Cassazione Penale, Sez. 4, 28 maggio 2015, n. 22849 - Caduta del trabattello di due lavoratori irregolari


 

 

 

Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO Relatore: SERRAO EUGENIA Data Udienza: 19/05/2015

Fatto


1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 22/10/2013, rilevata la prescrizione per la contravvenzione contestata al capo (B), ha confermato la pronuncia di condanna emessa il 25/11/2009 dal Tribunale di Como, che aveva dichiarato C.L. responsabile del reato di lesioni colpose aggravate dalla violazione di norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (capo A), commesso in data 11 settembre 2006, irrogando la pena sospesa di mesi cinque di reclusione, previo giudizio di equivalenza tra le circostanze attenuanti generiche e la contestata aggravante.
2. All'imputato si contestava di avere cagionato lesioni gravi a due lavoratori non regolarmente assunti e privi di permesso di soggiorno, in qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione della E. s.r.l., per negligenza, imperizia, imprudenza e per violazione degli artt.52, comma 1, d.P.R. 7 gennaio 1956, n.164 e 21 d. lgs. 19 settembre 1994, n.626. In particolare, i due lavoratori utilizzavano due trabattelli per posizionare, ad altezza di oltre sei metri da terra, alcuni pannelli radianti sul soffitto di una palestra; essendosi incastrato un pannello sull'altro, avevano cercato di svincolarlo tirandolo verso di sé e,nel compiere tale manovra, avevano provocato lo sbilanciamento e la caduta di un trabattello, non adeguatamente stabilizzato con gli appositi 'piedini'; la caduta del trabattello aveva provocato il ribaltamento anche del trabattello sul quale si trovavano gli operai, facendoli rovinare al suolo.
3.  C.L. propone ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
a) nullità di tutte le notifiche successive all'emissione del decreto di irreperibilità ex artt. 159,171,178 lett.c),179 e 185 cod.proc.pen. Il ricorrente era stato dichiarato irreperibile dalla Procura della Repubblica di Como in data 21 maggio 2008, in occasione della notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, mentre una volta emessa la sentenza di condanna il Tribunale aveva eseguito nuove ricerche individuando la sua residenza in Omissis (BS). Nel ricorso si deduce l'erroneità della pronuncia della Corte territoriale nella parte in cui ha rigettato l'eccezione di nullità della notificazione degli atti al difensore d'ufficio a seguito della pronuncia d'irreperibilità, evidenziando che dagli atti a disposizione della Procura egli risultava residente, in data 27 novembre 2006, in Omissis (BS) e, in data 19 marzo 2007, in Omissis (BS) e che le ricerche erano state effettuate presso tale secondo indirizzo senza eseguire alcuna ricerca presso il primo, da considerare come luogo di possibile dimora dell'imputato. Le ricerche presso il Comune di Omissis, si assume, non erano state effettive e, se si fosse effettuato un accertamento specifico sul territorio, si sarebbe riscontrata la presenza dell'imputato nel Comune di Omissis, come successivamente verificato dai Carabinieri su incarico del Tribunale;
b) nullità della notifica del decreto di citazione diretta a giudizio e di tutti gli atti ad esso successivi ex artt.160,171,178 lett.c), 179 e 185 cod.proc.pen. Il ricorrente si duole del fatto che, successivamente all'emissione del decreto di irreperibilità emesso in occasione della notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, non siano state effettuate nuove ricerche, nemmeno con l'emissione del decreto di citazione diretta a giudizio, avvenuta il 27 marzo 2009, a notevole distanza di tempo dal decreto di irreperibilità;
c) inosservanza o erronea applicazione degli artt.40, secondo comma, e 41, secondo comma, cod. pen. Premesso che nell'atto di appello la difesa aveva sostenuto che non fosse dimostrato che i due soggetti fossero alle dipendenze di E. s.r.l. e che vi era un capocantiere con delega scritta in materia di sicurezza, il ricorrente deduce che dalla posizione di garanzia riconosciutagli in qualità di datore di lavoro non si possa desumere l'obbligo di controllo in relazione a comportamenti anomali ed imprevedibili del lavoratore. I due infortunati, si assume, avevano deciso di loro iniziativa di proseguire da soli il lavoro nonostante gli altri due lavoratori esperti che si occupavano delle medesime mansioni si fossero allontanati per la pausa-pranzo, ponendo in essere un comportamento del tutto anomalo ed imprevedibile, dovendosi pertanto escludere ogni responsabilità dell'imputato;
d) mancanza di motivazione in ordine alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale. Il ricorrente si duole che la Corte di Appello abbia del tutto omesso di menzionare la richiesta di rinnovazione istruttoria avanzata nell'atto di appello e di spiegare perché non ritenesse decisive le richieste istruttorie ivi formulate;
e) mancanza di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio. Nel ricorso si lamenta che i giudici di merito si siano discostati dal minimo edittale senza alcuna motivazione.

Diritto


1. Il ricorso proposto da  C.L. non presenta profili di inammissibilità. Va, quindi, osservato che dopo la sentenza di appello è venuto a maturare il termine massimo di prescrizione previsto dalla legge per il reato contestato. Il fatto risale al 11/09/2006 e pertanto, in base al combinato disposto degli articoli 157,160 e 161 cod. pen. come modificati con 1.5 dicembre 2005, n.251, alla data odierna, anche tenendo conto della sospensione del termine per un periodo pari a 167 giorni, il reato è prescritto per decorso del termine massimo dopo la pronuncia della sentenza impugnata.
2. Tanto premesso, si deve considerare che le Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione hanno chiarito che il disposto di cui all'art. 129, comma 2, cod. proc. pen., laddove impone di dichiarare la causa estintiva quando non risultino evidenti i presupposti per una pronuncia assolutoria, deve coordinarsi con la presenza della parte civile e di una condanna in primo grado che impone ai sensi dell'art. 578 cod. proc. pen. di pronunciarsi sulla azione civile; e che, solo in tali ipotesi, la valutazione della res iudicanda non deve avvenire secondo i canoni di economia processuale che impongono la declaratoria della causa di proscioglimento quando la prova della innocenza non risulti ictu oculi (Sez. U, n.35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244273). Pertanto, atteso che, nel caso di specie, il Tribunale di Como ha condannato l'imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile, statuizione confermata dalla Corte di Appello, si deve procedere, pur in presenza della causa estintiva, ad un esame approfondito dei motivi di doglianza, ai fini della responsabilità civile, rimanendo assorbito l'esame dei motivi concernenti il trattamento sanzionatorio.
3. Il primo ed il secondo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente in quanto ineriscono entrambi alla verifica di regolarità del decreto di irreperibilità.
3.1. Come di recente affermato dalla Corte di legittimità a Sezioni Unite, nel dirimere il contrasto giurisprudenziale relativo all'applicabilità al latitante di norme dettate in tema di irreperibilità (Sez. U, n. 18822 del 27/03/2014, Avram, Rv. 258792), la distinzione concettuale che separa lo status dell'irreperibile da quello del latitante si riflette anche sui presupposti sui quali si fondano il relativo accertamento e la declaratoria della relativa condizione. Traendo spunto dagli approdi cui era pervenuta la Corte Costituzionale nel 1977 (Corte Cost. n.98 del 24 maggio 1977) a proposito della corrispondente disciplina della latitanza nel codice abrogato, si è puntualizzato che la situazione del latitante - vale a dire dell'imputato che si sottrae volontariamente, e al di fuori di qualsiasi presunzione normativa, alla esecuzione di un provvedimento di custodia cautelare - può effettivamente essere diversa da quella dell'irreperibile, ma non per i modi e le estensioni delle ricerche previste per entrambi, differenziandosi le due situazioni soltanto in ragione dei relativi presupposti, che legittimano, per entrambi i casi, il ricorso alla notificazione attraverso una fictio iuris: nel caso del latitante, collegata e giustificata da una scelta che deve essere verificata come volontaria; nel caso dell'irreperibile, in quanto resa necessaria dalla impossibilità oggettiva di effettuare le notificazioni secondo i modi ordinari. Da ciò l'assunto secondo il quale il sistema delle disposizioni che consentono le notificazioni attraverso mere presunzioni, così come le regole che disciplinano il giudizio in absentia, alla cui instaurazione le prime concorrono, deve essere interpretato con particolare cautela, «perché quello di partecipare al giudizio è un diritto fondamentale dell'imputato riconducibile all'art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, riprodotto nell'art. 111 Cost., e l'ordinamento processuale deve tendere ad evitare che il giudizio penale si svolga in assenza dell'imputato» (Sez. 1, n. 17703 del 04/03/2010, Rozsaffy, Rv. 247061; Corte EDU 10/11/2004 Sejdovic e. Italia; Corte EDU 18/05/2004 Somogyi e. Italia; Corte EDU 12/02/1985 Colozza e. Italia).
3.2. Quanto, poi, al carattere di esaustività delle ricerche effettuate, si deve ricordare che il relativo scrutinio deve essere condotto in base a parametri prefissati, come indicativamente enunciato dall'art.159 cod. proc. pen., e che l'emissione del decreto di irreperibilità, a differenza del decreto di latitanza, non dev'essere preceduta dall'accertamento degli elementi fattuali per ritenere effettiva la volontà dell'imputato di sottrarsi al processo o alla cattura (Sez. 3, n. 6679 del 10/01/2012, Vorovel, Rv.252444).
3.3. Sotto altro profilo, la notificazione degli atti al difensore d'ufficio, in difetto di elementi che conducano a ritenere effettivamente sussistente un rapporto con l'imputato, non può assumere rilievo analogo alla notificazione degli atti al difensore di fiducia, trattandosi di situazione in cui le esigenze del diritto di difesa non possono essere controbilanciate dalle esigenze di celerità del processo facendo affidamento sul rapporto fiduciario che lega l'imputato al suo difensore, tale da implicare il sorgere di un rapporto (circa il dovere di informazione da parte del difensore nei confronti del proprio assistito, vedasi Corte EDU 18/10/2006 Hermi c. Italia; Corte EDU 28/02/2008 Demebukov c. Bulgaria).
3.4. Tanto premesso in via di principio e passando all'esame del caso concreto, è pacifico che tutte le notificazioni destinate all'imputato, qui ricorrente, da cui è derivata la dichiarazione di contumacia nel giudizio di primo grado, sono state indirizzate al difensore d'ufficio sulla base del decreto di irreperibilità emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Como. Non avendo l'appellante contestato la regolarità delle ricerche, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto che il decreto di irreperibilità fosse stato regolarmente emesso sulla base dell'elemento obiettivo dell'assenza, attestata dall'agente postale, di segnali esterni di un'abitazione riferibile al C.L. presso il luogo di residenza anagrafica.
3.5. Nel ricorso si è introdotta la nuova doglianza concernente la regolarità delle ricerche che, oltre ad essere inammissibile in quanto non sottoposta al giudice di appello, è palesemente infondata. Il ricorrente ha dedotto, infatti, che le ricerche avrebbero dovuto essere effettuate presso una residenza antecedente quella risultante all'Anagrafe nel momento in cui si doveva effettuare la notificazione di un atto del processo, qualificandola come senza allegare alcun concreto argomento a sostegno di tale deduzione, ed ha lamentato l'incompletezza delle ricerche, peraltro pacificamente eseguite nei luoghi indicati nell'art.159 cod.proc.pen., sull'inconsistente presupposto che i Carabinieri del Comune di Omissis avessero verificato la sua residenza in detto Comune in data 2 marzo 2010, ossia a distanza di due anni dalla verifica negativa eseguita dall'Ufficiale di Anagrafe del Comune di Omissis in data 14 marzo 2008.
3.6. Ma anche la censura concernente la necessità di svolgere nuove ricerche qualora sia intercorso un lasso di tempo tra l'emissione del decreto di irreperibilità funzionale alla notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari e la data in cui si debba notificare il decreto di citazione a giudizio risulta infondata.
3.7. Va ricordato che, nel rispondere al seguente quesito: . A tanto la Corte è pervenuta spiegando che, in primo luogo, in tale ultima ipotesi le indagini non sarebbero state in concreto concluse e che, in secondo luogo, verrebbe meno l'arco temporale ristretto che rende in concreto superflua l'effettuazione di nuove ricerche e l'emissione di un nuovo decreto di irreperibilità. In tale ipotesi diventerebbe pertanto utile la reiterazione delle ricerche e la emissione di un nuovo decreto di irreperibilità, giacché il decorso del tempo può comportare nuovi accadimenti rilevabili con le nuove ricerche effettuate. E' stato, dunque, accolto l'indirizzo interpretativo formatosi sul presupposto che la lettera della norma fa riferimento alla notifica di un avviso con il quale il pubblico ministero comunica all'indagato , con la conseguente cessazione di efficacia del decreto emesso, appunto, eventualmente disposte dal pubblico ministero, sarebbe irragionevole richiedere per la notifica del provvedimento che dispone il giudizio un nuovo decreto di irreperibilità, che sarebbe meramente reiterativo di quello precedentemente emesso.
3.8. Ma il fattore tempo, sebbene sia stato considerato dalle Sezioni Unite quale ulteriore argomento a sostegno della fondatezza dell'orientamento interpretativo sopra indicato, non può assurgere, di per sé, come sostenuto nel ricorso, ad unica ragione giustificativa dell'obbligo per l'autorità che procede di effettuare nuove ricerche, contrastando tale ipotesi interpretativa con il chiaro tenore dell'art. 160 cod.proc.pen., che indica costantemente il passaggio di fase come unico elemento obiettivo al quale fare riferimento per individuare il sorgere dell'obbligo di effettuare le nuove ricerche dell'irreperibile.
4. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
4.1. Secondo quanto, anche recentemente, affermato dalla Corte di Cassazione, la regola ricavabile dal combinato disposto degli artt.606, comma 3, e 609, comma 2, cod. proc. pen., secondo la quale non possono essere dedotte in cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, a meno che si tratti di questioni rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio o di questioni che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello, trova il suo fondamento nella necessità di evitare che possa sempre essere dedotto un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso non sottoposto al controllo della Corte di Appello, in quanto non devoluto con l'impugnazione (Sez.4, n.10611 del 4/12/2012, dep. 2013, Bonaffini, Rv.256631).
4.2. Dalla lettura di tali disposizioni in combinato disposto con l'art.609, comma 1, cod. proc. pen., che limita la cognizione della Corte di legittimità ai motivi di ricorso consentiti, si evince l'inammissibilità delle censure che non siano state, pur potendolo essere, sottoposte al giudice di appello, la cui pronuncia sarà inevitabilmente carente con riguardo a tali censure (Sez. 5, n.28514 del 23/04/2013, Grazioli Gauthier, Rv. 255577; Sez.2, n.40240 del 22/11/2006, Roccetti, Rv.235504; Sez.l, n.2176 del 20/12/1993, dep. 1994, Etzi, Rv.196414).
4.3. Tanto premesso, risulta evidente l'inammissibilità della censura concernente il difetto di nesso di causa tra la condotta del datore di lavoro e l'evento infortunistico, fondata sull'asserita abnormità del comportamento del lavoratore, in quanto dedotta per la prima volta in sede di legittimità, non trattandosi di questione rilevabile d'ufficio né di questione che non avrebbe potuto essere sottoposta all'esame della Corte di Appello.
5. Il quarto motivo di ricorso è infondato. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha, infatti, in più occasioni evidenziato la natura eccezionale dell'istituto della rinnovazione dibattimentale di cui all'art.603 cod. proc. pen. ritenendo, conseguentemente, che ad esso possa farsi ricorso, su richiesta di parte o d'ufficio, solamente quando il giudice lo ritenga indispensabile ai fini del decidere, non potendolo fare allo stato degli atti (Sez.2, n.41808 del 27/09/2013, Mongiardo, Rv. 256968; Sez.2, n.3458 del 1/12/2005, dep. 2006, Di Gloria, Rv. 233391) precisando, altresì, che, considerata tale natura, una motivazione specifica è richiesta solo nel caso in cui il giudice disponga la rinnovazione, poiché in tal caso deve rendere conto del corretto uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo stato degli atti, mentre in caso di rigetto è ammessa anche una motivazione implicita, ricavabile dalla stessa struttura argomentativa posta a sostegno della pronuncia di merito, nella quale sia evidenziata la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo o negativo sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento (Sez. 3, n.24294 del 07/04/2010, D.S.B., Rv. 247872).
6. Il quinto motivo di ricorso è assorbito, come detto, dalla rilevata prescrizione del reato.
7. Conclusivamente, pronunciato l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in quanto il reato ascritto è estinto per prescrizione, il ricorso non può trovare accoglimento agli effetti civili, rimanendo ferme le relative statuizioni.


P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione; salvi gli effetti civili. Così deciso il 19/05/2015