Cassazione Penale, Sez. 4, 23 gennaio 2015, n. 3266 - Inadeguatezza del guanto di acciaio di protezione: ferita da taglio durante il disossamento


 



Fatto


La Corte d'Appello di Bologna, sostituendo la pena detentiva inflitta con quella pecuniaria, confermava nel resto la sentenza di primo grado che aveva ritenuto L.C. responsabile del reato di cui all'art. 590 c.p., commi 1, 2 e 3 in relazione all'art. 583 c.p., comma 1, n. 2. Al predetto, nella sua qualità di legale rappresentante della ditta Omissis, esercente attività di disosso e lavorazione di carni presso aziende in forza di contratti d'appalto, era addebitato di aver cagionato a K.S. B.B. lesioni personali gravi consistite in una ferita da taglio con lesione del nervo mediano del polso sinistro, comportante la necessità di intervento chirurgico. Il lavoratore, infatti, mentre stava effettuando la fase di disossamento di una coscia suina, si feriva gravemente al polso sinistro in conseguenza dello scivolamento del coltello che, per l'inadeguatezza del guanto di acciaio di protezione a lui fornito che copriva solo la mano sinistra e non anche la zona dell'avambraccio, incideva la zona scoperta provocando le lesioni personali gravi descritte. Ciò per colpa, consistita in imprudenza, negligenza e imperizia e, specificamente, nella violazione delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, commi 1 e 2, art. 42, comma 2, lett. a), art. 43 e art. 4, comma 5, lett. d) e art. 15. All'imputato si attribuiva di aver omesso di effettuare una adeguata valutazione dei rischi di lavorazione, non individuando i necessari dispositivi di protezione individuale e i criteri di distribuzione dell'attrezzatura di lavoro relativa alle singole fasi di lavorazione e, inoltre, di aver omesso di adottare i provvedimenti necessari in materia di pronto soccorso e di assistenza medica, in particolare di stabilire i rapporti con i servizi sanitari esterni, anche per il trasporto degli infortunati.

Con ricorso per cassazione il L. deduce, con il primo motivo, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alle mansioni cui era stato effettivamente destinato il lavoratore, stanti le contraddizioni tra le dichiarazioni dei testi, in relazione anche a quanto dichiarato dalla persona offesa, oltre a mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta attendibilità dei testi.

Con ulteriore motivo deduce mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla prova circa la sussistenza del nesso causale tra la condotta del lavoratore e la lesione provocata.

Diritto


Il primo motivo di ricorso si palesa inammissibile, perchè si limita a prospettare censure in fatto, contenenti una ricostruzione degli accadimenti alternativa a quella esposta dai giudici di merito, a fronte di congrua motivazione al riguardo. In sentenza, infatti, è stato dato conto delle ragioni in forza delle quali la deposizione del lavoratore infortunato, utilizzata per la ricostruzione del fatto, è da ritenere attendibile, sia perchè intrinsecamente precisa, coerente ed esente da contraddizioni, sia perchè avvalorata da riscontri obiettivi. Allo stesso modo sono state indicate in modo logico e convincente le ragioni in forza delle quali le deposizioni degli altri testi sono state reputate inattendibili, facendo riferimento ai legami dei testi con la parte datoriale e alla posizione dagli stessi rivestita nell'ambito aziendale.

Quanto al secondo motivo, se ne evidenzia la manifesta infondatezza.

La Corte territoriale, infatti, ha fornito congrua spiegazione delle ragioni che inducono a ritenere che l'utilizzo dello strumento di prevenzione adeguato avrebbe consentito di evitare o, quanto meno di limitare, il danno. Ha contestato adeguatamente, altresì, la tesi offerta dal consulente tecnico di parte, il quale ha affermato che nessuna protezione avrebbe consentito di preservare da una ferita da punta, con ciò escludendo il collegamento causale tra la violazione della disciplina prevenzionistica e l'evento, rilevando che il consulente ha in tal modo palesato l'intento di escludere ogni addebito in capo all'imputato, ponendosi "in contrasto con tutta la documentazione medica".

In base alle svolte argomentazioni il ricorso va dichiarato inammissibile. Ne consegue la condanna degli istanti al pagamento delle spese processuali e, non emergendo ragioni di esonero, della sanzione pecuniaria ex art. 616 c.p.p..


P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 11 giugno 2014.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2015