievo che, stante la coerenza con la ritenuta inconfigurabilità in termini di mobbing di quell'esercizio, si rivela legittimo, non potendo qui valere quegli elementi di fatto, anche di natura presuntiva, cui fa generico riferimento la ricorrente, che, qualora ricorra una ipotesi di mobbing, sarebbero idonei a sostenere la rilevabilità e la quantificazione anche in via equitativa di quel danno ulteriore.

Di qui la congruità anche della statuizione della Corte territoriale in ordine alla condanna alle spese di lite.

Il ricorso va dunque rigettato, senza attribuzione di spese a favore della S. Plus S.p.A, rimasta intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 dicembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2015