Cassazione Penale, Sez. 4, 10 giugno 2015, n. 24651 - Infortunio con una sega circolare da banco. Responsabilità in caso di appalto


 

 

In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, quando il subappalto si realizzi nel cantiere predisposto dall'appaltante e a lui facente capo, tale affidamento parziale dei lavori ad un appaltatore, che si avvale dell'organizzazione già esistente, determina la comune responsabilità di entrambi i soggetti appaltante e appaltatore


 

Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE Relatore: IANNELLO EMILIO Data Udienza: 16/04/2015

 


Fatto


1. Con sentenza del 14/12/2009 il Tribunale di Brescia dichiarava A.M. colpevole del reato di lesioni colpose gravi, aggravate dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in relazione all'infortunio occorso al lavoratore G.H. in data 25/1/2007 e lo condannava pertanto, concesse le attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alla contestata aggravante, alla pena (sospesa) di tre mesi di reclusione, oltre al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile.
L'incidente si era verificato durante l'esecuzione di lavori di carpenteria presso il cantiere aperto in Ospitaletto dalla A.P. S.p.A. di cui il A.M. era procuratore delegato per la sicurezza sul lavoro. Detta società, appaltatrice di lavori edili su incarico e presso lo stabilimento di altra ditta, aveva a sua volta commesso in subappalto lavori di carpenteria edile alla E. 2000 S.r.l., di cui il G.H. era dipendente. L'evento lesivo si era verificato allorquando quest'ultimo, nell'eseguire il taglio di pezzi di piccole dimensioni su una sega circolare da banco presente nel cantiere, entrava in contatto con la lama in rotazione, riportando lesioni alla mano sinistra giudicate guaribili in più di 40 giorni e dalle quali erano esitati postumi permanenti valutati dall'Inail nella misura del 7%.
Il Tribunale escludeva che l'evento fosse riconducibile con certezza al mancato utilizzo di spingitoi da interporre tra mano e pezzo da tagliare, poiché il lavoratore poteva effettuare la stessa lavorazione mantenendo le mani a distanza di sicurezza; attribuiva, però, efficacia causale alla mancanza di informazione e formazione dell'operaio, il quale infatti aveva riferito di aver compiuto l'operazione senza aver ricevuto istruzioni circa le modalità con cui la stessa dovesse essere eseguita.
Di tale omissione il primo giudice faceva carico, oltre che alla legale rappresentante della E. 2000 S.r.l., datrice di lavoro dell'infortunato, anche al A.M., al quale riteneva doversi attribuire, in quanto procuratore delegato per la sicurezza all'interno della A.P. S.p.A., il ruolo di datore di lavoro e di soggetto direttamente garante degli obblighi di sicurezza nei confronti del G.H..
Osservava, infatti, che la A.P. S.p.a. e, per essa, il suo responsabile per la sicurezza, non aveva agito come mera appaltante rispetto alla E., ma si era ingerita nell'attività di quest'ultima (con ordini e disposizioni date direttamente ai dipendenti della subappaltatrice e avviando direttamente i lavoratori E. all'utilizzo di macchine della A.P.).
2. Pronunciando sul gravame interposto dall'imputato, la Corte d'appello di Brescia, con sentenza del 28/1/2014, in parziale riforma della sentenza impugnata, sostituiva la pena detentiva allo stesso inflitta con quella pecuniaria corrispondente, ai sensi dell'art. 53 legge 24 novembre 1981, n. 689, confermando nel resto la decisione appellata.
In motivazione la Corte escludeva, anzitutto, la fondatezza del rilievo difensivo secondo cui in imputazione non sarebbe stata contestata la condotta omissiva (inerente l'obbligo di informazione-formazione) posta a fondamento dell'affermazione di colpevolezza, rilevando che, al contrario, in essa era fatto espresso riferimento, oltre che a un addebito di colpa generica, anche alla omissione degli specifici doveri di formazione e informazione previsti dagli artt. 37, 38 e 43 del d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626.
Evidenziava, quindi, che l'istruzione condotta aveva dimostrato che: l'infortunato aveva iniziato a lavorare nel novembre 2006, pochissimo tempo prima dell'incidente, nel cantiere predetto; l'ordine di effettuare il lavoro, nel corso della cui esecuzione riportò le lesioni descritte, gli era stato impartito da G.P., capo cantiere della A.P. S.p.A. (inizialmente coimputato, assolto in primo grado), il quale gli aveva messo a disposizione una sega circolare presente in cantiere, senza però impartirgli, secondo quanto dichiarato dalla stessa parte offesa, alcuna istruzione sul relativo uso; non risultava data attuazione al P.O.S. redatto dalla E. 2000 S.r.l., in punto di informazione e addestramento degli addetti alle seghe circolari, pur qualificate come strumenti a rischio specifico nel documento predetto (erano in proposito richiamate le deposizioni dei testi: B., UPG dell'Asl di Brescia; H.A., cugino dell'infortunato; H.P., dipendente della stessa società E. 2000 S.r.l.).
Date tali emergenze, correttamente, secondo la Corte, l'evento era stato causalmente collegato anche a una condotta omissiva colposa del A.M., per avere questi consentito o, comunque, tollerato l'effettuazione di lavori con strumentazione potenzialmente pericolosa, messa a disposizione dalla società che egli rappresentava, omettendo idonea formazione per l'utilizzo in sicurezza da parte dei lavoratori che operavano nel cantiere, peraltro, sotto la direzione del capocantiere della stessa A.P. S.p.A..
Né a ciò ostava, secondo i giudici bresciani, il fatto che tale difetto di formazione-informazione fosse da addebitarsi anche all'appaltatrice, essendo comunque il committente titolare di un'autonoma e concorrente posizione di garanzia, dal momento che il subappalto si realizzava nel cantiere predisposto e facente capo all'appaltante.
3. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione A.M., per mezzo del proprio difensore, articolando quattro motivi.
3.1. Con il primo egli deduce erronea applicazione dell'art. 299 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81.
Lamenta che erroneamente la Corte d'appello ha ritenuto esso ricorrente obbligato - nella qualità di procuratore della A.P. S.p.A. con delega della sicurezza - a fornire anch'egli formazione e informazione all'infortunato, in ragione della assunzione di fatto della veste datoriale.
Rileva che, con tale riferimento, la Corte territoriale ha implicitamente inteso applicare la norma dettata dall'art. 299 d.lgs. cit. (circa le responsabilità connesse all'esercizio di fatto dei poteri direttivi) della quale, però, difettavano nella specie i presupposti e, segnatamente: l'ingerenza personale di esso ricorrente nella gestione dei lavori dei dipendenti di E. 2000 S.r.l.; la mancanza in quest'ultima di una struttura organizzativa e di attrezzature di lavoro presenti in cantiere; l'assenza di rischio di impresa in capo alla predetta società subappaltatrice.
3.2. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione a fondamento della affermata non genuinità del subappalto conferito alla E. S.r.l. e della conseguente affermazione di un potere direttivo di fatto in capo ad esso ricorrente sui dipendenti di tale ultima società.
3.3. Con il terzo motivo deduce inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, per difetto di correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza di primo grado.
Rileva che egli, tratto a giudizio per rispondere delle lesioni subite dal G.H., per avere omesso, quale procuratore delegato per la sicurezza sul lavoro della ditta A.P. S.p.A., di attuare i precetti del P.O.S. e del P.S.C, quanto all'impiego della sega circolare da cantiere e per aver messo a disposizione dei lavoratori un utensile non dotato di tutti i dovuti requisiti di sicurezza, è stato in realtà ritenuto responsabile dell'infortunio in quanto effettivo datore di lavoro, occulto utilizzatore della prestazione del lavoratore infortunato e per avere, in tale qualità, omesso di fornire la dovuta formazione e informazione allo stesso.
Sostiene che l'attribuzione di tale diversa qualifica e la diversa condotta di concorso che ne è derivata, avrebbero determinato una sostanziale immutazione del fatto, con conseguente violazione del diritto di difesa.
3.4. Con il quarto motivo deduce infine vizio di motivazione.
Premesso che il fondamento della responsabilità attribuita ad esso ricorrente è individuato, nel ragionamento della Corte territoriale, nell'ingerenza del preposto della A.P. S.p.A., tradottosi nell'ordine di effettuare il lavoro impartito al G.H., rileva che tale presupposto è contraddetto dalla assoluzione in primo grado del medesimo preposto, G.P., la quale implicava l'esclusione di una sua ingerenza nella gestione dei lavoratori e, a fortiori, avrebbe dovuto condurre a identica conclusione nei confronti di esso ricorrente, in presenza di elementi che escludevano qualsiasi sua diretta condotta gestionale e dimostravano, piuttosto, che era stato proprio il preposto a dare ordini all'infortunato.

Diritto


3. Deve preliminarmente rilevarsi l'intervenuta estinzione del reato per prescrizione, maturata successivamente alla sentenza impugnata.
Avuto riguardo alla pena edittale prevista, il termine prescrizionale, anche secondo la nuova formulazione dell'art. 157 cod. pen. (nella specie applicabile, rattorte temporis), considerate anche le interruzioni, deve ritenersi pari a sette anni e sei mesi e risulta ad oggi interamente decorso, non registrandosi sospensioni dello stesso che possano condurre a un diverso calcolo.
Mette conto rammentare che, in conformità all'insegnamento ripetutamente impartito da questa Corte, in presenza di una causa estintiva del reato, l'obbligo del giudice di pronunciare l'assoluzione dell'imputato per motivi attinenti al merito si riscontra nel solo caso in cui gli elementi rilevatori dell'insussistenza del fatto, ovvero della sua non attribuibilita penale all'imputato, emergano in modo incontrovertibile, tanto che la relativa valutazione, da parte del giudice, sia assimilabile più al compimento di una constatazione, che a un atto di apprezzamento e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (v. Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274).
E invero, il concetto di evidenza, richiesto dall'art. 129, comma 2, cod. proc. pen., presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara e obiettiva, da rendere superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge richiede per l'assoluzione ampia, oltre la correlazione a un accertamento immediato (cfr. Sez. 6, n. 31463 del 08/06/2004, Dolce, Rv. 229275).
Deve, in altre parole, emergere dagli atti processuali, con assoluta evidenza, senza necessità di ulteriore accertamento, l'estraneità dell'imputato a quanto allo stesso contestato, ossia l'assenza manifesta della prova di colpevolezza di quello, ovvero la prova positiva della sua innocenza, non rilevando l'eventuale mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richieda il compimento di un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (v. Sez. 2, n. 26008 del 18/05/2007, Roscini, Rv. 237263).
Tanto deve ritenersi non riscontrabile nel caso di specie, in cui questa Corte non ravvisa alcuna delle ipotesi sussumibili nel quadro delle previsioni di cui all'art. 129, comma 2, cod. proc. pen..
Per contro non può nemmeno ritenersi che sia intervenuto il giudicato in punto di responsabilità, non potendosi comunque ascrivere ai motivi di ricorso una valutazione di manifesta infondatezza.
Ne discende che, ai sensi del richiamato art. 129 cod. proc. pen., la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per essere il reato ascritto al ricorrente estinto per prescrizione.
4. Dovendosi tuttavia provvedere ugualmente nel merito, ai sensi dell'art. 578 cod. proc. pen., agli effetti civili, essendo stata pronunciata nei confronti dell'imputato anche condanna, seppur generica, al risarcimento del danno nei confronti della parte civile, occorre rilevare che l'impugnazione è infondata.
È invero infondato, anzitutto, il terzo motivo di ricorso, da cui occorre muovere in quanto di rilievo logicamente preliminare potenzialmente assorbente.
Il principio di correlazione tra sentenza e accusa, per pacifica giurisprudenza, è violato soltanto quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito nei confronti dell'imputato, posto così, a sorpresa, di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza avere avuto la possibilità di effettiva difesa. Tale principio non è invece violato quando nei fatti, contestati e ritenuti, si possa agevolmente individuare un nucleo comune e, in particolare, quando essi si trovano in rapporto di continenza (cfr., tra le tante, Sez. 4, n. 16422 del 29/01/2007, Di Vincenzo, non massimata).
Ciò è, nella specie, consentito affermare atteso che il profilo di colpa specifica accertato in sentenza è certamente riconoscibile - come fondatamente evidenziato già nella sentenza impugnata - nella descrizione dell'addebito quale contenuta in imputazione.
Non può, infatti, dubitarsi che il rimprovero di «non aver fornito i lavoratori adibiti al cantiere ... idonee informazioni e la relativa formazione sull'uso corretto dei dispositivi di protezione individuali (guanti), informazioni e formazione che devono altresì risultare comprensibili ai lavoratori stessi (artt. 37, 38 e 43 d.lgs. n. 626/94)» non costituisca affatto qualcosa di diverso rispetto a quello di aver omesso di informare e formare i lavoratori sul corretto uso della sega elettrica presente in cantiere, essendo tale prospettazione certamente implicita nel riferimento al corretto uso dei guanti, dispositivi di protezione legati per l'appunto all'uso della sega elettrica. A tanto del resto conducendo anche il riferimento alle norme cautelari specificamente menzionate (artt. 37, 38 e 43 d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626).
Appare in ogni caso dirimente il rilievo che, in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa (se si fa, in altri termini, riferimento alla colpa generica, come accade nella specie), essendo in tal caso consentito al giudice di aggiungere, agli elementi di fatto contestati, altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e quindi non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa. Analogamente, non sussiste la violazione dell'anzidetto principio anche qualora, nel capo di imputazione, siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa ed il giudice abbia affermato la responsabilità dell'imputato per un'ipotesi di colpa diversa da quella specifica contestata, ma rientrante nella colpa generica, giacché il riferimento alla colpa generica, anche se seguito dall'indicazione di un determinato e specifico profilo di colpa, pone in risalto che la contestazione riguarda la condotta dell'imputato globalmente considerata, sicché questi è in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione del fatto di cui è chiamato a rispondere, indipendentemente dalla specifica norma che si assume violata (v. e plurimis Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014, Denaro, Rv. 260161; Sez. 4, n. 51516 del 21/06/2013, Miniscalco, Rv. 257902; Sez. 3, n. 19741 del 08/04/2010, Minardi, Rv. 247171; Sez. 4, n. 35666 del 19/06/2007, Lanzellotti, Rv. 237469).
Non può infine comportare difetto di correlazione tra accusa e sentenza il mancato riferimento esplicito in rubrica ai presupposti per l'attribuzione all'imputato di un ruolo datoriale di fatto ai sensi e per gli effetti dell'art. 299 d.lgs. n. 81/2008 potendosi in realtà considerare tale profilo, almeno nei termini ipotizzati dal ricorrente, nemmeno assunto a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità, la quale invece poggia su elementi fattuali tutti enucleati nel capo d'imputazione (rapporto di subappalto, ruolo di subcommittente, inserimento nel cantiere di quest'ultimo, utilizzo di macchinari presenti in cantiere, omessa formazione) e valorizzati alla stregua di argomentazioni giuridiche che prescindono dall'esistenza di altri elementi fattuali non compresi nel capo d'imputazione.
5. Non può poi dubitarsi della correttezza giuridica di tali argomentazioni, dovendosi al riguardo osservare, a confutazione dei restanti motivi di ricorso, congiuntamente esaminabili, che la responsabilità trova adeguato fondamento nella pacifica qualità, in capo all'imputato, di procuratore delegato per la sicurezza della A.P. S.p.a.: come detto, società appaltatrice dei lavori edili su incarico presso lo stabilimento di altra ditta e sub-committente dei lavori di carpenteria commessi alla E. 2000 S.r.l., datrice di lavoro dell'infortunato, nonché proprietaria delle macchine e delle attrezzature poste a disposizione della subappaltatrice.
In tale contesto nessun rilievo determinante assume l'indagine circa la fittizietà o meno del subappalto (in ipotesi dissimulante una mera fornitura di manodopera), essendo comunque sufficiente a radicare la responsabilità anche in capo al subcommittente il principio, costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, quando il subappalto si realizzi nel cantiere predisposto dall'appaltante e a lui facente capo, tale affidamento parziale dei lavori ad un appaltatore, che si avvale dell'organizzazione già esistente, determina la comune responsabilità di entrambi i soggetti appaltante e appaltatore (v. Sez. 4, n. 32943 del 27/05/2004, Maffia, Rv. 229084; Sez. 4, n. 5977 del 15/12/2005, dep. 2006, Chimenti, Rv. 233245; Sez. 4, n. 27965 del 05/06/2008, Riva, Rv. 240314).
In caso di subappalto di lavori, infatti, ove questi si svolgano nello stesso cantiere predisposto dall'appaltatore (nella specie, la A.P. S.r.l., a sua volta subappaltante) in esso inserendosi anche l'attività del subappaltatore per l'esecuzione di un'opera parziale e specialistica, e non venendo meno l'ingerenza dell'appaltatore e la diretta riconducibilità (quanto meno) anche a lui dell'organizzazione del comune cantiere, in quanto investito dei poteri direttivi generali inerenti alla propria qualità, sussiste la responsabilità di entrambi tali soggetti in relazione agli obblighi antinfortunistici, alla loro osservanza ed alla dovuta sorveglianza al riguardo. Un'esclusione della responsabilità dell'appaltatore è configurabile solo qualora al subappaltatore sia affidato lo svolgimento di lavori, ancorché determinati e circoscritti, che svolga in piena ed assoluta autonomia organizzativa e dirigenziale rispetto all'appaltatore, e non nel caso in cui la stessa interdipendenza dei lavori svolti dai due soggetti escluda ogni estromissione dell'appaltatore dall'organizzazione del cantiere.
Nella ricorrenza delle anzidette condizioni - della quale, per le ragioni dette, non è dato dubitare nel caso di specie - trattandosi di norme di diritto pubblico che non possono essere derogate da determinazioni pattizie, non potrebbero avere rilevanza operativa, per escludere la responsabilità dell'appaltatore, neppure eventuali clausole di trasferimento del rischio e della responsabilità intercorse tra questi ed il subappaltatore.
6. Né la congruenza di tale argomento può ritenersi inficiata dall'assoluzione di G.P., posto che la stessa non è fondata sulla esclusione delle condizioni sopra indicate quanto ai rapporti tra società subcommittente e società subappaltatrice, ma semplicemente sul fatto che egli non rivestiva una qualifica, all'interno della prima, che lo indicasse come soggetto tenuto a risponderne (si trattava di un mero preposto sul quale «non gravava - si afferma in sentenza - in alcun modo l'obbligo di controllo sulle capacità e sulle conoscenze del lavoratore e i conseguenti obblighi di formazione dello stesso»).
7. Per le considerazioni che precedono deve pertanto pronunciarsi il rigetto del ricorso ai fini civili.

P.Q.M.


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.
Rigetta il ricorso ai fini civili, Così deciso il 16/4/2015