Cassazione Penale, Sez. 4, 06 luglio 2015, n. 28616 - Lavoratrice investita da un autocarro in retromarcia all'interno di un allevamento agricolo. Appalto e responsabilità


 

 

Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE Relatore: D'ISA CLAUDIO Data Udienza: 14/04/2015


Fatto


1. Il PROCURATORE GENERALE presso la Corte d'appello di Bologna ricorre, ai sensi dell'art. 569 c.p.p., avverso la sentenza del Tribunale di Ravenna, indicata in epigrafe, di assoluzione, in ordine al delitto di cui all'art. 589 cod. pen. aggravato dalla violazione delle leggi antinfortunistiche, di F.P., Z.L. e P.S..
1.2 Per una migliore comprensione dei motivi del ricorso, ancorché gli stessi afferiscono a violazioni di legge, è opportuno riportare, sia pure in sintesi la ricostruzione del fatto, come ritenuta in sentenza e non contestata.
Il presente procedimento trae origine dal decesso - in data 12.07.2010 - di P.F. poiché investita da un autocarro (nell'occasione condotto dal coimputato giudicato separatamente D'E.) che stava effettuando una manovra di retromarcia all'interno di un allevamento agricolo sito in Conselice.
La P.F. - dipendente di F.P. (titolare dell'omonima ditta individuale Azienda agricola avicola Cimaorco) era stata da quest'ultimo inviata presso il citato allevamento di Conselice quale componente di una squadra che doveva procedere alla vaccinazione di alcune pollastre e al loro successivo carico sull'autocarro del D'E. (rectius: condotto dal D'E., ma di proprietà della B.E. & C. s.n.c. cui il già sopra nominato F.P. aveva commissionato il trasporto delle pollastre). Per far questo, proprio in corrispondenza di una delle aperture laterali del capannone al cui interno erano gli animali, vi era un banchetto dove la P.F. e un'altra punturista (P.N.) procedevano alla vaccinazione e poi passavano le pollastre a M.D. (ingabbiatore). il quale - avvalendosi di una specie di trabatello a mo' di gradino, per raggiungere l'altezza del piano di carico del camion -caricava le pollastre nelle gabbie già poste su quest'ultimo. Completate le operazioni di carico sul lato destro dell'autocarro, mentre tutti gli altri lavoratori si spostavano dalla parte opposta del capannone - dove vi era una zona d'ombra appositamente approntata per riposarsi e/o bere qualcosa - il M.D. spostò il gradino e fece segno al D'E. di iniziare la manovra per girare il camion (si da porre il lato ancora vuoto vicino alla postazione di vaccinazione); visto che i capannoni avevano una disposizione a ferro di cavallo e non vi era sufficiente spazio di manovra, D'E. iniziò dunque una lunga retromarcia (per portarsi all'ingresso dell'azienda e girare) durante la quale - a circa 90 mt dalla postazione di vaccinazione - investì (senza vederla, poiché la lunghezza dell'autocarro era tale per cui con i soli specchietti retrovisori egli non aveva una visuale piena della zona retrostante) la P.F. che - per ragioni rimaste ignote - non si era collocata (come tutti gli altri lavoratori) sotto il tendone appositamente approntato per le brevi soste tecniche dei lavoratori" - ma si era diretta (non vista da alcuno) verso l'ingresso dell'azienda, camminando secondo la stessa direzione di marcia del camion (al quale dunque dava le spalle) e tenendosi al centro della zona carraia, dove veniva investita e decedeva sul colpo.
Rimaneva accertato che il fondo rustico ove era situato l'allevamento avicolo (comprensivo anche di due capannoni destinati ad allevamento pollastre e delle correlative attrezzature) era tenuto in subaffitto dalla "Fattoria Omissis", della quale erano amministratori gli odierni imputati Z.L. e P.S.;
La Fattoria Omissis, società semplice agricola, aveva poi concluso con il F.P. (come detto, titolare di una ditta individuale di allevamento di pollastre) un contratto meramente verbale, in base al quale - a fronte del pagamento di un corrispettivo -avrebbe potuto utilizzare i sopra citati capannoni per allevare le proprie pollastre, la messa a dimora, la vaccinazione e da ultimo il trasporto degli animali era rimesso all'esclusiva organizzazione e iniziativa del F.P. e all'opera dei suoi dipendenti.
La società agricola "La Fattoria Omissis" aveva un'unica dipendente (P.V.) con esclusive mansioni di custode del sito, la quale non solo era incaricata dell'apertura e della chiusura del sito aziendale, secondo la tempistica e le necessità di volta in volta segnalatele dal F.P. in occasione dell'accesso dei dipendenti della Cimaorco, ma, inoltre, nei giorni di assenza dei dipendenti della Cimaorco, provvedeva a >.
All'esito delle acquisizioni probatorie il Tribunale ha ritenuto che nei confronti di tutti e tre gli odierni imputati - qui chiamati a rispondere di cooperazione colposa nell'omicidio della P.F. nelle rispettive qualità F.P. di datore di lavoro di quest'ultima e P.S. e Z.L. di appaltatori di parte delle attività di allevamento -si dovesse addivenire ad una pronuncia assolutoria per non aver commesso il fatto, poiché per gli elementi di fatto e gli argomenti sopra indicati non si ravvisa alcuno degli addebiti colposi a loro ascritti in imputazione, quali antecedenti causali concretamente rilevanti ex art. 113 c.p. nella causazione dell'evento morte, materialmente riconducibile alla condotta dell'autista D'E..
Argomenta il primo giudice che la 'Fattoria Omissis società semplice agricola" fosse una vera e propria azienda agricola (quale definita ex art.2135 ce.) di talché alla stessa non si applicano - per chiara previsione normativa ex art.62, II co.. lett.D bis del D.lvo 81/2008, testo vigente al temo del fatto, quale modificato ex art.38 d.Lgs.106/2009 - tutte le disposizioni di cui al titolo II del D.Lvo 81/2008, tra cui gli artt.63 e 64 che impongono la predisposizione di vie di circolazione esterne tali da mantenere separate le vie di circolazione dei pedoni da quelle dei veicoli.
Per altro verso, la sopra esposta ricostruzione dei rapporti tra la 'Cimaorco' (ditta individuale del F.P., datore di lavoro della p.o.) e la "Fattoria Omissis società semplice agricola" - quand'anche in virtù delle sopra descritte attività svolte dalla P.V. lo si ritenesse qualificabile come 'appalto', invece che come mero 'affitto" dei capannoni - non consente di ritenere sussistente tra le stesse alcuna 'interferenza'. E ciò, sia che a tal fine si intenda un 'contatto rischioso' tra il personale del committente e quello dell'appaltatore o tra personale di imprese diverse che operano nella stessa sede aziendale con contratti differenti (posto che tra i dipendenti della Cimaorco e la custode de "Omissis" non era previsto né mai vi fu alcun contatto), sia che si addotti un concetto più ampio e sostanziale che abbracci anche le ipotesi di interferenza funzionale, intesa "non solo come contatto fisico tra personale del committente e personale dell'appaltatore, ma anche come quel complesso di attività preventive che le imprese che condividono un certo luogo di lavoro devono porre in essere antecedentemente per evitare infortuni (posto che nella specie le attività della P.V. - consistenti nel verificare il regolare funzionamento della linea meccanica di alimentazione e abbeveraggio delle pollastre - non determinava alcun concreto rischio di interferenza con quelle successive di vaccinazione e carico, poiché di queste non costituivano un prius funzionale).
Quanto, invece, ai rapporti tra la Cimaorco (rectius: il F.P., quale datore di lavoro della p.o.) e la B.E. & C. s.n.c. (per conto della quale, come esposto, il D'E. stava procedendo alle operazioni di trasporto) - tra i quali certamente vi era un rapporto di appalto tale da determinare non solo una compresenza sul luogo di lavoro, ma anche un'interferenza funzionale tra i lavoratori - occorre evidenziare che ai fini di cui all'art.26 cit. l'odierno imputato F.P. avrebbe dovuto comunicare esclusivamente i rischi derivanti dalla "propria" attività (quella di vaccinazione), laddove invece il rischio di investimento è tipico e proprio dell'attività dell'autotrasportatore.
2. Con il primo motivo il PROCURATORE Generale denuncia erronea applicazione della norma di cui all'art. 26 co. II lett. a) e b) del D.Lgs 81/2008.
La norma citata richiede che vi sia un rapporto di "appalto" tra le imprese che operano per l'esecuzione di un'opera o di un servizio. Il Giudice di prime cure, pur non avendo escluso che nel caso di specie vi fosse un contratto di appalto tra la "Cimaorco" e "Fattoria Omissis", non ha qualificato la natura dei contratto stesso, escludendo l'applicazione degli obblighi di cui all'art. 26 co. II D.Lvo 81/2008 in forza della semplice affermazione di assenza di "interferenza".
Certamente gli obblighi di cui all'art. 26 citato presuppongono un rapporto di appalto ovvero di somministrazione, secondo le definizioni che di tali tipologie contrattuali si ricavano dalle norme civilistiche. Tuttavia, non possono esaurirsi in essi i rapporti a cui fa riferimento l'intero art. 26, posto che la ratio della normativa in oggetto é quella di tutelare i lavoratori appartenenti ad imprese diverse che si trovino ad interferire le une con le altre per lo svolgimento di determinate attività lavorative e nel medesimo luogo di lavoro. Come ricostruito dal Tribunale, nel medesimo luogo insistevano due organizzazioni di imprese, che pur svolgendo attività lavorative differenti (senza creare alcun contatto rischioso tra i lavoratori), hanno però operato sinergicamente a tal punto che la "Fattoria Omissis" si occupava della gestione del fondo (provvedendo alla sua gestione, senza quindi abdicare in alcun modo alla sua disponibilità giuridica e di fatto del fondo), mentre la Cimaorco effettuava attività di allevamento delle pollastre senza che vi fosse stato un passaggio di disponibilità giuridica in capo al F.P.. Si argomenta, che, nel caso di specie, si trovavano ad operare nel medesimo luogo di lavoro l'organizzazione della "Fattoria Omissis" e l'organizzazione dell'impresa "Cimaorco"; se, quindi, l'interferenza riguarda l'organizzazione delle imprese, C. e P.S., in qualità di amministratori della "Fattoria Omissis", avevano poteri decisionali e di spese sul suddetto luogo di lavoro ed avevano altresì disponibilità giuridica della stessa, oltre che una disponibilità di fatto, anche il dovere e potere di apportare le necessarie misure preventive a tutela dei lavoratori ed in quanto tali essi assumono la qualifica di datori di lavoro ex art. 2 D.lgs 81/2008.
2. 1 Con il secondo motivo si denuncia violazione di legge nella specie dell'art. 26 co I lett. b) d.lgs 81/2008.
Si rileva che la sentenza impugnata non appare condivisibile nella parte in cui ha ritenuto, pur in presenza di un rapporto di interferenza tra l'impresa individuale Cimaorco e la società B.E. & e. s.n.c. non sussistente la violazione della menzionata norma.
La persona offesa deceduta era dipendente del F.P. il quale, quindi, in qualità di committente quanto di datore di lavoro della stessa avrebbe dovuto avvisare quest'ultima dei rischi connessi o comunque presenti nell'ambiente di lavoro in cui la stessa era chiamata a prestare la propria opera, in riferimento anche al rischio derivante dalla presenza di un autocarro ivi circolante e quindi cooperare con l'appaltatore le misure di sicurezza in riferimento a tale rischio.
2. 2 Con il terzo motivo si denuncia violazione di legge nella specie dell'art. 40 cod. pen. in relazione al comportamento della persona offesa che rileva ai sensi dell'art. 41 co. II c.p..
La sentenza impugnata non può essere condivisa nella parte in cui ha escluso il nesso di causalità tra la condotta colposa degli imputati e l'evento morte sull'erroneo presupposto che la condotta colposa della p.o., assumendo i caratteri dell'abnormità, abbia determinato l'interruzione del nesso causale. Tale interpretazione delle citate norme contrasta con l'orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità. Nel caso di specie il comportamento posto in essere dalla p.o. non presenta nessuno dei caratteri che la giurisprudenza ha individuato per qualificare il comportamento del lavoratore come abnorme, può eventualmente ritenersi imprudente ma non assurge ai caratteri dell'abnormità.
2. 3 Con rispettive memorie depositate in termini gli imputati F.P. e P.S. chiedono il rigetto del ricorso del Procuratore generale.

Diritto


3. Il ricorso del Procuratore Generale va accolto nei limiti che si preciseranno.
Ritiene il Collegio che, con riguardo alla dedotta sussistenza da parte del ricorrente del rischio interferenziale, è necessario distinguere, da un lato, i rapporti intercorsi tra la società semplice agricola "Fattoria Omissis" e la "Azienda agricola avicola Cimaorco", gestita dal F.P., e, dall'altro, quelli intercorsi tra quest'ultima e la ditta di trasporti "B.E. & C. s.n.c".
3. 1 Quanto al primo rapporto, se è pur vero che il Procuratore Generale denuncia la violazione di legge con riferimento alla erronea applicazione dell'art. 26, comma 2 lett. a) del D.Lgs 81/2008, è altrettanto vero che, per l'applicazione di tale normativa, ha ritenuto che il rapporto intercorso tra le due società andasse inquadrato, diversamente da come ritenuto dal Tribunale, in un contratto di appalto, atteso che quel rischio interferenziale, disciplinato dal T.U. in materia di sicurezza sul lavoro, ricomprende tale contratto.
Orbene, onde dare tale qualificazione giuridica al rapporto intercorso tra la società semplice agricola "Fattoria Omissis" e la "Azienda agricola avicola Cimaorco", inevitabilmente il ricorrente ha dovuto far ricorso a dati fattuali emergenti dalla compiuta istruttoria dibattimentale, gli stessi dati a cui il giudice di primo grado ha dato una interpretazione diversa, ma con una motivazione congrua e condivisibile; dunque, la censura si risolve in una questione di fatto, come tale è una censura non consentita nel giudizio di legittimità, poiché l'apprezzamento del materiale probatorio è un profilo del giudizio rimesso alla esclusiva competenza del giudice di merito, che, nel caso di specie, ha fornito una congrua e adeguata motivazione, immune da censure logiche, perché basata su corretti criteri di inferenza, espressi in un ragionamento fondato su condivisibili massime di esperienza.
Il principale dato di fatto è che Z.L. e P.S., amministratori della società semplice agricola, con contratto verbale, consentivano, dietro un corrispettivo, alla "Cimaorco" del F.P. di utilizzare i capannoni da sempre presenti sul fondo per fargli svolgere attività di allevamento di pollastre. Dunque, correttamente, il Tribunale ha ritenuto che tale accordo orale non possa essere ricompreso nella nozione civilistica di appalto, di cui all'art. 1655 cod. civ., mancando il compimento, in favore della "Fattoria Omissis", di un'opera o di un servizio da parte del F.P., che non può essere, quindi, definito appaltatore e la "Fattoria Omissis" non ricopre la figura di committente: trattasi di "mero affitto di capannoni" o, eventualmente, di locazione.
Né ad attribuire la figura giuridica dell'appalto può, diversamente da come rileva il ricorrente, farsi riferimento alla presenza, nel fondo rustico, della P.V., dipendente della "Fattoria Omissis", che aveva mere mansioni di custode. Condivisibile, sul punto, è il rilievo della difesa dello Z.L. (V. memoria difensiva) secondo cui il contratto con cui si concede un bene in godimento per un certo tempo e dietro un determinato corrispettivo, non perde i connotati tipici della locazione per assumere quelli dell'appalto per il semplice fatto che alcune attività legate al bene stesso vengano affidate ad un dipendente del concedente, ove ciò non comporti alcuna ingerenza nell'utilizzazione del bene che rimane a disposizione dell'altra parte, perché se ne serva per i propri fini con ampia discrezionalità di iniziativa. In tali ipotesi, infatti, le prestazioni dirette all'utilizzo dello stesso non si ricollegano ad un risultato da conseguire a cura del concedente con propria organizzazione e a proprio rischio, ma assumono carattere meramente accessorio e strumentale rispetto al godimento del bene che resta l'oggetto principale del contratto (V. Sez. 3, Sentenza n. 1127 del 10/02/1999; Rv. 523101, in ipotesi analoga la Corte ha ritenuto che nel contratto di locazione quando il conduttore acquista la detenzione della cosa, che entra così nell'ambito della sua disponibilità, su di lui ricadono i rischi inerenti all'utilizzazione di essa, con la conseguenza che, se con l'attribuzione del godimento della cosa il locatore mette a disposizione del conduttore l'attività di suoi dipendenti per l'utilizzazione della cosa stessa, costoro agiscono come preposti del conduttore, senza che tale circostanza faccia venir meno la natura di "locatio rei" propria del rapporto).
Tutto ciò considerato, non essendo intercorso, tra le due società in parola, alcun contratto di appalto, non si può applicare la normativa prevista dal D.lgs 81/2008 in tema di sicurezza sul lavoro e obblighi connessi alla citata forma di contratto, nella specie disciplinati dall'art. 26: in capo alla "Cimaorco" vigeva totale autonomia organizzativa, senza alcuna presenza simultanea o ingerenza nella propria attività di vaccinazione, stoccaggio ed allevamento avicolo da parte dell'unica dipendente della "Fattoria Omissis". Le mansioni di custodia del sito svolte dalla P.V. nulla avevano a che fare con le attività dei dipendenti della "Cimaorco", i quali si occupavano delle attività sopra descritte, svolte in zone ed orari completamente differenti rispetti a quelli della dipendente della "Fattoria Omissis", la quale, oltre ad occuparsi della custodia del terreno agricolo, provvedeva all'apertura e chiusura del sito secondo le modalità ed i tempi che il F.P. le comunicava di volta in volta, nonché, nei giorni di assenza dei dipendenti della "Cimaorco", controllava il corretto funzionamento dei macchinari; tutte mansioni che, nello svolgimento delle stesse, non avrebbero potuto interferire con quelle svolte dai dipendenti del F.P..
Quindi, anche sotto tale profilo di esclusivo rilievo fattuale, non è accettabile l'argomentazione del ricorrente secondo cui, ancorché non si possa ravvisare nella fattispecie un contratto d'appalto, non rimangono escluse le interferenze lavorative tra le due società (V. parte narrativa). Se, invero, è condivisibile l'assunto di diritto, cui rimanda il ricorrente, secondo cui non possono esaurirsi nell'appalto i rapporti ai quali fa riferimento l'art. 26 d.Lgs 81/2008, poiché la ratio di tale norma è quella di tutelare i lavoratori appartenenti ad imprese diverse che si trovino ad interferire le une con le altre per lo svolgimento di determinate attività lavorative e nel medesimo luogo di lavoro, non è, però, condivisibile l'assunto di fatto. Non rileva, infatti, la circostanza valorizzata in ricorso che la "Fattoria Omissis" si occupasse della gestione del fondo, senza abdicare alla sua disponibilità giuridica e di fatto di esso, in quanto non è affatto emerso, dalla istruttoria dibattimentale, che su tale fondo, a parte le mansioni di custodia svolte dalla P.V., la predetta società agricola esercitasse attività lavorative che potessero interferire con quelle della "Cimaorco".
Dunque, il rischio effettivo che ha causato la morte della P.F. non può essere, come affermato dal Tribunale, collegato alla "Fattoria Omissis"; l'autoarticolato che ha provocato l'incidente era di proprietà della società "B.E. & C. s.n.c." la quale aveva sottoscritto un contratto, questo sì di appalto, con la Cimaorco per il trasporto delle pollastre.
Pertanto, con riferimento alla posizione dello Z.L. e del P.S. va rigettato il ricorso del Procuratore Generale.
3.2 Va, invece, accolto il ricorso in riferimento alla posizione del F.P. in relazione al contratto di appalto per il trasporto delle pollastre intercorso con la "B.E. & C. s.n.c", che ha determinato non solo una compresenza sul luogo di lavoro, ma anche un'interferenza funzionale tra i lavoratori.
Non può non convenirsi con il ricorrente secondo cui la ratio della norma di cui all'art. 26 d.Lgs. 81/2008 è quella di far sì che il datore di lavoro "committente" appresti un segmento all'interno della propria azienda al fine di prevenire ed evitare rischi interferenziali derivanti dalla contemporanea presenza di più imprese che operano sul medesimo luogo di lavoro, attivando e promuovendo percorsi condivisi di informazione e cooperazione, soluzioni comuni di problematiche complesse, rese tali dalla circostanza dovuta alla sostanziale estraneità dei dipendenti delle imprese appaltatrici all'ambiente di lavoro dove prestano la propria attività lavorativa.
Il Tribunale ha ritenuto il F.P. esente da responsabilità, sulla base delle testimonianze assunte, in relazione agli specifici addebiti di colpa indicati nel capo d'imputazione, per avere: a) informato la ditta appaltatrice dei rischi specifici correlati all'attività di caricamento e trasporto delle pollastre; b) informato e formato i propri dipendenti in ordine al rischio da investimento.
Orbene, quanto ai rapporti intercorsi con la società appaltatrice il Tribunale, dopo avere correttamente evidenziato che l'art. 26, I co lett B), e II co. lett. A e B D.lgs 81/2008, espressamente prescrive al datore di lavoro di fornire dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui l'impresa appaltatrice è destinata ad operare, sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività, nonché di cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto e di informarsi reciprocamente sui rischi di interferenza derivante dalla propria attività, ha poi ritenuto che il rischio di investimento fosse tipico e proprio dell'autotrasportatore; di conseguenza, si argomenta, non richiedendo le norme indicate alcuna ingerenza o controllo del committente sull'attività propria dell'appaltatore o sulla prevenzione dei rischi specifici dell'attività di quest'ultimo, nel caso di specie, l'unica incombenza, in capo al F.P., quanto a prevenzione e protezione, era quella, attuata, di avere impartito ai propri dipendenti disposizioni che durante le manovre di riposizionamento del camion avrebbero dovuto effettuare una pausa di lavoro lontano dalla zona di manovra del veicolo.
L'assunto non è condivisibile, in quanto, sia sul piano interpretativo della norma di riferimento che su quello fattuale, appare non corrispondente alle premesse in diritto: l'azione di prevenzione dell'imputato doveva essere improntata a ben più specifica collaborazione con la ditta appaltatrice che doveva essere messa in condizione, pure nello svolgimento di una specifica e propria attività, quale quella di autotrasporto, in riferimento al rischio da investimento, di operare nella più completa sicurezza onde evitare di causare eventi lesivi a tutti coloro che operavano nell'ambito dell'azienda.
Non appare, inoltre, convincente la non applicabilità (oggetto di specifico profilo di colpa nel capo d'imputazione) della norma di cui all'art. 163 TU 81/2008, per non essere stata prevista alcuna segnaletica di sicurezza per prevenire il rischio di investimento sul luogo di lavoro (con particolare riferimento a segnali che indicassero i rischi di transito e separassero fisicamente la via di circolazione dal camminamento pedonale) sul rilievo che la stessa norma richiede l'approntamento di tali presidi solo allorquando . Sta di fatto che l'unica modalità di prevenzione adottata dal F.P. è stata quella di impartire disposizioni ai lavoratori che durante la manovra di caricamento si allontanassero dal luogo. A parere del Collegio, e ritenendo condivisibili sul punto le critiche del ricorrente, tale singola disposizione è apparsa del tutto insufficiente a garantire la sicurezza dei propri dipendenti e ciò, al di là dell'obbligo di attuare tale garanzia ai sensi dell'art. 26 TU 81/2008, in quanto in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 cod. civ., è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro, predisponendo idonee misure antinfortunistiche. In altre parole, il datore di lavoro è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall'art. 40 C.P.P. comma 2.
Nel caso di specie, il datore di lavoro non poteva ritenere del tutto imprevedibile che un suo dipendente per distrazione o altro si fosse venuto a trovare nell'area di circolazione del camion, sarebbe bastato, anche non adottando la segnaletica pur imposta dall'art. 163 TU 81/2008 richiamato, affiancare al guidatore del camion altra persona che lo aiutasse ad effettuare la manovra di retromarcia, certamente rischiosa in quanto effettuata senza la possibilità di una visione totale del conducente della parte posteriore del veicolo.
Va ricordato che l'applicazione delle misure di prevenzione degli infortuni sul lavoro sottendono proprio allo scopo di evitare che l'errore umano, possibile e, quindi, prevedibile, influente su di una condotta lavorativa diversa da quella corretta, ma pur sempre posta in essere nel contesto lavorativo, possa determinare il verificarsi di un infortunio. Se tutti i dipendenti fossero sempre diligenti, esperti e periti non sarebbe necessario dotare i luoghi di lavoro e le macchine di sistemi di protezione.
3.3 Parimenti fondata è la censura di violazione di legge (art. 40 cod. pen.) mossa dal Procuratore generale ricorrente in relazione al comportamento della persona offesa, ritenuto, erroneamente, dal Tribunale come abnorme: in effetti, il giudice di merito disancora il nesso causale dal comportamento omissivo del F.P. facendo ricadere la causazione dell'evento unicamente sul comportamento della persona offesa, dimenticando che anche essa era la destinataria delle garanzie antinfortunistiche.
Invero, riallacciandoci a quanto già argomentato nella parte finale del punto 3.2, non può certo ritenersi abnorme il comportamento della P.F..
Con tranquillante uniformità questa Corte ha affermato che l'obbligo di prevenzione si estende agli incidenti che derivino da negligenza, imprudenza e imperizia dell'infortunato, essendo esclusa, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo, solo in presenza di comportamenti che presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, alle direttive organizzative ricevute e alla comune prudenza. Ed è significativo che in ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o dall'inidoneità delle misure di prevenzione, come nel caso di specie, nessuna efficacia causale venga attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento (confr. da ultimo Sez. 4, Sentenza n. 3787 del 17/10/2014 Ud. , Rv. 261946).
4. Alla stregua delle considerazioni svolte la sentenza impugnata va annullata nei confronti del F.P. con il rinvio per nuovo esame alla Corte d'appello di Bologna.

P.Q.M.


Annulla la sentenza impugnata nei confronti di F.P. e rinvia per nuovo esame alla Corte d'appello di Bologna.
Rigetta il ricorso nel resto. Così deciso in Roma il 14 aprile 2015.