Cassazione Penale, Sez. 4, 23 gennaio 2015, n. 3291 - Utilizzo di una scala telescopica inadatta al lavoro da svolgere. Comportamento imprudente ma responsabilità datoriale


 

In tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, sicchè la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e, comunque, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile (cfr., tra le molte, Cass., Sez. 4, n. 37986/2012, Rv. 254365).

Al riguardo, la circostanza che il lavoratore avesse imprudentemente, o in modo negligente, fatto uso della scala telescopica invece del trabattello non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro, dovendo ritenersi ricompreso, entro l'ambito delle responsabilità di quest'ultimo, l'obbligo di prevenire anche l'ipotesi di una condotta imprudente o negligente del lavoratore, al fine di scongiurare la verificazione delle prevedibili evenienze riconducibili all'ordinario sviluppo delle lavorazioni oggetto d'esame.

In tema, questa stessa corte ha avuto recentemente modo di sottolineare come l'errore sulla legittima aspettativa che non si verifichino condotte imprudenti dei lavoratori non è invocabile da parte del datore di lavoro, il quale, per la sua posizione di garanzia, risponde dell'infortunio, sia a titolo di colpa diretta, per non aver negligentemente impedito l'evento lesivo ed eliminato le condizioni di rischio, che a titolo di colpa indiretta, per aver erroneamente invocato a sua discriminante la responsabilità altrui qualora le misure di prevenzione siano state inadeguate (Cass., Sez. 4, n. 16890/2012, Rv. 252544).


 

 

Fatto


1. Con sentenza resa in data 6/3/2014, la Corte d'appello di Milano ha integralmente confermato la sentenza in data 23/10/2013 con la quale il Tribunale di Milano ha condannato C.G. alla pena di un mese di reclusione in relazione al reato di lesioni personali colpose commesso, ai danni di L.M., in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in (OMISSIS).

All'imputato, in qualità di legale rappresentante della ditta Q. s.r.l., era stata originariamente contestata la violazione dei tradizionali parametri della colpa generica, oltre alla violazione delle norme di colpa specifica partitamente indicate nel capo d'accusa, per aver posto a disposizione del lavoratore, L.M., una scala non adeguata al lavoro da svolgere, in luogo delle adeguate più idonee (quali ponti su ruote o ponti su cavalletto), con la conseguenza che, in occasione dell'evento oggetto di causa, il lavoratore, intento all'installazione di una scala a chiocciola in ferro, salendo su una scala telescopica per la collocazione di tasselli con l'uso di un trapano, si era fermato a cavalcioni all'altezza di m. 2,50 e, nel mettere un piede in fallo, cadeva al suolo procurandosi lesioni personali consistite nella frattura pluriframmentaria del polso e del bacino, oltre a un trauma cranico, da cui derivava un'incapacità ad attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni.

2. Avverso la sentenza d'appello, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione l'imputato sulla base di due motivi di impugnazione.

Con il primo motivo, il ricorrente censura la decisione della corte d'appello per vizio di motivazione, essendosi il giudice a quo limitato alla mera riproposizione delle argomentazioni illustrate nella sentenza di condanna di primo grado, senza fornire adeguate risposte ai motivi di gravame sollevati con l'atto d'appello, con particolare riguardo alla circostanza dell'avvenuto apprestamento, da parte dell'imputato, del trabattello necessario per l'esecuzione della prestazione del lavoratore infortunato, con la conseguenza che l'evento lesivo verificatosi avrebbe dovuto ricondursi esclusivamente all'abnormità del comportamento del L..

Con il secondo motivo, il ricorrente si duole del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la corte territoriale nel negare la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle aggravanti contestate, in assenza di alcuna adeguata motivazione.

Diritto

 

3. Il ricorso è infondato.

Con riguardo al primo motivo d'impugnazione, osserva il collegio come la corte territoriale abbia correttamente considerato la specifica censura sollevata dalla difesa in sede d'appello in ordine alla circostanza dell'avvenuto apprestamento, da parte dell'imputato, dei mezzi necessari per l'esecuzione della prestazione del lavoratore infortunato, sottolineando come, sulla base della deposizione testimoniale resa dallo stesso lavoratore (che nessuna circostanza ha indicato qualificabile come inveritiera, come peraltro neppure contestato dalla difesa: cfr. pag. 6 della sentenza d'appello), fosse emerso come proprio il C. avesse indicato al lavoratore la necessità di effettuare la prestazione de qua con l'uso della scala telescopica.

Ciò posto, in termini pienamente corretti sul piano giuridico e del tutto congruenti in prospettiva logica, la corte territoriale ha evidenziato la grave violazione, da parte del datore di lavoro, dell'obbligo di provvedere al controllo continuo ed effettivo circa la concreta osservanza delle misure predisposte al fine di evitare che le stesse siano trascurate o disapplicate, nonchè di procedere al controllo sul corretto utilizzo, in termini di sicurezza, degli strumenti di lavoro e del complessivo processo di lavorazione.

E invero, del tutto correttamente la corte territoriale ha escluso il ricorso, nella specie, di un comportamento abnorme del prestatore di lavoro infortunato, atteso che l'evento infortunistico in esame ebbe a verificarsi nel corso delle ordinarie mansioni cui il lavoratore era addetto, e che l'uso imprudente della scala telescopica, lungi dal costituire un'ipotesi del tutto imprevedibile, doveva ritenersi ex ante un'evenienza ictu oculi pienamente compatibile con il regolare sviluppo delle lavorazioni connessi al suo uso, essendo peraltro emerso come proprio l'odierno imputato avesse raccomandato l'uso imprudente di detta scala.

Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento di questa corte di legittimità, ai sensi del quale, in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, sicchè la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e, comunque, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile (cfr., tra le molte, Cass., Sez. 4, n. 37986/2012, Rv. 254365).

Al riguardo, la circostanza che il lavoratore avesse imprudentemente, o in modo negligente, fatto uso della scala telescopica invece del trabattello non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro, dovendo ritenersi ricompreso, entro l'ambito delle responsabilità di quest'ultimo, l'obbligo di prevenire anche l'ipotesi di una condotta imprudente o negligente del lavoratore, al fine di scongiurare la verificazione delle prevedibili evenienze riconducibili all'ordinario sviluppo delle lavorazioni oggetto d'esame.

Il datore di lavoro, infatti, in quanto destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità quando il comportamento del dipendente, rientrante nelle mansioni che gli sono proprie, sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, diverso dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell'esecuzione del lavoro (Cass., Sez. 4, n. 7267/2009, Rv. 246695).

In tema, questa stessa corte ha avuto recentemente modo di sottolineare come l'errore sulla legittima aspettativa che non si verifichino condotte imprudenti dei lavoratori non è invocabile da parte del datore di lavoro, il quale, per la sua posizione di garanzia, risponde dell'infortunio, sia a titolo di colpa diretta, per non aver negligentemente impedito l'evento lesivo ed eliminato le condizioni di rischio, che a titolo di colpa indiretta, per aver erroneamente invocato a sua discriminante la responsabilità altrui qualora le misure di prevenzione siano state inadeguate (Cass., Sez. 4, n. 16890/2012, Rv. 252544).

4. Del pari integralmente sfornito di fondamento deve ritenersi il secondo motivo di ricorso proposto dall'odierno imputato, avendo la corte territoriale specificamente sottolineato (sulla scia della decisione adottata dal primo giudice) come la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche in termini di prevalenza sulle aggravanti contestate fosse pienamente giustificata (in coerenza con l'entità della pena in concreto determinata) in ragione dell'entità delle lesioni occorse e del grado non minimale della colpa.

Tale argomentazione, nel giustificare il giudizio di equivalenza tra le circostanze poste in comparazione, deve ritenersi correttamente radicato sul ricorso di specifici presupposti di fatto coerenti alle previsioni di cui all'art. 133 c.p., sulla base di una motivazione in sè dotata di intrinseca congruenza e logica linearità, come tale idonea a sottrarsi integralmente alla doglianze in questa sede avanzate dal ricorrente.

5. Al rigetto del ricorso - conseguente al rilievo dell'infondatezza dei relativi motivi - segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.


la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 dicembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2015